Ottobre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
LE BORSE AFFONDANO: MERCATI INSODDISFATTI DI DRAGHI E IMPAZIENTI CON RENZI
L’incantesimo si sta rompendo per entrambi.
Per il primo, Mario Draghi, la bocciatura dei mercati alle parole prudenti e assai poco dettagliate sul piano di acquisto di Abs e covered bond annunciato oggi è stata lampante e rumorosa, con Piazza Affari caduta quasi di quattro punti percentuali.
Per il secondo, Matteo Renzi, dietro gli applausi raccolti nella platea di investitori e banchieri riuniti alla Guildhall, a Londra, il malessere è più sotterraneo, ma lo rileva con assoluta precisione chi, proprio in quella sala, lo ha ascoltato per quasi due ore: “La luna di miele degli investitori con Renzi è finita. Ora dopo gli annunci tutti si aspettano i fatti”, commenta Alberto Gallo, responsabile della strategia sul credito in Europa per Royal Bank of Scotland.
Piccolo passo indietro, ore 17.30.
Il sismografo finanziario della borsa di Milano registra in chiusura una delle sedute più difficili da molte settimane a questa parte, con il Ftse Mib a quota -3,92%, sceso per la prima volta dal 22 agosto scorso sotto quota 20 mila punti.
È la traduzione numerica di una giornata molto difficile per il numero uno dell’Eurotower.
L’uomo che, poco più di due anni fa, con tre parole (“Whatever it takes”) era riuscito a condurre l’Europa fuori dalla crisi del debito, oggi si è dovuto scontrare con il mal di pancia dei mercati per le misure descritte dall’ex governatore di Bankitalia.
Il giudizio degli analisti è pressochè unanime: la delusione “si sarebbe diffusa per la mancanza di un punto di riferimento chiaro ed esplicito sull’ammontare di asset acquistati dalla Bce”, rileva Vincenzo Longo, market strategist dell’ufficio studi ig interpellato da Radiocor.
Per Marco Valli, capo-economista per l’eurozona di Unicredit, Draghi è “rimasto piuttosto sul vago in merito al volume della prevista espansione di bilancio” attraverso i piani di acquisto di Abs e Covered Bond.
Mettere in vetrina l’arsenale, come Draghi ha fatto negli ultimi mesi elencando tutti gli strumenti messi in campo dall’Eurotower, rischia di non bastare più: occorre cominciare a sparare. “Oggi è mancato un elemento fondamentale — spiega ancora Gallo ad Huffpost -, i dettagli. E non averli forniti oggi rappresenta senz’altro un segnale negativo. Dimostra la difficoltà ad implementare le misure annunciate, dovute alla mancanza di consenso intorno agli interventi della Banca Centrale e al freno che alcuni governi, come quello tedesco, stanno mettendo alle iniziative di Draghi”.
La strada quindi, è strettissima. “La Bce in questo momento sta cercando di prendere tempo, ma anche a questo c’è un limite”.
Lo stesso tempo che gli investitori rischiano di non concedere più al premier, che poco più di sei mesi dopo un incontro analogo organizzato nella City, si è ripresentato a Londra per rilanciare la propria agenda di governo.
Ma il clima, da allora, è cambiato molto.
Non solo il peggioramento del quadro economico, che ha visto in poco più di un semestre ribaltare le stime di crescita del governo in un cupo -0,3% previsto per la fine dell’anno.
Ma anche i grandi capitali, malgrado gli endorsement pubblici dei top manager più di bandiera che di sostanza, rischiano di cominciare a guardare l’orologio.
Tanti annunci non si sono ancora concretizzati in tante riforme.
Oggi, proprio nella sala londinese, il premier ha fissato due altre importanti scadenze. La prima, sul Jobs Act, che “sarà possibile fare entro un mese”.
La seconda, sull’intero pacchetto di riforme, il cui percorso si potrà concludere “entro sei mesi”.
“È una scadenza molto ambiziosa — conclude Gallo — effettivamente non è facile implementare tutti questi cambiamenti in così poco tempo. Forse ci vorranno più di sei mesi di tempo, ma non so se il mercato potrà aspettare più a lungo di così”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
NUOVO RINVIO DEL PROVVEDIMENTO SENZA IL QUALE NON POSSIAMO FAR RIENTRARE I CAPITALI DALLA SVIZZERA… LA FRANCIA L’HA FATTO E STIMA DI OTTENERE UNA CIFRA MILIARDARIA
A remare contro l’introduzione del reato di autoriciclaggio non è soltanto la coppia formata dal ministro Maria Elena Boschi e dall’avvocato di Silvio Berlusconi Niccolò Ghedini, ovvero l’asse Forza Italia-Pd, benedetta dal patto del Nazareno, che l’autoriciclaggio non lo vuole.
A rallentare l’operazione c’è anche una contesa interna al fronte che l’autoriciclaggio dice di volerlo e che potremmo, semplificando, raccontare come conflitto tra Pietro Grasso e Francesco Greco.
Il primo è il presidente del Senato, ex magistrato antimafia, procuratore a Palermo e poi procuratore nazionale antimafia.
Il secondo è il procuratore aggiunto che a Milano per anni ha indagato sui reati economici.
Grasso, come coloro che hanno esperienza soprattutto nel contrasto alla criminalità organizzata, tende a considerare l’autoriciclaggio come uno strumento da impiegare nelle indagini sulle organizzazioni criminali e i loro boss, che utilizzano i proventi di reati come traffico di droga o estorsione.
Greco e chi ha lavorato soprattutto sulla criminalità economica intende invece l’autoriciclaggio come un reato da contestare ai colletti bianchi che reimpiegano i fondi creati con delitti economici e fiscali.
Ecco dunque che la divisione tra questi due punti di vista si somma agli sforzi di chi quel reato proprio non lo vuole introdurre.
Risultato: da sei mesi si confrontano proposte diverse, con il risultato che nessuna passa.
Ieri poteva essere la volta buona, alla commissione Finanze della Camera, che da tempo ha pronto un testo che introduce, insieme, due misure : l’autoriciclaggio, appunto, e le norme per favorire il rientro in Italia dei capitali occultati all’estero (la cosiddetta voluntary disclosure).
Invece il rappresentante del governo, il viceministro all’Economia Luigi Casero, ha chiesto ancora qualche giorno per mettere a punto il testo definitivo, insieme ai colleghi del ministero della Giustizia.
Tutto è rimandato a martedì prossimo.
Sul rientro dei capitali l’accordo è stato raggiunto, ma non sull’autoriciclaggio, di cui circolano due versioni: quella più rigorosa, messa a punto dalla commissione Finanze, sulla base di un emendamento proposto dai Pd Pippo Civati e Lucrezia Ricchiuti e sostenuta da Marco Causi, capogruppo del Partito democratico in commissione; e quella più morbida contenuta nel disegno di legge del ministro della giustizia Andrea Orlando.
La settimana scorsa, quando il governo aveva presentato il suo testo, erano divampate le proteste non soltanto di Causi, Civati e Ricchiuti, ma anche del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
A essere contestata era la soglia introdotta dal testo del governo: non c’è autoriciclaggio quando il reato presupposto (quello che ha prodotto i soldi sporchi da ripulire) è punibile con una pena inferiore a 5 anni.
Vuol dire che resteranno fuori reati come la truffa, l’appropriazione indebita, la dichiarazione fiscale infedele. I delitti dei colletti bianchi.
“Fatta così, la norma sull’autoriciclaggio non serve a niente”, sostenevano Greco e il ministro Padoan.
Anche perchè l’autoriciclaggio va introdotto anche per giustificare le norme che favoriscono il rientro dei capitali dall’estero, che altrimenti potrebbero trasformarsi nell’ennesima sanatoria all’italiana.
La Francia ha da mesi varato la voluntary disclosure, da cui conta di recuperare almeno 2 miliardi di euro.
Una cifra considerevole, che in Italia potrebbe essere anche superiore.
Invece da noi non si è ancora fatto niente. “E ogni giorno che passa”, spiegano gli esperti di capitali occultati all’estero, “una parte dei soldi di italiani parcheggiati, per esempio, in Svizzera prende il volo verso paradisi più accoglienti e più riservati. Invece sarebbe questo il momento per rendere conveniente il rientro”.
Nei prossimi giorni, dunque, lavoreranno insieme, alla ricerca di un testo comune sull’autoriciclaggio, il ministero della Giustizia (che finora ha seguito la “linea Grasso”, che accetta la soglia dei 5 anni avendo in mente i reati di mafia) e quello dell’Economia (che segue la “linea Greco” e non vuole la soglia perchè sa che le provviste da riciclare si formano soprattutto con i reati di truffa, appropriazione indebita, dichiarazione fiscale infedele, che stanno sotto quella soglia).
Tra una settimana vedremo chi risulterà vincitore.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
COSàŒ LAVORA IL GOVERNO CENTRO-DESTRA-SINISTRA
Una cosa prima di tutto: la famosa questione generazionale non esiste.
È vero che i giovani virgulti renziani al governo sopportano a fatica gli anziani, ma solo gli anziani loro, perchè invece con gli anziani di Forza Italia hanno un feeling tutto particolare.
Come ha scritto ieri questo giornale spulciando i numeri di Open Polis non si è mai visto un governo avere così tanti voti dall’opposizione e non si è mai vista un’opposizione sostenere così strenuamente un governo.
Marciare divisi e colpire (nel senso di votare) uniti, il che fa del governo Renzi il primo governo di centro-sinistra-destra-centro dopo il triste caso del dottor Monti, parlandone da vivo.
Ma andiamo con ordine: la formula del governo-ombra non ha mai portato fortuna, così tanto vale giocare con la formula del governo-fotocopia. Renzi decide una linea, ne parla con Verdini, Verdini riferisce a Silvio, Silvio telefona a Brunetta, Brunetta scrive il Mattinale, i deputati della destra lo leggono e corrono a votare come il governo “di sinistra”.
Poi escono dall’aula, rilasciano qualche dichiarazione contro il governo, poi rientrano in aula e votano con il governo.
Questo getta una luce inquietante sulle riunioni politiche del governo.
Che succederà là dentro? Per esempio quando Renzi dice: “La parola al ministro delle Riforme”, chi parla, la Boschi o Verdini?
Quando la parola passa al ministro della Giustizia, chi parla, Orlando o Ghedini? Naturalmente avranno fatto delle prove audio per non accavallare le voci, un problema risolto con un accordo sul ritmo: dicendo le stesse cose nello stesso momento — a parte l’effetto coro — si capirà tutto.
Si è sperimentata anche una speciale modalità di intervento alla maniera di Qui, Quo e Qua: Boschi dice una parola, Verdini la successiva, Renzi chiude la frase.
Poi li manda a votare tutti insieme.
Oppure si traduce con il linguaggio dei non udenti: Finocchiaro parla e Romani fa strani gesti agitando le mani nell’aria.
Poi escono e vanno a votare uguale.
Resta qualche dissidio, ovvio. Per esempio quello sull’uso degli aggeggi elettronici, con Scalfarotto che spiega a Romani che l’iPhone non ha la rotella per i numeri, o quando Verdini usa l’iPad della Madia come piano d’appoggio per affettare la fiorentina da otto etti con cui fa colazione, ma sono dettagli.
Più difficile, invece, la scelta delle controfigure.
Boschi non vuole far coppia con Santanchè (con cui ha votato solo l’81,5 per cento delle volte) e preferisce la Gelmini (con cui ha votato il 90,3 per cento delle volte), questione di affinità .
Anzi, come disse il premier dopo il patto del Nazareno uno-punto-zero “profonde sintonie”.
In assenza di differenze politiche, si discute molto sulle cose tecniche.
Renzi, come si sa, vuole riunire i suoi due governi, quello di centrosinistra e quello di centrodestra, alle sette del mattino, cioè più o meno all’ora in cui di solito i ministri-fotocopia del centrodestra vanno a dormire.
Per il pranzo fa portare i pacchettini di Eataly, mentre quelli, abituati a Palazzo Grazioli, vorrebbero le pennette tricolore.
Ma quando si parla di contenuti sono tutti invariabilmente d’accordo, cosa che si evidenzia poi nelle votazioni parlamentari. Certo, si tratta di scegliere bene gli argomenti.
Riforme? D’accordo. Senato? D’accordo. Italicum? D’accordo. Lavoro? D’accordo. Brunetta si piazza vicino all’impianto voce: nell’eventualità , piuttosto remota, che qualcuno affronti argomenti come lotta alla mafia, evasione fiscale, tassazione dei ceti più alti, è pronto a schiacciare un piccolo tasto che spegne tutto.
Tranquilli, finora non è mai successo, perchè il governo “più di sinistra degli ultimi trent’anni” (cfr. Matteo Renzi, febbraio 2014) è capace di qualche sensibilità e di certe cose non parla.
Alla fine, in queste bizzarre riunioni del governo di centro-destra-sinistra, l’unico momento un po’ teso è quello in cui si concordano le dichiarazioni.
Silvio teme di perdere visibilità marciando compatto con Matteo, e allora capita che qualcuno del centrodestra twitti una dissociazione, una critica, una cattiveria acidina. A volte gliele scrive direttamente Zanda, che avendo votato insieme a Verdini 99,8 volte su cento, lo conosce come le sue tasche, forse di più.
Alessandro Robecchi
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Ottobre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
NON E’ UN ALTO MAGISTRATO, NON E’ AVVOCATO E NON INSEGNA PIU’ DAL 2009: L’UNIVERSITA’ DI CAMERINO CONFERMA
“Luciano Violante è ineleggibile per la Corte costituzionale”. Il giorno della sedicesima fumata nera per l’elezione di due giudici supremi da parte del Parlamento, il Movimento 5 stelle solleva il caso del candidato in quota Pd.
“Abbiamo fatto la verifica dei requisiti”, dice il deputato M5S Danilo Toninelli: “dopo aver visto il caso di Teresa Bene che, eletta per il Consiglio superiore della magistratura, è stata subito esclusa. E abbiamo scoperto che il nome di Violante non rispetta le condizioni previste dalla Costituzione”.
All’articolo 135 della Costituzione si legge che: ”I giudici della Corte costituzionale sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni d’esercizio”.
Questo secondo i 5 stelle basta per escludere di fatto, sia sotto il profilo sostanziale che sotto quello formale, Luciano Violante.
“Per prima cosa non è mai stato magistrato di giurisdizioni superiori (Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei Conti o Corte costituzionale), nè avvocato. Inoltre lui è stato ma non è più professore ordinario di università in materie giuridiche. Infatti la legge per quest’ultimo caso non specifica l’opzione ‘anche a riposo’. Motivo per cui lui è automaticamente fuori dai giochi”.
Violante risulta professore ordinario fino al 2009 presso l’Università di Camerino, anno in cui va in pensione come conferma l’ateneo a ilfattoquotidiano.it.
Ma anche precedentemente, risulta essere stato in aspettativa da parlamentare. “È vero”, specifica il deputato, “che alcuni giudici della Corte, anche tra quelli attualmente in attività , non erano in ruolo quando sono stati eletti: ma essi sono professori emeriti, ovvero ordinari che abbiano prestato almeno venti anni di servizio nella qualifica e in virtù di tale titolo essi continuano a svolgere attività didattica e coordinare progetti di ricerca, cioè l’attività propria dei professori ordinari di università ”.
E la carica di professore emerito deve essere conferita da un’università in base a una legge specifica e Violante non risulta averla mai ottenuta.
Nè dai suoi curriculum ufficiali pubblici risultano altre docenze in corso.
Oltre all’articolo 135, non esistono altre norme che regolino l’accesso alla Consulta. Non solo.
L’articolo 7 della legge costituzionale dell’11 marzo 1953 obbliga i docenti universitari ad andare fuori ruolo, presupponendo quindi che siano in attività .
Infine non si ricordano casi nel passato recente di docenti in pensione che abbiano tenuto l’ermellino nè la Corte ha mai discusso deroghe all’articolo 135.
Un caso simile è quello di Paolo Grossi, classe 1993, che è stato nominato giudice costituzionale il 17 febbraio 2009 e ha dovuto lasciare la cattedra di storia del diritto italiano all’università Suor Orsola Benincasa.
E se Violante venisse eletto? Sarebbe la Corte costituzionale al completo a dover giudicare, come per gli altri casi, a dover giudicare sull’esistenza dei requisiti.
Oggi intanto c’è stata l’ennesima fumata nera, la sedicesima, per l’elezione di due giudici costituzionali da parte del Parlamento in seduta comune: è ancora una volta è stata bocciata la coppia Luciano Violante e Ignazio Francesco Caramazza.
Violante ha raccolto 511 voti e Caramazza 450; Bruno, 66; Carlassare 23; Pace, 12; Ainis, 7.
I voti dispersi sono stati 37, 144 le schede bianche e 42 le nulle.
La prossima votazione, la diciassettesima, si terrà nell’Aula di Montecitorio martedì 7 ottobre alle 13.
Quello che, dopo il ritiro di Donato Bruno, era sembrato un possibile accordo, è invece naufragato ancora una volta. Alcuni parlamentari di Forza Italia infatti non hanno votato per Ignazio Francesco Caramazza, candidato dell’ultima ora del partito di Silvio Berlusconi.
Questi faticano a digerire il fatto che gli azzurri abbiano dovuto trovare un’alternativa, mentre Violante resta stabile al suo posto.
In casa democratica la storia è ancora più complessa: sempre più parlamentari chiedono che salti il nome dell’ex presidente della Camera.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
MA FITTO REPLICA: “SIAMO PEGGIO DI UN PARTITO LENINISTA, MA NON MOLLO”… FORZA ITALIA E’ CROLLATA AL 13% PERCHE’ BERLUSCONI HA RINUNCIATO PER INTERESSI PRIVATI A FARE OPPOSIZIONE, NON CERTO A CAUSA DI FITTO
“Tu sei figlio della vecchia Democrazia cristiana. Se vuoi puoi andare via”.
La nuova puntata dello scontro tra Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto va in scena all’ufficio di presidenza di Forza Italia.
“Questo non è un partito alla vecchia maniera”, avrebbe detto secondo le ricostruzioni l’ex Cavaliere, “tu sei un figlio della vecchia Dc, se vuoi puoi andare via e magari poi ci alleiamo”.
Il motivo dello scontro questa volta, è stata la contrarietà del deputato pugliese a votare un documento che impegnasse tutti i 36 parlamentari del Comitato di presidenza con diritto di voto ad adottare la linea politica appena decisa senza aprire un dibattito.
Il botta e risposta tra i due a molti ha ricordato il ‘Che fai mi cacci?’ di Gianfranco Fini che segnò l’implosione del Pdl.
“Se continui così e vuoi fare come vuoi tu, io ti caccio”, avrebbe avvertito Berlusconi. Pronta la replica dell’ex ministro: “Io non me ne vado dal partito, non puoi cacciarmi via, resto qui a fare la mia battaglia, come sempre ho fatto fino ad ora”.
Raffaele Fitto non molla e uscendo dall’ufficio di presidenza commenta lo scontro. “Forza Italia è, resta e sarà il mio partito. Ho sempre sostenuto la necessità di fare un’opposizione netta al governo Renzi, altrimenti rischiamo di perdere ulteriori consensi nel nostro elettorato e questo l’ho ribadito anche oggi”, avrebbe detto ai suoi l’eurodeputato azzurro, determinato a continuare la sua battaglia dentro il partito, “come sempre ho fatto”.
Niente gruppi parlamentari autonomi, dunque. Nessuna scissione all’orizzonte, come vorrebbe l’ala più filorenziana dei berlusconiani, dicono i suoi fedelissimi.
“Sono il primo a volere il rinnovamento di Fi, ma bisogna partire da regole democratiche per scegliere la nuova classe dirigente, non ci possono essere nomine calate dall’alto”, va ripetendo da tempo.
Ieri ha riunito i suoi, oltre 35 parlamentari tra Camera e Senato, ed è rimasto molto male per la frase del Cav ‘tu sei un figlio della vecchia Dc, sei abituato alle correnti’, considerata un’offesa a suo padre, ex esponente pugliese della Balena bianca, e non arretrerà un millimetro dalle sue convinzioni, sia sul rapporto con Renzi, sia sulla riorganizzazione di Fi.
Raccontano che dopo le scintille al Comitato di presidenza, Fitto avrebbe incrociato Denis Verdini, alla presenza di Giovanni Toti: non si era mai visto una cosa del genere, siamo peggio di un partito leninista.
Rivolto ancora al principale artefice del patto del Nazareno l’ex governatore avrebbe detto: ci vediamo nelle sedi competenti.
All’ufficio di presidenza di Forza Italia ci sarebbero state scintille non solo tra Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto, ma anche tra Denis Verdini e Daniele Capezzone. Oggetto del contendere, ancora una volta la linea del partito nei confronti del governo Renzi.
Pronta la replica di Verdini, uno dei principali sostenitori del Patto del Nazareno: oltre a parlare con il cuore in mano, cerca di usare il cervello e parlare con il cervello…
Io ce l’ho un cervello, avrebbe tagliato corto Capezzone.
E allora, se hai testa, dovresti renderti conto che non c’è alternativa a questo governo se vogliamo portare avanti le riforme, avrebbe ribattuto Verdini, spiegando che questo esecutivo ha fatto tutto il possibile per venirci incontro, come la legge elettorale.
Se poi dovessimo tornare al Mattarellum per colpa vostra, sarebbe stato lo sfogo di Verdini, allora sarete voi i responsabili di tutto e vi impicco a un albero.
Parole dure, quelle di Verdini, subito respinte da Capezzone: sei tu, invece, il responsabile del calo di consensi, visto che siamo passati dal 20 al 13%.
Durante il suo intervento, Capezzone avrebbe sottolineato la necessità di essere più chiaramente alternativi al governo, soprattutto in tema di tasse a partire da quelle sulla casa.
E’ legittima la posizione di coloro che vogliono costruire un’alternativa alla sinistra e di chi cerca un’interlocuzione, ma il rischio, avrebbe ammonito, è che se continuerà il calo dei consensi per la delusione dei nostri elettori non sarà possibile sostenere nè l’una nè l’altra posizione.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
IL SOCCORSO AZZURRO, SE NECESSARIO, SARA’ QUELLO DI FAR MANCARE IN AULA LA PRESENZA DI ALCUNI SENATORI PER COPRIRE EVENTUALI PERDITE DA FRANCHI TIRATORI
Se davvero vorrà aiutare Renzi nel delicato passaggio parlamentare sul Jobs act, la prossima settimana Berlusconi dovrà essere assente piuttosto che presente, dovrà cioè garantire al premier l’eventuale defezione dall’Aula di qualche senatore forzista, per compensare – qualora fosse necessario – il voto contrario di qualche dissidente democratico sulla riforma del lavoro.
Non è detto che ce ne sarà bisogno, anzi è probabile che il Cavaliere rimarrà ai margini di una sfida giocata all’interno del partito di maggioranza.
D’altronde, chi ha impiegato venti anni per traghettare dal Pci al Pds ai Ds e infine al Pd, non può nè vuole tornare indietro.
E comunque il «soccorso azzurro», che è già stato predisposto, sarebbe efficace solo se fosse contumace.
La verità è che Berlusconi non può abbracciare Renzi, perchè lo farebbe cadere, e nessuno si può consentire una crisi di governo, tantomeno le urne: primo tra tutti il Cavaliere, viste le condizioni in cui versa Forza Italia.
A preoccupare non è tanto il fixing settimanale dei sondaggi – che dà il suo partito in discesa tra il 13 e al 14% – quanto il dato tendenziale.
Le analisi rivelano che la caduta è determinata dall’aumento dei votanti, oggi rilevati al 72%.
L’iceberg dell’astensionismo si va insomma sciogliendo ma Berlusconi non sembra in grado di intercettarlo.
E senza un’inversione di tendenza le proiezioni si fanno allarmanti: se i votanti infatti superassero quota 75%, Forza Italia scenderebbe attorno al 12%, per crollare addirittura sotto il 10% se l’affluenza alle urne toccasse l’80%
Sarà vero – come raccontano – che l’ex premier è ormai concentrato solo sui problemi di politica estera, come per proiettarsi fuori dalle questioni domestiche dove ha perso di centralità .
Ma allora non si capisce perchè – nonostante il fallimento dell’«operazione Lassie» – continui a premere sul Nuovo centrodestra per sottrargli la «golden share» della maggioranza.
La resistenza cortese degli alfaniani si è ora tramutata in aperta ostilità , al punto che ieri il coordinatore di Ncd Quagliariello e il segretario dell’Udc Cesa hanno interrotto le trattative per gli accordi delle Regionali, chiedendo attraverso Matteoli – che gestisce la pratica per conto di Berlusconi – la convocazione di un tavolo urgente.
E dire che l’Ufficio di presidenza di Forza Italia era stato convocato (anche) per lanciare la candidatura dell’azzurra Wanda Ferro a governatore della Calabria. Missione abortita.
E Matteoli oggi non mancherà di sottolineare che «mentre c’è chi lavora alle intese, c’è chi lavora a distruggerle».
Un ragionamento che l’ex ministro aveva fatto a Berlusconi per telefono, lunedì scorso: «Silvio, così va tutto per aria. E gli altri hanno ragione a far saltare tutto».
E «Silvio» in quella occasione gli aveva dato ragione, «hai ragione Altero», scaricando le responsabilità su alcuni dirigenti del partito.
Già , ma allora perchè il Cavaliere non ha bloccato le iniziative di scouting sul territorio
Così l’appuntamento odierno di Forza Italia rischia di trasformarsi nell’ennesimo duello tra il leader e Fitto, che marcherà il suo ruolo di capo dell’opposizione interna, dichiarandosi contrario al modello congressuale adottato per il partito e insisterà per l’adozione delle primarie alle Regionali.
Più volte Berlusconi ha smentito l’esistenza di contrasti con l’europarlamentare, peccato che ieri Fitto abbia voluto evidenziare la frattura, e a nome di tutta l’area del dissenso abbia invitato i senatori di Forza Italia a votare «i nostri emendamenti di segno liberale» sul Jobs act, presentati a palazzo Madama in contrapposizione al gruppo.
Il tentativo è di picconare l’asse del Cavaliere con Renzi, per il quale è stato predisposto il «soccorso azzurro».
Che non servirà , ma se servisse…
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
MASCHERE DI PULCINELLA … LA FOLLA SI DIRIGE VERSO LA REGGIA DI CAPODIMONTE DOVE SI STA SVOLGENDO L’INCONTRO… 2.000 AGENTI MOBILITATI
È iniziato il corteo della Rete dei Movimenti campani contro il vertice della Bce in programma oggi a Napoli, viene ribadito il no alla violenza dagli attivisti che stanno affluendo alla spicciolata.
Seicento le persone radunate all’ingresso della metropolitana dei Colli Aminei. Il corteo vede alla testa un carro con degli altoparlanti dai quali vengono scanditi slogan contro la Bce.
«È stato costruito un gigantesco clima di paura per questo corteo. In questi giorni siamo stati costretti a spiegare che sono i giovani di questa città a protestare, giovani che vogliano un futuro», spiega Mauro, del collettivo 081.
Centri sociali.
Nel piazzale antistante la fermata della metropolitana di Colli Aminei, da dove partirà il corteo, c’è un forte concentramento di giornalisti. Presenti anche esponenti dei centri sociali così come le mamme, che per anni hanno lottato contro la discarica di Chiaiano, e gruppi di studenti.
La protesta per l’Ucraina.
Al corteo contro il vertice della Bce c’è anche la protesta ucraina. Un gruppo di donne espone la bandiera rovesciata del loro Paese macchiata di sangue.
«Siamo qui per esprimere la nostra solidarietà a chi lotta contro le banche mondiali – spiega Olena, da 14 anni a Napoli – le banche mondiali sostengono la guerra. La gente deve capire che in Ucraina è ormai tutto rovesciato, come la bandiera che esponiamo noi oggi». Tra gli slogan esposti anche “America hands off of Ucraina” e foto che ricordano la strage di Odessa.
Lo sfogo.
«I black bloc siamo noi, siamo noi che paghiamo la crisi». Urla questo da un furgone che apre il corteo contro il vertice Bce a Napoli, uno speaker-attivista. Tra gli striscioni anche lo slogan di questi giorni: «No Bce, no austerità ».
Verso la Reggia.
Il corteo dei movimenti antagonisti Block Bce si dirige verso la Reggia di Capodimonte dove si sta svolgendo il vertice della Banca Centrale Europea.
Il corteo è preceduto da un furgone con degli altoparlanti dal quale lo speaker spiega motivi della protesta e sul quale è stata sistemata una lunga scala. A terra uno striscione con la scritta «precarietà povertà disoccupazione speculazione. Liberiamoci della Bce».
Saracinesche abbassate.
I manifestanti, qualche migliaio, si sono radunati nel piazzale antistante la stazione Colli Aminei della linea 1 della metropolitana.
L’Istituto scolastico Salvemini, che si trova nei pressi del luogo dove i manifestanti si sono radunati, oggi è chiuso.
Tantissime le persone affacciate ai balconi che seguono il passaggio dei manifestanti. A negozi hanno le saracinesche abbassate. In piazza sono scesi studenti, disoccupati ma anche mamme e semplici cittadini che – spiegano – non riescono ad arrivare a fine mese. Tanti anche i cartelli esposti. Su alcuni si legge «Più case per tutti ma i banchieri nelle cantine», «Block Bce perchè la spesa dei governi la decidiamo noi». «No Bce, no austerità , case e reddito per tutti.
Maschere di Pulcinella.
Maschere di Pulcinella in apertura del corteo contro il vertice Bce a Napoli. Un gruppo di attivisti le ha indossate e apre il corteo con lo slogan «precarietà , povertà , disoccupazione, speculazione, liberiamoci dalla Bce».
Banche blindate.
Istituti bancari protetti da decine di agenti. Le scritte degli istituti di credito sono state coperte da buste di plastica nere. All’interno, nei giorni scorsi, sono stati eseguiti lavori per evitare eventuali sfondamenti.
Quattromila.
Sono 4mila, secondo gli organizzatori, i manifestanti che stanno sfilando a Napoli in corteo contro il vertice della Bce in corso in città . «Oggi tutti gli italiani dovrebbero scendere in piazza per iniziare una stagione di lotta – dicono gli attivisti al microfono – tutti gli europei devono dire basta». «Oggi non è la fine, oggi inizia la stagione di lotta», aggiungono. Poi, l’invito ai cittadini: «Unitevi a noi, riprendiamoci la dignità »
Bombe carta.
Quattro bombe carta sono satte fatte esplodere dai manifestanti davanti al tribunale dei minori. Sono stati anche accesi fumeogeni rossi. I manifestanti hanno urlato slogano contro il sistema giustizia.
L’appello.
È continuo l’appello a scendere in piazza per manifestare contro le politiche economiche della Bce che viene diffuso dai manifestanti in corteo attraverso i megafoni all’indirizzo dei tanti residenti dei Colli Aminei affacciati a finestre e balconi delle loro abitazioni.
«Venite con noi per mostrare il dissenso di chi non ha casa e i soldi per arrivare a fine mese», dicono i manifestanti.
Rivolgono un appello alle forze dell’ordine i manifestanti del corteo contro il vertice della Bce: «levatevi i caschi e manifestate con noi». «Fate venire anche i vostri figli – dicono i manifestanti – stiamo uniti per riconquistare il nostro futuro».
(da “il Mattino“)
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Ottobre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
SCONTRO RENZI-NCD, SALTANO LE MODIFICHE ALL’ART 18
Matteo Renzi e Maurizio Sacconi si sono sentiti più volte.
Per mettere a punto l’emendamento del governo alla riforma del lavoro, sulla base dei nuovi orientamenti del Pd. Un accordo difficile. Il premier vuole inserire le correzioni di Largo del Nazareno nella legge delega.
Il Nuovo centrodestra preferirebbe lasciare tutto così com’è «per annacquarla». È un braccio di ferro ma si dialoga. Lo testimoniano le telefonate.
Però lo scontro si trasferisce dal Pd agli alleati. Con un problema in più. Se l’Ncd cede sull’articolo 18, i soliti dieci alfaniani dati in uscita si potrebbero avvicinare ancora di pià alla casa madre di Silvio Berlusconi. Lasciando il governo senza maggioranza al Senato.
L’ultima fiducia infatti registrò solo 7 voti di scarto.
Questo spiega l’imprevisto lavoro di mediazione di Renzi che fin qui non aveva mai dato molto peso alle lamentele del partito di Alfano.
Renzi vuole l’emendamento perchè svuoterebbe le sette modifiche proposte dai senatori della minoranza Pd. «Noi abbiamo votato in direzione e siamo il partito più importante del governo. Non dimenticate le proporzioni elettorali», ha spiegato il premier Sacconi.
Eppoi il fantasma del voto anticipato vale anche per gli alfaniani, non soltanto per i ribelli del Pd. Ma l’Ncd detta le sue condizioni per firmare il nuovo testo.
«Aver previsto il reintegro anche per i licenziamenti disciplinari complica tutto – racconta il coordinatore di Ncd Gaetano Quagliariello – . Non possiamo tenere insieme la rigidità d’ingresso nel mercato del lavoro togliendo tante forme contrattuali e contemporaneamente vincoli stretti in uscita. Sarebbe il bis della legge Fornero. Non cambierebbe niente».
I paletti sono chiari: i casi dei licenziamenti disciplinari devono rientrare nella fattispecie della discriminazione e devono essere indicati con chiarezza fin dalla delega.
Ossia, non dev’esserci la discrezionalità del giudice come succede oggi. Il reintegro semmai può essere automatico in casi prestabiliti. Si lavora intorno a questa ipotesi puntando a presentare il testo tra domani e venerdì.
La minoranza del Pd accusa Sacconi di condurre una battaglia ideologica, di voler mettere, come ha sempre fatto durante gli anni al ministero del Lavoro, un dito nell’occhio al sindacato. «La reazione dell’Ncd conferma il passo avanti che abbiamo fatto in direzione – dice il bersaniano Miguel Gotor — . Penso si possa trovare un’intesa anche se Sacconi è un oltranzista non un riformista. Il nostro obiettivo è quello di votare tutti insieme la legge delega».
Le parole di Bersani hanno attenuato la forza dello scontro tra gli oppositori e Renzi. «Sono sicuro che se dovesse saltare l’emendamento del governo, Renzi accoglierà una parte dei nostri», dice ancora Gotor.
Un’altra apertura che spianerebbe la strada alla delega, che sarà votata a partire da mercoledì prossimo.
Però i numeri della battaglia interna non lasciano tranquillo Palazzo Chigi.
I dissidenti a Palazzo Madama restano una trentina. E se Renzi è sicuro che si ridurranno «a 6 o 7 nei prossimi giorni », Luigi Manconi lo invita a essere più prudente.
«Sono filogovernativo. Ho fatto la battaglia sul Senato sapendo l’indifferenza che la circondava nel Paese. Stavolta la situazione è diversa».
Se il premier punta a umiliare il dissenso togliendo pezzo a pezzo senatori al suo serbatoio, ha sbagliato i calcoli.
«Diciamo che 20-22 di noi sono pronti a tenere il punto — spiega Manconi -. Non significa che vogliamo far cadere il governo. Significa che non funzionerà con noi la tecnica dell’erosione. O cediamo tutti insieme sulla base dell’emendamento del governo o la resistenza sarà compatta».
Improvvisamente la minoranza “scopre” di aver conquistato terreno nella direzione.
Che il lavoro di Roberto Speranza, Guglielmo Epifani, Cesare Damiano, aiutati da Matteo Orfini, non era stato vano nonostante la spaccatura del voto.
Questo mette in difficoltà anche gli oltranzisti del Partito democratico. Perchè se la mediazione con Ncd finisce bene, Renzi avrà il voto dell’intero Pd con l’eccezione di 4 senatori ormai con un piede fuori dal Pd.
«Il confronto adesso è tra la coppia Renzi-Poletti e Sacconi — dice Manconi – . Secondo me il premier può sfruttare questa situazione non cedendo nè a Sacconi nè alla minoranza che gli ha votato contro in direzione. È un’opportunità politica, in fondo può usare quei 20 no all’ordine del giorno per trattare meglio con il Nuovo centrodestra ». Il punto è che la partita ha anche un attore invisibile in Forza Italia. La minaccia del ritorno a casa di dieci alfaniani rischia di spostare gli equilibri della maggioranza, di diventare ostaggi del partito di Berlusconi. Che da settimane aspetta questo momento. Per uscire dal patto del Nazareno e condizionare non solo le riforme ma l’azione di governo.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
L’EX TESORIERE DS: “NON È COLPA MIA, È TUTTO DECISO DAL PATTO DEL NAZARENO”
Il senatore Ugo Sposetti, depositario di memorie e patrimoni comunisti e diessini, non contesta la percentuale: il 99,7% delle volte ha votato come Denis Verdini, ha pigiato lo stesso pulsante, ha accolto o respinto.
Il marchingegno di Open Polis non lo imbarazza, Sposetti fa il saggio: “Ragazzi miei, non c’è nulla da studiare perchè non c’è nulla da apprendere. E la domanda è mal posta, il destinatario è sbagliato”.
E perchè? “Io mi adeguo, io seguo la linea del Nazareno. Se mi portano in braccio a Forza Italia, se ci fanno confondere, non è colpa mia, e non dovete chiedere a me”.
Vada su Open Polis, giochi con le combinazioni: oltre Sposetti-Verdini, ci sono Verdini-Zanda, Romani-Zanda e via scartabellando.
L’ex tesoriere Ds non vuole cianciare: “Ho di meglio da fare e nuove cose da imparare. Queste vostre scoperte, mi spiace, le conosco già ”.
Quasi perfetta coincidenza, quasi un movimento unico, un partito unico.
Maurizio Bianconi, toscano, un deputato forzista che non utilizza il politichese, vuole commentare, e sospira: “Non c’è bisogno di fondere i gruppi di Camera e Senato, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi gestiscono la stessa macchina: si supportano, si spartiscono le poltrone, la gente non se ne accorge. Voi, le Provinciali senza elezioni le avete seguite? I patti non scritti?”.
Un obbligo, Bianconi: “E allora non prendiamoci per i fondelli. Attenti, però, che un pezzo di Forza Italia si sta organizzando, guarda altrove, chissà se pure al Nazareno si ribellano un pochino”.
Le statistiche di Augusto Minzolini lo rendono un estraneo in Forza Italia: in 911 casi su 1310 (69%), l’ex direttore Rai s’è trovato d’accordo con il capogruppo Paolo Romani.
Il dem Luigi Zanda lo batte, 91%.
“Minzo” si sente un senatore lungimirante: “Io anticipo quello che poi accade. Fui tra i primi a rifiutare la riforma costituzionale di Enrico Letta, poi mi seguirono molti colleghi. Io comprendo i cittadini che non riescono più a distinguere tra Forza Italia e Democratici. In tanti non rispettano la propria identità : non puoi lottare per l’elezione diretta del capo dello Stato e poi accettare che neanche Palazzo Madama sia più un organismo con degli eletti”.
Poi, Minzolini si deprime: “Non siamo più in un sistema bipolare, tripolare, non c’è il bianco e non c’è il nero, siamo pieni di grigio. I berlusconiani e i renziani occupano il medesimo spazio: occhio, che arriva qualcuno e li frega”.
Miguel Gotor, bersaniano, promesso ministro e ora provetto ribelle, non sapeva di queste spietate analisi di Open Polis che lo rendono (al momento del voto) simile a Verdini (al 99,7%, Minzolini fa molto peggio) oppure a Paolo Romani.
Gotor assicura che si vuole informare, poi non chiamerà più.
È uomo di mondo, non sarà traumatizzato. Avremo la sua versione, presto.
Oltre i numeri, ci sono le azioni, le trame. E le telefonate. Quella tra gli alleati Renzi e Berlusconi per ricalibrare l’ambo da proporre in Parlamento per la Corte costituzionale: ritirato Donato Bruno, i forzisti vorrebbero indicare Ignazio Francesco Caramazza, ex avvocato generale dello Stato.
I dem insistono con Luciano Violante. La coppia va bene a Silvio e dunque va bene a Matteo, va bene al Quirinale: che vada bene anche al Parlamento, che dovrà scrivere i nome corretti sulla schede.
Ma lo scrutinio segreto trasmette coraggio, e il partito unico soffre un po’.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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