Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile
IL PREMIER, IN DIFFICOLTA’ DI FRONTE ALLE DOMANDE DI TRE GIORNALISTI STRANIERI, NON CONVINCE LA PLATEA
Davanti ad una piazza Municipio gremita, Matteo Renzi è indispettito dal nuovo fronte di attacco, che si
aggiunge ad altre spine, come quella sempre pungente del Jobs Act.
Prima di venire qui a Ferrara, a parlare al Festival dell’Internazionale e fronteggiare le ostiche domande di tre giornalisti stranieri, il premier ha provato a trovare la quadra sulla riforma del lavoro, riunito tutta la mattinata con i suoi in una sorta di ‘war room’ a Palazzo Chigi.
Per far presto, Renzi sta considerando di mettere la fiducia sul Jobs Act, ma ancora non c’è una decisione ufficiale, tanto è delicato il crinale che divide le richieste delle minoranze Pd da quelle degli alfaniani. Fronti opposti.
Come quelli che deve affrontare a Ferrara: tra le proteste di qualche decina di grillini che riescono a impiastricciargli il palco lanciando uova e il palese scetticismo della piazza su quello che evidentemente per il grosso dell’elettorato piddino è il problema dei problemi: il patto del Nazareno.
Il clima è manifesto subito, dal tenore degli applausi ai giornalisti stranieri che lo incalzano sull’intesa con Berlusconi.
Comincia Irene Hernandez Velasco di El Mundo a chiedergli degli “incontri segreti” con l’ex Cavaliere. “Non sarà forse il caso di fare almeno un selfie con Berlusconi?”, lo punzecchia.
La folla gradisce il tema e si fa sentire. Renzi risponde piccato.
“Berlusconi non è il mio tipo per un selfie, ma se ci tiene la prossima volta lo faccio, non c’è problema. Ma il Patto del Nazareno riguarda solo le riforme costituzionali. C’è una cultura della sinistra italiana e non solo italiana — continua guardando l’interlocutrice che però è di El Mundo, non proprio un giornale di sinistra — che è ispirata dalla cultura del sospetto. Ma come faccio a negare una cosa che non esiste? E’ come descrivere un fantasma… C’è una cultura radical chic condannata a perdere le elezioni… Leggo tutti gli editoriali e mi rode perchè io vorrei discutere di scuola e non del patto del Nazareno, ma se parlo di scuola nessuno mi si fila, se parlo del patto del Nazareno drizza le orecchie anche la stampa internazionale…”.
I tre lo guardano diffidenti. E lui lo sa. Se lo aspettava. Come si aspettava le proteste in piazza: ne aveva parlato con i suoi e il personale della sicurezza nel backstage, prima del dibattito, e avevo deciso che i contestatori non andavano allontanati.
Infatti, spuntano subito tra la folla, armati di fischietti, decine di cartelli (dai ‘No Ttip”, contro l’accordo commerciale tra Usa e Ue, a quelli contro la cancellazine dell’articolo 18) e uova che planano sul palco, riuscendo a macchiare le calze del giornalista del Financial Times Ferdinando Giugliano, ma non quelle di Renzi.
Ma sul Patto del Nazareno i giornalisti della stampa estera non mollano. La piazza è con loro. Dopo la cronista spagnola, interviene il tedesco Michael Braun di ‘Die Tageszeitung’.
“Non è un problema di cultura del sospetto o della sinistra italiana — dice al premier – è un problema internazionale perchè noi abbiamo un problema a spiegare perchè un condannato in via definitiva scriva la costituzione italiana”.
Qui gli applausi sono scroscianti. Tanto che Renzi è costretto a dire: “Possiamo anche applaudire quanto vi pare ma finchè Berlusconi ha i voti, si fa così… Le regole si scrivono insieme all’opposizione”.
E si rivendica il Patto: “Non sono qui per parlare male di Berlusconi, per vent’anni se n’è parlato come di uno spauracchio e l’avete mandato al governo. Io ho preso il 40 per cento parlando dell’Italia”.
Braun incalza: “Siamo stufi di Berlusconi, non ne possiamo più”. La piazza ri-applaude. Renzi: “E siete in ritardo di vent’anni…”. Braun: “Ma lui da condannato partecipa ancora al dibattito pubblico, condiziona la maggioranza…”.
Il riferimento è alle possibili richieste di Berlusconi in materia di riforma della giustizia. Renzi incassa il colpo ma ribatte: “Capisco che per voi è un problema, capisco le vostre riunioni di redazione, ognuno ha le proprie idee ma in questi vent’anni l’Italia ha perso delle occasioni”, per via dell’anti-berlusconismo.
E’ come se le domande poste rispecchiassero le aspettative della gente in piazza.
Come quando Giugliano del Financial Times chiede al premier se non abbia fatto troppi “annunci”, se non ci sia il “rischio di perdere credibilità ”.
La risposta porta all’ammissione di un errore: “Non essere riuscito a dimostrare che il governo ha fatto e che non sono solo annunci… Per esempio, gli 80 euro…”. Dalla platea, seduto non lontano dal palco, un signore gli urla: “Non per tutti!”.
Molto probabilmente è un pensionato, categoria che non ha visto bonus in busta paga. Renzi prova a interloquire, annaspa.
Dopo le critiche di quelli che Renzi chiama “poteri forti” o “poteri aristocratici”, arriva un po’ di nervosismo anche in piazza.
Quella di Ferrara non è una piazza totalmente ostile, naturalmente. Però non è la piazza festante che lo ha accolto in giro per l’Italia prima delle europee, nei primi mesi di governo e sull’onda dell’annuncio sul bonus di 80 euro. Renzi lo sa ma fa leva su quelli che stanno con lui.
La fossa dei leoni ormai si cela dietro ogni angolo, sta cambiando il vento.
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Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile
A CHE SERVE ALLORA CHIEDERE 500.000 EURO AI SUOI SOSTENITORI?… MA C’E’ ANCORA IL PROBLEMA DELL’ASSICURAZIONE
“Like a rolling stone”, verrebbe da cantare insieme a Bob Dylan.
Già , perchè nonostante le polemiche che investirono pesantemente Ignazio Marino e la sua giunta lo scorso giugno per aver concesso l’utilizzo del Circo Massimo ai Rolling Stones per la più che modica cifra di 7934 euro, il Campidoglio concederà il bis.
A usufruire della tariffa low cost questa volta sarà il Movimento 5 stelle.
Non c’è ancora una cifra ufficiale. Ma quando chiamiamo gli uffici capitolini competenti (è il Primo Municipio a dover incassare) , si prendono qualche minuto, e poi: “Guardi, il conteggio preciso ancora non ce l’abbiamo, ma sarà una cifra che oscillerà tra gli 8 e i 10 mila euro”. Certo, l’attenuante è che la richiesta presentata circa tre mesi fa dagli organizzatori stellati non prevede spazi ad uso commerciale.
Ma i grillini hanno chiesto una disponibilità di tre giorni consecutivi di evento (a differenza dell’unico prenotato da Mick Jagger e soci), e l’usufrutto dell’intera area addirittura per tredici giorni, dal 3 ottobre al 16, per “consentire operazioni di montaggio e di smontaggio dell’evento”.
Cifre lontanissime da quelle ipotizzate nei giorni scorsi (intorno ai 100mila euro).
Numeri che erano stati parametrati sul nuovo regolamento approvato proprio a seguito delle polemiche di cui sopra. Ma che non verranno sborsati dal Movimento.
“È vero che la delibera è a tutti gli effetti operativa – spiegano dal Comune – ma l’aumento non sarà affatto ingente rispetto al dato di quel concerto perchè raduni e manifestazioni di carattere politico godono di tariffe particolari”.
Per cui, se prima un partito politico arrivava a pagare somme ancora più esigue di quelle sborsate da privati, con l’aumento si arriva ad un totale molto simile a quello richiesto ad artisti e cantanti fino a prima dell’estate”.
Dirimente anche l’assenza di spazi dedicati all’attività commerciale: “Se non figurano zone in cui è previsto un introito per gli organizzatori, la spesa totale scende ulteriormente”.
Nel ‘piano di battaglia a 5 stelle’ figurano zone informative, dedicate al relax e agli spettacoli (il palco), dedicate all’attività istituzionale e ai servizi igienici. Nessuna attività di ristorazione o dedicata al merchandising.
L’incasso totale per l’erario sarà così pari, in media, a meno di 800 euro al giorno.
Eppure l’asticella da raggiungere ella raccolta fondi è fissata all’astronomica cifra di 500mila euro.
Alla quale si deve aggiungere il residuo dei fondi raccolti per la campagna elettorale delle europee e non spesi.
Un controsenso, se si pensa che, all’indomani del concerto capitolino degli Stones, molti esponenti del M5s attaccarono Marino per “aver svenduto il patrimonio artistico della città “, e il capogruppo in Campidoglio Marcello De Vito tuonò: “Presenteremo un’interrogazione urgente per capire se è vero che il Comune ha incassato questa miseria (8000 euro) per l’occupazione del Circo Massimo”.
Lo stesso Beppe Grillo, lo scorso trenta agosto, chiamava ironicamente in causa proprio il gruppo di Mick Jagger per convincere il sindaco a dare il via libera per uno spazio che, ricordava, “è stato dato a te per pochi soldi anche”.
De iure, la nuova cifra eviterà al sindaco di finire nuovamente sotto i riflettori della Corte dei conti per presunto danno erariale, ma di fatto il M5s dovrà sostenere un esborso esiguo, pari, all’incirca, a quello della rock band britannica.
Il vero ostacolo economico che separa l’organizzazione dal via libera all’evento è così diventata una fidejussione da 2,5 milioni chiesta per assicurare l’area da eventuali danni al patrimonio artistico. I 5 stelle sembrano essersi accorti oggi del problema, a poche ore dalle 22.00, quando i primi fornitori inizieranno le operazioni di scarico.
“Noi non stiamo trovando nessuna assicurazione che ci tuteli da questo rischio ma non la troviamo – ha denunciato Roberta Lombardi – perchè qui non ci sono più reperti archeologici, e non si può assicurare qualcosa che non c’è”.
Il punto, spiega il Campidoglio, è “che noi possiamo procedere al rilascio delle autorizzazioni per le utenze finchè non ci viene presentata la fidejussione bancaria”.
Il che equivarrebbe a dire sistemi di amplificazione artigianali, scarsa o nulla illuminazione per gli eventi serali (in scaletta, venerdì all’ora di cena, anche Beppe Grillo).
E se il Campidoglio si dovrebbe limitare a questo, diversa la posizione della Sovrintendenza archeologica, in questo caso direttamente responsabile, che potrebbe arrivare a bloccare l’evento.
Così, quando un gruppo di parlamentari M5s arriveranno domenica al Circo Massimo per pulire l’area insieme ad alcuni attivisti, Italia 5 stelle potrebbe essere ancora in forse.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile
L’ALLARME DEI TECNICI DELLA CAMERA: “STIME SBAGLIATE ANCHE PER GLI SCONTI SUGLI AFFITTI”
“Il governo chiarisca come intenda far fronte alle coperture”. Nuovi ostacoli per il decreto Sblocca Italia
annunciato da Matteo Renzi i primi di agosto e ora in commissione Ambiente. Non solo sono stati presentati oltre 2mila emendamenti al testo, di cui 600 proposti dal Partito democratico.
Oggi è il Servizio Bilancio della Camera a esprimere dubbi sulle risorse che il decreto legge Sblocca Italia destina allo “sblocco di opere indifferibili, urgenti e cantierabili“.
Secondo i tecnici infatti, visto l’utilizzo di fondi già stanziati per altre infrastrutture, andrebbe specificato dove si prenderanno le risorse quando queste dovranno essere rifinanziate.
L’articolo 3 del provvedimento, si legge, destina a copertura dell’integrazione del Fondo “sblocca cantieri” risorse inerenti opere infrastrutturali strategiche già approvate (utilizzo delle risorse destinate all’Autorità portuale di Venezia) ovvero risorse stanziate per trattati internazionali già sottoscritti (trattato Italia-Libia).
“Pur considerando quanto affermato dalla Relazione Tecnica circa la non necessità nell’immediato delle risorse suddette, andrebbe chiarito come si intenda far fronte alla copertura delle spese oggetto di definanziamento negli anni in cui le stesse si renderanno necessarie”.
I tecnici chiedono in particolare certezze specifiche anche sullo stato del trattato Italia Libia con il quale l’Italia si era impegnata a finanziare la realizzazione di opere infrastrutturali su territorio libico.
Ma non solo. Nelle stime sugli effetti finanziari delle detrazioni fiscali, per chi acquista una casa che intende affittare, i tecnici scrivono che non vengono considerate tutte le fattispecie previste dal decreto legge.
Quindi la spesa potrebbe essere superiore, rispetto a quanto previsto dal provvedimento. Inoltre manca la stima della spesa per l’acquisto o realizzazione di ‘ulteriori unità immobiliari da destinare alla locazione’.
Dal servizio Bilancio arrivano poi osservazioni sulla mancanza di indicazioni relative ai parametri utilizzati per il calcolo del minor gettito delle addizionali locali, contenuto invece nel prospetto riepilogativo.
L’ampliamento dell’ambito applicativo dei project bond, prevista dallo sblocca Italia, dovrebbe portare a una riduzione delle entrate fiscali, che però non viene calcolata.
Infine, ribadiscono i tecnici, l’aumento delle garanzie rilasciate dallo Stato sulle esposizioni assunte dalla Cassa depositi e prestiti avrà degli effetti finanziari che “andrebbero valutati”.
Si fa riferimento, in particolare, alle norme che estendono ai soggetti privati l’accesso ai finanziamenti della Cdp tramite le risorse della gestione separata garantite dallo Stato e alle norme che ampliano le possibilità di concedere la garanzia dello Stato in relazione ad esposizioni assunte dalla Cassa.
Nel testo attuale, osservano i tecnici di Montecitorio, non viene previsto “un corrispondente adeguamento degli stanziamenti posti a fronte dei maggiori rischi di escussione delle predette garanzie”.
Gli esperti del Servizio bilancio di Montecitorio si soffermano anche sulla posizione di Michele Elia, ad di Ferrovie dello Stato designato come commissario straordinario.
“Andrebbe escluso”, scrivono, “che all’amministratore delegato di Fs possano essere corrisposti gettoni, compensi, rimborsi spese o altri emolumenti di natura non retributiva, connessi allo svolgimento dell’attività commissariale per l’alta velocità al Sud. La norma già prevede che l’attività del commissario verrà svolta senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Ogni tipo di compenso andrebbe però espressamente escluso”.
Intanto nelle scorse ore si è chiuso il limite massimo per la presentazione degli emendamenti. Sono 2mila e 194 le proposte di modifica al decreto legge sblocca Italia, consegnate in commissione Ambiente alla Camera.
Lunedì 6 ottobre inizierà il lavoro sulle ammissibilità e le segnalazioni delle proposte di modifica più importanti. Martedì e mercoledì si lavorerà per trovare una posizione condivisa e da giovedì inizieranno le votazioni, che proseguiranno anche la settimana successiva.
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Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile
I VARI BENETTON, GAVIO E TOTO POTRANNO OTTENERE PROROGHE SIA CON LA PROMESSA DI NUOVI INVESTIMENTI, SIA ACCORPANDO TRATTE AUTOSTRADALI… IL CASO DELLA TORINO-MILANO: 12 ANNI DI LAVORI PER 100 KM, COSTO 1,1 MILIARDO E PEDAGGI IN COSTANTE AUMENTO
“Fine concessione mai”. E’ questa la condanna che da decenni l’Italia si è autoinflitta in ambito autostradale e che il decreto Sblocca Italia rischia ora di ratificare, introducendo dei meccanismi di proroga implicita delle concessioni e abolendo di fatto la concorrenza. A dirlo sono Banca d’Italia e i presidenti delle Authority dei Trasporti, della Concorrenza e dell’Anticorruzione che nel corso delle audizioni alla Camera hanno espresso tutte le loro riserve e preoccupazioni sull’articolo 5 del decreto: “Un ritorno a procedure del passato”, “vulnerabilità ai rischi di corruzione”, “eliminazione del fattore concorrenziale”, “norme non del tutto comprensibili” che di fatto “prorogano ulteriormente le concessioni”.
La torta è ricca (circa 6 miliardi l’anno) e a spartirsela sono sempre i soliti noti: Autostrade per l’Italia (Benetton), il gruppo Gavio, il gruppo Toto (quello di Air One) e una pletora di enti pubblici e privati che gestiscono singoli tratti della rete come l’Autobrennero, la Brescia-Padova, la Mestre-Trieste.
Concessionari che operano in regime di monopolio, che mai hanno dovuto partecipare a una gara e che ora — stando al decreto — possono addirittura predisporre autonomamente un piano economico finanziario (“ma nella norma non c’è scritto chi lo approva”, ha evidenziato Raffaele Cantone, presidente dell’Authority Anticorruzione) finalizzato a proporre l’unificazione di tratte autostradali contigue o complementari.
In sostanza, se l’articolo 5 del decreto non verrà modificato, le concessionarie potranno fare il bello e il cattivo tempo e ottenere automaticamente proroghe alla concessione sia con la promessa di nuovi investimenti, sia accorpando tratte autostradali con scadenze differenziate.
Quanto ai nuovi investimenti infrastrutturali, il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella ha fatto notare che “possano e debbano essere utilmente assicurati da un’assegnazione competitiva delle tratte al gestore più efficiente”, anzichè attraverso una proroga implicita della concessione in essere.
Pitruzzella non dice perchè, ma almeno una delle la ragioni è evidente: in Italia non esistono concessionari “puri”, cioè concessionari autostradali che si limitano a gestire la tratta e riscuotere i pedaggi, poichè i maggiori operatori del settore sono anche i proprietari di alcune delle maggiori società di costruzioni italiane.
Fino al 2013 il concessionario poteva affidare a società proprie o collegate fino al 60% dei lavori sulla tratta autostradale di sua competenza.
Dal 2014 la percentuale è scesa al 40% e dal 2015 scenderà ulteriormente, ma in tutti questi anni i Benetton, i Gavio e i Toto hanno spremuto dal business autostradale i pedaggi, i lavori per centinaia di milioni di euro che si auto-affidavano, e gli aumenti tariffari a compensazione dei nuovi investimenti effettuati.
Cosa ha comportato questo meccanismo lo si capisce con un esempio.
Nel 2000 è stata rinnovata la concessione al gruppo Gavio per l’autostrada Torino-Milano.
In programma c’era l’ammodernamento dell’infrastruttura e l’ampliamento a tre corsie. Stiamo parlando di un tratto dell’A4 lungo 127 chilometri che corre in pianura tra campi e risaie: poche curve, niente trafori, nessun problema orografico, zero rischio geologico.
I lavori, almeno formalmente, sono iniziati nel 2002 e ad oggi non sono ancora terminati. Guardando alle relazioni di bilancio della Satap, la società del gruppo Gavio che ha in concessione sia la Torino-Milano sia la Torino-Piacenza, si nota subito come buona parte dei lavori della tratta Torino-Novara Est vengano dati in affidamento diretto a un’impresa del gruppo e come di lì a poco le cifre per quei lavori inizino a lievitare: nel dicembre 2006 per il lotto dal chilometro 2,1 al chilometro 20,8 viene consegnata all’Anas una “perizia di variante” con aumento di spesa di 41,3 milioni (40% del totale), per il lotto dal chilometro 26,8 al 41,5 la “perizia di variante” prevede un incremento di spesa di 16,4 milioni (41% del totale), mentre per quanto riguarda il lotto dal chilometro 41,5 al 48,5, l’aumento delle spese è quantificato in 10,7 milioni, più ulteriori 1,3 milioni.
Tra il 2000 e il 2008 Satap dichiara di aver investito per l’ammodernamento della Torino-Milano 726,3 milioni di euro e su un aumento tariffario richiesto del 21,16%, le verrà riconosciuto il 19,46% a partire dal 1 maggio 2009.
Nel 2010 le tariffe salgono ancora: +15,29% sulla tratta Torino-Novara Est e +15,83% sulla Novara Est-Milano.
I ricavi netti da pedaggio passano così da 126 a 159 milioni di euro, segnando una crescita di 33 milioni di cui 28,9 milioni sono dovuti all’aumento tariffario. I pedaggi, à§a va sans dire, hanno continuato a crescere facendo lievitare i ricavi della concessionaria nonostante il calo del traffico (nel 2013 i ricavi ammontavano a poco meno di 190 milioni a fronte di un calo dell’1,93% delle percorrenze), mentre l’autostrada continuava (e continua tutt’ora) ad essere un grande cantiere, con enormi disagi per gli automobilisti e gli autotrasportatori specie con il maltempo.
Negli ultimi due anni sono iniziati i lavori sulla tratta Novara Est-Milano e, rispetto alle stime iniziali 526 milioni di euro per la realizzazione dei 36 chilometri di competenza, si è scesi ora a una previsione di circa 350 milioni per effetto dei ribassi nell’ordine del 38-41% nelle gare di aggiudicazione (bisognerà poi vedere il costo effettivo a fine lavori). Ciò che è certo è che in 12 anni dall’inizio delle opere, dei 127 chilometri di infrastruttura da ammodernare e ampliare ne sono pronti meno di 100, il concessionario — grazie all’autoaffidamento delle opere — ha beneficiato a livello di gruppo di un volano di centinaia di milioni di euro e, a livello di singola società , di cospicui aumenti tariffari che pure negli anni di crisi, con il traffico in calo, gli ha consentito di incrementare il flusso dei ricavi (e dei profitti).
Alla fine questa infrastruttura verrà a costare ben più di 1,1 miliardi di euro, ma la fine ancora non si vede e i costi, lungi dal sopportarli la concessionaria, ricadono ancora una volta sulla collettività .
Paolo Fior
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Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile
LA MODIFICA RIGUARDEREBBE SOLO LE OPERAZIONI TRA IMPRESE
Il governo punta a recuperare 2-3 miliardi in più dalla montagna di Iva evasa, in media 40 miliardi
l’anno.
L’idea che piace molto a Palazzo Chigi, quantificata in queste ore dai tecnici dell’Economia, è quella di estendere il meccanismo del reverse charge, oggi assai limitato, che obbliga chi acquista a versare direttamente l’Iva allo Stato senza pagarla al fornitore.
E così tappare le falle lungo la filiera dell’imposta più evasa nel Paese, con tutti che scaricano su tutti e nessuno alla fine versa.
Tra l’altro stanare l’Iva, vuol dire mettere le mani anche su altra illegalità . Chi evade l’Iva, spesso non paga neanche i contributi, l’Irpef, l’Ires, l’Irap.
Contribuendo così a quei 91 miliardi di evasione totale annui certificati dal ministero dell’Economia nel primo rapporto sull’evasione inviato qualche giorno fa al Parlamento.
Il reverse charge è già presente nel nostro ordinamento, sebbene circoscritto a specifiche casistiche, come i subappalti nel settore edilizio.
Ma che ora potrebbe essere ampliato a tutto il comparto delle costruzioni e anche a quello dei servizi alle imprese.
Con un beneficio stimato in 2-3 miliardi e ottenuto colpendo le operazioni e gli scambi intermedi tra fornitori, con un occhio ai grandi acquirenti.
Laddove cioè si stima un’Iva evasa pari a 9,3 miliardi l’anno. Il reverse charge (letteralmente inversione contabile) è solo l’ultimo tassello di una mutata strategia di lotta all’evasione del governo.
Che come annunciato anche dal nuovo direttore dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlando, punterà sempre meno su redditometro (disincentiva i consumi) e studi di settore. E guarderà soprattutto ai grandi evasori e al loro “spesometro”, la discrasia tra redditi dichiarati e tenore di vita.
Allo studio, anche il passaggio alla fatturazione telematica che obbligherà tutti gli esercenti all’invio automatico al Fisco delle informazioni contenute nelle fatture con l’obiettivo, anche qui, di impedire l’omessa dichiarazione dell’Iva nei casi di vendite e acquisiti in apparenza regolari, perchè fatturati o per i quali è stato emesso lo scontrino.
E per i quali però l’Iva non viene versata
La novità dell’ultima ora è però il reverse charge.
Una sua applicazione generalizzata a tutte le operazioni commerciali al momento si esclude.
Anche perchè dovrebbe essere autorizzata dall’Europa (l’Iva è un’imposta comunitaria). Una richiesta analoga da parte della Germania giace inattuata a Bruxelles dal 2006, per l’opposizione di alcuni Stati membri, tra cui l’Italia.
Ma il vento sta cambiando e i Paesi hanno tutti bisogno di denari freschi per far ripartire le economie stagnanti.
La stessa Ue di recente avrebbe aperto alla possibilità di avviare una fase di sperimentazione, consentendo ai singoli Stati di applicare il regime contabile in alcuni settori particolari al fine di arginare l’evasione.
Se fosse esteso a tutte le operazioni commerciali (al dettaglio e all’ingrosso), il maggior gettito Iva sarebbe pari a 14 miliardi (addirittura 27 miliardi se generalizzato all’intera economia), calcola il Nens, l’associazione fondata dall’ex ministro delle Finanze Visco e da Bersani, in un corposo studio sull’Iva evasa e sui mezzi per contrastarla.
Così come lo scontrino telematico sarebbe in grado di recuperare a tassazione l’11% delle cessioni finali di beni o servizi non dichiarate.
Dunque una riduzione di evasione pari almeno a un miliardo e mezzo. Il reverse charge renderebbe poi inefficaci, scrive ancora il Nens, le frodi carosello, inutili le false fatturazioni.
Azzererebbe le compensazioni via modello F24 (tra crediti e debiti Iva), ridurrebbe drasticamente il numero di contribuenti Iva tenuti ad effettuare versamenti periodici.
E riempirebbe le casse dello Stato.
Valentina Conte
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile
SPOSETTI REPLICA: “BEN 1.800 CIRCOLI DEL PD SONO OSPITI GRATUITI DELLE SEDI EX DS, COSA VOGLIONO DI PIU’?
«Ugo Sposetti potrebbe fare un atto di generosità e rendere disponibile al Pd il patrimonio immobiliare dei Ds, che è dei nostri elettori» (quali elettori? quelli Ds non erano certo renziani…n.d.r.)
Matteo Orfini sollecita il tesoriere ds.
Son tempi duri, i finanziamenti pubblici scarseggiano e i venti di scissione soffiano (ma Orfini smentisce qualunque ipotesi al riguardo), con qualche maligno che pensa che il «tesoretto» immobiliare dei vecchi Ds, morti ma ancora giuridicamente in vita, possa venir utile.
L’attuale tesoriere del Pd, Francesco Bonifazi, concorda: «Sono perfettamente d’accordo con Orfini, questo patrimonio dovrebbe essere a nostra disposizione. Ho pranzato con Sposetti e Fassino e sono sicuro che con Ugo si possa trovare un modo per lavorare insieme».
Positività che non si riscontra in Sposetti: «Quale tesoretto, qui ci sono solo debiti e persone in cassa integrazione. Mi dà fastidio questa disattenzione alla gente. Il 4 agosto ho dovuto mettere delle persone in cassa integrazione e loro pensano agli immobili. Ma 1800 circoli ospitano già aggratis sedi del Pd, cosa vogliono di più?». Vorrebbero fossero ceduti o messi a disposizione effettiva del Pd
«Prima si devono conoscere le cose, poi parlarne. Son ragazzi. Ma poi non stavano parlando dell’articolo 18? Che c’entra Sposetti?».
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile
STUDIO DELLA BANCA SVIZZERA JULIUS BAER: LA CRISI HA IMPOVERITO GLI ITALIANI E ARRICCHITO I TEDESCHI
La crisi economica? Ha arricchito i tedeschi e impoverito gli italiani. 
È quanto emerge da uno studio di Julius Bauer, la principale banca privata svizzera, sul livello di ricchezza dei risparmiatori europei nel periodo che intercorre tra il 2007, subito prima della crisi finanziaria, e il 2013.
Dal rapporto emerge che la ricchezza complessiva dei risparmiatori europei è cresciuta, seppure in modo irregolare tra paese e paese, del 2,7%, passando da 54.000 a 56.000 miliardi di euro.
Il dato però è molto diverso da paese a paese.
In Italia la ricchezza dei risparmiatori è scesa del 7%, passando da 8.900 a 8.300 miliardi di euro (-622 miliardi), mentre in Germania è cresciuta del 18%, passando da 11.187 a 13.200 miliardi (+2.013 miliardi).
Il grosso della ricchezza europea, secondo Julius Bauer, è concentrato in 4 paesi e cioè Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia, che raccolgono complessivamente 40 mila dei 56 mila miliardi di euro di ricchezza complessiva.
Nel Regno Unito la ricchezza dai livelli pre-crisi è diminuita del 2,1%, passando da 9.807 a 9.600 miliardi, in Francia è salita dello 0,2%, passando da 9.478 a 9.500 miliardi. In Spagna e in Grecia i morsi della crisi si sono fatti sentire molto pesantemente.
Gli spagnoli si sono impoveriti del 28%, perdendo 1.432 miliardi da un livello pre-crisi di 5.100 miliardi, mentre in Grecia l’impoverimento è stato del 23%.
Al contrario la Svizzera si è arricchita del 68%.
Lo studio rivela anche che il 10% dei ricchi europei possiedono oltre la metà della ricchezza del Vecchio Continente e l’1% dei super-ricchi possiedono il 27% della ricchezza europea.
Il grosso della concentrazione di ricchezza è calamitato da Germania e Austria, dove l’1% dei super-ricchi possiede rispettivamente il 35% e il 40% della ricchezza totale, contro il 21% dell’Italia e il 15% di Gran Bretagna, Grecia e Olanda.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile
MENO 400.000 TESSERE IN UN ANNO… BERSANI: “SENZA ISCRITTI ADDIO PARTITO”
Dopo i dati diffusi da Repubblica sul tesseramento nel Pd, la vecchia guardia del partito passa all’attacco.
Prima il duro commento di Pierluigi Bersani; poi, a prendere una posizione forte sulla gestione del Pd, è stato Stefano Fassina: “Temo che il Partito Democratico stia scivolando, lentamente e surrettiziamente, verso una forma più vicina a quella di un comitato elettorale – ha dichiarato all’Agi – Bisogna convocare subito una assemblea nazionale dei coordinatori di circolo e mettere in cantiere una assemblea di partito per mettere mano alla struttura e all’organizzazione”, continua Fassina.
“Basta girare un pò per i circoli, come faccio io ogni giorno, per rendersi conto dello stato di semi abbandono in cui versano tante realtà . Non tutte per fortuna”.
‘Non c’è”, continua ancora l’esponente della sinistra dem, “un lavoro sistematico fatto dalla direzione nazionale o quella attenzione al partito che ci dovrebbe essere. D’altra parte il segretario è più attento ad organizzare la Leopolda invece di concentrarsi sul partito che vive un momento di grande difficoltà . Siamo”, conclude Fassina, “in un passaggio delicatissimo, in cui si discute della identità del Pd. Tema che sta a cuore a tutti i nostri iscritti. Di fronte a tutto questo, non ci si può stupire del calo nel tesseramento”.
Un partito fatto solo di elettori e non più di iscritti, non è più un partito.
Parola dell’ex-segretario democratico, Pier Luigi Bersani. “Lo statuto dice che il Pd è un partito ‘di iscritti e di elettori’. Ovviamente – dice Bersani all’Adnkronos – se diventasse solo un partito di elettori diventerebbe un’altra cosa. Uno spazio politico e non un soggetto politico. Ma non siamo a questo e – assicura – non finiremo lì”.
I dati. Meno 400 mila iscritti in un anno. La base del Pd, nell’anno in cui il partito ha vinto le elezioni Europee con quasi il 41 per cento dei voti, cala vertiginosamente con meno di 100 mila tesserati. Nel 2013 erano 539.354. È quanto riporta un articolo di Goffredo De Marchis pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”.
Il quadro, regione per regione, presenta alcuni buchi neri assoluti. Il tesseramento non è praticamente partito in Sicilia, Basilicata, Molise, Sardegna, Puglia. E mancano solo tre mesi alla fine dell’anno. In Campania idem. Nel 2013 Napoli e le altre province contavano 70 mila iscritti. Oggi le tessere, raccontano, si possono calcolare nell’ordine delle centinaia, nemmeno migliaia.
La mutazione genetica del partito nasce così. Ci si apre alla società , ma i circoli (7.200 in Italia, 89 all’estero) languono e la militanza scompare. (…). A Torino e provincia gli iscritti erano 10 mila lo scorso anno, oggi sono appena 3 mila. A Venezia partecipavano all’attività delle sezioni 5.500 persone nel 2013, scese a 2 mila nel 2014. In Umbria si è passati da 14 mila tesserati a poco meno della metà , anche se le stime sono molto provvisorie. Se tutto va bene, dicono a Perugia, si toccherà il traguardo dei 10 mila prima di dicembre, il 40 per cento. Soffrono anche i luoghi dello zoccolo duro, dove la sinistra non perdeva mai iscritti.
Le primarie in Emilia, il tonfo del tesseramento sono però sintomi di un problema che coinvolge identità e ruolo del Pd, dei partiti in generale.
Tanto più quando la crisi della militanza si accompagna alla progressiva morte del finanziamento pubblico.
Il Pd riceverà nel 2014 12,8 milioni. Nel 2011 erano 60.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile
“IL LEGNO UTILIZZATO IN 23 MODULI ERA SCADENTE ED ERA STATO INCOLLATO E NON BULLONATO”
Il 2 settembre un balcone di una delle casette della new town berlusconiana era crollato. 
Un problema che non riguarderebbe un singolo appartamento.
E così la Procura de L’Aquila — secondo La Repubblica — ha ordinato il sequestro di ottocento balconi perchè il legno utilizzato in 23 dei moduli del progetto CASE era “scadente” ed era stato “incollato” e non “bullonato”.
Gli uomini del Corpo forestale sono arrivati alle stesse conclusioni degli uomini delle Fiamme Gialle di Piacenza.
Gli inquirenti emiliano hanno chiuso le indagini su un’azienda che ha fornito il legno per realizzare un insediamento del progetto case all’Aquila.
La ditta in questione è la Safwood, sul cui crack ha posto l’attenzione la Guardia di Finanza di Piacenza: nell’ambito di quella indagine sarebbe venuta fuori una fornitura di legno di 11 milioni in subappalto che secondo gli investigatori sarebbe “fasulla” al raggruppamento temporaneo d’impresa Rti costituito dalle azienda napoletane Iter Gestione e Appalti Spa, Sled Spa e Vitale Costruzioni Spa.
La Rti si è aggiudicata una parte del bando pubblico della protezione civile nazionale per la realizzazione in 19 news town di circa 4500 alloggi prefabbricati antisismici dove sono stati ricoverati oltre 16mila aquilani rimasti senza casa dopo il terremoto del 6 aprile 2009.
Sulla Rti, tra l’altro, aveva acceso un faro anche la Dda di Napoli per presunti collegamenti con la camorra.
Queste aziende, per problemi finanziari, successivamente sono state acquisite da altre imprese, tanto è vero che il Comune dell’Aquila nel contenzioso avviato dopo il crollo del balcone, ha come controparte l’assicurazione con la quale la Rti ha stipulato la polizia fideiussoria.
Dopo il crollo del balcone dal secondo al primo piano, per il quale solo per caso non si è verificata una tragedia, il Comune dell’Aquila ha attivato controlli negli altri insediamenti, circa 500 alloggi, realizzati dalla Rti vietando comunque l’utilizzo delle terrazze.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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