Ottobre 4th, 2014 Riccardo Fucile
MILANO HA IL RECORD DI CONTRAVVENZIONI… AL SUD SPRECHI PER LA BUROCRAZIA
Com’è possibile che Roma, proprietaria di un immenso patrimonio edilizio comunale, spenda per le sedi dei vigili canoni d’affitto 117 volte superiori a quelli di Milano?
Eccolo qui, un esempio clamoroso per capire quanto servano le tabelle sui «fabbisogni standard»: i cittadini possono vedere, confrontare, rendersi conto.
E decidere chi premiare e chi punire.
Era ora, che qualcosa cominciasse a filtrare, di quella massa enorme di dati.
Eppure sono così tante, per ora, le contraddizioni che occorre prendere quei numeri con le molle. Sennò si rischia di spacciare Casal di Principe, per decenni regno dei Casalesi, udite udite, per un municipio virtuoso.
Son passati 32 anni da quando il Pci Lucio Libertini, parlando dei trasporti, propose di fissare dei «costi standard»: trentadue.
E da allora l’invocazione è stata ripresa da tutti. A destra e sinistra. Un tormentone. Finchè nel 2010 la Sose, una società per l’89% del Tesoro e per l’11 della Banca d’Italia, ha cominciato a raccogliere a tappeto, con l’aiuto dell’Ifel (il centro studi dell’Anci) una miriade di numeri su sei comparti dei bilanci comunali: burocrazia interna, polizia locale, istruzione pubblica, territorio e viabilità , ambiente e rifiuti e politiche sociali, compresi gli asili nido.
I risultati ufficiali saranno messi a disposizione fra un mese. Potete scommetterci: scoppierà un putiferio.
Tanto più se il governo decidesse di tagliare o premiare sulla base delle cifre nude e crude.
Piero Fassino, presidente dell’Anci, l’ha già detto: «I dati sono del 2010, mentre l’incidenza maggiore sulla spending review arriva dal triennio 2011-2013 segnato da drastici tagli: raccomando al governo di non prendere provvedimenti in base a quelle tabelle».
Ci abbiamo messo il naso in quel rapporto stilato, è bene precisarlo, su numeri forniti dagli stessi Comuni. Trovando dati che gridano vendetta. Ma anche incoerenze che danno ragione alla tesi su lavoce.info di Massimo Bordignon e Gilberto Turati: «Usare questi numeri per separare gli “spendaccioni” dai “risparmiosi”, senza tenere conto di quantità e qualità dei servizi offerti, può generare disastri. Si rischia cioè di identificare tra i risparmiosi quelli che non offrono i servizi e tra gli spendaccioni quelli che invece i servizi li offrono».
Un solo esempio: possibile che la Calabria, che secondo uno studio di Stefano Pozzoli in quel 2010 aveva, rispetto agli abitanti, un quattordicesimo dei posti negli asili rispetto all’Emilia possa essere considerata «risparmiosa» perchè mancano le scuole materne e le maestre?
Di più: è inaccettabile che da questo «pattugliamento» a tappeto sui conti dei Comuni siano stati esclusi quelli delle Regioni speciali.
Hanno diritto a gestire i soldi in autonomia? D’accordo. Ma possiamo sapere «come» li spendono, i soldi degli italiani? Detto questo, evviva: il monitoraggio capillare, da completare con la definizione di alcuni servizi minimi, è un passo avanti enorme. Che comincia a far chiarezza sull’anarchia dei bilanci.
La prima cosa che balza all’occhio è il presunto record di virtuosità dei Comuni calabresi, che spendono il 10,65% in meno del fabbisogno standard complessivo al quale avrebbero diritto.
Cioè della somma che, tenendo conto di un mucchio di fattori più o meno penalizzanti (esempio: solo chi sta in montagna può capire il peso sociale, scolastico, economico di certe nevicate) viene indicata come necessaria perchè tutti i cittadini siano sullo stesso piano.
Per contro, la peggiore risulta essere, nonostante un livello dei servizi superiore, la rossissima Umbria, dove i Comuni spendono il 9,71% più del fabbisogno calcolato. Di più: la Calabria sembra addirittura meno sprecona del Veneto, del Piemonte e delle Marche.
Dice tutto il confronto fra Perugia e Lamezia Terme.
La prima, bella, dolce e benestante, è la città con oltre 70 mila abitanti che ha la peggiore performance in assoluto, con una spesa che nel 2010 ha superato del 31% il fabbisogno standard.
La seconda batte tutti sul fronte opposto: nel 2010 ha speso il 41% in meno.
Come mai?
Forse perchè spendeva pochissimo per funzioni essenziali quali la riscossione dei tributi (35 mila euro contro un fabbisogno di 446 mila), gli asili nido (641 mila euro contro 930 mila) e il «sociale»: 2 milioni 522 mila contro 7 milioni 439 mila.
Scelte imposte dal peso esorbitante di servizi burocratici come l’anagrafe, lo stato civile e il servizio elettorale: 1.162 mila contro un fabbisogno tre volte più basso, 468 mila.
Il contrario di Perugia, più parsimoniosa nelle spese per la burocrazia ma assai più esposta sul fronte dell’ambiente (36,2 milioni contro i 6,2 stimati come fabbisogno standard), dello smaltimento dei rifiuti (31,7 milioni contro 22,5) e dei trasporti pubblici (25,3 milioni contro 4).
Numeri in linea con una tendenza generale: le regioni meridionali, spiega la Sose, «da un lato risultano spendere più dello standard nel settore dei servizi generali di amministrazione e controllo», cioè per i burocrati e i dipendenti in genere, «e dall’altro spendere meno dello standard nel settore dei servizi sociali».
Bologna, ad esempio, figura sì in «zona rossa» con una spesa 2010 superiore del 4,76% allo standard, ma si tratta di una scelta precisa: investe nell’istruzione 60,4 milioni, contro i 37,5 previsti da Sose. Giusto? Sbagliato?
I risultati, scommettono gli emiliani, si vedranno più in là . Così come scommettono su se stessi i Comuni veneti (Vicenza su tutti), che a dispetto dei servizi buoni e a volte eccellenti riescono a spendere, come notava Albino Salmaso sul Mattino di Padova , il 7% in meno della media italiana.
Un dato lusinghiero. Purchè, in attesa della seconda parte del monitoraggio sul livello dei servizi, venga preso comunque con le pinze: i numeri possono essere bugiardi. Avete presente Casal di Principe, la cittadina della «Terra dei fuochi» tenuta in ostaggio per decenni dai Casalesi ed espugnata a giugno dal sindaco antimafia Renato Natale?
Risulta tra i municipi più virtuosi della Campania. Basta dire che la sua spesa 2010 era inferiore al fabbisogno standard del 41,6%.
Ma se andiamo a vedere come spendeva quell’anno i denari pubblici, scopriamo che per gli uffici preposti a raccogliere le tasse comunali, c’erano briciole.
Fabbisogno stimato da Sose: 113.242 euro. Euro impiegati: 167. Cioè 678 volte di meno: perchè mai infastidire i compaesani chiedendo loro le tasse?
Quanto all’ambiente, devastato dai veleni scaricati perfino nel cortile della ludoteca, il fabbisogno stimato era di 445.949: ne spesero un quarto.
I denari servivano per la burocrazia municipale. Costosissima.
Assurdo. Certo è che la Provincia di Caserta, la più avvelenata dagli scarichi industriali di tutta l’Italia, dimostra una volta di più come gli stessi «fabbisogni standard» abbiano sì un senso, ma debbano tener conto del contesto.
Nel 2010 l’ente provinciale casertano spese il 35% in più del previsto investendo nel settore ambientale 57 milioni: cinque volte più del fabbisogno standard calcolato da Sose: 11 milioni 581.147 euro.
Spreconi? Dipende da come sono stati investiti soldi. Ma che quella terra sventurata abbia bisogno di più quattrini per il risanamento di ogni ipotetica media nazionale è fuori discussione.
Così come è complicato calcolare lo «standard» per località turistiche che a seconda delle stagioni possono moltiplicare la popolazione di tre, cinque, dieci volte.
Al Nord e al Sud.
Il fabbisogno finanziario teorico di Cortina d’Ampezzo sarebbe inferiore del 52% alla spesa reale, quello di Capri del 39,6, di Ischia del 42,6, del Sestrière del 52,4, di Gallipoli del 38,6.
Spreconi? O piuttosto inchiodati dall’obbligo a mantenere dei servizi decenti?
Non mancano, nelle realtà più piccole, esempi di virtuosità stupefacente.
Il record spetta a un paesino bergamasco, Blello, che ha un fabbisogno teorico del 108,9% superiore a quello che il municipio spende in realtà : i 79 abitanti si sanno accontentare. O si sono rassegnati.
Così a Cartignano, 180 residenti, nel cuneese, dove il differenziale è del 108,4%.
O nella salernitana Omignano, dove lo «standard» sarebbe più alto del 97,2.
Ma sono tutti «risparmiosi» o costretti a far buon viso a cattiva sorte a causa della marginalit�
Risultati simili, nelle metropoli, sono impensabili.
A Roma nel 2010 ogni cittadino spendeva per i servizi fondamentali 1.695 euro, dei quali 400 per mantenere i dipendenti municipali.
A Milano 1.830: 441 per il personale. A Napoli 1.416 euro: per i «comunali» 477.
Ma quanto valgono questi numeri se non si tiene conto del divario, qua e là abissale, dei servizi forniti?
I tre Comuni allo specchio dicono tutto delle differenze fra i diversi pezzi d’Italia. Basti prendere il costo della funzione forse più sensibile per un Comune, quello della polizia locale.
Il fabbisogno standard di Roma è fissato in 323 milioni: nel 2010 spese il 14,5% in più.
All’opposto Milano, che sborsò per i vigili il 38,3% in meno ma anche Napoli, che «risparmiò» il 29%.
Eppure il Campidoglio, in quel 2010 preso in esame, fornisce ai cittadini in qualità e quantità molto meno di Palazzo Marino.
Per carità , le multe stradali sono forse un indicatore anomalo, ma i dati sono interessanti: i 5.998 vigili di Roma elevavano manualmente 929.442 contravvenzioni (154 a testa: tre a settimana), i 3.179 colleghi milanesi 1.178.780: 370 pro capite, più di una al giorno.
Per non parlare delle 79.870 sanzioni di diverso genere fatte a Milano contro le 27.990 di Roma e le appena 963 di Napoli.
O dei 255 arresti effettuati dai «ghisa» ambrosiani a fronte dei 110 dei «pizzardoni» capitolini e dei 64 dei «caschi bianchi» partenopei.
Per non dire degli affitti di cui scrivevamo.
Nonostante fosse proprietario di 59mila immobili, storicamente gestiti assai male, il Comune di Roma in mano alla destra dopo anni di giunte di sinistra, pagava nel 2010 per i locali occupati dalla polizia municipale canoni per tre milioni e mezzo contro i 30.017 euro di Milano: 117 volte di più.
Una spesa mostruosa. Che costringeva il Campidoglio a risparmiare su tutto il resto. Comprese le tecnologie indispensabili per amministrare meglio una realtà complicata quale quella capitolina.
Solo 2,9 milioni di euro investiti contro i 6,4 di Palazzo Marino.
Con riflessi clamorosi sul controllo territoriale.
I questionari compilati dai rispettivi Comuni e aggiornati al primo agosto di quest’anno dicono che a Milano la polizia locale dispone, per un territorio di 181 chilometri quadri, di 1.359 telecamere.
A Napoli, dove i chilometri quadrati comunali sono 1.117, i vigili ne hanno 100.
E a Roma? Il Comune con la superficie più vasta d’Italia, 1.285 kmq, di telecamere ne ha solo 45. Cioè una ogni 48 chilometri.
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 4th, 2014 Riccardo Fucile
NOMINATO DALLA CONFEDERAZIONE DELLE MISERICORDIE CON UNA PROCEDURA NEGOZIATA CON LA PREFETTURA DI AGRIGENTO
Lampedusa è con il fiato sospeso: la paura degli isolani è di tornare a essere la frontiera militarizzata
d’Europa.
Sì, perchè il combinato disposto fra il probabile arretramento della missione di ricerca e soccorso in alto mare Mare Nostrum (o la sua sostituzione con l’europea Frontex plus) e la riapertura del centro per immigrati vuole dire solo una cosa: riportare le lancette dell’orologio a quando l’Isola era il principale punto di accoglienza dei flussi migratori provenienti dall’Africa. Ai tempi a gestire la struttura era la Lampedusa Accoglienza, una cooperativa controllata dal Consorzio Sisifo che ha dovuto fare le valige dopo la diffusione da parte del Tg2, a dicembre 2013, del video choc dei migranti disinfettati con l’idrante all’interno della struttura.
Poi è arrivata Mare Nostrum e gli immigrati, recuperati dalla nostra Marina militare a poche miglia dalle coste della Libia, venivano trasbordati direttamente in Sicilia o in Calabria, così il centro di contrada Imbracola è rimasto praticamente quasi sempre chiuso, eccezion fatta per qualche piccolo sporadico sbarco.
Ora, passate le celebrazioni per la strage del 3 ottobre 2013 e tornati a casa i superstiti di quel terribile naufragio, a Lampedusa si torna a fare sul serio e il centro, dopo un mese di lavori di ristrutturazione, è pronto a riaprire i battenti sotto una nuova gestione: quella della Confederazione nazionale delle Misericordie che si è aggiudicata l’appalto in seguito a una procedura negoziata della Prefettura di Agrigento.
A dirigerlo c’è Lorenzo Montana che annuncia l’apertura ufficiale entro fine mese: “Ma già da ora siamo in condizione di accogliere perchè abbiamo dei moduli operativi”.
In attesa dei primi ospiti, il nuovo direttore si deve però difendere da una parentela ingombrante: sua figlia è sposata con Alessandro Alfano, fratello del ministro dell’Interno Angelino: “Non sono stato scelto dal capo del Viminale, ma dalla Confederazione Misericordie per le mie qualità personali, umane, professionali e intellettive. E anche perchè sono un lampedusano doc”. E il ministro? “A lui che interessa? Io ho rapporti con con il prefetto Morcone e col mio prefetto che è il dottor Diomede”.
Il primo è Mario Morcone, da giugno capo del dipartimento Immigrazione del Viminale, il secondo, Nicola Diomede, dirige invece la Prefettura di Agrigento, persone a stretto contatto con il fratello del genero di Montana.
Ma lui tiene botta: “Sono idoneo a dirigere in questo lembo di terra, che è l’ultimo d’Europa, una struttura così importante come il Cpsa”
Lorenzo Galeazzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 4th, 2014 Riccardo Fucile
L’IDEATORE E’ L’EX PATRON DELL’INTER, ERNESTO PELLEGRINI, CHE L’HA REALIZZATO IN MEMORIA DI UN CLOCHARD… DISTRIBUIRA’ 500 PASTI AL GIORNO
A dare l’indirizzo di via Gonin 52 ai particolari clienti saranno parrocchie, associazioni di volontariato e centri di ascolto: selezioneranno, così, le 500 persone che, ogni giorno, potranno pranzare a 1 euro.
Genitori separati, disoccupati in difficoltà , parenti di malati che devono restare a Milano per parecchi giorni, sopportando alte spese: il ristorante Ruben è nato per tutti loro grazie a Ernesto Pellegrini, l’ex presidente dell’Inter che ha voluto così ricordare Ruben, amato personaggio dell’infanzia di Pellegrini, tragicamente scomparso nel rogo del suo giaciglio.
Il taglio del nastro c’è stato venerdì, con il sindaco di Milano Giuliano Pisapia.
“Nasce in ricordo di una persona in difficoltà morta di stenti in una baracca alla periferia di Milano 50 anni fa ed Ernesto Pellegrini ha voluto farne un simbolo di speranza e di umanità – ha detto il primo cittadino -. Oggi questo ristorante, questa iniziativa solidale, vuole essere un omaggio a quella persona e insieme un gesto concreto affinchè nessuno possa sentirsi abbandonato in una città che è e sarà sempre attenta ai bisogni di chi è in difficoltà “.“
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Ottobre 4th, 2014 Riccardo Fucile
LA RUBINETTERIA CERCA TORNITORI
«AAA operai meccanici specializzati cercansi»: l’appello arriva da Boca, dalla IVR, un’azienda specializzata
nella produzione di rubinetteria di alta gamma, con 80 dipendenti e un mercato in forte espansione.
L’impresa esporta in oltre sessanta Paesi del mondo (erano solo ventuno nel 2002), vanta trenta certificazioni ed è considerata fra le aziende leader del comparto.
Adesso intende ampliare le linee produttive e quindi l’organico: ha bisogno di operai specializzati ma non ne trova, a dispetto della crisi e della disoccupazione dilagante.
«In passato – dice Graziano Giacomini, amministratore delegato e responsabile delle attività internazionali IVR – non passava un giorno senza che in azienda arrivasse un nuovo curriculum. Ultimamente ciò non accade più, non riceviamo più candidature via e-mail ed è diventato difficile trovare personale qualificato anche attraverso i normali canali di ricerca di personale».
Un fenomeno singolare se si pensa alla mancanza di lavoro che c’è in questo momento in Italia e nel Novarese in particolare: «Forse la spiegazione sta nel pessimismo dilagante – prosegue il manager Graziano Giacomini – che finisce per sfiduciare le persone a tal punto da immobilizzarle e far pensare loro che anche l’invio di un curriculum sia un gesto inutile, perchè tanto le aziende sono in crisi. Si finisce per perdere delle opportunità . Nel nostro caso, pur nella difficoltà degli ultimi anni, siamo riusciti a crescere e abbiamo buone prospettive».
L’azienda di Boca, come aggiunge Giacomini, è alla ricerca di figure professionali specifiche come i tornitori: «Speriamo di ricevere presto nuove candidature, perchè in questo periodo in particolare stiamo cercando operai meccanici specializzati e, considerato il trend di crescita e i nostri progetti di ulteriore sviluppo, le assunzioni continueranno anche nei prossimi anni. Al momento la nostra ricerca è tarata su cinque-sei unità , ma non escludiamo presto di avere anche ulteriori necessità di reclutamento».
Marcello Giordani
(da “La Stampa”)
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Ottobre 4th, 2014 Riccardo Fucile
IL 4 OTTOBRE DEL 1964 IL BATTESIMO DELL’A1 DOPO 8 ANNI DI LAVORO… FU TRA I SIMBOLI DELL’INGEGNO E DEL BOOM ECONOMICO
“Nord e sud si danno la mano” titolò il notiziario Incom per l’inaugurazione.
Aldo Moro, tagliando il nastro in diretta tv da presidente del Consiglio, la definì «il segno della vitalità del popolo italiano e della sua capacità e volontà di lavorare, di svilupparsi, di progredire».
Cinquanta anni fa l’Autostrada del Sole fu tra i simboli dell’ingegno italico e del boom economico nostrano.
Era il 4 ottobre 1964, festa di S.Francesco patrono d’Italia (data scelta non a caso), quando, completato l’ultimo tratto Orvieto-Chiusi, fu tenuta a battesimo dopo soli 8 anni di lavori.
Oggi il `compleanno’ dell’Autosole è stato celebrato in un luogo simbolo di quella impresa, dove sorge la ancora oggi avveniristica chiesa progettata da Giovanni Michelucci, nella piana a nord di Firenze.
Non era la prima autostrada italiana – l’aveva preceduta di 40 anni la Milano laghi -, ma fu quella che fece l’unione stradale: `accorcio’` di fatto il Paese, rendendo possibile andare da Milano a Napoli in otto ore in tempi in cui di giorni ne occorrevano due.
E fece sognare di abbattere anche le barriere culturali ed economiche.
Di certo con la tv e la Seicento cambio’ le abitudini degli italiani e segnò la modernizzazione dello Stivale.
Con l’Autosole l’Italia che allora vedeva nell’automobile un simbolo di libertà e benessere, scoprì anche il gusto delle gite agli autogrill, si ruppe l’isolamento di borghi nascosti, la ferrovia perse il suo primato nei trasporti.
L’impresa, costo complessivo 272 miliardi di lire, fu notevole: 755 km a unire sei regioni, 400 tra ponti e viadotti, 38 gallerie, tanto per dare qualche numero.
Ma pure 74 morti tra gli operai che la realizzarono in anticipo di tre mesi rispetto alla consegna prevista: a loro è dedicata la chiesa dell’autostrada disegnata da Michelucci con la copertura a tenda, per accogliere gli automobilisti-viandanti.
L’inizio dei lavori data 19 maggio 1956, a S.Donato Milanese, con Giovanni Gronchi, allora capo dello Stato, che pone la pergamena commemorativa nel cippo di inizio dell’autostrada.
Il progetto di base, firmato da Aimone Jelmoni che seguì poi quello definitivo, era stato regalato allo Stato dalla Sisi, società partecipata da Eni, Fiat, Pirelli e Italcementi, tutte aziende interessate allo sviluppo di motorizzazione e costruzioni. L’Iri, incaricata dal Governo, ne affida la costruzione alla sua neonata Società autostrade: a guidarla l’ingegner Felice Cova che andò anche negli Usa a vedere come facevano le autostrade e divise in più lotti, con varie imprese impegnate, la realizzazione in modo da marciare spediti.
Il percorso più ardito fu realizzato sull’Appennino tra l’Emilia e la Toscana, il tratto che più di tutti mostra gli anni dell’Autosole e che attende da tempo la Variante di valico.
L’infrastruttura in costruzione copre 59 km tra Sasso Marconi e Barberino del Mugello, 32 dei quali su un nuovo tracciato, con 41 nuove gallerie e realizzato a una quota più bassa (490 metri la nuova quota di valico contro i 716 della vecchia autostrada), oltre la metà in tunnel.
I lavori sono iniziati nel 2004, l’apertura è prevista per l’anno prossimo, 4 miliardi di euro l’investimento complessivo.
(da “La Stampa”)
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Ottobre 4th, 2014 Riccardo Fucile
E’ UNA STUDENTESSA UNIVERSITARIA DI 25 ANNI LA LANCIATRICE SOLITARIA DI UOVA CONTRO RENZI… LA DIGOS HA TROVATO LA PROVA: AVEVA UNA CONFEZIONE DA QUATTRO E NE MANCAVANO TRE… INDAGINI IN CORSO PER STABILIRE SE ERANO BIOLOGICHE O DI ALLEVAMENTO: I RESTI DI TUORLO INVIATI AI RIS… ALFANO SI E’ CONGRATULATO CON IL QUESTORE?… I GRILLINI COME IL MSI DEGLI ANNI 70: NON ERA ISCRITTA E NON LA CONOSCONO
E’ stata identificata dalla Digos dopo una brillante indagine la lanciatrice solitaria di uova all’indirizzo del
premier Matteo Renzi all’inizio della maxi-intervista sul palco della festa di Internazionale in piazza Municipale a Ferrara.
Si tratta di A.C., 25 anni, nata a Palermo ma residente a Gela, studentessa universitaria nella città estense, che dovrà rispondere di “lancio pericoloso di cose” (un reato originale, pari a chi butta un mozzicone di sigarette dal balcone o chi allo stadio lancia l’ombrello in aria in segno di giubilo).
Tra le prove “decisive” raccolte dalla polizia, una confezione da quattro uova da cui ne mancavano ben tre.
Il lancio di uova al rais Matteo Renzi (mancato e che ha colpito i piedi del giornalista del Financial Times Ferdinando Giuliano) è stato un gesto isolato, di cui una ragazza di 25 anni, siciliana a Ferrara per studiare all’Università , si è assunta la assoluta responsabilità .
Indagini sono forse ancora in corso per stabilire se la ragazza avesse complici nel suo atto terroristico (i fornitori e i produttori di uova erano a conoscenza dell’uso che ne sarebbe stato fatto?) e se fossero di produzione biologica o industriale.
Sicuramente il ministro degli Interni Alfano avrà immediatamente telefonato al Questore di Ferrara per congratularsi di avere subito assicurato alla giustizia la pericolosa terrorista.
Da segnalare la coraggiosa “dissociazione” degli attivisti Cinquestelle e di Rifondazione che hanno ribadito la loro totale estraneità al’attentato: “Non solo non siamo stati noi a lanciare le uova, ma ci dissociamo totalmente da questo tipo di iniziative”.
Loro le frittate sono abituati a farle diversamente.
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Ottobre 4th, 2014 Riccardo Fucile
UNA ASSOCIAZIONE CREATA AD HOC, BONIFICI CHE HANNO UN DESTINATARIO POCO CHIARO E POCA TRASPARENZA SUI CONTI
“L’elenco delle spese sostenute sarà aggiornato periodicamente”.
Quella promessa, scritta a chiare lettere sul blog di Beppe Grillo, non è mai stata mantenuta. Era lo scorso giugno, e il Movimento 5 stelle raccolse – così si leggeva sul blog – 436mila euro.
La voce “spese sostenute” si aggiorna giorno dopo giorno con lo scorrere delle date.
A rimanere immutato è il contatore, fisso ancora a quota “0,00”.
La trasparenza, da quelle parti, sembra essere passata di moda.
Perchè parlarne oggi? Perchè una piccola nota in calce al fund raising lanciato per Italia 5 stelle, la manifestazione che si terrà al Circo Massimo dal 10 al 12 ottobre prossimo, recita così: “Il residuo dei fondi raccolti per la campagna delle elezioni europee 2014 è stato interamente devoluto per finanziare l’evento Italia5Stelle”.
Una postilla che fa scaturire due questioni non di poco conto.
La prima è che quando Beppe Grillo chiese soldi per portare avanti la campagna elettorale europea, promise (anche qui nero su bianco): “Ogni spesa sarà rendicontata e gli iscritti al MoVimento decideranno come destinare l’eventuale residuo”.
Peccato che gli attivisti non abbiano toccato palla, e che la decisione di come impiegare quei soldi sia stata presa unilateralmente tra Milano e Genova.
La seconda è che sull’ammontare del tesoretto da destinare alla kermesse romana vige il silenzio più totale.
Nessuno tra i parlamentari sembra essere a conoscenza delle cifre, e se qualcuno ha in mano i dati tiene la bocca cucita.
Brancolando nel buio, si può provare a fare una stima a spanne.
Dei 774mila euro raccolti per le politiche del 2013, ne furono spesi meno della metà , 348mila.
Supponendo che per una campagna elettorale sul territorio nazionale dalle analoghe modalità di svolgimento si sia arrivati a spendere la stessa cifra, nelle casse del M5s dovrebbero essere rimasti circa 100mila euro.
Soldi che si vanno a sommare ai 150mila raccolti fino ad oggi per Italia 5 stelle, e che dovrebbero costituire un patrimonio di un quarto di milione di euro.
Qualcuno a Roma già si chiede che fine faranno quei soldi, considerando che l’affitto della location è risibile (10mila euro): “Non vorrei che, una volta pagate bollette e fornitori, finissero per pagare cene e alberghi per i soliti noti”, sibila velenoso un parlamentare.
A prescindere dalla destinazione, la nebbia che circonda la gestione dei soldi in un partito che si professava custode della trasparenza e dell’open data è quantomeno discutibile.
Nessuna informazione nemmeno sul fantomatico “Comitato Promotore Incontro Nazionale con i Portavoce del M5S”, l’organo al quale effettuare i bonifici per Italia 5 stelle.
In parole povere: non c’è nessuna spiegazione (a differenza di quanto successo per le elezioni europee) di chi riceva e gestisca formalmente i soldi, volendo andare più a fondo di un generico “il blog di Grillo”.
Così come molto lontano da un processo minimo di trasparenza è il processo che regola la macchina organizzativa dell’evento.
È noto – ma solo tramite i mezzi di informazione e senza nessuna conferma ufficiale – che sia Mario Bucchich, socio fondatore della Casaleggio Associati, la mente pensante dietro l’iniziativa.
Qui il flusso di informazioni si arresta del tutto.
Chi è che ha richiesto formalmente il Circo Massimo?
Chi è concretamente a sborsare i soldi per la gestione dell’evento e a stipulare la fidejussione bancaria necessaria per il via libera?
Qual è la figura giuridica che si incarica in solido il pagamento di eventuali danni?
La risposta, in questo caso, non può coincidere genericamente con “il Movimento 5 stelle”.
Verrebbe naturale pensare al già menzionato “Comitato Promotore Incontro Nazionale con i Portavoce del M5S”.
Ma dal comune di Roma fanno sapere che “noi non abbiamo mai parlato con nessun comitato, ma sempre e solo con l’onorevole Roberta Lombardi tramite la Camera dei deputati”.
Che sulle questioni organizzative del M5s a Roma (sin dal primo V-Day capitolino) ci metta la testa l’ex capogruppo non è un mistero.
Ma, spiegano ancora dal Campidoglio, “a noi non risulta altro referente che l’onorevole Lombardi, che non ha mai parlato per conto di Comitati promotori”. Difficile pensare che Lombardi gestisca e si intesti la responsabilità di raccolta fondi, spese, fidejussioni bancarie e responsabilità per eventuali danni.
Ma c’è un’altra stranezza.
Nel form che i volontari a 5 stelle hanno dovuto compilare per dare il proprio contributo all’evento (diversi gli esempi reperibili in rete sui Meetup, come qui e qui), c’era una piccola postilla: “L’adesione a questo evento comporterà l’iscrizione temporanea e a titolo gratuito a un’associazione no-profit di volontariato denominata Grandi Eventi”.
Punto, nessun’altra specifica in calce.
Dunque, formalmente, l’intero apparato di Italia 5 stelle verrà gestito sul campo non da attivisti del Movimento, ma dagli associati di Grandi Eventi.
La comunicazione della propria partecipazione era possibile solo fino alle 24.00 del 26 settembre.
Qualche giorno dopo, nella casella di posta elettronica dei volontari è arrivata una mail. Dopo le indicazioni tecniche sul lavoro, si leggeva: “Alleghiamo inoltre per presa visione, copia dello Statuto dell’Associazione no profit Grandi Eventi”. L’indirizzo del mittente è grandieventi@roma5stelle.org, casella ufficialmente utilizzata anche dal blog per comunicazioni riguardanti il Circo Massimo.
Lo Statuto, di cui Huffpost è in grado di produrne copia, singolarmente non fa mai menzione nè del Movimento 5 stelle, nè dell’evento in questione.
Tra le finalità si leggono i seguenti tre punti:
Promuovere iniziative finalizzate allo sviluppo del territorio, attraverso l’organizzazione di manifestazioni ed eventi;
promuovere la partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica del territorio;
svolgere ogni altra attività , non compresa nei punti che precedono, ritenuta necessaria o utile al raggiungimento dei propri fini.
Tralasciando la questione delle “quote obbligatorie” da versare annualmente, comunicate ex post agli associati ma alle quali i responsabili possono non dare seguito concreto, si nota come l’unico punto di contatto con il M5s sia Roberta Lombardi.
I verbali di costituzione di Grandi Eventi, datati 3 settembre, sono allegati allo Statuto.
Da essi si ricava che oltre a Lombardi (vicepresidente), gli altre tre soci fondatori sono Giovanni Schirra, presidente, Raffaele Fanelli, tesoriere e Katharina Henriette Hembus, segretaria.
Tutti e tre attivisti vicini all’ex capogruppo a Montecitorio.
Ricapitolando: negli atti ufficiali il Comitato promotore non viene mai menzionato, Roberta Lombardi risulta l’unico tramite e la responsabilità effettiva del Circo Massimo sarà a carico di attivisti associati nell’atto di offerta del proprio lavoro volontario a un’associazione la cui ragione sociale gli è stata comunicata a posteriori.
Associazione che, in linea teorica, potrebbe gestire parte dei fondi (di cui non è chiara la consistenza) raccolti dal misterioso Comitato promotore, elargite o come “donazioni di liberalità ” o, recita lo Statuto, “dagli eventuali proventi delle attività indicate all’art. 2.2”.
Cosa si dice? Semplice, che Grandi Eventi può “utilizzare qualsiasi strumento ritenuto opportuno ed in particolare stipulare ogni opportuno atto o contratto, anche per il finanziamento delle operazioni deliberate e per la sponsorizzazione e convenzioni di qualsiasi genere”.
Come tutto ciò abbia a che fare con la raccolta fondi e la gestione amministrativa di Italia 5 stelle non è dato saperlo.
La trasparenza, si diceva.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 4th, 2014 Riccardo Fucile
SILVIO PREPARA UN NUOVO PREDELLINO: “SONO STUFO, ORA CAMBIO TUTTO”
Il colpo di scena è dietro l’angolo. ![](http://s23.postimg.org/nu8fxnawb/forza_heidi.jpg)
Portare Forza Italia al fallimento tecnico, chiudere i battenti di un’«azienda» sul lastrico e in calo vertiginoso di appeal elettorale.
Quindici milioni di deficit e 88 milioni di debiti, dipendenti senza stipendio da settembre, fundraising risoltosi in un flop.
Ma soprattutto, un partito che si è rivelato un concentrato di ruggini e veleni, con guerra intestina in corso tra gruppi di potere pronti a spartirsi l’eredità dell’anziano leader.
Più che una tentazione, quella di Silvio Berlusconi appare una decisione ormai presa, sulla scia dello scoramento, anzi della rabbia accumulata in queste settimane.
Del progetto sono al corrente solo pochissimi della cerchia ristretta.
Gli unici dei quali l’ex Cavaliere ritiene di potersi ancora fidare.
«Ammettiamolo, Forza Italia per come è rinata quasi un anno fa si è rivelata un fallimento, non ne voglio più sentire parlare » è lo sfogo nel day after dello scontro con Fitto, trascorso tra la mattinata al centro anziani di Cesano Boscone e la consueta visita del venerdì a Milanello.
L’ex premier non ha intenzione di rifondare, ma di azzerare un contenitore del quale non è più innamorato.
Qualcosa in più della rottamazione con avvicendamento vecchi/giovani.
Le tappe del piano sono già segnate. Non un solo euro sarà intanto investito in quel che resta del partito, sede via via più ridotta negli spazi di San Lorenzo in Lucina, il centinaio di dipendenti lasciati al loro destino.
Del resto, «è colpa dei signori parlamentari i quali – è l’accusa che il leader si appresta a scaricare – si sono rifiutati in massa di versare un misero contributo in questi anni».
Il futuro si chiama già “Forza Silvio”.
I club omonimi – seimila sulla carta – sono stati già trasformati in altrettante sedi di partito, il loro responsabile Marcello Fiori sarà nominato a breve coordinatore.
I cento giovani under 35 selezionati negli ultimi mesi saranno presentati in un evento pubblico a Villa Gernetto entro il mese.
L’orizzonte sono le regionali 2015, per schierare già in quell’occasione il nuovo brand, testarlo offrendo appunto volti freschi e sconosciuti.
E poi c’è appunto l’aspetto finanziario, i creditori che bussano alla porta, il fondatore intenzionato solo a recuperare gli 80 milioni di fideiussione dall’«azienda» decotta.
Di tutto il resto, perfino dello scontro interno con Fitto, il leader non vuole saperne. «Non ho nemmeno gli strumenti per mettere fuori chi come quello combina guai, mi crea solo danni, punta a farmi fuori», è la constatazione amara alla quale è giunto dopo che Verdini e altri gli hanno confermato, statuto alla mano, come non ci sia un solo articolo che gli consenta di mettere fuori gli oppositori.
Proprio l’eurodeputato, al quale l’ex Cavaliere aveva intimato di non remare più contro andando sempre in tv, ieri sera era già al Tg1 e non sembra intenzionato a mollare il video.
«Il dibattito ha fatto passi avanti, siamo all’opposizione – sottolineava ieri quasi sarcastico da Venezia – Io vecchio Dc? Nessuna intenzione di fare polemiche, continuerò a dare il mio contributo al partito nel quale intendo restare. Ricambio generazionale? È un tema di cui discutere, con coinvolgimento ampio dal basso». Ovvero con le primarie negate da Berlusconi.
Al suo fianco, Daniele Capezzone: «Resto anche io in Forza Italia ma non rinuncio alle mie idee liberali».
Il richiamo all’ordine dall’ house organ “il Mattinale” tuttavia è perentorio: sbagliato attaccare Berlusconi nel momento in cui è privato dell’agibilità politica.
A fine giornata, il consigliere Giovanni Toti getta acqua sul fuoco fino a sostenere che tra il leader e Fitto ci sia stato solo «un dibattito a suo modo costruttivo».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 4th, 2014 Riccardo Fucile
MAZZACURATI: “HO CONSEGNATO 400.000 EURO IN DUE TRANCHE, VIAGGIAVO CON I SOLDI IN PACCHETTI”
«Ho dato soldi ad Altero Matteoli. Contanti. Nell’ordine di 300-400mila euro. Glieli ho consegnati personalmente, anche al ministero a Roma. Non avevamo testimoni». Dalle nebbie di una mente ormai affaticata, quella dell’82enne Giovanni Mazzacurati, il gran burattinaio del Consorzio Venezia Nuova e testimone chiave dell’inchiesta sulle tangenti del Mose, esce l’ultima conferma.
Il sistema da lui creato non era “affare” solo dei veneziani.
Aveva sponde robuste a Roma. Milanese e Spaziante, che sono ancora in carcere in custodia cautelare. E Matteoli
L’interrogatorio cui Mazzacurati è stato sottoposto per rogatoria in California il 17 settembre scorso, nell’ufficio del procuratore generale di San Diego, sarà anche il suo ultimo.
Durante le tre ore di conversazione ha confuso date e ha perso di lucidità in più occasioni.
Ma le 45 pagine del suo verbale sono considerate «attendibili », parole di un uomo «ancora capace di intendere ».
Dunque, punto fermo dell’istruttoria condotta dal Tribunale dei ministri, che ha convinto i magistrati a scrivere, nelle loro conclusioni: «È dimostrato l’asservimento di Matteoli alle politiche del Consorzio Venezia Nuova, nella veste di ministro dell’Ambiente e di ministro delle Infrastrutture».
Dieci faldoni di atti sono stati inviati ieri alla presidenza del Senato: l’aula dovrà decidere se autorizzare la procura di Venezia a procedere nelle indagini oppure no
IL “PACCHETTO” AL MINISTERO
«Da quel che ricordo – risponde Mazzacurati davanti a due assistenti del procuratore di San Diego e a un agente speciale della homeland security degli Stati Uniti – mi sembra di averlo fatto (portare soldi, ndr) due volte, una volta al ministero a Roma e un’altra volta… in qualche posto, insomma».
Gli chiedono come fossero pattuite le cifre. «Si stabiliva prima».
E i soldi in contanti come erano trasportati nell’ufficio del ministero? «Me li han dati quelli del Consorzio. Non era un grande pacco. È un pacchetto, ci sta in tasca… diciamo che in un pacchettino 100mila euro… Cosa avrebbe fatto il ministro con quei soldi non me l’ha detto… o campagna elettorale oppure necessità »
Di quali necessità si tratti, non è chiaro.
«Ma sicuramente erano necessità elettorali – aggiunge – loro hanno dei centri in Toscana dove hanno delle persone che girano, che lavorano, che hanno bisogno di soldi».
I pm che hanno scoperchiato il sistema Mose, Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, sostengono che la prima presunta mazzetta a Matteoli sia stata consegnata nel 2003, quando era ministro dell’Ambiente.
A Mazzacurati interessava che il maxi appalto per le bonifiche di Marghera fosse affidato direttamente alla Mantovani di Baita
L’AFFARE MARGHERA
«Sì, certo che conosco Erasmo Cinque», dice Mazzacurati. «Pacchettini anche per lui? Forse sì, ma non lo so».
L’imprenditore Cinque, della Socostramo, per Matteoli non è uno qualunque.
È più di un amico, è l’uomo con cui ha condiviso la lunga militanza nella destra di Alleanza Nazionale.
L’allora ministro dell’Ambiente si spende – secondo gli atti di indagine – per fargli ottenere una parte nel maxi appalto milionario delle bonifiche di Porto Marghera.
La sua Socostramo entra in un Ati con la Mantovani di Baita. Ufficialmente figurano al 50 per cento, ma con una scrittura privata stabiliscono che l’azienda di Cinque avrebbe ricevuto un 6-7 per cento della commessa», senza muovere una benna. «Cinque apparentemente faceva il lavoro – mette a verbale Mazzacurati – però lui mezzi non ne portava… era una cosa un po’ fittizia… era un peso morto ‘sta Socostramo, un peso morto»
LA MAZZETTA A CASA DI MATTEOLI
€C’è un secondo presunto episodio corruttivo che l’ex patron del Mose ricompone sommariamente ai magistrati.
Risale ai tempi in cui Matteoli occupava la poltrona di ministro delle Infrastrutture e Mazzacurati sostiene di averlo incontrato nella sua casa in Toscana.
«Sono andato io a trovarlo, in provincia di Lucca. Quante volte? Ah non lo so… un paio di volte. Lo scopo della visita era sollecitare i pagamenti, era sempre l’urgenza di avere i fondi (per il Consorzio, ndr)».
I pm sospettano che ci sia stato, in un caso, il passaggio di una mazzetta a Matteoli.
E in cambio del finanziamento della campagna elettorale, gli chiedono nell’interrogatorio, cosa avrebbe ottenuto?
La memoria di Mazzacurati, a questo punto, si accende: «Che venissero accelerati i tempi di finanziamento delle varie tranche del lavoro».
Cioè una scorciatoia, per avere alla svelta i soldi pubblici che il governo pompava nel suo Consorzio Venezia Nuova.
Fabio Tonacci
(da “La Repubblica“)
argomento: Giustizia | Commenta »