Ottobre 15th, 2014 Riccardo Fucile
TASSE TAGLIATE SOLO PER CONFINDUSTRIA, IL RESTO E’ DEFICIT CHE PAGHERANNO LE FUTURE GENERAZIONI… RENZI SI FA BELLO TAGLIANDO LE RISORSE AGLI ENTI LOCALI CHE DOVRANNO AUMENTARE LE TASSE MUNICIPALI… SANITA’, SERVIZI, TRASPORTI, FONDI PENSIONI: SARANNO LACRIME E SANGUE… PREVISTE COPERTURE INESISTENTI
Vediamo nel dettaglio le voci della Legge di (in)stabilità presentata tra squilli di tromboni poco fa dal premier Renzi.
L’ammontare è di 36 miliardi, si dovrebbero (in teoria) compensare entrate e uscite.
Vediamo come vuole spenderli
Renzi parla di un taglio storico delle tasse di 18 miliardi, prima balla. In realtà si tratta di 9,5 miliardi per mantenere la marchetta elettorale degli 80 euro per un altro anno che è di fatto un bonus e non una riduzione delle tasse.
L’unica riduzione fiscale vera è quella dell’Irap a favore delle imprese pari a 5 miliardi con una sorpresa.
Nelle grandi aziende che impiegano molti lavoratori e hanno un business “labour intensive” si andrà a risparmiare il 65% dell’imposta.
Per le piccole il vantaggio scenderebbe sotto il 10% di risparmio.
Giudicate voi a chi ha fatto un favore il governo…
La spesa prevista per aiutare le imprese ad assumere a tempo indeterminato viene calcolato pari a 1,9 miliardi.
Non servirà a nulla perchè nessuna azienda assume in modo fisso se l’economia è ferma.
Se un’azienda non vende, non produce e non assume, come ha ricordato Squinzi nel pomeriggio.
Quindi dal governo pura demagogia .
Poi abbiamo partite di giro e misure precedenti (3 miliardi della clausola di salvaguardia, 6,9 mld di impegni di governi precedenti , 1,5 miliardi di ammortizzatori sociali, 1,2 miliardi di cofinanziamenti Ue).
Infine briciole per partite Iva sotto i 15.000 euro, scuola, ricerca, giustizia.
Veniamo a dove pensa di trovare le coperture![](http://s7.postimg.org/ya3phs3d7/slide.jpg)
Ben 11 miliardi Renzi li trova facendo deficit, i cui maggiori interessi saranno così pagati dalle future generazioni (portando il rapporto deficit-Pil da 2,2% a 2,9%).
Ben 15 miliardi li recupera tagliando le risorse a Stato, Regioni, Province e Comuni.
Ma la riduzione delle tasse che si farà a livello centrale si tradurrà in aumento delle tasse locali per i cittadini, ad opera di Regioni e Comuni.
Una partita di giro, anzi di raggiro, con aumento delle tasse locali e riduzione dei servizi sociali.
Poi ci sarebbero 3,8 mld. “fantasiosi” di “recupero dell’evasione fiscale”, tema su cui il governo non ha fatto nulla, per cui è umoristico prevedere una maggiore entrata del genere
Un maggior gettito erariale di 1 miliardo arriverebbe dalle sot machine diminuendo il payout, cioè quella quota di vincite che è riservata al giocatore. Cioè fregando il consumatore.
Cifra scontata sono invece i 2,4 miliardi derivanti dall’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie dal 20 al 26%.
Spunta pure una tassazione dei fondi pensioni a danno dei futuri pensionati.
Morale finale: la solita presa per il culo con aggravio del deficit, aumento delle tasse locali e favori ai grandi gruppi industriali, nulla per i ceti più poveri.
E’ la nuova sinistra che avanza.
Esultate in pace.
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Ottobre 15th, 2014 Riccardo Fucile
“CHI E’ CONTRARIO AL FISCAL COMPACT DOVREBBE CAPIRE PERCHE’ HO VOTATO LA NOTA AL DEF”… “NON ANDRO’ CON RENZI, RESTO COERENTE ALLE MIE IDEE”
Era il candidato dei Cinque stelle alla presidenza del Senato, una vita fa, quando il movimento aveva appena messo piede a Palazzo.
Adesso, Luis Orellana, senatore della componente (ex grillina) Italia lavori in corso nel gruppo misto, è diventato per i grillini un “infame”, una “sanguisuga”, un “verme”.
La sua colpa, aver “salvato” il governo, votando il sì determinante all’approvazione, in Senato, della nota di aggiornamento del Def riguardo lo spostamento del pareggio di bilancio al 2017.
E’ un po’ poco per darle dell’ “infame”?
“E’ il solito stile. Purtroppo nei Cinque stelle ci sono alcune mele marce, fomentate anche dall’atteggiamento di certi parlamentari – mi riferisco soprattutto ai deputati – che dovrebbero contenere gli eccessi, e invece gli aizzano”.
Facciamola breve: Alessandro Di Battista l’ha definita “verme”.
“Sì, lo so, ho guardato poco gli insulti, non è piacevole e sarebbero da querela. La verità è che la mia è una scelta politica. E, comunque, non ho più doveri di fedeltà verso un mondo che mi ha estromesso”.
Il movimento?
“Il partito, lo chiami partito perchè quello è. Un partito di due persone. Anzi, meglio. Una srl, una società , la Casaleggio e associati, che con il suo staff domina tutte le decisioni”.
L’ha pagata qualcuno per votare per Renzi, ieri al Senato?
“No, assolutamente. E non era un voto neanche così importante. Non era un voto di fiducia, non sarebbe caduto il governo”.
Di Stefano dice che lei è assetato di soldi.
“Di Stefano fa una cosa folle: dice che io prendo 500 euro di diaria dal Consiglio d’Europa, ma io non ci vado mai, sono solo un sostituto, sarò andato una volta. Lui invece è titolare e ci va spesso. Insomma accusa me per una cosa che riguarda lui”.
La dipingono come una specie di Scilipoti.
“Chi è contrario al Fiscal Compact, dovrebbe dare un giudizio positivo al fatto che si sposti al 2017 il pareggio di bilancio: o almeno, dovrebbe comprendere il senso della mia posizione”.
Il suo voto è stato però determinante per non fare andare sotto il governo.
“Non solo il mio. Anche quello di Calderoli, per esempio: e infatti nella Lega viene criticato per aver accettato di presiedere l’Aula, cosa che gli ha di fatto impedito di votare (per prassi, chi guida i lavori non vota anche se in teoria potrebbe, ndr). Ma mica gli danno del verme”.
Si vuol iscrivere al Pd, o almeno avvicinarsi a Renzi?
“No, no. La mia posizione è rimasta la stessa di quando ero nei Cinque stelle. Io dialogo, guardo al merito dei provvedimenti. Nel caso specifico, senza dietrologie, sono rimasto alle parole di Renzi. Lo spostamento al 2017 consente di sostenere il bonus da ottanta euro e il taglio dell’Irap. Punto e basta”.
Che giudizio dà del suo governo?
“Sta promettendo tanto e realizzando meno di quel che dice”.
Come li vede i Cinque stelle?
“In quanto opposizione a Renzi si sono sciolti come neve al sole: certo il premier fatica a trovare in loro degli avversari, cosa di cui invece ci sarebbe bisogno. Al senato il gruppo si sta sfaldando. Eravamo 54, ora sono arrivati a 39 e non è detto che l’emorragia si fermi. Possibile che l’abbiano fatto tutti per soldi? Io mi farei delle domande”.
Ce l’ha con loro perchè l’hanno cacciata?
“Che fa, il loro gioco? Mi hanno estromesso a gennaio, dopo che insieme ad altri tre avevo espresso delle perplessità — ripeto, perplessità — per il fatto che Grillo, incontrando Renzi, non l’avesse nemmeno fatto parlare. Un’espulsione ratificata da un voto online taroccato”.
Perchè dice taroccato, come fa a saperlo?
“Dico taroccato nel senso che nessuno lo può controllare. E’ fatto da Casaleggio, non da un ente terzo. Peraltro, fu preceduto da una mail arrivata a tutti, quindi anche a me, con allegato un video in cui Grillo spiegava perchè bisognava espellerci: non una parola sulla nostra posizione. Nessun bilanciamento. Nessuna possibilità di spiegare, di difenderci. Ma il senso del dibattito democratico non è proprio nelle corde di Grillo”.
L’ha seguita la tre giorni al Circo Massimo?
“Il Circo Massimo è stata una buona apoteosi di ciò su cui si regge il movimento: una mediaticità senza concretezza. La controprova la si è vista a Genova: non appena si mette in una zona non controllata, Grillo viene contestato. Giustamente, secondo me”.
Susanna Turco
(da “L’Espresso“)
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Ottobre 15th, 2014 Riccardo Fucile
CONFERMA L’ASSE CON FRANCESCA PASCALE E SUPERA LA PROPOSTA DEL GOVERNO SULLE UNIONI CIVILI: “SI’ AI MATRIMONI E ALLE ADOZIONI”
Francesca Pascale ha addirittura portato Vladimir Luxuria a cena a casa di Silvio. ![](http://s30.postimg.org/ty4mkgnr5/feltri.jpg)
Vittorio Feltri è però l’altra gamba su cui si muove la mutazione pro gay di Forza Italia, che tanto dispiacere dà alla parte più conservatrice del centrodestra.
Il direttore del Giornale, come Pascale, ha preso la tessera di Arcigay, prima dell’estate.
Il piano politico, l’aveva spiegato in un editoriale: «Un eccesso di conservatorismo, spesso fratello gemello del bigottismo, aiuta a congelare due voti, ma te ne fa perdere otto. Non è molto vantaggioso».
Aprire ai gay, dunque, conviene. Poi, immaginiamo, è anche giusto.
Soprattutto perchè Feltri, le prime aperture sul tema, le fece nel 2012, recensendo il libro “La vera storia dei miei capelli bianchi. Quarant’anni di vita e di diritti negati” scritto dall’ex deputata del Partito Democratico Anna Paola Concia.
Titolo in prima pagina: “Amore e fame valgono per tutti, anche per i gay”.
«Tutti teniamo a passare per evoluti», scriveva Feltri, «ma quando si tratta di parlare di omosessuali, bene che vada ricorriamo a logori luoghi comuni, banalità sconce da caserma, frasario da bar».
Certo pochi mesi dopo a Domenica In gli scappò di dire «io non giudico gli omosessuali. Basta che stiano ad un metro da me», ma la teoria c’è: «Nel linguaggio corrente», continuava nella recensione, «mancano perfino le definizioni appropriate: frocio, culattone, busone, orecchione, finocchio eccetera. Un vocabolario meschino, oltre che triviale, totalmente inadeguato a un discorso non dico serio, ma almeno sereno, per discutere di una questione vecchia come il mondo»
Ora che il governo prepara un decreto sulle unioni civili, Feltri si conferma conservatore ma a modo suo («sono favorevole alla dolce morte» ha anche detto, qualche mese fa, alla platea dei giovani meloniani, ad Atreju, parlando di eutanasia) e ospite de L’aria che tira, il programma di Myrta Merlino, su La7 ha messo agli atti la sua posizione definitiva, seppur con ironia: «Sono favorevole ai matrimoni gay, ormai non si sposa più nessuno, non vedo perchè negare a loro la possibilità di commettere gli errori che abbiamo fatto noi».
La finissero Gianni Alemanno e Roberto Formigoni, presenti in studio, dunque, di paventare un attacco alla famiglia («Ma quale attacco» dice Feltri, «se c’è un luogo di vipere è proprio la famiglia!») e riflettessero anche sull’ipotesi delle adozioni, non solo quelle del figlio del partner, che già Renzi vuole prevedere.
La spiegazione è semplice: «Credo che un bambino, piuttosto che stare in un orfanotrofio, vada volentieri con due mamme o due papà !».
Luca Sappino
(da “L’Espresso“)
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Ottobre 15th, 2014 Riccardo Fucile
EMERGE LA DIFFERENZA TRA REALISMO E OPPORTUNISMO… QUESTIONI DELICATE USATE COME REGOLAMENTO DI CONTI
Il contrasto non potrebbe essere più stridente.
Da una parte, un percorso lento, molto sofferto, pure duramente contrastato e lacerante, segnato da bruschi avanzamenti e da improvvise fermate, ma con una marcia rettilinea e comprensibile
Dall’altra, capovolgimenti di fronte repentini, uno zizzagare impazzito di opinioni, a pronto uso per l’ultima dichiarazione in televisione o sui giornali, nel segno della strumentalità più cinica.
In questi giorni, sulle questioni etiche più delicate, quelle in cui la coscienza di tanti cittadini si confronta con la concretezza di una vita che spesso non obbedisce più non solo alle norme, ma anche alle consuetudini, quelle sulla famiglia o sulle famiglie, sull’amore o sugli amori, sulla nascita e sulla morte, colpisce il confronto tra gli uomini della Chiesa e quelli del nostro Stato.
La relazione sulla prima parte del dibattito che si sta svolgendo al Sinodo documenta, con trasparente evidenza, non solo le importanti novità , persino con toni linguistici sorprendenti, di una Chiesa cattolica impegnata in un serio cammino di apertura anche agli aspetti più controversi della modernità , ma anche i turbamenti, le divisioni, le perplessità che tale riflessione suscita nella comunità dei vescovi e dei cardinali.
Pare proprio che siano state accolte pienamente le raccomandazioni di Papa Francesco all’apertura dei lavori, quelle di parlare con sincerità e senza troppe diplomazie verbali, ma, e soprattutto, quelle di ascoltare con animo privo di pregiudizi e disponibile al convincimento
Ecco perchè la discussione sembra vera e profonda, come quando non viene mai meno il rispetto per se stessi, sia fra coloro che rivendicano la coerenza di una vita pastorale spesa per difendere la dottrina da più comode e ambigue interpretazioni modernizzanti, sia fra quelli che si rendono conto di un distacco crescente e forse irrimediabile tra la coscienza di tanti cattolici e la rigidità di precetti che finiscono per negare il primo e fondamentale precetto, quello della comprensione e dell’accoglienza per ogni essere umano.
Così, il contrasto tra i cosiddetti conservatori e i cosiddetti progressisti al vertice della Chiesa non si maschera nell’ipocrisia, nè si confonde in una ambigua trasversalità di posizioni, ma permette di trovare una sintesi, se vogliamo pure un compromesso, che consenta comunque un avanzamento collettivo verso una realtà profondamente mutata e incoraggi un forte stimolo alla sua comprensione
Se guardiamo, invece, al «dibattito», chiamiamolo pure così, tra la nostra classe politica su questi temi etici, lo spettacolo è davvero desolante.
Amore, figli, famiglia, sentimenti che accompagnano tutta la vita dei cittadini, tra meravigliose consolazioni e squassanti dolori, vengono palleggiati, con superficiale disinvoltura e spietata ricerca della convenienza elettorale, per immediate esigenze di schieramento.
Questioni così delicate servono per regolamenti di conti nel centrodestra, tra un Berlusconi, fino a poco tempo fa, orgoglioso di un maschilismo esibito per vellicare gli istinti più conservatori del suo elettorato e, ora, accogliente padrone di casa di Luxuria e un Alfano che cerca di trasferire nel suo partito la parte più tradizionalista di quello schieramento, probabilmente sconcertata dall’influenza che la giovane fidanzata riesce ad avere nei confronti del leader di Forza Italia.
Ma anche a sinistra, le cautele di Renzi di fronte alle sollecitazioni che gli arrivano da molte parti del suo partito, ultime quelle del presidente dei democratici, Matteo Orfini, perchè acceleri il varo di una legge più aperta ai gay e alle adozioni di figli tra omosessuali, sono significative delle sue preoccupazioni di non ostacolare il travaso di simpatie che, dal centrodestra, si sta convogliando verso di lui e verso il suo governo.
L’atteggiamento della Chiesa e quello della nostra classe politica offre una dimostrazione da manuale della differenza tra realismo e opportunismo.
Sia l’una sia l’altra cercano il consenso, la prima quello dei fedeli, la seconda quello degli elettori.
Sia l’una sia l’altra rincorrono i mutamenti della realtà , degli umori, delle speranze dei cittadini.
Sia l’una sia l’altra tentano di modellare antichi precetti e vecchie concezioni del mondo alle attese di ascolti sempre più distratti e sfiduciati.
La Chiesa dimostra di farlo con dignità e sofferenza, tra lacerazioni di coscienze e faticosi ravvedimenti, ma con la confortante sicurezza di chi crede in un approdo provvidenziale. La politica brancola alla ricerca affannosa dell’ultimo sondaggio, perchè, oltre alle morte delle ideologie, ha perso anche la forza di un serio e moderno pensiero laico sull’esistenza.
Senza il quale, il credente è solo costretto a obbedire e il non credente trova impossibile capire il significato della propria vita.
Luigi La Spina
(da “La Stampa”)
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Ottobre 15th, 2014 Riccardo Fucile
AUMENTI AUTOMATICI DELL’IVA E DELLE ALTRE IMPOSTE INDIRETTE PER 12,4 MILIARDI NEL 2016, DI 17,8 NEL 2017 E DI 21,4 NEL 2018: ECCO COSA SI RISCHIA SE NON SARANNO RISPETTATI GLI OBIETTIVI
I piani originari, quelli firmati dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli, mettevano in conto per
l’anno prossimo ben 17,2 miliardi di risparmi legati alla revisione della spesa.
Poi sappiamo come è andata: Cottarelli è stato rispedito al Fondo monetario (ormai è questione di giorni..) e quasi tutti i suoi progetti sono rimasti nei cassetti.
Si tratta di ben oltre 20 studi che analizzano settore per settore tutta la spesa pubblica e suggeriscono come procedere e che continuano a restare di fatto segreti (con grande scorno di molti dei curatori).
Evidentemente si trattava di proposte politicamente difficili da sostenere e mettere in campo anche da parte del premier-rottamatore, per cui è stato azzerato (o congelato) tutto.
E così è nata la “favola”dei tagli semi-lineari, poi siamo passati alla richiesta di tagliare il 3% ai fondi di tutti i ministeri, e infine siamo approdati ad una sorta di “si farà quel che si può” ridimensionando notevolmente gli obiettivi sino ad un minino “sindacale” di 5 miliardi.
Che poi però sono saliti a 8, quindi a 10 ed ora ad almeno 13,3 miliardi.
Che sommati ad un po’ di tasse in più (sulle slot), ad una quota di recupero dell’evasione e a 11,5 miliardi di maggior deficit consentono al governo di mettere assieme quei 30 miliardi che permetteranno di tagliare l’Irap alle imprese, finanziare il jobs act e la conferma del bonus da 80 euro magari allargandolo un poco.
Lo scoglio della spending, su cui nelle settimane scorse si sono infrante molte speranze, però resta tutto.
L’esperienza di questi mesi insegna infatti che è particolarmente difficile ottenere in così poco tempo, ovvero nel 2015, un intervento di una portata così grande.
Il Def, iL Documento economico finanziario appena approvato dal Parlamento, è vero che sposta al 2017 il pareggio di bilancio, ma ha già al suo interno quello che potremmo chiamare una “poison pills”, una vera e propria pillola avvelenata.
I tecnici la chiamano “clausola di salvaguardia”, e negli ultimi anni non c’è manovra che non ne preveda una, tanto era certa la solidità dei piani che venivano varati.
In questo caso, ahinoi, si calca davvero la mano prevedendo aumenti automatici dell’Iva e delle altre imposte indirette per 12,4 miliardi di euro nel 2016, 17,8 nel 2017 e ben 21,4 nel 2018 nel caso non venissero rispettati gli obiettivi di medio termine.
C’à da augurarsi solo che i conti sia rispettati, altrimenti saranno veri dolori.
Paolo Baroni
(da “La Stampa”)
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Ottobre 15th, 2014 Riccardo Fucile
NEL 2013 ERA STATO CANDIDATO DI FORZA NUOVA ALLA CAMERA
Avrebbe abusato di una turista nel pronto soccorso dell’ospedale romano Fatebenefratelli, sull’Isola Tiberina.
Per questo un infermiere di 36 anni è stato arrestato dai carabinieri con l’accusa di violenza sessuale e si trova ora ai domiciliari.
In via cautelativa è stato anche sospeso stamani dal nosocomio che in una nota fa sapere di essere “in attesa dell’evolversi delle indagini e che qualora fosse accertata la sua colpevolezza verranno presi provvedimenti molto seri”.
Le indagini sono partite a luglio dopo la denuncia presentata da una straniera di 23 anni, finita in ospedale in stato di ebbrezza.
Stando al racconto, il 5 luglio scorso, l’uomo avrebbe immobilizzato la paziente legandole le braccia alla lettiga del pronto soccorso con un cavo dell’apparecchio per la misurazione della pressione e poi avrebbe iniziato a palparla nelle parti intime.
“Mi sono risvegliata e lui mi stava addosso” ha raccontato agli inquirenti.
Quando ha realizzato cosa le stesse accadendo, la ragazza ha chiesto aiuto inviando un sms ai familiari che erano nella sala d’attesa del pronto soccorso.
Al loro arrivo l’infermiere si era però dileguato nel nulla.
Ad incastrarlo sono state alcune testimonianze e il riconoscimento da parte della vittima.
L’uomo, simpatizzante di estrema destra e candidato alla Camera nel 2013 per Forza
Nuova, era stato già denunciato nel 2009 per un episodio analogo, che si è sempre verificato in orario notturno nell’ospedale, e per il quale è stato rinviato a giudizio.
I vertici dell’ospedale Fatebenfratelli “prendono le distanze da questi fatti” di cui “siamo venuti a conoscenza solo oggi” spiegano.
Qualcuno li informi di quanto è avvenuto nel 2009: incredibile.
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Ottobre 15th, 2014 Riccardo Fucile
LA RABBIA DELLA MADRE DOPO LA CONFERMA DELLE VIOLENZE SESSUALI SUBITE DALLA FIGLIA… LA BIMBA DI 6 ANNI MORTA A GIUGNO PER UN’APPARENTE CADUTA DAL BALCONE
“Voglio giustizia, e se non me la danno me la faccio da me”. È devastata dal dolore Domenica Giordano, per
gli amici e i familiari Mimma, mamma di Fortuna, la bambina di 6 anni volata giù dal balcone a Caivano, in provincia di Napoli, il 24 giugno scorso.
Alla conferma degli abusi sessuali subiti dalla figlia, non ce l’ha fatta e è esplosa in tutta la sua rabbia: “Preferisco andare in galera ma sapere che il mostro non può nuocere più”.
“Sono sola e dopo la folla dei funerali con la partecipazione apparente del quartiere, sono rimasta sola con la mia famiglia”.
Domenica ripete di volere giustizia o di essere pronta a farsela da sola: “Preferisco andare in prigione – aggiunge tra le lacrime la mamma di Fortuna – e mettere i miei due figli in collegio, ma saperli al sicuro, con il mostro in galera”.
“Le notizie sulla violenza a Fortuna per me restano tali fino a quando non avrò le carte. Tanto sono sicura che le hanno fatto violenza. Uccidendo lei hanno ucciso anche me e gli altri miei due figli”.
Mimma Giordano, affiancata da una sorella e da una zia, parla al sesto piano di uno dei cupi palazzoni del Parco Verde, un quartiere ad alta densità criminale, e dove sono state trasferite famiglie di terremotati del sisma del 1980, provenienti da diverse zone dell’entroterra napoletano.
Tra le mani ha una foto di Fortuna e fa notare la fortissima somiglianza della bambina con lei. “Vedete come è bella? L’hanno uccisa perchè era troppo bella”.
Già allora si era parlato di presunti abusi sessuali sulla piccola per una serie di elementi anomali come il mancato ritrovamento, sul corpo, della scarpina destra.
Oggi la conferma dell’autopsia: Fortuna Loffredo nei mesi precedenti la sua morte è stata vittima di un mostro. “Si tratta di un caso molto strano, nel quale tante cose non tornano. Chi sa, deve parlare. Davanti a Dio e agli uomini”, disse il parroco Maurizio Patriciello celebrando i funerali della bambina.
Altro elemento che alimentò l’attenzione degli investigatori fu il fatto che dallo stesso edificio, nel parco Verde di Caivano, era morto – apparentemente per una caduta accidentale – un bimbo di tre anni, Antonio Giglio, che Fortuna conosceva.
Il 24 giugno, giorno della sua morte, la piccola Fortuna era andata a giocare proprio a casa della sorellina del bimbo deceduto un anno prima.
Gli inquirenti della procura di Napoli Nord ed i carabinieri non hanno mai smesso di approfondire tutte le possibili piste. “Trovate il mostro che ha ucciso la mia Angela”, fu l’appello lanciato ad agosto dalla mamma di Fortuna, Domenica Guardato: “Tra queste case c’è chi ha visto, che sa cosa è successo al mio angelo.
Aiutatemi a sapere”.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 15th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO 18 VOTAZIONI LA CANDIDATURA DI VIOLANTE ALLA CONSULTA CONTINUA A ESSERE BOCCIATA: MA CI VUOLE COSI’ TANTO A CAPIRE CHE OCCORRE FARE UN PASSO INDIETRO?
Se uno studente universitario si presentasse per 18 volte al suo primo esame e per 18 volte venisse bocciato e invitato a ritentare nella sessione successiva, gli sorgerebbe il dubbio di avere sbagliato facoltà , o magari di non essere proprio portato per gli studi.
In ogni caso diventerebbe lo zimbello dell’ateneo e cambierebbe ramo, scegliendo magari una facoltà meno improba.
Se poi le cose dovessero continuare ad andare male, si dedicherebbe ad attività a lui più consone: l’agricoltura, la pastorizia, l’accattonaggio, il lavaggio dei parabrezza ai semafori, la carriera circense, cose così.
Non è questo il caso di Luciano Violante, che ieri ha stracciato il record — da lui stesso detenuto — di trombature come candidato a giudice della Consulta, passando dalla diciassettesima alla diciottesima senza fare un plissè.
Non lo sfiora il dubbio di non essere adatto a quel ruolo, o di non essere gradito ai due terzi dei parlamentari richiesti dalla Costituzione.
Dunque non ci pensa proprio a ritirarsi per godersi la meritata pensione (a 74 anni suonati, sarebbe anche ora).
Anzi insiste, imperterrito e imperturbabile. E insistono pure i suoi sponsor: i vertici del Pd e di Forza Italia, ma soprattutto Giorgio Napolitano.
O Violante o niente. Infatti, niente.
Viene in mente il film I complessi con Alberto Sordi alias Guglielmo Bertone detto Dentone che concorre per il posto di speaker del telegiornale e nessuno degli esaminatori osa spiegargli che, con quelle zanne, sarebbe meglio la radio.
Con la differenza che il Dentone è un fuoriclasse assoluto, mentre il noto participio presente è piuttosto scarsino.
Pare non abbia neppure i requisiti.
Art. 135 della Costituzione: “I giudici della Corte costituzionale sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo 20 anni d’esercizio”.
Ora, Violante non è un magistrato delle giurisdizioni superiori. Non ha esercitato la professione di avvocato per vent’anni. E non figura tra i professori ordinari di università in materie giuridiche: è stato, secondo il sito del ministero dell’Università , ordinario di Diritto penale presso l’Università di Camerino, ma solo fino al 2008, e ha pure tenuto dei corsi nel prestigioso ateneo di Aosta.
Ma la Costituzione specifica, per i magistrati delle giurisdizioni superiori, che quelli eleggibili possono essere scelti tra quelli “anche a riposo”, mentre nulla dice degli ordinari in materie giuridiche.
Diciamola tutta: la produzione giuridica di Violante è scarsina, per usare un eufemismo.
Si tratta di un politico di professione, che agli occhi della Casta è un merito strepitoso, ma purtroppo non per la Costituzione, che fa di tutto per tenere lontani dalla Consulta i partitocrati.
Perchè il Pd, che già è riuscito a eleggere al Csm l’ineleggibile Teresa Bene, accompagnata all’uscita appena entrata, tiene occupati da quattro mesi Camera e Senato per far passare un pluritrombato che non passerà mai e, anche se passasse, potrebbe essere rispedito al mittente? Perchè il Patto del Nazareno Renzi-B. prevede la spartizione di tutte le poltrone del Paese fra Pd e Forza Italia, dalle assemblee condominiali al Quirinale.
E Violante s’è battuto come un leone contro la decadenza di B. (ricordate il Lodo Violante per tirarla in lungo col ricorso a Strasburgo?) e contro la Procura di Palermo che osa indagare sulla trattativa Stato-mafia e s’è addirittura azzardata ad ascoltare la voce di Napolitano sul telefono di Mancino e ora vuole risentirla dal vivo.
Ergo il Caimano e Re Giorgio devono sdebitarsi.
Infatti FI ha già cambiato tre candidati — Catricalà , Indagato Bruno e Caramazza — ma Violante è sempre lì, fisso come il palo della banda dell’Ortica.
Ottenere i 2/3 e finirla con l’immonda pantomima è facilissimo: basta lanciare due giuristi indipendenti, che sarebbero votati anche dal M5S.
Ma non si può: al politico Violante deve appaiarsi un politico forzista.
E così lo sconcio delle fumate nere proseguirà sine die, corredato dai continui moniti del Colle contro le Camere che non si spicciano a eleggere chi dice lui.
Il bue che dà del cornuto all’asino.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 15th, 2014 Riccardo Fucile
PER LA DDA DI REGGIO CALABRIA IL VICESINDACO DI SAN FERDINANDO E IL CONSIGLIERE PANTANO SONO I RAPPRESENTANTI DEI CLAN
Formalmente sedevano agli estremi opposti del consiglio comunale di San Ferdinando, opposte erano le
pubbliche idee di gestione della comunità che portavano avanti, opposto l’elettorato di riferimento.
Ma in realtà il vicesindaco Santo Cieli e il consigliere comunale d’opposizione Giovanni Pantano, qualcosa in comune l’avevano anche prima che la contestuale contestazione del reato di associazione mafiosa spedisse entrambi dietro le sbarre.
Per i magistrati della Dda di Reggio Calabria che ne hanno chiesto e ottenuto l’arresto, tutti e due sono infatti i rappresentanti istituzionali degli ingombranti clan che soffocano San Ferdinando.
Se il vicesindaco Celi è l’uomo del clan Bellocco- Pantano, satellite sanferdinandese della storica cosca di Rosarno, è a Pantano che è toccato rappresentare gli interessi della costola dei Pesce.
Speculari nel rappresentare e tutelare interessi e affari dei clan costretti alla coabitazione nel minuto comune della Piana, speculari nell’appartenenza politica, su mandato delle ndrine Celi e Pantano sapevano all’occorrenza sperimentare un nuovo tipo di larghe intese, quelle criminali.
Quelle che — in barba a elezioni, preferenze, orientamenti — sempre e comunque vanno a discapito della comunità .
L’ASPIRANTE GRILLINO, GARANTE DEI CLAN
Per sconfessarlo si è scomodato addirittura Beppe Grillo, seguito a ruota dai parlamentari pentastellati calabresi e dagli attivisti di diversi meet up che hanno scritto, detto, urlato che mai è stato autorizzato a parlare a nome dei Cinque stelle, ma del Movimento a San Ferdinando, Pantano era considerato uno più autorevoli rappresentanti.
Agitatore di popolo, la sua notorietà era cresciuta quando — sull’onda della protesta per il trasbordo delle armi chimiche siriane nel porto di Gioia Tauro — aveva presentato le proprie dimissioni dal consiglio comunale, ma in quel civico consesso Pantano aveva curato interessi ben diversi da quelli dei cittadini.
Cognato di Antonio Pesce, “U Pecora”, personaggio di spicco dell’omonimo clana San Ferdinando, per gli inquirenti il consigliere comunale è l’uomo scelto dai clan come longa manus nell’amministrazione, quando il nuovo regime di concordia raggiuto fra le ‘ndrine impone un cambio nella ditta che gestisce la raccolta dei rifiuti urbani.
La Evergreen — sentenziano i clan — deve andare via per lasciar posto a qualcuno gradito ad entrambe le consorterie, in seguito individuato nella Radi di Palmi.
“In sostanza — afferma il pm Giulia Pantano che insieme al procuratore aggiunto Ottavio Sferlazza ha coordinato le indagini – Pantano Giovanni operava al posto dell’intera locale di San Ferdinando, che aveva voluto la sostituzione dell’azienda Evergreen in quell’appalto con altra azienda “mafiosa” e voleva “comprare” il silenzio degli operai attraverso una nuova assunzione alle dipendenze della ditta prescelta nella nuova aggiudicazione dell’appalto”.
Circostanze confermate dalle intercettazioni fra il sindaco Domenico Madafferi, finito ai domiciliari, e il suo vice Celi, cui il primo cittadino riferisce pedissequamente le manovre dettate da Pantano.
Una precauzione — dicono gli inquirenti — per assicurarsi di non inquietare la cosca avversaria di cui Celi è espressione, ma che non fa che confermare la nuova stagione di pace stabilita fra le due consorterie, dei cui interessi il consigliere comunale d’opposizione è latore.
Non a caso sarà lo stesso Celi, quando Madafferi gli riferisce del politicamente ingiustificabile protagonismo di Pantano nella gestione della vicenda delle municipalizzate, a rassicurarlo
“Meglio!.. Meglio Micuccio per tanti aspetti!… Questo è buono, è buono questo fatto”. Certo qualche preoccupazione per la maldestra manovra di sostituzione della Evergreen, il vicesindaco l’aveva se è vero che con il figlio si farà sfuggire “sai di cosa mi spavento? Che devo pagare io per gli altri”.
Ma così avevano disposto le ‘ndrine, disposte a convincere — con le buone o con le cattive — anche i tre operai che avevano assistito al danneggiamento a recedere da qualsiasi proposito di collaborazione con le autorità .
Il loro silenzio verrà comprato con l’assunzione presso la nuova ditta aggiudicataria dell’appalto per la discarica – curata da Pantano e seguita da vicino dal sindaco Madafferi — tuttavia quando verranno convocati dai carabinieri per riferire sull’incendio dell’autocompattatore, le loro contraddittorie dichiarazioni non faranno che confermare i sospetti degli investigatori.
“In realtà — sottolineano gli investigatori – Pantano Giovanni, Madafferi Domenico e Celi Santo accontentarono i due operai, per “chiudere loro la bocca”, in considerazione del fatto che gli atti intimidatori non avevano dato agli ndranghetisti la sicurezza di ottenere il silenzio sulla questione del riconoscimento degli autori del danneggiamento”.
ESTORSIONE STRADALE
Ma è probabilmente un altro episodio a restituire con precisione la caratura criminale del consigliere comunale Pantano.
È l’inverno del 2013, Pantano, alla guida della sua automobile su cui viaggiava anche il figlio, striscia la vettura di uno dei medici del paese, Pasquale Corigliano, in quel momento parcheggiata lungo la via.
Per il dottore sarà l’inizio di un incubo costellato di richieste estorsive da parte del consigliere di opposizione e del figlio, che nonostante avessero provocato l’incidente, “imbevuti di cultura mafiosa, sfruttano ogni circostanza per racimolare denaro con violenza e minaccia”.
Sarà lo stesso Corigliano, dopo averlo confidato al fratello Gregorio, a raccontarlo terrorizzato ai carabinieri cui confida “Mi disse che la mia autovettura era vecchia e la sua nuova e per questo motivo voleva avere ragione. Anzi posso dir che è stato molto insistente nel pretendere la ragione in merito al sinistro; voleva a tutti i costi dei soldi: infatti a causa di quelle insistenze del giovane nonostante io sentissi di avere piena ragione in merito ai fatti accaduti, sfinito da quell’insistente richiesta e a seguito dell’intervento successivo del padre di quel giovan, disi loro di recarsi da mio cugino che fa il carrozziere in località Spartimento e si chiama Gerace Domenico”.
Un atteggiamento che aveva terrorizzato Corigliano, cui Pantano si sarebbe spinto a chiedere un assegno in bianco al dottore che lui avrebbe provveduto a riempire con la cifra ritenuta più opportuna. Una richiesta che se possibile ha terrorizzato ancor di più il medico, corso a confidarsi con il fratello. Sarà proprio quest’ultimo — nonostante lo abbia spudoratamente negato di fronte agli investigatori- a contattare il sindaco Madafferi per una “mediazione”.
Per i pm, Gregorio Corigliano “conoscendo la caratura criminale dei Pantano e conscio dei rapporti del consigliere Giovanni Pantano con Madafferi Domenico, si rivolse a quet’ultimo per intercedere ed evitare o quanto meno contenere le pretese estorsive ai danni del fratello Pasquale”. Intervento andato a buon fine, ma che non fa che confermare l’inquietante quadro a carico degli amministratori di San Ferdinando, cui non sfugge il vicesindaco Santo Celi.
IL VICESINDACO CON LA PISTOLA
Al riguardo, emblematica risulta l’intercettazione fortuitamente captata dai carabinieri, quando il primo cittadino Madafferi porta la sua auto in officina.
È lì che le cimici dei Ros registrano due uomini affermare senza mezzi termini che Celi è un uomo sostenuto dai clan e che a loro deve la sua elezione.
“Ma tu oggi come oggi, che arriva uno che ha preso duecento voti, duecentocinquanta voti, come a Santino Celi che ha preso cinquecento voti, quell’altro ne ha presi centoquaranta, centocinquanta al Battaglini, ma quando cazzo mai ha avuto centoquaranta voti il Battaglini, o trecento voti Santino ma stiamo coglionando, avete gli occhi chiusi? Allora questi voti da dove ti sono arrivati eh? Che cazzo gli devi dare a “quelli” per prendere trecento voti”.
Parole pesanti, la cui rilevanza penale è stata ancorata da inquirenti e investigatori ad altri riscontri, ma che non fanno che dimostrare che per tutti la caratura criminale di Celi era cosa nota.
Del resto, si legge nel fermo è “Difficile persino la distinzione dagli altri affiliati, anche sotto il profilo comportamentale, nonostante l’importante carica pubblica rivestita. Perchè Celi non si premura solo di portare avanti interessi economici mafiosi, ma parla da ‘ndranghetista e si comporta da ‘ndranghetista”.
Non a caso — sveleranno le intercettazioni — è al vicesindaco che Raffaele Pugliese si rivolge quando cerca una pistola “riconoscendogli — affermano i pm – evidentemente la capacità di reperire delle armi e certificando una storia personale, ancora prima che politica, che è quella di un mafioso”.
Con Pugliese, non solo si rende disponibile a fare da intermediario per la compravendita, ma ammette candidamente di avere anche diverse pistole illegali nascoste in casa perchè “se hai coglioni gonfi e uno litiga per la macchina in qualche posto….con quella dichiarata ti scoprono subito”.
Ha dimestichezza con le armi il vicesindaco, ne conosce le caratteristiche, la disponibilità e la quotazione sul mercato clandestino, tanto da poter fare anche da “consigliere” a Pugliese, cui raccomanda ”prendi almeno una 7,65”.
Un acquisto che Celi cercherà di mediare attraverso il figlio Bruno, che — intercettato dalle cimici – assicura “pagando tutte cose si possono avere”. I due stanno discutendo di una cosa che al figlio del vicesindaco sembra stare parecchio a cuore: recuperare la caparra versata per un ricevimento di nozze presso il Resort Capo Sperone, in seguito saltato. Scartata l’ipotesi di rivolgersi al clan Gallico, suggerita dal vicesindaco, è Celi a bocciare la proposta del figlio di mandare “un’imbasciata” al ristoratore tramite il reggente dei Bellocco in paese, Ferdinando Cimato, per poi chiudere la discussione con un emblematico “parliamo noi”.
“Diretto discepolo del padre, Celi Bruno affermava — sintetizzano gli investigatori – “o in un’altra maniera, tutte le maniere tento papà , o con la buona o con la mala!”.
GALEOTTO FU IL CHIOSCO
E se per il rampollo, Celi non esita a promettere “interventi” sul ristoratore, ancor più facilmente forse è in grado di assicurargli facilitazioni burocratiche per quel chiosco che Bruno ha segretamente aperto in società con uno degli uomini di punta dei Bellocco a San Ferdinando, Gregorio Malvaso, pur intestandolo formalmente a Georgieva Viktoriya Trigonova.
Ma l’apertura di quell’attività non era stata gradita per nulla dai titolari del ristorante “L’ancora”, situato in prossimità del chiosco, che avevano denunciato alle competenti Autorità Comunali e a quella Portuale la disparità di trattamento effettuata dal Comune di San Ferdinando. Anche loro, ben dieci anni prima, avevano inoltrato richiesta per la concessione definitiva di occupazione del suolo demaniale ai fini commerciali, sempre rimasta inevasa da parte dell’Ente,che aveva invece con celerità rilasciato le necessarie autorizzazioni per l’edificazione del chiosco.
Una protesta che aveva suscitato l’attenzione della della Capitaneria di Porto che, riscontrando l’irregolarità nell’occupazione di suolo pubblico da parte dei gestori del chiosco, aveva intimato ai concessionari l’immediato ripristino dello stato dei luoghi. Guai che Malvaso e Celi hanno attribuito alla pervicacia dei coniugi De Masi, titolari dell’Ancora, “rei” di aver denunciato le irregolarità , dunque “puniti” su mandato dei due con sette colpi di arma da fuoco sparati contro la vettura di proprietà .
Un attentato di cui i due non hanno dubbio alcuno a riconoscere “la firma”, ma che per paura finiranno per non denunciare.
Saranno tuttavia le intercettazioni a confermare che i coniugi sapessero a chi attribuire quel messaggio di morte.
“Avete avuto qualche discussione con qualcuno? Dice no!…Invece l’avevamo avuta con Celi — dice la donna, commentando con il marito l’interrogatorio appena sostenuto di fronte ai Carabinieri – noi…davanti alla porta…eh…però non è che gliel’ho detto io… No, noi abbiamo discusso solo con lui, abbiamo avuto da dire e basta…eh…non è che abbiamo parlato con qualcuno noi, abbiamo parlato con lui e basta, non è che gli altri sono venuti e abbiamo parlato…non abbiamo parlato con nessuno…solo con lui abbiamo parlato e ha detto questa parola: <<se no facimu cu bonu, u facimu cu malu allora>>…se non lo facciamo con le buone lo facciamo con le cattive e basta”. Minacce pesanti, confermate poco dopo dal danneggiamento subito, che hanno spinto i titolari dell’Ancora al silenzio.
CELI, “ESPRESSIONE DELLA MAFIOSITA’ NELLE ISTITUZIONI
Ma questa non è che alcuni delle innumerevoli conversazioni da cui emerga il peso criminale del vicesindaco, che insieme ai riscontri collezionati dagli investigatori, non possono che indurre i pm a un giudizio durissimo su Santo Celi , definito “un appartenente alla cosca Bellocco-Cimato di San Ferdinando; è il referente del clan, la longa manus nell’attività politica”.
Per gli inquirenti, Celi “incarna solo il volto pubblico della ‘ndrangheta, e rappresenta l’espressione massima della mafiosità nelle Istituzioni”, ma soprattutto “è l’emblema della ‘ndrangheta nella gestione del Comune di San Ferdinando; cura dall’interno gli interessi illeciti mafiosi della cosca cui appartiene, nonostante, pubblicamente faccia in modo che non traspaiano i legami sottostanti”.
Eppure, si legge nel fermo, non solo è legato “indissolubilmente a personaggi quali Bellocco Giulio, capo cosca di San Ferdinando, ai di lui figli Domenico e Berto, ai fratelli Cimato e a Malvaso Gregorio”, ma in realtà “frequenta davvero tutti gli ‘ndranghetisti di San Ferdinando, fa affari con loro, finanche gestisce in società delle attività ; la sua stessa presenza in Comune si giustifica con la necessità del controllo dell’azione amministrativa da parte del locale potere mafioso e dell’aggiudicazione degli appalti a ditte riconducibile alla cosca”. In sintesi, è lui che “segna e rappresenta l’impossessamento del Comune di San Ferdinando da parte della cosca Bellocco-Cimato”.
Alessia Candito
(da “Il Corriere della Calabria“)
argomento: mafia | Commenta »