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BCE, “BOCCIATE” 25 BANCHE EUROPEE, ANCHE LE ITALIANE MONTE DEI PASCHI E CARIGE

Ottobre 26th, 2014 Riccardo Fucile

PUBBLICATI GLI ESAMI DELL’EUROTOWER SUI 130 MAGGIORI ISTITUTI… BANCA POPOLARE DI MILANO E POPOLARE VICENZA HANNO ADOTTATO MISURE SUFFICIENTI PER AZZERARE LE CARENZE

Venticinque istituti “bocciati”. Tra cui gli italiani Monte dei Paschi di Siena, Carige, Banca Popolare di Milano, Popolare di Vicenza, Bper, Banco Popolare, Banca Popolare di Sondrio, Credito Valtellinese e Veneto Banca.
A parte le prime due, però, nel corso del 2014 tutte le altre hanno messo in campo misure sufficienti per azzerare le carenze.
I risultati degli “esami” (comprensive assessment) della Banca centrale europea sulle 130 maggiori banche dell’area euro sono arrivati, insieme agli esiti degli stress test della European banking authority.
Tutte le valutazioni sono basate sui bilanci del 2013.
Nessuna italiana registra carenze di capitale in base alla revisione della qualità  degli attivi (asset quality review), ma in base agli stress test a fine 2013 i nove istituti citati avevano potenziali “buchi” per 9,7 miliardi.
La Banca d’Italia, che aveva il compito di valutare l’impatto sul capitale degli interventi adottati dopo la chiusura dei bilanci, ha però comunicato che gli aumenti realizzati durante l’anno hanno ridotto la platea a quattro: Mps, Carige, Bpm e Popolare di Vicenza.
Le ultime due grazie a cessioni di attivi e altre contromisure hanno poi colmato le carenze, che si limitano ora a 2,9 miliardi a carico di Montepaschi (2,1) e Carige (814 milioni).
Per loro scatta dunque la necessità  di varare entro due settimane piani per la ricapitalizzazione. Non necessariamente aumenti di capitale: potrà  trattarsi anche di cessioni o emissioni di bond.
I risultati, secondo via Nazionale, “confermano la solidità  complessiva del sistema bancario italiano, nonostante i ripetuti shock subiti dall’economia italiana negli ultimi sei anni: la crisi finanziaria mondiale, la crisi dei debiti sovrani, la doppia recessione”.
Per Banca Carige, si legge nella relazione di Bankitalia, “la carenza di capitale finale necessaria” per far fronte agli eventi sfavorevoli ipotizzati nello scenario dello stress test “riflette in parte i bassi livelli patrimoniali di partenza, non sufficientemente rafforzati dall’aumento di capitale effettuato nel 2014″.
La banca, si ricorda poi, è guidata “da una nuova compagine dirigenziale, che si è insediata nell’autunno del 2013 in seguito a ripetuti interventi della Vigilanza, anche su base ispettiva, da cui emersero disfunzioni negli assetti di governo e controllo e irregolarità  gestionali. Carige, che ha in fase di avanzate trattative la cessione delle compagnie assicurative del gruppo, presenterà  un piano di riallineamento patrimoniale da sottoporre alle autorità  di vigilanza”.
Quanto al Monte dei Paschi di Siena, via Nazionale ricorda che “dal novembre 2013 l’istituto è sottoposto a un piano di ristrutturazione della Commissione europea” e “sotto la guida dei nuovi vertici sono stati conseguiti importanti risultati , in particolare sul piano della razionalizzazione organizzativa e dell’abbattimento dei costi. Il risultato del Comprehensive assessment riflette il forte impatto dello scenario avverso dello stress test , che non ha considerato le ipotesi previste nel piano di ristrutturazione approvato dalla Commissione europea”.
Inoltre il fabbisogno di capitale rilevato è in parte determinato dall’ipotesi di restituzione della parte residua degli aiuti di Stato (Monti bond) di cui la banca ancora beneficia.
Non tenendo conto di tale impegno, la carenza di capitale scende a 1,35 miliardi.
Bpm e Popolare di Vicenza fanno invece parte del gruppo di 12 banche che, pur non avendo passato gli stress test, hanno già  varato opportune misure di rafforzamento del capitale.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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ATTENTO, MATTEO NON STARE SERENO

Ottobre 26th, 2014 Riccardo Fucile

LA PIAZZA, RENZI LO IMPARERA’ PRESTO, CONTA MOLTO DI PIU’ DELLE SUE SLIDE COLORATE

Non consiglieremmo a Matteo Renzi di star sereno dopo quello che è avvenuto ieri a Roma.
Nascosti tra le bandiere rosse, hanno sfilato anche i suoi elettori o quelli che dovrebbero essere destinatari di una politica che guarda finalmente alla società  infragilita e dispersa e le dà  coraggio, speranza.
La Cgil — è questa la novità  — ha raccolto sotto le sue insegne non solo i garantiti, ma anche gli sfruttati, i disoccupati, coloro che hanno perso il lavoro e non lo ritrovano più.
C’erano i nonni e i nipoti legati dallo stesso destino, i rivoluzionari di mestiere e le mamme senza futuro, gli studenti senza parte, gli operai senza più fabbriche, gli insegnanti senza cattedra, i militanti senza partito.
Pensavano che Renzi fosse un amico e se lo ritrovano avversario.
Pensavano che fosse cambiato il mondo e lo vedono a braccetto con Verdini e Marchionne.
Non era facile, in questa Italia annichilita, rassegnata a una povertà  di     massa e a una nuova solitudine, scegliere di partire, giungere fino a Roma per mostrarsi, farsi sentire e finalmente farsi contare.
Provi Renzi adesso a riempire piazza San Giovanni così.
“Respect”, diceva il cartello di un manifestante.
Ecco, è parso che questo governo non abbia rispetto per il suo dolore e per i suoi diritti e non abbia alcuna connessione sentimentale con le sue passioni, la sua storia, la sua memoria, il modo stesso di intendere la vita.
Eppure il Partito democratico è nipote di quel Pci (mai così tante bandiere del partito di Berlinguer come ieri) a cui ha preso molto e restituito niente.
Dire, come fa Renzi, che la piazza non troverà  ascolto, mettere questi operai al pari dei tecnocrati che hanno dominato la politica e contribuito ad aggravare la crisi economica, è molto più di un affronto.
È una analisi rozza che denota insieme l’identità  e l’alterità  del personaggio, la sua estraneità  a un mondo anche grazie al quale egli è a Palazzo Chigi.
Far rispondere dalla Leopolda a questo evento così politico, così popolare e così imponente al finanziere Davide Serra, magari esperto in subprime e derivati, sembra puro sfottò.
Ma la piazza, il premier lo imparerà  presto, conta molto più delle sue slide colorate.

Antonello Caporale
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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“ABBIAMO UN SOGNO NEL CUORE/RENZI A SAN VITTORE”: NELLA PANCIA DEL CORTEO GLI SLOGAN SONO TUTTI CONTRO IL SEGRETARIO PD

Ottobre 26th, 2014 Riccardo Fucile

“RENZI RENZI VAFFANCULO”…UN ANZIANO ABBRACCIA FASSINA E SCOPPIA IN LACRIME: “RENZI E’ UN UOMO DI MERDA”… I DIRIGENTI DEMOCRATICI SI GIUSTIFICANO : “UN PEZZO DI PAESE È ARRABBIATO”

Stefano Fassina arriva al millesimo selfie, seguito da stretta di mano e pacca sulla spalla, “Stefano non mollare”, quando i compagni della Fiom di Varese intonano il coro della nuova resistenza: “Abbiamo un sogno nel cuore/ Renzi a San Vittore”.
Dove per San Vittore è da intendersi il carcere storico di Milano.
Fassina prosegue con lo sguardo dritto. Un paio di metri più dietro c’è Gianni Cuperlo. Due giovani del servizio d’ordine, con tanto di fascia al braccio, sorvegliano a vista lui e Fassina. Cuperlo viene attorniato da un gruppetto di esodati. “Noi siamo veri, non finti”. A Cuperlo viene rinfacciato il voto a Palazzo Madama contro l’articolo 18. Lui ribatte, in quanto deputato, non senatore: “Io non l’ho votato”. Finisce con una foto, tutt’insieme, sotto lo striscione degli esodati.
La goccia democrat nel mar rosso di Roma   Alle 8 e 45, tre quarti d’ora prima della partenza, piazza della Repubblica, più nota col nome di piazza Esedra, è una distesa immensa di un solo colore. Cgil, Pci, Cobas, Rifondazione. I deputati del Pd sono una decina. Una goccia nel mar rosso che bagna Roma, in una meravigliosa giornata di sole.
I già  citati Fassina e Cuperlo, poi Alfredo D’Attorre, nuovo volto bersaniano, Barbara Pollastrini, Roberta Agostini e una stoica Monica Gregori, che farà  tutto il percorso, fino a piazza San Giovanni, con una stampella .
Pippo Civati, a conferma delle divisioni della minoranza del Pd, perde subito il contatto con il resto dei colleghi. “Cuperlo e Fassina dove sono finiti? Non li vedo più, li ho persi”.
Su un camion, una gigantesca “cassa” diffonde un’imperiosa voce di donna: “In questa piazza ci vuole coerenza, qui i senatori del Pd che hanno votato contro l’articolo 18 non sono graditi”. Sono le 9 e 55. L’avanguardia del corteo sta svoltando in piazza Santa Maria Maggiore, per imboccare il tratto verso San Giovanni.
‘O rottamatore bamboccione e i cori contro il premier    
Ma il Jobs Act non è l’unico macigno che appesantisce il cammino dei deputati del Pd, nuovi cirenei di sinistra nell’anno primo della luminosa era renziana. La croce che inchioda il passo e lo rende faticoso e lento è lo stesso Renzi. L’avversario, anzi il nemico è lui. Ieri il Pregiudicato. Oggi lo Spregiudicato.
“Renzi, Renzi, vaffanculo”. “Renzi, Renzi, vaffanculo”. È un popolo che vota in maggioranza per il Pd e che nell’ultimo sabato d’ottobre scandisce slogan contro il proprio segretario, peraltro inquilino di Palazzo Chigi. “Renzi, la senti questa voce: vaffanculo, vaffanculo”.
I cori variano i motivetti musicali, non la sostanza. “Fassina non le fa effetto camminare sentendo questi cori?”. “Certo che mi fa effetto, ma questa è una piazza arrabbiata che va ascoltata e compresa”.
Più tardi, quando il corteo è finito e sul palco si alternano interventi e video, Fassina in una delle decine di interviste rilasciate dice: “Manifestazione contro Renzi? È una lettura sbagliata”. La decina del Pd, che comprende anche Guglielmo Epifani, Rosy Bindi e Cesare Damiano, è testimone oculare di uno strappo enorme tra questa piazza e la Leopolda.
Altra scena. Alcuni operai napoletani raggiungono Cuperlo. “Gianni non votare contro l’articolo 18, te lo chiedo in ginocchio”. Cuperlo: “Non c’è bisogno di inginocchiarsi”. Un secondo dopo si alza un urlo primordiale. “’O rottamatore bamboccione addo stà ?”. “Il rottamatore bamboccione dov’è?”. La risposta arriva da un altro urlo: “Viciè miettec ‘o pesce in mano”. “Vincenzo mettigli il pesce in mano”. Dove il “pesce” in questione non è in senso ittico.
Il pianto del compagno sul petto di “Stefano”    
L’ineluttabilità  del dramma in corso tra la piazza rossa e la Leopolda senza colori avviene lontano dagli occhi del corteo. In via Tasso, laddove i nazisti torturavano i partigiani durante l’occupazione della Capitale, il servizio d’ordine invita i parlamentari del Pd a “tagliare” e abbreviare la parte finale del percorso.
Fassina è raggiunto dalla moglie Rosaria, che ha in mano la bandiera della Cgil di Vicenza. Ci sono i due figli piccoli, Cecilia e Livio. Domani, per loro, dovrebbe essere il giorno dello zoo, in riferimento all’ormai nota risposta di Fassina all’invito della Boschi alla Leopolda.
Oggi Cuperlo fa una foto all’intera famigliola ritrovatasi. A quel punto passa un anziano signore. Grida: “Gianni siamo gli ultimi mohicani”. Poi: “Oh, qua c’è pure Fassina”. L’anziano abbraccia Fassina, poggia il capo sul suo petto e scoppia in lacrime. È un pianto che dura più di un minuto. Anche Cuperlo partecipa all’abbraccio.
L’anziano si asciuga gli occhi. “Sono Iannacchero Antonio, vengo da Avellino, sono un pensionato della Cgil e ho votato Pd fino al 2013. Adesso sono di Sel”.
Rivolto a Fassina: “Tu sei una persona perbene. Mi devi promettere che a quello gli dai una pugnalata in fronte. Quello è un uomo di merda”.
Ecco il punto: come far rimanere questo popolo nel recinto del Pd renziano?
L’assenza di Bersani   e il tormento della scissione    
Il fondamentale quesito tormenta la minoranza del Pd più del sole di questa mattinata. Tutti ripetono lo stesso ritornello: “Questo popolo è del Pd”. Ma gli assenti pesano. Bersani non c’è. Orfini, giovane turco, è in Cina. Mancano il capogruppo della Camera, Speranza, e i bersaniani della segreteria.
Dice D’Attorre: “No, non ho sentito ancora Bersani. Non venendo, lui si è incaricato dell’unità  del partito, a differenza del segretario”. L’obiettivo della “Ditta” rosso antico, Civati a parte, è quello di riprendersi il partito, non di andarsene. Per il momento la prossima trincea è il Jobs Act a Montecitorio. Il sussulto finale è di Cuperlo: “Oggi andrò a vedere Leop…”. Silenzio. “Oggi andrò a vedere Leopardi al cinema”.
La Leopolda è a una distanza siderale, non a un’ora e quarantacinque di treno.

Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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