Ottobre 30th, 2014 Riccardo Fucile
ACCADRA’ IL 3 NOVEMBRE ALLA PALAZZOLO DI BRESCIA… LA FIOM: “LA GIORNATA POTEVANO PAGARLA LORO. RENZI ASCOLTI ANCHE I LAVORATORI”
Arriva Matteo Renzi. E gli operai restano a casa, tutti in ferie forzate per un giorno. ![](http://s27.postimg.org/alp9nq8v7/sblocca.jpg)
La visita del presidente del Consiglio lunedì 3 novembre a Brescia, all’assemblea generale dell’Aib (l’Associazione industriale bresciana) ospitata nello stabilimento della Palazzoli Spa, apre un nuovo fronte del conflitto tra Renzi e i sindacati.
Perchè quel giorno gli operai della Palazzoli, azienda alla periferia nord di Brescia che si è offerta di ospitare il congresso dell’Aib, non lavoreranno.
La dirigenza della fabbrica — specializzata in impianti elettrici industriali — ha deciso di sospendere la produzione per un giorno.
“Uno stop legato a necessità logistiche e di sicurezza che derivano proprio dalla presenza del presidente del Consiglio, che avrebbe chiesto espressamente agli industriali di organizzare la loro assemblea in una fabbrica”, spiega a Ilfattoquotidiano.it Luigi Moretti, amministratore delegato della Palazzoli. Ma la giornata di ferie non sarà a carico dell’azienda bensì dei lavoratori, che hanno dovuto prendere una giornata di “ferie collettive”, conteggiata alla fine del mese nel loro monte ore.
Una decisione che ha fatto infuriare la Fiom Cgil, in questi giorni di tensione dopo le cariche della polizia sotto all’ambasciata tedesca nel corso della vertenza Ast-ThyssenKrupp: “Fermano la fabbrica per un giorno — sostiene il segretario della Fiom di Brescia, Francesco Bertoli — perchè il rumore della produzione non permetterebbe di sentire i discorsi degli industriali. Ma visto che Renzi è ospite dell’azienda e non dei lavoratori, la giornata potevano pagarla loro”.
L’ad della Palazzoli Spa conferma quanto denunciato dai sindacati: “Abbiamo fatto ferie collettive. Altrimenti non potremmo ricevere quella quantità di persone nello stabilimento, come è desiderio del presidente Renzi”.
E i lavoratori cosa ne pensano? “Son tutti d’accordo — prosegue Moretti — chi dei dipendenti vuole partecipare è invitato. È uno dei loro giorni di ferie, e lo fanno nel periodo dei morti, quindi gli va anche bene”.
La decisione però non è stata presa con le rappresentanze sindacali interne, scadute da qualche tempo, mentre le nuove Rsu non sono state ancora elette. Anzi, la Fiom bresciana denuncia che la Palazzoli non consente di svolgere assemblee retribuite.
All’assemblea degli industriali bresciani sarebbe dovuto intervenire, in origine, l’ad di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne.
A tirare le fila del congresso sarà invece Renzi, cui sono state affidate le conclusioni: “La parte pubblica dell’assise — si legge sul sito dell’Aib — si aprirà alle 10 con l’intervento del presidente di Aib, Marco Bonometti, cui seguirà quello del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. Chiuderà i lavori il presidente del Consiglio, Matteo Renzi”.
Renzi era già stato a Brescia lo scorso 6 settembre all’inaugurazione del nuovo stabilimento delle rubinetterie Bonomi di Gussago.
Anche in quel caso si trattava di un’azienda — di proprietà di Aldo Bonomi, ex vicepresidente di Confindustria tra i protagonisti della Leopolda — in cui da tempo non è più presente la Fiom Cgil.
I metalmeccanici, per la visita di Renzi a Brescia, hanno organizzato un corteo e un presidio davanti alla fabbrica.
Il segretario locale della Fiom ha anche scritto una lettera aperta al presidente del Consiglio, chiedendogli di incontrare pure i lavoratori: “Mi preme informarla che la Palazzoli non consente alla Fiom Cgil di svolgere le assemblee retribuite all’interno dello stabilimento oramai da qualche anno. Le chiediamo che il 3 novembre incontri e senta anche i lavoratori che hanno titolo per esprimerle le loro opinioni”.
Per ora, da Palazzo Chigi, nessuna risposta.
Andrea Tornago
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 30th, 2014 Riccardo Fucile
BANCHI DEL GOVERNO DESERTI, IMBARAZZO DEL PD…E LA RICOSTRUZIONE DELLE MANGANELLATE NON CONVINCE NESSUNO
Il vuoto attorno, nei banchi del governo. Quando Angelino Alfano prende la parola alle 14,45 a palazzo Madama, è solo. E solo resta alla Camera qualche ora dopo. Assenti anche i ministri del suo partito, Beatrice Lorenzin e Maurizio Lupi.
Ministri che, invece, al tempo del governo Letta non lasciarono sola Nunzia De Girolamo, quando riferì sull’affaire della Asl di Benevento.
“Non ho nessuna esitazione nel dichiarare che quello di ieri è stato un brutto giorno per tutti” scandisce nel gelo il titolare del Viminale. Nervoso, si gira da un lato all’altro dell’emiciclo, quasi a cercare una solidarietà . Davanti c’è parecchio vuoto.
A occhio è assente mezzo Senato. Pallottoliere alla mano, alla Camera ci sono cento parlamentari. Di cui 11 del suo partito, due soli di Forza Italia (di cui uno Brunetta, il capogruppo), e 40 del Pd.
È in questo clima surreale che va in scena il Nazareno dei manganelli.
Il ministro non indica i responsabili delle botte in piazza, non identifica l’errore: “E’ lontana anni luce da noi — dice — l’idea di manganellare gli operai, così come penso sia lontana dagli operai la volontà di scaricare tensioni occupazionali sulla polizia”. Poi ringrazia Landini, promette un tavolo “permanente di confronto al Viminale con i sindacati per gestire al meglio le manifestazioni”.
Un discorso che gli vale l’assoluzione.
Francesco Giro, che parla per conto di Forza Italia, dopo aver difeso le forze dell’ordine, si dimentica che sulla carta il suo partito è all’opposizione: “Signor ministro — dice — noi non le faremo mancare il nostro sostegno”.
Imbarazzato, il Pd difende la ragion di governo. Ma in chiaroscuro il disagio è tangibile.
Come nell’intervento di Emanuele Fiano: “Ci sono cose che in un paese democratico non devono accadere, punto. Ciò che è accaduto ieri, le manganellate agli operai, i feriti e gli scontri, non deve più accadere, non può più accadere, punto”.
Già , punto. Quel mai più riguarda la piazza.
Ma anche gli errori di Alfano, la cui gestione degli Interni è vissuta come imbarazzante.
In Transatlantico, Dario Ginefra a domanda risponde così: “Il ministro dell’Interno? Quale? C’è forse un ministro dell’Interno al Viminale?”.
Ecco, solo la ragion di governo tiene a bada il malessere. Ma la ricostruzione fornita sulle manganellate non convince nessuno: “Chiediamo certezza di applicazione delle direttive e delle regole d’ingaggio” prosegue Fiano.
Senatori distratti, nel corso del dibattito. Schifani parla fitto fitto con Sacconi. Gasparri con Giovanardi.
Il volto di Maurizio Migliavacca, in piedi nella fila più in alto, è il miglior commento. Plumbeo. La mozione di Sel ha l’effetto di innervosire anche di più la “sinistra del Pd”. Perchè, dicono, “il problema è che Renzi non sta dicendo nulla, mica per togliere Alfano si può far cedere il governo”.
In parecchi ricordano che ai tempi del caso kazako e della Cancellieri, a parti invertite, Renzi sparò raffiche con l’obiettivo di terremotare il governo. Ora invece tiene un atteggiamento defilato.
Alla Camera pure Brunetta fa un intervento poco da opposizione. Tralascia Alfano e si scaglia contro i Cinque Stelle “Mi vergogno per il loro fascismo implicito che è nel loro dna, per la loro ignoranza, per l’atteggiamento filomafioso del loro capo”.
Nel clima surreale accade che mentre il Nazareno lo assolve, è nell’ambito del suo stesso partito che il ministro dell’Interno riceve qualche critica: “Solidarietà piena al ministro Alfano — dice Fabrizio Cicchitto – ma io non me la sento di ringraziare Landini…”.
Dettagli di Palazzo.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 30th, 2014 Riccardo Fucile
LA PREVISIONE DI SPESA DALLA DA 2,9 A 7 MILIARDI… ESPOSITO: “ALLORA FERMIAMO I LAVORI, LUPI SPIEGHI”
Costi impazziti per il tunnel della Torino- Lione. ![](http://s17.postimg.org/5pilqtc4f/tav.jpg)
In una manciata di anni la spesa prevista per l’Italia è passata da 2,9 miliardi a 7,7 miliardi.
A spanne è il 165 per cento in più. Fino a ieri nei documenti del governo la cifra è sempre stata sotto i 3 miliardi, come è indicato nel progetto definitivo della Tav all’esame del Cipe.
A scoprire l’impennata dei costi è stato il vicepresidente della Commissione Trasporti di Palazzo Madama, Stefano Esposito (Pd), che ha chiesto un’audizione urgente dei vertici di Ferrovie e del ministro alle Infrastrutture, Maurizio Lupi.
«Se le cifre sono queste io chiedo al governo di sospendere i lavori, rinunciare all’opera e pagare le penali alla Francia», dice Esposito, da sempre in prima linea a favore della Torino-Lione, posizione che gli è costata minacce di morte.
L’11 novembre i dirigenti di Rfi verranno ascoltati dalla commissione e dovranno spiegare perchè nel contratto di programma firmato ad agosto con il ministero e inserito nel decreto «Sblocca-Italia » il costo della Tav è cresciuto in questo modo.
Alla base dell’aumento ci sarebbe un “tasso di inflazione”, composto anche da oneri finanziari e imprevisti, del 3,5 per cento che l’Italia ha deciso di applicare all’opera.
In Francia è dello 0,07, cinquanta volte meno.
Non solo. Nella stima non sarebbe conteggiato il contributo dell’Unione Europea che è già fissato al 30 per cento e che potrebbe salire al 40.
Una decisione che Italia e Francia danno per scontate e che più volte è stata ventilata da Bruxelles, ma che sarà presa a fine febbraio.
«Siamo all’assurdo – aggiunge Esposito – il 3,5 per cento è un tasso da usura. La Bei presta i soldi agli Stati allo 0,5 per cento. Vorrei capire cosa si nasconde dietro queste cifre. Le Ferrovie lavorano a favore o contro l’alta velocità ?».
L’Italia ha scelto di conteggiare il prezzo della costruzione della galleria di 52 chilometri a opera terminata con un tasso fissato nel 2010 quando «il contesto macroeconomico prevedeva una forte crescita dei prezzi di petrolio, elettricità e macchinari, che invece non si è verificata e quindi i costi non aumenteranno», sostiene Ltf, la società italo-francese responsabile della realizzazione del tunnel.
Insomma, non si è tenuto conto della crisi e dei prezzi di mercato in calo.
In Francia, ad esempio, la gara per l’ultima discenderia, quella di Saint Martin la Porte, è stata assegnata con un ribasso del 30 per cento.
«Quelle italiane sono cifre opache. È in range così ampli che può annidarsi la corruzione», aggiunge ancora Esposito.
Il ministro Lupi, impegnato negli Emirati Arabi, per ora tace, così come Rfi.
Il commissario di governo, Mario Virano, cerca di buttare acqua sul fuoco: «Non so darmi una spiegazione razionale, si tratta di una sommatoria di negatività che mi auguro siano frutto del caso. Mi sembra una roba tutta fatta da contabili che non tiene conto del contesto economico generale e nemmeno della delicatezza della questione specifica ».
Il balletto di cifre e il polverone che si è scatenato hanno dato il là agli oppositori dell’opera.
Il dissidente Pippo Civati (Pd) e il coordinatore di Sel Nicola Frantoianni rilanciano l’idea di una commissione parlamentare d’inchiesta: «Un’idea che evidentemente non è poi così peregrina – dicono – si abbia il coraggio di sospendere i lavori fino a quando tutti gli aspetti oscuri della Tav non saranno chiariti».
Per il senatore Marco Scibona del Movimento 5 Stelle «quanto accade è la conferma di ciò che i No Tav dicono da anni, la Francia ha sempre confermato la cifra e le tempistiche iniziali, in Italia invece triplicano i costi senza nessun motivo logico».
E il movimento No Tav si compiace della scoperta di Esposito: «Prepara i braccioli in vista della nave che affonda», si legge sul sito No Tav.info.
Il nuovo quadro economico, poi, ha fatto saltare sulla sedia anche l’ex ministro alle Infrastrutture Altero Matteoli (Fi), oggi presidente della commissione Trasporti del Sanato. «È incredibile», dice. E aggiunge: «La costruzione della Torino-Lione non si può affrontare con superficialità ».
Maria Chiara Giacosa e Diego Longhin
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 30th, 2014 Riccardo Fucile
A PRATO CI SONO 4 AGENTI E 9 FUNZIONARI A DIRIGERLI
La grande partita sul futuro della Forestale è cominciata.
Dopo che nei giorni scorsi il ministro Marianna Madia ha ribadito che per il governo è opportuno ridurre il numero delle polizie in Italia, il tema è diventato caldissimo.
Molti sindacati, tipo l’Ugl, si sono indignati. Altri no.
Il sindacato autonomo Sapaf, ad esempio, ha appena inviato una lettera alla presidente Anna Finocchiaro, chiedendo un incontro in commissione Affari Costituzionali del Senato.
«A noi – sostiene il segretario del Sapaf, Marco Moroni – interessa mantenere le capacità investigative. Vogliamo integrarci con le altre polizie forestali esistenti e diventare una vera polizia ambientale e agroalimentare. Il resto non ci interessa, nè il colore della casacca nè le poltrone. Se queste capacità venissero esaltate confluendo nella polizia di Stato, va bene ugualmente purchè non si disperdano le professionalità : penso alle indagini sui piromani, o gli ecoreati, o la tutela delle specie protette».
È più o meno lo stesso ragionamento della senatrice Leana Pignedoli, Pd, vicepresidente della commissione Agricoltura, dove oggi si voterà un parere favorevole al ddl Madia, ma condizionato al mantenimento di una seria polizia ambientale.
«Occorre – dice la senatrice – un duro lavoro di “smontaggio” e riallocazione di risorse da utilizzi improduttivi. Ma i progetti di riordino non possono non prevedere un corpo dedicato all’agroambientale fortemente connesso al ministero dell’Agricoltura».
Pignedoli piuttosto è perplessa per le sovrapposizioni tra Corpo Forestale e nuclei carabinieri, come il Noe inserito dentro il ministero dell’Ambiente e Nac nel ministero Agricoltura. «C’è da riflettere».
Il lavoro di «smontaggio» che viene richiesto dalla commissione Agricoltura merita un passo indietro: il Corpo Forestale, forte di circa 8000 agenti, costo mezzo miliardo all’anno, disperde le sue forze su innumerevoli tavoli: sono circa 1000 quelli che si occupano di “biodiversità ”, ossia allevamenti (a Belluno gli equini di razza maremmana, a Castel di Sangro equini di razza persano-salernitano e bovini, a Follonica equini di razza maremmana, all’Aquila gli ovini, a Lucca la selvaggina, a Martina Franca gli equini di razza murgese, a Mongiana equini di razza araba e selvaggina, a Pescara il centro recupero rapaci, a Pieve equini di razza avelignese e bovini, a Potenza equini di razza anglo-arabo-sarda, a Siena equini da sella italiano e bovini) e 1500 quelli messi a disposizione dei parchi nazionali. Questi gestiscono castelli, tenute, ville.
C’è poi un reparto volo per lo spegnimento incendi con alcuni elicotteri e un aerotaxi. Sono in dotazione pure 2 motovedette e venti barche.
E poi pesa la burocrazia interna: comando generale, ispettorato di 700 agenti, venti comandi regionali, cento comandi provinciali con annesse sale operative.
Alla fine, nelle 1000 stazioni territoriali ci sono appena 2500 agenti.
La moltiplicazioni di funzioni ha portato anche alla moltiplicazione dei dirigenti.
«Una riduzione sarebbe quanto mai auspicabile, visto che alcuni annoverano più personale per amministrare di quello operativo amministrato!», scrive il Sapaf.
A Prato, per dire, ci sono 4 agenti sul territorio e 9 a dirigerli.
Piuttosto che lasciare, però, il capo del Corpo, Cesare Patrone, ha rilanciato: la sua proposta al Senato, pochi giorni fa, è di raddoppiare la Forestale, incorporando le polizie provinciali che sono rimaste allo sbando, i sei Corpi Forestali regionali (esistono in Sardegna, Sicilia, Val d’Aosta, Friuli, Trento e Bolzano), più l’Ispettorato antifrodi del ministero dell’Agricoltura.
Sono circa 6500 agenti che potrebbero confluire nella Forestale.
Il contropiano prevede «direzione delle operazioni di spegnimento degli incendi boschivi», «attività ricognitiva del territorio», «aggiornamento della relativa mappatura ed individuazione delle aree ad elevato rischio idrogeologico», «direzione tecnica delle aree naturali protette nazionali».
Francesco Grignetti
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Ottobre 30th, 2014 Riccardo Fucile
LA INFLUENTE ASSISTENTE DI MARONI INTERCETTATA MENTRE CHIEDEVA NOTIZIE DELLE INCHIESTE SULLA LEGA… ERA IN CONTATTO, FORSE A SUA INSAPUTA, CON PERSONAGGI LEGATI AI CLAN
Per oltre un anno Isabella Votino, la portavoce del governatore lombardo Roberto Maroni, è stata
intercettata dai magistrati della procura antimafia di Reggio Calabria. Lo rivela l’Espresso nel numero in edicola domani.
La donna è finita nell’inchiesta sul lato oscuro della Lega, l’intreccio tra professionisti calabresi e politici del partito che secondo i magistrati avrebbero riciclato sia i fondi del movimento padano che quelli della ndrangheta, in particolare della potente famiglia De Stefano che da vent’anni domina Reggio Calabria.
I contatti della Votino, che è stata portavoce di Maroni anche al ministero dell’Interno, con alcuni di questi indagati hanno fatto scattare l’iniziativa dei pm antimafia.
Dalle intercettazioni emergono inoltre contatti della Votino con investigatori milanesi per tentare di ottenere di ottenere informazioni su inchieste in corso che potrebbero interessare persone vicine alla Lega e a Maroni.
Ed emerge anche il suo peso nel tessere relazioni politiche con esponenti di primo piano del centrodestra.
Oltre alla Votino è finito intercettato un altro fidato uomo di Maroni, l’avvocato Domenico Aiello, legale del governatore lombardo.
(da “L’Espresso”)
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Ottobre 30th, 2014 Riccardo Fucile
AVVISI DI GARANZIA PER BOSCAGLI, SCOTTI, ZAMBETTI (PDL), GAFFURI (PD) E FERRAZZI (LEGA)
Sono di oltre 260mila euro le spese che Regione Lombardia ha affrontato per consulenze e collaborazioni mai avvenute, secondo gli accertamenti dei finanzieri del Comando generale di Milano.
Operazioni “fantasma” tra il 2008 e il 2011, per cui la procura di Milano sta indagando tre ex assessori delle scorse giunte Formigoni e sette ex consiglieri regionali.
L’accusa è quella di falso e truffa ai danni dello Stato.
Secondo gli accertamenti i dieci indagati, alcuni dei quali già coinvolti nell’inchiesta sui rimborsi regionali, avrebbero presentato false attestazioni di collaborazioni e consulenze mai eseguite o non rispondenti alle prestazioni previste dai contratti.
I tre ex assessori delle giunte Formigoni coinvolti sono Giulio Boscagli, cognato di Formigoni, Mario Scotti e Domenico Zambetti (ex assessore alla casa, già arrestato nell’ottobre 2012, con l’accusa di voto di scambio con la ‘ndrangheta), mentre tra i sette ex consiglieri, sia esponenti dell’allora maggioranza di centrodestra — Paolo Valentini (Pdl), Giuseppe Angelo Gianmario (Pdl), Gianluca Rinaldin (Pdl), Massimo Gianluca Guarischi (già a processo per un presunto giro di tangenti nella sanità lombarda), Daniel Luca Ferrazzi (lista Maroni) — sia gli ex consiglieri del Pd Luca Gaffuri (coinvolto anche nell’inchiesta sui rimborsi “pazzi” del Pirellone) e Carlo Porcari.
Dei sette consiglieri indagati, Gaffuri e Ferrazzi sono ancora in carica.
La notifica dell’avviso di conclusione indagini è firmata dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dai pm Paolo Filippini e Antonio D’Alessio.
Secondo i pm, il meccanismo era uguale per tutti gli indagati, che tra il 2008 e il 2012 stipulavano contratti di collaborazione pagati da Regione Lombardia.
Peccato che le attività , continuano i pm, “non erano mai eseguite nei termini e nelle finalità descritte” ma erano “finalizzate a soddisfare scopi diversi ed estranei” da quanto dichiarato. In altre parole, stando alle indagini, collaboratori occasionali e consulenti venivano assunti per svolgere determinate attività , e si occupavano invece di altre mansioni per conto dei consiglieri.
Un contratto a un collaboratore di Boscagli, per esempio, per “l’assistenza alle attività del gruppo relativamente a materie attinenti l’area territoriale” è costato alla Regione 22mila euro.
Meno di un terzo di quel che ha fatto spendere Zambetti, che ha pagato un collaboratore 67mila euro per “supportare l’assessore con lo studio e l’analisi dei provvedimenti trattati nelle otto commissioni consiliari” e “curare rapporti con le amministrazioni centrali e gli enti locali”.
Gaffuri, consigliere ancora in carica, ha invece dato 35mila euro ad un collaboratore per uno “studio dell’effetto immigrazione sul mercato del lavoro nella provincia di Como”. Di quasi 20mila euro, invece, il compenso dato da Guarischi per “il supporto alle attività del suo staff di assistenza”.
Nell’ambito della stessa inchiesta, a marzo la Procura di Milano ha notificato avvisi di conclusione delle indagini a nove assessori e 55 consiglieri della Regione Lombardia (sempre delle scorse giunte Formigoni) indagati per peculato e truffa aggravata nell’ambito dell’inchiesta sulle spese “pazze” poi rimborsate dal Pirellone. Secondo l’inchiesta, i soldi pubblici che sono stati spesi illecitamente ammontano a 3,4 milioni di euro.
Tra gli indagati per i rimborsi del Pirellone ci sono Renzo Bossi, il figlio del senatur, e Nicole Minetti, l’ex igienista dentale di Silvio Berlusconi. E poi Davide Boni, ex presidente del Consiglio Regionale, Massimo Ponzoni, Franco Nicoli Cristiani, Monica Rizzi, Romano Colozzi, Massimo Buscemi, Stefano Galli e Giulio Boscagli per la maggioranza.
Per l’opposizione invece ci sono Chiara Cremonesi, Luca Gaffuri, Carlo Spreafico ed Elisabetta Fatuzzo.
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Ottobre 30th, 2014 Riccardo Fucile
IL GRUPPO PARLAMENTARE POI SI GIUSTIFICA MA LA DIFESA NON CONVINCE
Lega e Movimento 5 Stelle votano contro l’estensione del bonus bebè ai figli di immigrati. ![](http://s1.postimg.org/ub43zdfof/mago.jpg)
L’emendamento alla nota di aggiornamento al Def presentato da Roberto Calderoli (Lega) che chiedeva di riservare ai “cittadini italiani o di uno stato membro dell’Unione Europea” il bonus è stato poi bocciato dall’aula.
Ma il Partito democratico ha colto l’occasione per attaccare l’asse grillini-leghisti: “La Lega di Calderoli presenta un emendamento alla risoluzione sulla variazione del Def per assegnare il bonus bebè solo ai figli nati o adottati da coppie di genitori italiani o comunitari. Per i leghisti, dunque, i bebè extracomunitari vanno bene, purchè abbiano una mamma nata nell’unione europea. Ed M5S che fa? Vota con il Carroccio questa proposta squallida, becera, razzista. domanda sorge spontanea: gli elettori di Grillo sanno come i senatori pentastellati utilizzano il mandato popolare?”.
Il bolso buonismo di Lega e Cinque Stelle, escludendo gli immigrati dal beneficio del cosiddetto bonus bebè, dimostra ancora una volta la loro irresponsabile prodigalità – afferma Luigi Manconi – perchè concederlo a tutte le famiglie italiane, quel beneficio? Perchè non escludere almeno quelle di San Pier d’Arena e di Ceccano, quelle di Nebida e di Ittiri? Un pò di selezione è sempre necessaria per temprare lo spirito e per evitare la facile demagogia. Come diceva Milton Friedman ma anche Titina de Filippo: ‘nessun pasto è gratis'”.
A stretto giro la replica del Movimento 5 Stelle: “Il Pd non perde occasione per strumentalizzare ogni singolo voto del Movimento 5 Stelle e veicolare messaggi falsi. Abbiamo votato sì all’emendamento della Lega Nord, esclusivamente per fare in modo che il bonus bebè, che il governo ha previsto solo per i nati nel 2015, fosse esteso anche ai nati fino al 2017. Siamo assolutamente favorevoli all’erogazione del bonus a tutti i cittadini regolarmente residenti sul territorio italiano, senza distinzione di nazionalità “.
“Abbiamo votato nella consapevolezza che l’emendamento della Lega -continua la nota M5S- fa riferimento all’articolo 31 della Costituzione, che garantisce pari sostegno ai cittadini italiani, comunitari e extra comunitari in possesso di carta di soggiorno. Dunque, sapevamo già che la discriminazione, inserita nel testo della Lega, sarebbe decaduta perchè incostituzionale, mentre sarebbe rimasta esclusivamente l’estensione del bonus a tutti i bimbi nati nel prossimo triennio”. Abbiamo votato nell’interesse di tutte le famiglie, affinchè il bonus fosse esteso a tutto il prossimo triennio invece che solo per un anno, come prevede il governo e come vorrebbe la maggioranza. La nostra battaglia è rendere strutturale per tutti il bonus bebè, come dimostreranno le nostre proposte emendative alla Legge di Stabilità “, conclude M5S.
In verità la giustificazione non convince per una serie di motivi:
1) Se ritieni che la norma contenuta nell’emendamento sia incostituzionale semmai lo denunci e non la voti.
2) Un emendamento si può votare per parti separate: se il M5S fosse stato in buona fede poteva chiederlo, ma non l’ha fatto. Avrebbe così evitato di votare qualcosa che ora dice di non condividere.
3) Se lo scopo era estendere il bonus al 2017 perchè non hanno presentato un emendamento proprio, invece che accordarsi a quello leghista?
No, non ci siamo proprio.
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Ottobre 30th, 2014 Riccardo Fucile
DAL 2016 SALGONO IVA E BENZINA, GIÙ LE DETRAZIONI… CERTO SI PUà’ ANCHE TAGLIARE ANCORA, MA I COMUNI GIà€ AVVERTONO: “SIAMO AL DISSESTO”
Ventisette miliardi di tasse nascoste, rimandate a domani per non ammetterne l’esistenza oggi.
Questa è la scommessa di Matteo Renzi, quella che innerva la sua legge di Stabilità elettorale, il motivo per cui tutti nel palazzo si sono convinti che il voto a primavera è inevitabile.
Funziona così: il nostro deficit deve andare a zero entro il 2017, è il famoso pareggio di bilancio inserito in Costituzione ai tempi di Mario Monti anche da quelli che oggi lo contestano e sottoscritto dai governi italiani nei Patti stipulati in Europa.
Come lo facciamo? Ma con la spending review, ovviamente.
Solo che al momento la revisione della spesa è una bufala e i tagli quasi interamente lineari di Renzi e Padoan sul 2015 lo dimostrano: ieri, per dire, i Comuni e le nuove province sono andati a chiarire a Palazzo Chigi che così muoiono i servizi ai cittadini (scuola, trasporto, strade, sociale, verde e quant’altro) e molte città rischiano comunque il dissesto.
Ha spoegato Piero Fassino: “La Stabilità ci taglia 1,2 miliardi, a cui si aggiungono i 2,2 miliardi del fondo per i crediti deteriorati e 300 milioni eredità di precedenti manovre”. Fa 3,7 miliardi che vengono compensati, secondo il governo, dallo sblocco del Patto di Stabilità interno per 3,2 miliardi: soldi che pochi comuni hanno, comunque, e non possono essere usati per la spesa corrente (cioè i servizi).
La risposta di Renzi è stata: “Discutiamo del come, ma l’entità del taglio resta quella che è”.
Non è finita: a province e città metropolitane si toglie un miliardo e mezzo; alle regioni complessivamente altri 6,2 miliardi.
Persino un renziano come il governatore del Piemonte Sergio Chiamparino ha perso il lume della ragione.
Pure i fondi per gli investimenti nelle aree depresse finiscono nella spending review: tre e mezzo finiranno per pagare forme di detassazione alle imprese, 500 milioni sono parte della “tassa Kaitanen” per ridurre il deficit al 2,6% nel 2015.
Il problema è che i 10 miliardi scarsi di tagli del Renzi di quest’anno (accompagnati da parecchie partite di giro sulle tasse) non sono che l’antipasto: dentro la manovra, che ha un orizzonte temporale di tre anni, è infatti previsto un “consolidamento del bilancio” — cioè tagli di spesa o nuove tasse — per 27 miliardi di euro al 2017.
Un impegno vago, si dirà , che il nostro giovane e vigoroso premier provvederà a ricontrattare con l’Europa. Nient’affatto.
Si tratta di un fatto già assodato e inserito nella legge di Stabilità con apposite norme di legge.
Prendiamo l’Iva, che è il caso più grave: nella manovra c’è scritto che l’imposta sul valore aggiunto salirà il 1 gennaio 2016 di due punti percentuali per le prime due aliquote (dal 10 al 12%, dal 22 al 24%) e di un altro punto dal 1 gennaio 2017 (al 13 e al 25%). Poi, per chi fosse ancora vivo, a gennaio 2018 un altro mezzo punto sull’aliquota principale, che arriverà alla stratosferica cifra del 25,5%.
Il valore della faccenda è quotato in 12,8 miliardi nel 2016 e 19,2 l’anno dopo.
Ad arrivare a venti, cifra tonda, ci pensano le accise: sempre nel 2018 aumenteranno benzina e gasolio per non meno di 700 milioni l’anno.
Anche con questo, comunque, le mine piazzate da Renzi e soci nel bilancio dello Stato sono finite : un’altra norma eredità del governo Letta, prevede a partire sempre dal 2016 un bel taglio di detrazioni, deduzioni e agevolazioni fiscali.
Tecnicamente non è un aumento di tasse, ma in pratica si pagheranno più tasse.
Il menu nel dettaglio lo si deciderà in seguito, ma nulla è escluso: dalle spese mediche a quelle per i figli, dalle detrazioni per il lavoro a quelle sulle donazioni dalle agevolazioni per il no profit a quelle sull’Imu, tutto potrà contribuire al risultato finale, che sono altri 4 miliardi di risparmi nel 2016 e 7 a regime dall’anno successivo.
Impegni, si dirà , non presi da Matteo Renzi e nemmeno da Pier Carlo Padoan, ma nemmeno spiegati agli italiani nella mitopoiesi del #cambiaverso con cui il giovane premier racconta l’Italia al suo pubblico, un tempo uso ai diritti di cittadinanza.
Il verso è sempre lo stesso, la discesa, c’è solo stato un eccezionale rallentamento della corsa nel 2015, al termine del quale però c’è il baratro.
Il governo, ad esempio, ha usato il salvadanaio dei risparmi da minore spread, ma contemporaneamente prevede — sempre nella legge di Stabilità — di chiedere ai mercati finanziari 900 miliardi in tre anni: dovessero risalire i rendimenti (oggi a livelli davvero bassissimi) dei titoli di Stato, ogni maggiorazione andrebbe pagata comprimendo ancora di più il bilancio pubblico (al netto della enorme riserva di liquidità messa giustamente da parte dal Tesoro).
Fare il Monti con partenza ritardata al dopo-elezioni può essere una scelta legittima, ma spiegarlo agli italiani — a proposito di ricostruire un clima di fiducia e rilanciare la domanda interna — è un dovere.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 30th, 2014 Riccardo Fucile
DOVEVA ESSERE IL GIORNO DELLA NOMINA DELLA SOSTITUTA DELLA MOGHERINI, MA LA ROSA DI NOMI NON DEVE AVER SODDISFATTO NAPOLITANO
La notizia la battevano tutte le agenzie: “Il premier incontra il capo dello Stato: dovrà sciogliere la
riserva sul sostituto di Federica Mogherini alla Farnesina”.
Nei giorni scorsi le candidature si erano ristrette alle dita di una mano e oggi, dopo due mesi dalla nomina della Mogherini ad Alto commissatio Ue, avrebbe dovuto esserci la “proclamazione”.
E invece le stesse agenzie di stampa sono costrette ad annunciare che “c’è stato un primo scambio di opinioni sulla nomina del prossimo Ministro degli Esteri”.
È quanto si apprende dall’ufficio Stampa del Quirinale in seguito all’incontro avvenuto tra il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio.
Uno scambio di opinione dopo due mesi di trattative?
Non sarebbe meglio dire che i casi sono due: o Renzi non ha ancora trovato una candidata adeguata nell’ambito delle sue badanti o che la rosa di nomi che potrebbe aver sottosposto a Napolitano non è stata ritenuta di adeguato livello ed esperienza.
Oddio, dopo la Mogherini, non c’è bisogno di una Ilary Clinton agli esteri, non c’era neanche il rischio di sfigurare di fronte al predecessore.
Intanto Mogherini si è dimessa da deputato, ringraziando tutti con un tweet: «È stato un onore essere parlamentare della Repubblica».
I tempi per la nomina del nuovo ministro degli Esteri sono strettissimi. E il rischio è quello di lasciare vacante un dicastero fondamentale in questo momento, una scelta delicata vista la situazione internazionale, segnata da vari conflitti,
Tra i molti nomi fatti in questi giorni restano ancora in pole position quello di Maria Sereni, vicepresidente della Camera con una lunga esperienza di politica estera fini dai tempi dei Ds, e quello nuovo, ma non troppo, di Marta Dassù, viceministra con Emma Bonino e durante il governo di Mario Monti, al momento membro del cda di Finmeccanica.
Sembra invece tramontata l’ipotesi della giovanissima deputata del Pd, Lia Quartapelle, 32 anni, mentre Simona Bonafè, fedelissima di Matteo Renzi, avrebbe rifiutato l’incarico.
Resta tuttavia aperta anche la strada di un uomo alla Farnesina, con Lapo Pistelli, viceministro degli Esteri nell’attuale governo e in quello precedente di Enrico Letta. Una segnale di continuità all’interno del ministero, che però soffre dei rapporti, raccontano, poco idilliaci per non dire gelidi con lo stesso Renzi.
Altro papabile Sandro Gozi, sottosegretario alle Politiche comunitarie, e Giorgio Tonini, vicepresidente dei senatori Pd con una lunga esperienza in commissione Esteri.
Se dovesse optare per un ministro, potrebbe pareggiare «in rosa» affidando la delega alle Pari opportunità , oggi nelle sue mani, a una ministra.
Bontà sua.
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