Ottobre 31st, 2014 Riccardo Fucile
A GENOVA AVEVA PROMESSO DI PARLARE CON I GIORNALISTI SOLO SE AVESSERO VERSATO 2.000 EURO PER GLI ALLUVIONATI: LA RADIO GLI FA IL BONIFICO MA LUI CAMBIA IDEA
Era tutto pronto: i duemila euro chiesti dal leader del Movimento 5 Stelle durante la visita a Genova dopo l’alluvione per concedere un’intervista “dove e quando volete” sono stati raccolti da Radio Capital e versati sul conto di Beppe Grillo.
Anche la data era decisa: questa mattina dalle 8,15 alle 9, negli studi della radio in Via Massena 2, a Milano.
Luca Bottura, conduttore di Lateral, rassegna stampa satirica della radio, aveva raccolto la ‘sfida’ di Grillo, chiedendo agli ascoltatori di contribuire a racimolare con un crowdfunding la cifra richiesta, e lo avrebbe dovuto intervistare, ponendo le domande che gli stessi ascoltatori avevano inviato.
Invece, niente intervista.
“Dato che il Movimento utilizza la Rete per comunicare e si vanta della trasparenza del Web – ha spiegato Bottura -, anche noi abbiamo voluto essere il più trasparenti possibile, usando i social network per comunicare con alcuni esponenti 5 Stelle e tenendoli aggiornati sull’evoluzione della raccolta. Il leader, però, non ci ha mai risposto”.
I duemila euro chiesti da Grillo sono stati raccolti in appena 5 giorni, tanto che Bottura aveva puntato a raggiungere anche un altro obiettivo: “Grillo aveva detto che con 2000 euro sarebbe venuto lui, con 1500 avrebbe mandato Casaleggio: abbiamo provato ad avere entrambi, ma non ci siamo riusciti”.
Stamattina, all’ora dell’appuntamento, il leader 5 Stelle non si è presentato in studio e solo alle 10,14 a Bottura è arrivata una mail con la quale Grillo annunciava la sospensione dell’iniziativa e la restituzione della cifra.
“Ora non ci resta che aspettare che la somma venga accreditata di nuovo sul conto – ha concluso Bottura – Poi, i duemila euro destinati a Genova andranno agli alluvionati del capoluogo ligure, mentre gli 824 euro raccolti in più andranno a Montoggio, il paese della Valle Scrivia maggiormente colpito dall’alluvione, così come deciso dagli ascoltatori attraverso un sondaggio”.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 31st, 2014 Riccardo Fucile
ISOLATO AI BANCHI DEL GOVERNO, RICOSTRUISCE LE MANGANELLATE DANDO RAGIONE A TUTTI
Il ministro senza qualità rimane sempre da solo, ai banchi del governo. 
Sia al Senato, per un’ora, dalle 14 e 45 a un quarto alle sedici. Sia alla Camera, che è già buio, dalle 18 e 30 in poi.
Non ci sono neanche i suoi compagni di partito al governo con lui, Maurizio Lupi e Beatrice Lorenzin. Il ministro della solitudine e dell’imbarazzo. Una scena pietosa.
Anche perchè Angelino Alfano legge la sua striminzita e lacunosa informativa sulle cariche agli operai di Terni in due aule vuote e distratte.
Non c’è manganellata che tenga di fronte al ponte dei Morti che comincia oggi.
Al partito del trolley sì che è concesso di dirigersi senza problemi alla stazione Termini di Roma e partire per un lungo fine settimana.
Alle sei e mezzo della sera, a Montecitorio, sono 98 i deputati su 630 che si accomodano per sentire il titolare del Viminale.
Per Forza Italia, addirittura, sono in due: il capogruppo Renato Brunetta e Laura Ravetto. Un contesto surreale in modo offensivo.
La giravolta di Matteo dopo il caso Shalabayev
A Palazzo Madama, il ministro senza qualità rinuncia alla sua specialità maggiore: scaricare le responsabilità sugli altri.
Come già accaduto con l’incredibile scandalo del sequestro di Alma Shalabayeva, moglie di un dissidente kazako, rapita insieme con la figlioletta ed espulsa dall’Italia.
Altri tempi, allora. Enrico Letta, all’epoca premier, lo difese e si presentò in aula con lui mentre i renziani, che erano minoranza, battevano mani e piedi e chiedevano le dimissioni del ministro. Ma il realismo prende sempre il sopravvento e oggi che Renzi è a Palazzo Chigi, il Pd è costretto a ingoiare manganelli scelbiani e un ministro imbarazzante.
In nome della coalizione. Al Senato, nessun democratico applaude Alfano, il quale se la prende con le “voci” che davano gli operai diretti alla stazione Termini: “Un folto numero di manifestanti, dando vita a un improvviso corteo, si è diretto verso via Solferino e, visto lo sbarramento opposto dalla polizia, ha poi deviato verso altre vie limitrofe che conducono, comunque, in piazza dei Cinquecento e, quindi, alla stazione Termini, rafforzando la preoccupazione che già era stata avvertita, cioè, che volessero dirigersi alla stazione. Al corteo è stato inutilmente intimato l’alt, per cui si è in breve arrivati a un concitato contatto fisico tra manifestanti e polizia”.
Anche i suoi assenti: Lorenzin, Lupi e Quagliariello
Alfano ha poi ringraziato Landini, ha annunciato che ci sarà un “tavolo” per gestire questi “eventi” e ha ricordato che a Roma, mercoledì, c’erano altre manifestazioni, tra cui anche l’incontro di calcio tra i giallorossi e il Cesena.
Un intervento che non toglie e non mette, che solidarizza con tutti, operai e poliziotti.
Insipido. Ma uno dei difetti del ministro senza qualità è quello di essere teatralmente vanitoso. Allarga le braccia per ribadire che da questo governo, che ha già subìto oltre cinquemila manifestazioni, non arriverà mai “l’input” a manganellare.
È convinto di essere un grande leader, come malignano anche i suoi.
Poi si siede e fa il permaloso, girando le spalle a chi lo attacca. Capita al craxiano Barani, che lo critica sulla “trattativa Stato-sindacato”.
Anche i banchi del Nuovo Centrodestra, il partito di Alfano, sono vuoti. Manca Quagliariello, ex ministro e ci sono solo, in ordine sparso, Sacconi, Giovanardi, Formigoni e Schifani.
Sacconi si alza per ribadire il diritto alla circolazione contro la patologia dei cortei. Alfano ha il viso chino. Scrive biglietti e li manda.
Per lui un’altra tragica figuraccia. Un ministro inutile e assente: il già citato caso Shalabayeva, la fuga di Marcello Dell’Utri per evitare il carcere, le cariche della polizia dieci giorni fa a Torino, contro gli operai Fiom.
“Il manganellaio matto” e lo show di Brunetta
Tre ore più tardi, alla Camera, Alfano ripete l’informativa e sono due interventi a centrare le omissioni di un ministro improbabile.
Il primo è quello del grillino Davide Tripiedi, che si scaglia contro il “manganellaio matto” del Viminale, cui manca solo “l’olio di ricino”.
Dice: “È impensabile avere un ministro di destra in un governo di pseudosinistra”.
Il secondo è Nicola Fratoianni di Sel, che ironizza pure, con amarezza, sulle gag di Crozza imitatore di Landini: “Le manganellate sono più vecchie dei gettoni”.
Dice Fratoianni: “Non abbiamo capito il perchè. Lei non ce l’ha detto. Vorremmo sapere chi ha sbagliato”.
Per quel che vale, la sorpresa di questa giornata solitaria di Alfano è la difesa che arriva da Forza Italia, più decisa di quella del Pd.
Al Senato, tocca a Francesco Giro, che fa infuriare Gasparri. Alla Camera a Renato Brunetta che accusa di “fascismo implicito” e “atteggiamento filomafioso” il Movimento 5 Stelle e scatena una gazzarra in cui la Boldrini sbanda come al solito.
Poi si finisce con Cicchitto di Ncd che fa un rimprovero al suo compagno di partito Alfano: “Io, Landini non lo avrei ringraziato”.
Sempre più surreale.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 31st, 2014 Riccardo Fucile
“E’ VERO CHE ABBASSO’ L’IRPEF DI UN PUNTO: IL COMUNE PERSE 9 MILIONI MA METTEMMO 80 MILIONI IN PIU’ DI IMU”
Il braccio di ferro con i sindacati, il denigrare i critici, la distanza tra parole e fatti: il modus renziano per qualcuno non è una novità . “L’abbiamo già visto a Firenze”.
A ricordare gli anni da primo cittadino dell’oggi premier è Claudio Fantoni, ex assessore al bilancio di Palazzo Vecchio fino al 2012, quando lasciò l’incarico “perchè era evidente che il sindaco usava la città come laboratorio per il suo di futuro”.
Fantoni è, assieme a Pier Luigi Vigna, l’unico ad aver abbandonato il carro del vincitore nel momento in cui c’era la corsa a salirci.
Dopo due anni ha scelto di rompere il silenzio perchè è “preoccupato, posso parlare da cittadino”.
Per cosa?
Chi lavora con Renzi non può non riconoscerne le straordinarie capacità . Ciò che mi preoccupa è capire per cosa vengono impiegate. Se su tutto prevale il consenso, ci troviamo in una campagna elettorale permanente. Credo che il Paese abbia bisogno d’altro. Le faccio un esempio: Renzi si è sempre vantato di aver ridotto di un punto percentuale l’addizionale Irpef, è vero: firmai io il bilancio. La mossa portò 9 milioni in meno nelle casse del Comune e mettemmo 80 milioni di euro in più di Imu. Non si può certo lasciare intendere che abbassammo la pressione fiscale. Credo che i cittadini abbiano bisogno e diritto alla chiarezza.
Quindi gli 80 euro ai redditi bassi e quelli a sostegno dei neonati del 2015 porteranno nuove tasse?
C’è differenza tra carità e interventi strutturali. Il punto è capire se queste misure sono espansive o dispersive. Il bonus bebè, ad esempio, funziona comunicativamente ma è tutt’altro che una riforma. La priorità non è vincere le elezioni è mettere in sicurezza l’Italia, farla riprendere e funzionare. Non abbandonare la fascia più debole della popolazione. Possibile che la parola ‘povertà ‘ sia sparita? Capisco che occorra infondere ottimismo ma così si finisce per replicare quel signore che parlava di ristoranti e voli sempre pieni.
Da sindaco non dispensava annunci ottimistici?
Sì, appunto: nessuno è andato a controllare. I 100 punti delle primarie, i 100 progetti: pochi si sono tradotti in realtà . Anche in questo Firenze è stato solo un laboratorio.
In cos’altro?
In tutto. Le ostilità con la Cgil erano già aperte. Come l’auspicio di una scissione nel Pd in favore di un’alleanza con la destra. O l’idea di un Pd liquido, al punto da assomigliare molto ad un comitato elettorale personale, non è una novità . Come non lo è il fatto che noi non stiamo semplicemente conquistando gli elettori di centrodestra, cosa sacrosanta, noi stiamo portando il Pd in quel campo che è cosa assai diversa.
Ora è troppo tardi?
Mi pare che ormai ci abbia proprio piantato la tenda, dall’altra parte.
Lei è stato, fra l’altro, responsabile cultura del Pd: è ancora iscritto?
Non ho ancora rinnovato la tessera, mi sono preso qualche settimana di tempo per capire con chi è in che modo posso condividere l’idea di una partito che ponga al primo posto i contenuti. Il contenitore è importante ma non si giura fedeltà a quello. Voglio capire se permane ed è possibile uno spazio di democrazia interna effettivo oppure no. Se l’uguaglianza è al centro della nostra iniziativa. Se chi critica e ha un’idea diversa lo si denigra chiamandolo ‘gufo’ o se ci si ragiona e si risponde nel merito. Se ai partiti e ai sindacati gli si chiede di migliorare o se li si vuole neutralizzare per non avere impicci.
E nel partito della nazione si ritroverebbe?
Condivido la vocazione maggioritaria, ma non vorrei che questa si trasformasse in una pseudo vocazione totalitaria. Non condivido per nulla la propensione a ricercare e a proporsi come uomini della provvidenza. Il messianismo in politica ha sempre portato male. L’idea dell’uomo solo al comando non funziona. Ci vuole una squadra e non basta dire noi, bisogna esserlo. Ho l’impressione, invece, che quando Renzi usa il ‘noi’ sia un plurale maiestatis, una sorta di ipertrofia del singolare. Lui sa che le parole sono importanti, detta l’agenda, regala nuovi titoli e molto finisce presto dimenticato. Prendiamo l’articolo 18: pochi mesi fa disse che non era il problema, ora è diventato l’unico ostacolo all’economia. Delle due l’una: mentiva prima o mente ora? E perchè?
Secondo lei perchè?
Non saprei. Io so solo che l’ho visto all’azione. Come ho detto: l’uomo solo al comando. Guardi i membri del governo: ci sono ministri inesistenti, se non si fa mente locale alcuni neanche ce li ricordiamo : Alfano, Lupi, Madia. C’è solo Renzi.
Sono giorni caldi.
Quello che è successo ieri in piazza con gli operai è gravissimo. Un uomo che perde il lavoro deve andare incontro alla solidarietà non alle manganellate. Vanno velocemente individuate le responsabilità . Per quanto riguarda la Picierno credo si commenti davvero da sola. Accusare Susanna Camusso di avere vinto con le tessere false è fuori luogo ed anche imbarazzante. Vorrei sommessamente ricordare che un po’ di caos lo abbiamo avuto noi nel Pd con le tessere delle primarie 2013. Io starei quantomeno più attento. Dopodichè su Serra dico che ciò che ha detto è semplicemente inaccettabile.
Renzi è intervenuto dicendo che alla Leopolda ciascuno può esprimersi liberamente.
Serra è stato invitato e ha coordinato uno dei tavoli della Leopolda, non passava di lì per caso. Ha fatto dichiarazioni sul diritto di sciopero che nemmeno la destra solitamente si concede e contestualmente ha annunciato che si iscriverà al Pd a Londra. Io penso che il segretario avrebbe dovuto dire che a uno con le opinioni di Serra la tessera del Pd non sarà concessa.
Renzi non ha tempo da perdere: vuole rinnovare il Paese.
Su questo sono d’accordo. Non c’è tempo da perdere. Come non c’è spazio per una conflittualità pretestuosa. La crisi c’è davvero. Ciò che non vorrei è che finissimo per mettere in campo l’hard love, quello che la destra repubblicana americana evoca per giustificare che ai più deboli non si dà una mano. Quello per cui, con la scusa di premiare il merito si dice che uno si deve arrangiare da solo, così da dare il meglio di sè stesso. È giusto che ciascuno cammini con le proprie gambe ma è altrettanto vero che non si parte tutti dallo stesso punto. Se un partito di sinistra non si occupa primariamente di questi tradisce se stessa.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 31st, 2014 Riccardo Fucile
SI CHIAMERA’ “LEGA DEI POPOLI CON SALVINI”, MARONI CONTRARIO…TRA I NOMI NOTI SILVANO MOFFA, SOUAD SBAI, BARBARA MANNUCCI, ENRICO CAVALLARI, MARCO POMARICI
Guai a chiamarla “Lega sud”. Gli interessati bloccano subito l’incauto autore della semplificazione: “Si
parla di un progetto che va verso la Lega dei popoli, non si chiama Lega Sud”.
Nei fatti, però, di un Carroccio in salsa meridionale si tratta.
Lanciato una settimana fa da Matteo Salvini, il contenitore che dovrebbe raccogliere le istanze leghiste nel Meridione d’Italia.
Sono il senatore Raffaele Volpi e il deputato Angelo Attaguile le menti dell’operazione. “Dopo l’elezione a segretario Salvini mi ha chiamato e mi ha proposto questa sfida, ho subito accettato, la politica è la mia malattia”, spiega Volpi, per nove anni responsabile degli Enti locali della Lega lombarda.
Un’operosità sfociata nell’annuncio del segretario, e in una girandola di riunioni (l’ultima appena ieri negli uffici di Palazzo Madama), che porterà fra una decina di giorni alla presentazione di un simbolo (“Lega dei Popoli con Matteo Salvini”, dovrebbe essere la dicitura) e di un progetto compiuto.
“Lunedì andremo a parlare con una serie di professionisti a Napoli, abbiamo stabilito un dialogo proficuo con gli autonomisti sardi e siculi, con tantissime associazioni territoriali, con Fare Ambiente e il professor Vincenzo Pepe”, spiega Attaguile, già uomo di Raffaele Lombardo, transitato dall’Mpa al Pdl e quindi alla Lega.
L’idea è quella di non imbarcare “i vecchi politicanti”, come li definisce Volpi. Dunque nessun contatto con le diaspore del centrodestra rappresentate, per esempio, da Adriana Poli Bortone in Puglia e Gianfranco Miccichè in Sicilia.
Sì invece “al dialogo con gli uomini di Francesco Storace, con quelli di Fratelli d’Italia e con i tanti delusi da Forza Italia”, rilancia Attaguile. Che rivela che “stiamo dialogando anche con il Movimento dei Forconi. Questo non vuol dire che devono aderire o che li inglobiamo, ma vogliamo capire le loro esigenze e le problematiche che rappresentano”.
Un progetto a macchia di leopardo, attento alle realtà e alle specificità del territorio.
Che ha fatto storcere il naso a Roberto Maroni: “Bisogna stare attenti a quelli che saltano a bordo e che poi si rivelano più una zavorra che una risorsa. Sappiamo della necessità di organizzare il partito al sud ma anche di evitare che sia condizionato da personale politico non adeguato”.
Insomma: occhi all’assalto di frange discutibili oggi al di fuori dai partiti ma, soprattutto, di ex democristiani che potrebbero macchiare la reputazione del purismo leghista.
Una resistenza interna che Salvini (e Volpi e Attaguile) tiene da conto ma che è deciso a superare. Per questo c’è molta cautela nel far filtrare nomi e realtà dei primi aderenti.
Oltre a Fare Ambiente – 60mila iscritti si legge sul loro sito – e ai Forconi, sulla barca del Carroccio del
Sud sono saliti finiani d’annata come Silvano Moffa e Souad Sbai, ex berlusconiani come la dimenticata enfant prodige Barbara Mannucci, l’ex assessore di Gianni Alemanno Enrico Cavallari e il consigliere capitolino Marco Pomarici, in uscita dal Nuovo centrodestra con una decina di consiglieri municipali.
Proprio a Roma, con un centrodestra in ginocchio, la Lega dei popoli sta dimostrando una vitalità inaspettata: “Sulla città puntiamo all’8%”, spiega una fonte della Capitale. Ma anche in Sicilia, versante orientale (Attaguile è una celebrità a Catania), in Calabria e nel Salento si segnalano smottamenti importanti dai partiti a destra del Pd.
“I sondaggi ci danno al 5% al Sud e al 3% sul piano nazionale – rivela Volpi – Ma stiamo parlando di un progetto che sul piano comunicativo ancora non è stato pienamente divulgato, le aspettative sono anche più alte”.
I leghisti del Meridione lasceranno da parte il cotè autonomista di cui si fanno latori i cugini nordici.
Saranno cinque i cavalli di battaglia della nascitura formazione: immigrazione, sicurezza, lavoro, famiglia e euroscetticismo. Temi di facile attecchimento, che sortiscono un certo appeal in quella larga fetta dell’elettorato di destra orfano della strabordante presenza di Silvio Berlusconi.
Volpi tiene a marcare la peculiarità del progetto: “Non siamo strapuntini della Lega Nord”. E boccia la candidatura del collega in camicia verde Marco Marcolin, candidatosi a sorpresa sindaco di Agrigento: “È una sua scelta personale, lui va lì in vacanza. Certo, anche io vado in vacanza a Forte dei Marmi, ma non mi candiderei mai a sindaco. Per Agrigento, insieme ad Attaguile, stiamo mettendo in piedi robusti contatti, che dovrebbero portare ad una candidatura forte e condivisa”.
I margini di movimento ci sono tutti, “l’architettura complessiva è già pronta e spendibile”.
Nel mirino le elezioni amministrative del prossimo anno. Primo banco di prova per capire se la Lega dei popoli avrà , come si augurano i promotori, “un respiro di lungo termine” o se è destinata ad abortire.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 31st, 2014 Riccardo Fucile
RIUNIONE DI CORRENTE TRA TOSI E I CONSIGLIERI LUMBARD: MARONI TIRA LE FILA
Il partito guidato da Matteo Salvini, oggi come oggi, riscuoterebbe alle urne l’8,4% (sempre molto al di
sotto del 12% cui era accreditata a suo tempo la Lega di Bossi, quindi nessun miracolo), eppure in casa Lega si profilano nuove sfide e nuovi equilibri, sempre più chiari dopo l’appuntamento privato di ieri tra Tosi e i consiglieri della lista Maroni.
Un appuntamento ristretto convocato dal capogruppo Bruno Galli e annunciato in email con allegato un articolo del giornale online neoliberista lintraprendente.it in cui veniva citata una frase del presidente lombardo Bobo Maroni: “La spinta di Tosi è fondamentale per guidare il centrodestra, con la componente civica che è decisiva. Lo dico da leghista che ha sempre vissuto nel partito. Ci saranno resistenze enormi, ma ce la faremo. C’è molto da fare per rilanciare il centrodestra, ma noi sappiamo che Tosi ce la può fare”.
Apparentemente nulla di strano se non che gli unici a non essere informati sono stati i consiglieri regionali leghisti e, se non indirettamente, lo stesso segretario federale. Una fronda o per meglio dire una riunione di corrente come ai tempi della Democrazia Cristiana.
È per questo che Maroni dopo aver confermato la sua presenza, si è defilato all’ultimo momento. Troppo rischioso farsi vedere (Milano non è Pordenone dove aveva inaugurato una decina di giorni fa uno dei circoli tosiani), meglio mandare avanti i suoi uomini.
In questa sede i maroniani hanno confermato la fiducia in Tosi — che sebbene se lo dimentichi spesso è anche segretario della Liga Veneta — e dato l’ok per appoggiarlo in una eventuale candidatura per la leadership del centrodestra.
Come? Innanzitutto creando in Lombardia i “fari”, circoli di sostegno al sindaco scaligero, già presenti in Veneto, Friuli ed Emilia Romagna.
Una sorta di Lega parallela a quella di Salvini.
Se dalla sede del Carroccio serpeggia il malumore, il governatore lombardo, pur tra qualche tentennamento, ha deciso di ricoprire il ruolo di frondista. E Tosi da parte sua non è nuovo a comportamenti in contrasto con la segreteria federale, prima con Bossi e poi con Salvini.
Contro quest’ultimo si è esposto a Bologna per la formazione della lista per le regionali, perorando la causa del consigliere uscente (e dimissionario dalla Lega) Manes Bernardini, escluso per volontà dello stesso Salvini.
Per non parlare delle sue posizioni critiche nei confronti dell’antieurismo e della svolta per così dire lepenista del Carroccio.
In compenso i leghisti non gli perdonano la sua vicinanza al neopartito di Corrado Passera e un certo camaleontismo che lo porta di volta in volta a dipingersi come sbandieratore del tricolore, indipendentista veneto, ammiratore delle politiche di austerità in Grecia, ecc.
Poco leghista e molto democristiano, secondo i sostenitori di Salvini.
Tornando a Maroni, genera stupore vederlo nel ruolo di frondista.
L’attuale segretario non esclude in nessun modo di poter essere lui il futuro leader del centrodestra, magari transitando prima nelle vesti di sindaco di Milano.
Se Maroni scende in campo per Tosi è sintomo che qualcosa non va nel Carroccio. Di certo la decisione di Salvini di creare una segreteria politica da anteporre alla segreteria federale, di cui sia Maroni sia Tosi ne fanno parte, ha inciso in questa decisione.
E anche una certa tiepidezza con cui Salvini commenta l’amministrazione lombarda, criticata per mancanza di iniziativa e scarsa comunicazione ai cittadini.
Un tentativo di controbilanciare il potere crescente di Salvini che cerca di ridimensionare la vecchia guardia maroniana dopo aver eliminato i bossiani.
Di certo per Salvini si apre un autunno “caldo” sia per la necessità di gestire i rapporti con l’alleato forzista – Maria Stella Gelmini parla chiaramente di “ingratitudine leghista perchè ci chiedono di sostenere alle amministrative i loro candidati ma poi eccepiscono sui nostri” – sia per capire quanto gli ammiccamenti di Beppe Grillo sul tema dell’euro e dell’immigrazione possano essere reali e vantaggiosi.
Perchè è chiaro che il segretario leghista punta a portarsi a casa gli elettori ma non i partiti, guardando sia a destra sia tra i delusi della politica, i “casualmente grillini “ che votano il comico genovese ma potrebbero tranquillamente girarsi o per meglio dire rigirarsi a destra.
Se Grillo è il primo ad aver fiutato la trappola rifiutandosi di incontrare Salvini, ad Arcore Berlusconi coltiva ancora l’idea di poter contare sulla Lega Nord augurandosi che il “alle politiche da soli” di Salvini sia solo un messaggio propagandistico.
Ma i dirigenti di Forza Italia, quelli che hanno a che fare coi territori, hanno già compreso che il Carroccio vuole svuotare gli alleati e garantirsi la premiership così come accaduto a Padova con il sindaco Bitonci che ha vinto grazie soprattutto a una lista civica che ha cannibalizzato gli alleati.
Ma sicuramente la sfida più impegnativa per Salvini resta quella del bilancio del partito. Se la cassa integrazione resta l’unica soluzione per i 70 dipendenti della storica sede di via Bellerio, il problema più grosso resta quello dell’autofinanziamento e in generale della sopravvivenza del Carroccio.
Richiesto un supplemento di contributo a tutti gli eletti, Salvini sa bene che lo spin off del sud, la neonata Lega dei Popoli, ha bisogno di un aiuto finanziario per partire.
Una bella macchina da guerra elettorale, quella del Carroccio, che però rischia di fermarsi per mancanza di carburante.
Marzio Brusini
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 31st, 2014 Riccardo Fucile
PRIMA COSTRINGE RENZI A TRATTARE SU TERNI E INCASSA 400 LICENZIATI IN MENO, POI GLI DICHIARA LO SCIOPERO GENERALE
Da 550 a 150 esuberi, su queste basi si riapre la trattativa e, quindi la speranza, per i lavoratori dell’Acciai speciali Terni.
Ma le aperture su Ast non sono bastate alla Fiom che ha proclamato 8 ore di sciopero generale a novembre contro il Jobs Act, in preparazione di quello di tutte le categorie che la Cgil – ha anticipato il leader Maurizio Landini, rubando un po’ la ‘scena’ – deciderà nel direttivo del 12 novembre.
Dalla Cei, intanto, arriva un’esortazione: quella degli operai “è una voce da prendere con tanta serietà “, ha raccomandato il presidente cardinale Angelo Bagnasco.
Durante l’incontro che si è tenuto a Palazzo Chigi il Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi ha riferito ai sindacati che Ast si è detta disponibile a “irrobustire” il piano industriale per scendere dai 550 esuberi previsti inizialmente a “massimo” 290, di cui 140-150 hanno già accettato la mobilità volontaria.
“Restano 140-150 unità “, ha detto il Ministro.
La riduzione degli esuberi passa per la garanzia di mantenimento dei due forni e di volumi produttivi di almeno un milione di tonnellate di acciaio all’anno.
Su queste basi i sindacati si sono detti disponibili a riaprire il tavolo che è stato convocato dal ministro giovedì 6 novembre in cui si tenterà di ridurre ancora il numero e si negozierà sugli integrativi aziendali.
A far calare gli esuberi sono anche i circa 10 milioni che Ast risparmierà con gli strumenti per ridurre il costo dell’energia e altri 4/5 legati al taglio dell’Irap previsto in legge di stabilità .
A smuovere la trattativa c’è stato anche l’impegno a pagare gli stipendi entro 4/5 giorni che, unito al ripristino dei turni, potrebbe portare al rientro dello sciopero cominciato una settimana fa.
Al termine dell’incontro i sindacati sono apparsi ottimisti ma hanno tutti posto la condizione di vedere un piano dell’azienda.
“L’azienda confermi il nuovo piano industriale e di investimenti e tolga dal tavolo quello che ci ha diviso fino ad oggi” ha chiesto Landini.
“Prendiamo atto della disponibilità ma vogliamo avere un riscontro e vedere il piano modificato in questo senso”, ha detto il segretario nazionale Uilm, Mario Ghini, mentre per il segretario generale della Fim-Cisl, Giuseppe Farina, “se nel tavolo verranno confermate le positive anticipazioni ci sono tutte le condizioni per consentire la ripresa e la positiva conclusione della trattativa”.
Il comitato centrale della Fiom ha poi proclamato 8 ore di sciopero generale “a sostegno e in preparazione dello sciopero generale di tutte le categorie, per contrastare le misure contenute nel ‘jobs act’ e per rivendicare scelte diverse di politica economica e industriale, che la Cgil deciderà nel proprio direttivo già convocato il prossimo 12 novembre”.
Lo sciopero sarà articolato in “almeno due grandi manifestazioni nazionali da svolgersi indicativamente il 14 novembre a Milano e il 21 novembre a Napoli”.
La Fiom ha anche chiesto mobilitazioni sul territorio per rispondere ai “gravi fatti” avvenuti ieri durante la manifestazioni Ast.
Un invito che è già stato recepito con gli annunci di sciopero che arrivano dalla Liguria e la Toscana.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 30th, 2014 Riccardo Fucile
ACCADRA’ IL 3 NOVEMBRE ALLA PALAZZOLO DI BRESCIA… LA FIOM: “LA GIORNATA POTEVANO PAGARLA LORO. RENZI ASCOLTI ANCHE I LAVORATORI”
Arriva Matteo Renzi. E gli operai restano a casa, tutti in ferie forzate per un giorno. 
La visita del presidente del Consiglio lunedì 3 novembre a Brescia, all’assemblea generale dell’Aib (l’Associazione industriale bresciana) ospitata nello stabilimento della Palazzoli Spa, apre un nuovo fronte del conflitto tra Renzi e i sindacati.
Perchè quel giorno gli operai della Palazzoli, azienda alla periferia nord di Brescia che si è offerta di ospitare il congresso dell’Aib, non lavoreranno.
La dirigenza della fabbrica — specializzata in impianti elettrici industriali — ha deciso di sospendere la produzione per un giorno.
“Uno stop legato a necessità logistiche e di sicurezza che derivano proprio dalla presenza del presidente del Consiglio, che avrebbe chiesto espressamente agli industriali di organizzare la loro assemblea in una fabbrica”, spiega a Ilfattoquotidiano.it Luigi Moretti, amministratore delegato della Palazzoli. Ma la giornata di ferie non sarà a carico dell’azienda bensì dei lavoratori, che hanno dovuto prendere una giornata di “ferie collettive”, conteggiata alla fine del mese nel loro monte ore.
Una decisione che ha fatto infuriare la Fiom Cgil, in questi giorni di tensione dopo le cariche della polizia sotto all’ambasciata tedesca nel corso della vertenza Ast-ThyssenKrupp: “Fermano la fabbrica per un giorno — sostiene il segretario della Fiom di Brescia, Francesco Bertoli — perchè il rumore della produzione non permetterebbe di sentire i discorsi degli industriali. Ma visto che Renzi è ospite dell’azienda e non dei lavoratori, la giornata potevano pagarla loro”.
L’ad della Palazzoli Spa conferma quanto denunciato dai sindacati: “Abbiamo fatto ferie collettive. Altrimenti non potremmo ricevere quella quantità di persone nello stabilimento, come è desiderio del presidente Renzi”.
E i lavoratori cosa ne pensano? “Son tutti d’accordo — prosegue Moretti — chi dei dipendenti vuole partecipare è invitato. È uno dei loro giorni di ferie, e lo fanno nel periodo dei morti, quindi gli va anche bene”.
La decisione però non è stata presa con le rappresentanze sindacali interne, scadute da qualche tempo, mentre le nuove Rsu non sono state ancora elette. Anzi, la Fiom bresciana denuncia che la Palazzoli non consente di svolgere assemblee retribuite.
All’assemblea degli industriali bresciani sarebbe dovuto intervenire, in origine, l’ad di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne.
A tirare le fila del congresso sarà invece Renzi, cui sono state affidate le conclusioni: “La parte pubblica dell’assise — si legge sul sito dell’Aib — si aprirà alle 10 con l’intervento del presidente di Aib, Marco Bonometti, cui seguirà quello del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. Chiuderà i lavori il presidente del Consiglio, Matteo Renzi”.
Renzi era già stato a Brescia lo scorso 6 settembre all’inaugurazione del nuovo stabilimento delle rubinetterie Bonomi di Gussago.
Anche in quel caso si trattava di un’azienda — di proprietà di Aldo Bonomi, ex vicepresidente di Confindustria tra i protagonisti della Leopolda — in cui da tempo non è più presente la Fiom Cgil.
I metalmeccanici, per la visita di Renzi a Brescia, hanno organizzato un corteo e un presidio davanti alla fabbrica.
Il segretario locale della Fiom ha anche scritto una lettera aperta al presidente del Consiglio, chiedendogli di incontrare pure i lavoratori: “Mi preme informarla che la Palazzoli non consente alla Fiom Cgil di svolgere le assemblee retribuite all’interno dello stabilimento oramai da qualche anno. Le chiediamo che il 3 novembre incontri e senta anche i lavoratori che hanno titolo per esprimerle le loro opinioni”.
Per ora, da Palazzo Chigi, nessuna risposta.
Andrea Tornago
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 30th, 2014 Riccardo Fucile
BANCHI DEL GOVERNO DESERTI, IMBARAZZO DEL PD…E LA RICOSTRUZIONE DELLE MANGANELLATE NON CONVINCE NESSUNO
Il vuoto attorno, nei banchi del governo. Quando Angelino Alfano prende la parola alle 14,45 a palazzo Madama, è solo. E solo resta alla Camera qualche ora dopo. Assenti anche i ministri del suo partito, Beatrice Lorenzin e Maurizio Lupi.
Ministri che, invece, al tempo del governo Letta non lasciarono sola Nunzia De Girolamo, quando riferì sull’affaire della Asl di Benevento.
“Non ho nessuna esitazione nel dichiarare che quello di ieri è stato un brutto giorno per tutti” scandisce nel gelo il titolare del Viminale. Nervoso, si gira da un lato all’altro dell’emiciclo, quasi a cercare una solidarietà . Davanti c’è parecchio vuoto.
A occhio è assente mezzo Senato. Pallottoliere alla mano, alla Camera ci sono cento parlamentari. Di cui 11 del suo partito, due soli di Forza Italia (di cui uno Brunetta, il capogruppo), e 40 del Pd.
È in questo clima surreale che va in scena il Nazareno dei manganelli.
Il ministro non indica i responsabili delle botte in piazza, non identifica l’errore: “E’ lontana anni luce da noi — dice — l’idea di manganellare gli operai, così come penso sia lontana dagli operai la volontà di scaricare tensioni occupazionali sulla polizia”. Poi ringrazia Landini, promette un tavolo “permanente di confronto al Viminale con i sindacati per gestire al meglio le manifestazioni”.
Un discorso che gli vale l’assoluzione.
Francesco Giro, che parla per conto di Forza Italia, dopo aver difeso le forze dell’ordine, si dimentica che sulla carta il suo partito è all’opposizione: “Signor ministro — dice — noi non le faremo mancare il nostro sostegno”.
Imbarazzato, il Pd difende la ragion di governo. Ma in chiaroscuro il disagio è tangibile.
Come nell’intervento di Emanuele Fiano: “Ci sono cose che in un paese democratico non devono accadere, punto. Ciò che è accaduto ieri, le manganellate agli operai, i feriti e gli scontri, non deve più accadere, non può più accadere, punto”.
Già , punto. Quel mai più riguarda la piazza.
Ma anche gli errori di Alfano, la cui gestione degli Interni è vissuta come imbarazzante.
In Transatlantico, Dario Ginefra a domanda risponde così: “Il ministro dell’Interno? Quale? C’è forse un ministro dell’Interno al Viminale?”.
Ecco, solo la ragion di governo tiene a bada il malessere. Ma la ricostruzione fornita sulle manganellate non convince nessuno: “Chiediamo certezza di applicazione delle direttive e delle regole d’ingaggio” prosegue Fiano.
Senatori distratti, nel corso del dibattito. Schifani parla fitto fitto con Sacconi. Gasparri con Giovanardi.
Il volto di Maurizio Migliavacca, in piedi nella fila più in alto, è il miglior commento. Plumbeo. La mozione di Sel ha l’effetto di innervosire anche di più la “sinistra del Pd”. Perchè, dicono, “il problema è che Renzi non sta dicendo nulla, mica per togliere Alfano si può far cedere il governo”.
In parecchi ricordano che ai tempi del caso kazako e della Cancellieri, a parti invertite, Renzi sparò raffiche con l’obiettivo di terremotare il governo. Ora invece tiene un atteggiamento defilato.
Alla Camera pure Brunetta fa un intervento poco da opposizione. Tralascia Alfano e si scaglia contro i Cinque Stelle “Mi vergogno per il loro fascismo implicito che è nel loro dna, per la loro ignoranza, per l’atteggiamento filomafioso del loro capo”.
Nel clima surreale accade che mentre il Nazareno lo assolve, è nell’ambito del suo stesso partito che il ministro dell’Interno riceve qualche critica: “Solidarietà piena al ministro Alfano — dice Fabrizio Cicchitto – ma io non me la sento di ringraziare Landini…”.
Dettagli di Palazzo.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 30th, 2014 Riccardo Fucile
LA PREVISIONE DI SPESA DALLA DA 2,9 A 7 MILIARDI… ESPOSITO: “ALLORA FERMIAMO I LAVORI, LUPI SPIEGHI”
Costi impazziti per il tunnel della Torino- Lione. 
In una manciata di anni la spesa prevista per l’Italia è passata da 2,9 miliardi a 7,7 miliardi.
A spanne è il 165 per cento in più. Fino a ieri nei documenti del governo la cifra è sempre stata sotto i 3 miliardi, come è indicato nel progetto definitivo della Tav all’esame del Cipe.
A scoprire l’impennata dei costi è stato il vicepresidente della Commissione Trasporti di Palazzo Madama, Stefano Esposito (Pd), che ha chiesto un’audizione urgente dei vertici di Ferrovie e del ministro alle Infrastrutture, Maurizio Lupi.
«Se le cifre sono queste io chiedo al governo di sospendere i lavori, rinunciare all’opera e pagare le penali alla Francia», dice Esposito, da sempre in prima linea a favore della Torino-Lione, posizione che gli è costata minacce di morte.
L’11 novembre i dirigenti di Rfi verranno ascoltati dalla commissione e dovranno spiegare perchè nel contratto di programma firmato ad agosto con il ministero e inserito nel decreto «Sblocca-Italia » il costo della Tav è cresciuto in questo modo.
Alla base dell’aumento ci sarebbe un “tasso di inflazione”, composto anche da oneri finanziari e imprevisti, del 3,5 per cento che l’Italia ha deciso di applicare all’opera.
In Francia è dello 0,07, cinquanta volte meno.
Non solo. Nella stima non sarebbe conteggiato il contributo dell’Unione Europea che è già fissato al 30 per cento e che potrebbe salire al 40.
Una decisione che Italia e Francia danno per scontate e che più volte è stata ventilata da Bruxelles, ma che sarà presa a fine febbraio.
«Siamo all’assurdo – aggiunge Esposito – il 3,5 per cento è un tasso da usura. La Bei presta i soldi agli Stati allo 0,5 per cento. Vorrei capire cosa si nasconde dietro queste cifre. Le Ferrovie lavorano a favore o contro l’alta velocità ?».
L’Italia ha scelto di conteggiare il prezzo della costruzione della galleria di 52 chilometri a opera terminata con un tasso fissato nel 2010 quando «il contesto macroeconomico prevedeva una forte crescita dei prezzi di petrolio, elettricità e macchinari, che invece non si è verificata e quindi i costi non aumenteranno», sostiene Ltf, la società italo-francese responsabile della realizzazione del tunnel.
Insomma, non si è tenuto conto della crisi e dei prezzi di mercato in calo.
In Francia, ad esempio, la gara per l’ultima discenderia, quella di Saint Martin la Porte, è stata assegnata con un ribasso del 30 per cento.
«Quelle italiane sono cifre opache. È in range così ampli che può annidarsi la corruzione», aggiunge ancora Esposito.
Il ministro Lupi, impegnato negli Emirati Arabi, per ora tace, così come Rfi.
Il commissario di governo, Mario Virano, cerca di buttare acqua sul fuoco: «Non so darmi una spiegazione razionale, si tratta di una sommatoria di negatività che mi auguro siano frutto del caso. Mi sembra una roba tutta fatta da contabili che non tiene conto del contesto economico generale e nemmeno della delicatezza della questione specifica ».
Il balletto di cifre e il polverone che si è scatenato hanno dato il là agli oppositori dell’opera.
Il dissidente Pippo Civati (Pd) e il coordinatore di Sel Nicola Frantoianni rilanciano l’idea di una commissione parlamentare d’inchiesta: «Un’idea che evidentemente non è poi così peregrina – dicono – si abbia il coraggio di sospendere i lavori fino a quando tutti gli aspetti oscuri della Tav non saranno chiariti».
Per il senatore Marco Scibona del Movimento 5 Stelle «quanto accade è la conferma di ciò che i No Tav dicono da anni, la Francia ha sempre confermato la cifra e le tempistiche iniziali, in Italia invece triplicano i costi senza nessun motivo logico».
E il movimento No Tav si compiace della scoperta di Esposito: «Prepara i braccioli in vista della nave che affonda», si legge sul sito No Tav.info.
Il nuovo quadro economico, poi, ha fatto saltare sulla sedia anche l’ex ministro alle Infrastrutture Altero Matteoli (Fi), oggi presidente della commissione Trasporti del Sanato. «È incredibile», dice. E aggiunge: «La costruzione della Torino-Lione non si può affrontare con superficialità ».
Maria Chiara Giacosa e Diego Longhin
(da “La Repubblica”)
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