Novembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
PRIMARIE IN VENETO: ALLE URNE SOLO 35.000 VOTANTI CONTRO I 177.000 DELL’ANNO SCORSO… VA MEGLIO IN PUGLIA DOVE REGGE IL SISTEMA DEI POTENTATI MERIDIONALI
Le primarie del centrosinistra per la carica di governatore in Veneto e Puglia restituiscono al Pd la stessa fotografia delle regionali in Emilia Romagna e Calabria. In Veneto vince la renziana Alessandra Moretti con il 64 per cento, ma su un totale di soli 40mila elettori, ben lontani dai 177mila veneti che solo un anno fa parteciparono alle primarie dell’Immacolata per eleggere il segretario Pd.
In Puglia va meglio: votano in 92mila rispetto ai 123mila delle primarie 2013.
Al sud dunque sembrerebbe prevalere un istinto di conservazione che si traduce in una conferma dei noti ‘caudilli’ della politica locale.
Il Nord invece è già sintonizzato sulla nuova onda di sfiducia verso i partiti: è l’onda che non conserva, bensì travolge, cambia, scioglie le appartenenze.
E viaggia in direzione ostinata e contraria rispetto al ‘cambio verso’ di Matteo Renzi. Con questo ha a che fare il premier, mentre cerca di tessere la sua tela per l’elezione del successore di Giorgio Napolitano al Colle.
E’ il passaggio più cruciale della legislatura, quello più difficile da quando è al governo.
Perchè la sfiducia della base produce sfilacciamento nei partiti rappresentati in Parlamento: nel Pd, come nel M5s e in Forza Italia.
Complicato mettere insieme in pezzi per eleggere un capo dello Stato o magari per proseguire nel cammino delle riforme.
Le regionali hanno indebolito il Patto del Nazareno e ora, ammette Renzi a ‘In mezz’ora’ su Raitre, “Berlusconi non dà più le carte”.
Al premier non è piaciuta affatto l’intervista dell’ex Cavaliere al Corriere della Sera, nella quale Berlusconi chiedeva di posticipare il voto sull’Italicum dopo l’elezione del nuovo capo dello Stato.
In un’intervista a Repubblica oggi, Renzi chiede l’opposto: la legge elettorale prima delle scelte sul Quirinale.
Ma di fatto si tratta di un balletto già concluso a sfavore del premier, il quale a ‘In mezz’ora’ ammette che il suo Italicum non potrà essere approvato dal Senato entro Natale: al massimo si arriverà all’ok della commissione.
Stesso timing per le riforme costituzionali all’esame della Camera. Dopodichè, a gennaio, l’attività politica riprenderà con l’elezione per il Colle.
Il resto finirà in stand-by. Il premier si dice certo che le riforme non ne risulteranno bloccate, ma questo — e il destino della legislatura – dipenderà da come andrà la partita quirinalizia.
E se il Patto del Nazareno non è in salute, il timore è che la minoranza Dem possa costruire un asse con i ‘ribelli’ di Raffaele Fitto sull’elezione del successore di Giorgio Napolitano.
Anche questo ammette il premier: “Altri del Pd parlano con Fitto, persone elette in Puglia in passato…”.
Il riferimento è a Massimo D’Alema, lascia capire Renzi. Si tratta di una riflessione ben matura tra i renziani.
Dal giorno della fronda dei trenta Dem sul Jobs Act, al quartier generale del premier è scattato l’allarme e il sospetto che la stessa fronda possa ripetersi sull’elezione quirinalizia, con agganci dentro Forza Italia per remare contro il Patto del Nazareno.
Di fronte ad una minoranza che evidentemente si è già messa in moto, il premier e i suoi non stanno fermi.
Ufficialmente, la speranza è che Berlusconi vada incontro a Fitto per ricompattare Forza Italia. “Se la deve vedere Berlusconi”, dice una fonte renziana.
Però, proprio perchè “Berlusconi non dà più le carte”, anche il vicesegretario del Pd, il renzianissimo Lorenzo Guerini, ha aperto un ponte di dialogo con Fitto.
Sono le precauzioni da prendere. Naturalmente, il tutto è in una fase di pre-riscaldamento: si entrerà nel vivo, con nomi e candidati, solo dopo le dimissioni di Napolitano che, secondo i calcoli renziani, dovrebbero cadere per la metà di gennaio. A quel punto, scatterebbero i 15 giorni di reggenza della seconda carica dello Stato Piero Grasso.
E febbraio dovrebbe essere il mese dell’elezione del nuovo inquilino del Colle.
A seconda di chi sarà e delle alleanze che scatteranno sulla scelta del successore di Napolitano, si capirà se la legislatura potrà continuare o se, come sostiene Berlusconi, si andrà al voto.
Del resto, il sospetto di un ritorno anticipato alle urne agita anche la minoranza del Pd che potrebbe chiedere lumi anche domani nella direzione nazionale convocata a Nazareno per le 17.30.
I partiti si sfaldano, la fase è incerta, è iniziata la corsa per il Colle e con essa il fuggi fuggi di tutti per conquistare la posizione politica più promettente.
E’ una corsa che non conosce confini di partito, anzi punta a costituire aree trasversali che si possano muovere dietro il voto segreto previsto per l’elezione del presidente. Un terno al lotto per Renzi.
Ma anche il premier cerca di muoversi oltre i confini dell’attuale maggioranza di governo.
E’ per questo che ripone molte aspettative nella diaspora nel M5s. “Quello che sta accadendo dentro i Cinquestelle non credo che resterà senza conseguenze nei prossimi mesi per l’andamento della legislatura”, sono le sue parole.
La speranza è di annettere nuovi numeri alla maggioranza di governo al Senato, dove la prossima settimana sarà approvato il Jobs Act e dove la prima commissione è impegnata nella discussione sulla legge elettorale.
E poi chissà che non ci siano frutti anche sull’elezione del presidente della Repubblica: su questo passaggio, Renzi ha tutto l’interesse a spezzare il filo che potrebbe connettere la minoranza Pd con i grillini nel nome di Romano Prodi.
E’ per questo che già da ora il premier lascia filtrare il suo no a candidati già bocciati dal Parlamento nelle altre elezioni quirinalizie: il professore, appunto.
Ma l’ostacolo più duro resta quell’onda di ‘cambiamento e sfiducia’ che si è messa in azione ‘malgrado Renzi’.
E’ l’onda che marca le distanze da leader e partiti tradizionali e premia solo chi la cavalca: Matteo Salvini e la sua Lega. E non a caso in Veneto sarà il leghista Luca Zaia, attuale governatore, a sfidare ‘ladylike’ Moretti.
Ragion per cui nel Pd renziano non si fanno troppe illusioni sulle regionali in Veneto. E’ la stessa onda che sgretola anche i gruppi già eletti in Parlamento.
Un dato che preoccupa, ammette il premier, pur restando convinto che l’affluenza alle urne sia un problema “secondario”, magari con la segreta speranza che per una volta il nord non anticipi il trend anche per il sud.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
MINORANZA PD: “RENZI STAVOLTA DOVRA’ ASCOLTARCI, CONTIAMO PIU’ DI FITTO”
La minoranza del Pd giocherà la partita del Quirinale di rimessa, aspettando che sia Matteo Renzi a fare la prima mossa, a indicare al partito un nome su cui discutere.
Il coordinamento dei dissidenti continua a vedersi praticamente ogni giorno alle 9 di mattina a Montecitorio.
Ne fanno parte Gianni Cuperlo, Pippo Civati, Stefano Fassina, Francesco Boccia e Alfredo D’Attorre. Tutte le aree sono rappresentate.
Da questo nucleo è nata la rivolta che ha portato alle 30 uscite dall’aula durante la votazione del Jobs Act.
Ma loro giurano di essere molti di più e al momento dell’elezione del presidente della Repubblica il loro peso si farà sentire.
Tra Camera, Senato e delegati regionali contano circa 100 grandi elettori. «Forse 101», scherzano evocando il voto su Romano Prodi che provocò un terremoto nel centrosinistra, un anno e mezzo fa.
Prodi è ancora nei discorsi dei ribelli in questi giorni.
Ancora oggi è il nome che mette d’accordo tutti. Civati in testa. Ma lo appoggiano anche i bersaniani e il lettiano Boccia. Persino Cuperlo non nega una chance al Professore.
Del resto, lui, nella squadra dalemiana, è sempre stato un tifoso dell’ex premier, certamente il meno denigratorio, tanto da immaginare una pace tra D’Alema e Prodi qualche anno fa, attraverso la nomina di quest’ultimo alla presidenza della Fondazione Italianieuropei.
Il percorso di Prodi appare fin d’ora accidentato, reso difficile dalla sua sbandierata indisponibilità e dal veto di Berlusconi.
In più adesso la sponda grillina non è molto sicura vista la tempesta che scuote i 5stelle.
Comunque il coordinamento si prepara anche a un piano B.
Sul profilo di Prodi: ossia autorevolezza assoluta, nome alto, autonomia dai partiti. Perchè il timore è che nel patto del Nazareno si possa realizzare una soluzione al ribasso, con una candidatura debole.
«Il capo dello Stato dev’essere libero e forte. Libero dai condizionamenti delle forze politiche e forte nelle istituzioni», spiega Boccia.
«Va cercato un garante per il Paese, non un garante di Renzi, una specie di stampella del governo», insiste D’Attorre. Naturalmente, secondo la minoranza, questo risultato si ottiene solo ribaltando l’intesa del Nazareno e depotenziando il potere di scelta di Berlusconi.
Per neutralizzare il dissenso interno e i franchi tiratori Renzi però ha bisogno di patto blindato o con Berlusconi o con Grillo.
Dalla quarta votazione basteranno 500 e rotti voti per eleggere il presidente. Se sono veri i 100 della minoranza, è necessario avere la sponda garantita di Forza Italia e dei centristi oppure del comico.
Perchè nemmeno i dissidenti grillini saranno sufficienti. La via d’uscita più semplice è trovare un nome talmente alto da impedire a chiunque di battere ciglio.
Come avvenne ai tempi di Carlo Azeglio Ciampi. Questo nome è unico: Mario Draghi. Berlusconi dovrebbe inchinarsi e la minoranza dem non avrebbe alternative.
Draghi tuttavia è out almeno per il momento. Girano le candidature di Roberta Pinotti e Paolo Gentiloni in cui i dissidenti non riconoscono l’identikit della personalità autorevole e autonoma che invece corrisponde a Walter Veltroni.
Più insidiosa, per l’intero Pd, sarebbe l’indicazione di Dario Franceschini. Il ministro della Cultura, nel toto-Quirinale, è ai margini, «ma non va sottovalutato – dice Boccia – . Può avere i voti di Berlusconi e di tutti i centristi sparsi».
I dissidenti cercano di autonomizzarsi dalla vecchia guardia, eppure non negano che Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema vorranno avere voce in capitolo.
«Esiste una necessità di condivisione, anche con noi. Non cerchiamo una situazione di stallo e la titolarità della proposta spetta a Renzi. Poi però si discute», spiega D’Attorre. Non sarà una discussione semplice, intrecciata com’è con la legge elettorale e la riforma costituzionale, oggi osteggiate dalla minoranza.
Senza contare la prospettiva del voto anticipato. Renzi e i suoi devono ancora trovare l’interlocutore giusto nel fronte dei ribelli.
Per ora regna la massima diffidenza e sospetti nemmeno molto celati a Palazzo Chigi di complotti per far inciampare il premier.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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Novembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
IL CONSULTELLUM, USCITO DALLA SENTENZA DELLA CORTE, NON È PRONTO ALL’USO: MANCANO LE PREFERENZE… E METTERCI LE MANI NON SARà€ PER NULLA FACILE
Se domani mattina si dovesse andare a votare, non si potrebbe fare.
Perchè una legge elettorale “tecnicamente” non esiste.
È praticamente un anno (la sentenza della Corte Costituzionale che bocciò il Porcellum è del 3 dicembre 2013) che la politica e tutto quello che ci gira attorno, ragiona sul fatto che se anche il Parlamento non trovasse un accordo sul nuovo sistema di voto, sarebbe in vigore quello uscito dalla Consulta. Appunto, il Consultellum.
Ma non è così vero. Nella sentenza pubblicata il 13 gennaio 2014, per quanto riguarda le preferenze, si legge: “Eventuali apparenti inconvenienti possono essere risolti mediante l’impiego degli ordinari criteri d’interpretazione o rimossi anche mediante interventi normativi secondari, meramente tecnici ed applicativi (…)”, “in linea con quanto risulta dal referendum del 1991”.
Ovvero introducendo la preferenza unica. Cosa che non è così automatica.
Con quale strumento si dovrebbe fare? Un regolamento, un decreto, una leggina? Dibattito aperto, problemi garantiti. E poi, la preferenza unica apre ad altre questioni. Tipo: e la parità di genere?
Cavilli, ostacoli, atti normativi da compiere che mettono l’accento su un vuoto piuttosto inquietante.
In un Paese in cui il presidente della Repubblica è quasi dimissionario, il Parlamento semi-commissariato, i partiti in disfacimento e il governo sulla strada della palude, pure votare per ora non si può.
E l’Italicum al momento è praticamente impantanato in Senato, con un accordo politico che non c’è.
E discussioni infinite di costituzionalisti che discettano se si potrebbe eventualmente votare a Montecitorio con l’Italicum promesso e al Senato con il Consultellum (come affermano da Palazzo Chigi).
O se serve una clausola di salvaguardia, secondo la quale, invece, il nuovo sistema di voto entrerebbe in vigore solo a Palazzo Madama abolito.
O ancora, se si deve fare una norma transitoria per estendere l’Italicum fino alla Camera Alta, finchè dura.
Roba da far girare la testa. Anche perchè tutti tirano l’acqua al proprio mulino. Politico. L’Italicum ormai lo vuole solo Renzi, il Consultellum, in fondo, va bene a tutti gli altri. Si avrebbe la rivincita dei piccoli. E non solo.
“Quanto vale il simbolo del Pci se lo ripresentiamo?”, ci si interroga in questi giorni tra i sospetti scissionisti della minoranza dem.
E qui, si torna al punto. Perchè il Consultellum non è pronto all’uso.
Tra i renziani la convinzione diffusa è che basti un regolamento.
Ma diceva ieri Roberto Calderoli a Repubblica: “Le preferenze? Dicono: si inseriscono con un regolamento. Ma se vengono introdotte per via secondaria, si può ricorrere al Tar o al Consiglio di Stato. Che magari emana una sospensiva della legge a elezioni avvenute….”.
Avverte il costituzionalista, Stefano Ceccanti: “Si tratta di motivazioni strumentali. Perchè quello del governo sarebbe un passaggio dovuto, stabilito dalla Corte”.
Ma il tema c’è. Roberto Giachetti (Pd), il vice presidente della Camera, nonchè il principale sponsor del ritorno al voto anche subito, la mette così: “La discussione è in corso. C’è pure chi contesta che ci vuole la doppia preferenza di genere. E le preferenze nel Consultellum si possono introdurre o ex novo con una modifica legislativa, o attraverso un semplice regolamento, o ancora dando mandato al ministero dell’Interno”. Insomma, si parla di un decreto ministeriale, o un decreto delegato.
Giachetti insiste: “Il punto principale, però, è che non può esistere un Paese in cui non si può andare a votare”.
Non potrebbe esistere, ma il fatto che ci si debba comunque impelagare in discussioni, interpretazioni, accordi, significa che però esiste.
Sullo sfondo di questo scenario, resta il fatto che Renzi sa che con il Consultellum rischierebbe ancora la palude.
Ieri, il presidente del Consiglio, che non molla la linea, ha detto: “Gli imprenditori sono gli eroi del nostro tempo”.
La Camusso insorge: “Rispetto per i lavoratori”.
Guerra infinita.
Wanda Marra
(Da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX PRODANI: “NON FAREMO LA STAMPELLA AL GOVERNO”… E’ NAUFRAGATO UN NUOVO GRUPPO PARLAMENTARE PRO-MAGGIORANZA
“Io lo so — dice Felice Casson, senatore Pd in contrasto aperto con la linea di Matteo Renzi — che molti renziani pensano oggi di poter fare campagna acquisti tra i grillini disorientati dopo le ultime vicende, ma penso anche che caschino male; se pure si dovesse verificare una scissione nel gruppo, l’indole dei 5 Stelle li porterà comunque all’opposizione, non certo a far da stampella al governo…”.
E invece, Matteo Renzi ci ha pensato eccome a reclutare ex grillini.
Anzi, dicono i suoi che l’ordine di scuderia sia proprio quello di osservare con grande attenzione cosa accadrà nel Movimento nelle prossime settimane.
Perchè se è vero, come sembra, che la dissidenza interna ai grillini si attesta oggi tra i 30 e i 40 parlamentari, tra deputati e senatori, è anche vero che quel numero può fare la differenza, fino a diventare determinante, al momento dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.
Dunque, l’idea dei renziani è riuscire, in qualche modo, a controllare la possibile diaspora.
E laddove possibile, fare “campagna acquisti”, soprattutto al Senato. Dove già dai prossimi voti di fiducia qualche voto in più farebbe un gran comodo; l’esecutivo, d’altra parte, può contare solo su cinque voti di differenza a palazzo Madama, troppo pochi per star tranquilli con la sinistra Pd in ebollizione e Forza Italia non più in grado di garantire tenuta sul fronte delle riforme.
Insomma, è partita una vera caccia al grillino dissidente. E potenzialmente scissionista. Sembra essere venuta meno, infatti, anche quell’idea che era circolata nelle settimane scorse e che prospettava la formazione di un nuovo gruppo parlamentare dove far confluire non solo gli ex Scelta Civica e Popolari per l’Italia, ma anche i forzisti fittiani (anche lì, solo in caso di scissione) e altri provenienti dal gruppo misto, tra questi ex grillini espulsi agli esordi parlamentari del Movimento.
I risultati elettorali delle Regionali, però, hanno rimescolato le carte e determinato scosse telluriche forti nei gruppi e dunque l’ipotesi è sfumata.
“Ne avevo sentito parlare anche io — racconta ancora Casson — ma si sarebbe trattato di un gruppo molto grande, difficilmente gestibile proprio perchè composto da un’umanità politica molto variegata. Non stento a credere che l’operazione possa essere naufragata così come credo che far conto sui grillini dissidenti, anche per l’elezione del Presidente della Repubblica, sia una pallottola spuntata”.
D’altra parte, l’ala dissidente dell’M5s, qualora decisa di dividersi, dovrà dapprima compattarsi e solo allora avrà modo di testare la propria tenuta nelle votazioni in programma alla Camera e al Senato.
E proprio a Palazzo Madama i Cinquestelle potranno giocare un ruolo determinante già nel corso dei prossimi giorni.
Al momento, però, i senatori non sono pienamente convinti del percorso avviato alla Camera e a Parma. Guardano con attenzione per capire come muoversi.
D’altronde, i pentastellati del Senato sono abituati a pressioni e richieste di «soccorso» da parte degli altri partiti di governo; quindi, prima di muoversi preferiscono valutare bene la situazione.
E, soprattutto, dato da non sottovalutare, hanno già pagato un tributo alto in termini di espulsioni con l’allontanamento di ben 15 colleghi.
Appoggiare il governo, insomma, ora appare prematuro.
Aris Prodani, deputato friulano dissidente, infatti, lo esclude. “Io non so se Renzi stia davvero pensando a reclutare una parte di noi, ma se lo pensa casca senz’altro male; anche qualora dovessimo dividerci, di certo non potremo fare da stampella al governo. Diverso, invece, il discorso sull’elezione del presidente della Repubblica, ma anche lì non intravedo la possibilità che emergano candidature Pd sulle quali poter convergere”.
I 5 stelle, insomma, anche se divisi, potrebbero marciare uniti sul fronte dell’elezione per il Colle. E questo Renzi lo teme. Se, infatti, proprio dai grillini fosse lanciato un nome autorevole, poi sarebbe difficile farne digerire la bocciatura ai cittadini (una sorta di replica di quanto accadde nel 2013 per Stefano Rodotà ).
Al momento, al Senato, i renziani hanno messo mano al pallottoliere per misurare quanti 5 Stelle potrebbero usare il voto segreto come prova generale per futuri traslochi. Non è un caso se, infatti, dal Nazareno sono stati fatti trapelare, per la successione al Quirinale, sia il nome di Raffaele Cantone che quello di Nicola Gratteri, per sondare l’animo dei 5 stelle.
La caccia al voto grillino in libera uscita, insomma, è appena cominciata.
Ma le speranze di Renzi rischiano di restare deluse: “Potremo pure dividerci — chiude Prodani — ma piuttosto che dare una mano a Renzi, meglio dimettersi dal Parlamento…”.
Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX SINDACO DI FORLI’ BALZANI HA PROMOSSO L’EVENTO PER RIFLETTERE SUL RISULTATO DELLE REGIONALI IN EMILIA
“Renzi sbaglia a dire che conta il risultato non l’astensione. Le elezioni non sono una partita a poker: chi vince deve governare 5 anni e farlo con un deficit di legittimità non è una buona cosa. Dopo arrivano le conseguenze”.
Roberto Balzani, sfidante di Stefano Bonaccini alle primarie per la corsa alla Regione, e renziano deluso, attacca senza esitazioni il premier, il nuovo governatore e l’establishment del Pd.
Parla dal raduno dei ribelli renziani: L’Ubalda. Si chiama così l’appuntamento fissato da Balzani dopo il voto, in una sala a pagamento.
“L’Ubalda quel gran pezzo dell’Emilia e della Romagna”, un titolo che è un omaggio a Edmondo Berselli, al film degli anni ’70 con la Fenech ma soprattutto è un modo di contrapporsi ironicamente alla Leopolda di Matteo Renzi.
La vera notizia, però, è la partecipazione.
Stipata la sala, posti tutti occupati e gente in piedi, almeno 150 i presenti. Un’affluenza, a urne ormai chiuse, che stride con il dato dell’astensionismo.
La protesta contro la “ditta” che ha sostenuto Bonaccini alle elezioni è evidente. Balzani, in apertura, legge, riadattandolo satiricamente all’Emilia-Romagna del dopo flop alle regionali, un racconto del 1957 di Italo Calvino, rivolto polemicamente al Pci di Palmiro Togliatti.
Titolo: “La grande bonaccia”, un evidente riferimento a Bonaccini “inviato dalla capitale”. Si parla ironicamente della gestione del partito post -regionali e delle grane della Regione, a partire dalla questione Hera.
“Sfortunatamente per voi non sono Italo Calvino. Fortunatamente per noi — è la chiosa di Balzani- Bonaccini non è Palmiro Togliatti”. “L’ironia e lo sfottò — commenta prima di iniziare — sono un atto d’amore verso la politica”.
La serata è condotta da Piergiorgio Licciardello, presidente del Pd bolognese. Intervengono Paola Bonora (Laboratorio urbano) su ambiente e consumo di suolo e Mauro Moruzzi (ex Cup 2000) sulle partecipate.
In platea, tra gli altri, i consiglieri regionali Giuseppe Paruolo e Valentina Ravaioli, il presidente dell’Istituto Beni culturali Angelo Varni e l’ex assessore regionale Gianluca Borghi.
Arriva anche il segretario del Pd di Bologna, Raffaele Donini, che parla di un “contributo ad una fase politica nuova che dobbiamo costruire”, certo che il primo segnale di cambiamento arriverà dalla composizione della nuova giunta (di cui ha forti possibilità di essere assessore) anche se — ribadisce — “ho piena fiducia nelle scelte che farà Bonaccini”.
E proprio sulla nuova giunta, Balzani oggi ha posto un out out: “Se il tasso di innovazione sarà basso credo che sarà necessario il congresso per capire dove andare”, prospettando una conta nel partito.
L’ex sindaco di Forlì, o chi per lui, è pronto a dare battaglia per il congresso regionale Pd d’inizio 2015, dove favorito è il braccio destro di Bonaccini, Paolo Calvano.
Ad ascoltare Balzani anche il numero due del Pd di Bologna, Marco Lombardo, altro grande sostenitore di Bonaccini alle primarie di settembre e indicato come uno dei possibili successori di Donini alla guida del partito.
All’ “Ubalda” sono diverse, cosa non facile da sentire in questi giorni, le dichiarazioni di chi riconosce la dèbacle del Pd, sottolineata dall’astensione alle urne.
“Il filo tra gli elettori e chi si occupa di politica — scandisce Balzani — è stato reciso. Non è accettabile rimettere insieme i pezzi come se nulla fosse successo. Abbiamo organizzato quest’incontro per ricominciare a parlare di politica a partire dallo sciopero del voto del 23 novembre”.
“Il Pd originario — denuncia — era un partito aperto, c’era pluralità e dibattito. Tutti elementi che sono mancati”.
“Sulla partita delle primarie — scandisce — Renzi ha fatto un accordo con il Pd in cui io non ero previsto”.
Balzani riconosce che l’“effetto Renzi”, cioè l’astensione come protesta alle politiche del premier, è stato “uno dei fattori della scarsa affluenza”, precipitata al 37%.
Gli altri due: “l’inchiesta sulle “spese pazze” e l’insufficienza dell’offerta politica dei candidati”.
Ma Giuseppe Paruolo renziano della prima ora, riconfermato consigliere regionale, smentisce, come del resto fa quasi tutto il Pd in un fronte compatto, che ci sia stato un “effetto Renzi”. Non si sottrae comunque ad un’analisi del voto.
“La gente ha voluto mandare un segnale di rigetto verso dei politici che sono stati percepiti come persone che, in Regione, pensavano solo a se stessi” ma l’astensione — spiega — non è partita dalla categoria dei lavoratori iscritti al sindacato e “la Fiom ha solo voluto mettere il cappello ad un fenomeno che ha altre ragioni”.
Paruolo chiede a Bonaccini una giunta dove gli assessori siano scelti perchè “capaci” e non personaggi dello “star set” (si è parlato, in questi giorni di un incarico a Nicoletta Mantovani, già assessore della giunta comunale di Delbono, mentre la sociologa Elisabetta Gualmini ha rifiutato un eventuale assessorato).
“Più rinnovamento ci sarà meglio è” sottolinea Paruolo.
“Non è certo colpa di Renzi se c’è stata scarsa affluenza — protesta convinta Raffaella Santi Casali, consigliera comunale renzianissima — su tantissime schede nulle c’era scritto “ladri” affianco al simbolo del Pd. Gli elettori erano disgustati e i circoli sono vuoti. E Renzi con questo non c’entra niente”.
Il Pd la prossima settimana riunirà la sua segreteria e la direzione per fare un’analisi del voto che, in questi giorni, è già iniziata nei circoli.
Paola Benedetta Manca
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
DA 50 GIORNI NON E’ PIU’ AGGIORNATO: RENZI NON CORRE PIU’
Ricordate passodopopasso, il portale lanciato in pompa magna il 1° settembre dal premier Renzi?
Avrebbe dovuto raccontare i mille giorni della calavalcata trionfale del governo per cambiare l’Italia e renderla “più semplice, più competitiva, più coraggiosa […] più bella”.
Passodopopasso avrebbe voluto soprattutto rappresentare un’altra delle mirabolanti azioni comunicativo/propagandistiche del presidente del Consiglio per narrare le sue rivoluzionarie gesta.
Ma qualcosa evidentemente non sta andando nel verso giusto. Perchè Passodopopasso assomiglia sempre più ad uno spazio abbandonato, di cui a Palazzo Chigi solo saltuariamente ed in modo svogliato qualcuno si prende cura.
I contenuti continuano ad essere pochissimi, le notizie, le infografiche ed i video presenti sono datati.
Passodopasso è poi monco di quell’interattività con i lettori/elettori, promessa al momento della presentazione.
Ma il sito dei millegiorni è addirittura privo di dinamismo alcuno. Caratteristica, questa, che costituisce un elemento di fondo imprescindibile per qualsiasi prodotto lanciato nel web.
Può sembrare una battuta, ma il pezzo più dinamico del sito è rappresentato dalla barra del countdown, che indica i giorni mancanti allo scadere dei mille giorni.
Nelle news, come detto, ci sono delle “olds”. Quella più recente risale a cinquanta gioni giorni fa e riguarda la presentazione, a Londra, delle slides sulle fantariforme renziane.
Sulla giustizia pare che si sia fermato il tempo e non ci siano state le sentenze-vergogna sui casi Eternit e Cucchi.
Perchè la notizia più recente risale al 21 agosto scorso: riporta un’intervista ad Andrea Orlando, ministro catapultato in via Arenula, che spiega come migliorare la giustizia per acquisire competitività .
È imbarazzante anche il modo grezzo con cui vengono fornite le scarne informazioni presenti. Come l’infografica sul piano di riforma del terzo settore, che reindirizza lo sventurato lettore desideroso di approfondire ad una nota stampa del 10 luglio.
Dire che la sezione dei video è povera è un eufemismo.
Ve ne sono postati solo due, quasi a dare una plastica idea sui volti che contano nel governo: l’intervista, datata 8 agosto, ad una gaudente e compiaciuta neoministro delle Riforme e la spiegazione di Renzi dell’iniziativa “La Buona Scuola”.
Viene quindi da chiedersi: se Passodopasso non assolve alla sua funzione, quella di mettere in condizione il cittadino-elettore di conoscere le attività in corso a Palazzo Chigi ed in Parlamento, a che serve e perchè viene tenuto in piedi?
Misteri della comunicazione ai tempi di Renzi. Come sono misteriose le modalità con cui il lavoro di creazione del sito è stato affidato all’agenzia di comunicazione Proforma.
Una società , questa, che da tempo lavora a braccetto con i responsabili della comunicazione del premier, a partire da Filippo Sensi e che prima di inventare lo slogan delle primarie “L’Italia cambia verso” aveva curato altre campagne per renziani doc.
Come quella di Debora Serracchiani, governatore del Friuli. E quella abortita di Francesca Barracciu, nota più per essere stata trombata dalla corsa alle primarie in Sardegna, che per il suo attuale ruolo nella compagine governativa.
L’unica cosa certa, in questa comica storia, è che l’ufficio attuazione del programma a Palazzo Chigi, amministrativamente competente in materia, non ha messo in atto alcuna procedura ad evidenza pubblica per selezionare Proforma.
Dopo alcune chiamate a vuoto per avere lumi sulla vicenda, siamo stati dirottati all’ufficio stampa di Palazzo Chigi. Che finalmente ha svelato l’arcano. “Noi non ne sapiamo nulla, della cosa si è occupato Filippo Sensi — ci ha riferito un simpatico addetto stampa —: lo chiami pure a questo numero 34…”.
Sensi, più volte cercato, ha preferito non rispondere. Evidentemente troppo impegnato ad immortalare, passo dopo passo, le #cosedilavoro.
Nella pagina del sito ‘Passodopopasso’ dedicata al bonus bebè, il reddito massimo per beneficiare dell’assegno è annunciato a 90mila euro.
La somma è stata rivista al ribasso una settimana fa ed ora è di 25mila euro.
Ma sul sito del governo non c’è traccia.
Alberto Crepaldi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
IN ATTESA CHE RE GIORGIO ABDICHI E LIBERI IL TRONO, GRASSO SI ATTREZZA PER LA REGGENZA
Dopo la presidente della Camera Laura Boldrini e la ministra dalla Difesa Roberta Pinotti, molto favorevoli a un Presidente donna (specie se rispettivamente denominato Boldrini e Pinotti), s’è fatto vivo il presidente del Senato Piero Grasso con un appello alle forze politiche per una rapida intesa sul nuovo capo dello Stato (preferibilmente Grasso). Nell’attesa che ciò avvenga, ma soprattutto che Re Giorgio abdichi e liberi il trono — la qual cosa nessuno sa nè se nè quando accadrà , ma gli aruspici di corte assicurano che ci siamo quasi —, fervono in casa Grasso i preparativi per il “mese bianco” di reggenza, o supplenza: quando cioè, fra Capodanno e l’Epifania o giù di lì, la seconda carica dello Stato subentrerà provvisoriamente alla prima e s’insedierà al Quirinale per fare le veci del dimissionario finchè non sarà eletto e intronato il successore.
L’ex alto magistrato (da non confondere con l’alto ex magistrato) appare agitatissimo per l’alta responsabilità cui sarà — sia pur per poco, ma non si sa mai — chiamato.
Da quando, nella precedente elezione presidenziale dell’aprile 2013, fu adibito dalla Boldrini all’imbarazzante e decorativo ruolo di prendere i bigliettini con la mano sinistra, passarseli nella destra e girarli al commesso con una smorfietta ogni tanto, pare passato un secolo.
Ora tocca a lui, sia pure per poco, ma non si sa mai.
È la sua grande occasione: Presidente della Repubblica Reggente. Non può sbagliare. Infatti l’agenda Grasso è già fittissima di impegni.
La sveliamo in anteprima. “Viaggio trasferimento Palazzo Madama-Quirinale, magari su cavallo bianco. Ricordarsi chiamare fotografi e cameramen. Fare salto in Vaticano per salutare papa Francesco. Se si negasse, o fosse al telefono, tentare papa Emerito Benedetto XVI, o almeno padre Georg. Informarsi possibilità ribattezzare Reggente della Repubblica “Presidente Emerito”.
Monitare su argomento a piacere, per non far rimpiangere predecessore. Recarsi sacrario Redipuglia anticipando 4 novembre a inizio-anno. Passare in rassegna truppe, non importa quali. Valutare se farlo a piedi a passo di carica, o di marcia, o ancora a cavallo (dipende da accoglienza galoppata primo giorno). Allestire consultazioni, non importa con chi e su cosa. Consultare e basta, fa molto Presidente. Firmare una/due leggi/decreti al giorno, a caso. Anche in bianco. Per continuità con predecessore e per tenersi in allenamento. Convocare Renzi a cena, anche solo per saluti e convenevoli. Sondare Casa Bianca, se per caso Obama ha buco in agenda, anche last minute. Retrodatare Festa della Repubblica da 2 giugno a metà gennaio. Prima però far montare palco al Vittoriano, allertare fanfare, esercitarsi marcetta Altare della Patria-Fori Imperiali a bordo carrarmato/freccia tricolore con elmo corazzieri/tricorno napoleonico/berretto piumato bersaglieri. Avvertire Cazzullo, lui contento. Salutare militarmente molto spesso. Andatura marziale. Pancia in dentro petto in fuori. Non sculettare.
Moniti sfusi: mafia e corruzione brutte cose. Può sempre servire. Ma senza far nomi. Riunire capi Forze Armate con divisa acconcia: completo bianco Village People, feluca verde, pennacchio rosso, mostrine dorate, molte medaglie.
Preparare discorso Capodanno-bis, da tenersi all’Epifania, con annessa cerimonia Ventaglio. Emissione straordinaria numismatico-filatelica: banconota 3 euro e mezzo con effigie Supplente Grasso e francobollo 7 euro con nome all’incontrario “ossarG” (Grasso rosa). Valutare sentenza Corte Europea su supplenti scuola, scopo applicabilità a supplente precario Quirinale e sua stabilizzazione tempo indeterminato. Minimo sette anni, prorogabili”.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
GRILLO TORNA A GENOVA E STUDIA COME FRENARE L’AVANZATA LEGHISTA…E SUL TAVOLO CI SONO ALTRE VENTI ESPULSIONI
Avanti e indietro, la vita è tutta qua.
Almeno quella di Beppe Grillo, nomade dell’autostrada E80, quella che a seguirla tutta si arriva in Portogallo.
Neanche il tempo di disfare valigie e pensieri nel buen retiro di Marina di Bibbona, splendido Tirreno alla fine del viale di Bolgheri, che la realtà è venuta a cercarlo sotto forma di delegazione parlamentare.
E allora via, di nuovo verso Genova, a riordinare i pensieri, a decidere che d’ora in poi, tra lui e i deputati e senatori che ha mandato alle Camere, ci sarà un’intercapedine: cinque nomi nei quali ripone massima fiducia.
Ora, ragiona Grillo, ci vogliono nuove regole, meno stringenti, più adatte a inseguire Renzi e Salvini in quelle praterie di consenso dove il Movimento non scorrazza da un bel po’.
Ma serve soprattutto un nuovo inizio. Facce fresche, voci nuove.
Gente da mandare in tv a determinate condizioni perchè senza confronto l’attenzione cala e i voti pure.
E magari persone con un’appartenenza territoriale netta, una denominazione d’origine controllata da opporre a quel Salvini che s’è messo in testa di andare a far man bassa anche al Sud, dopo l’umiliazione che gli ha riservato in Emilia, madre e matrigna della sua creatura. I M5S come lega del Meridione, prima che la faccia qualcun altro.
Però l’amarezza resta e la voglia scema.
Anche perchè lui rimane megafono, ma la voce s’è arrochita da tante delusioni rimediate nelle cabine elettorali.
Qualcuno, al culmine della sfida lanciata al sistema dal M5S, doveva andare a casa. Ma tutto pensava il fondatore del Movimento meno che sarebbe stato lui il primo a stufarsi.
E nel suo primo giorno a bassa intensità politica sceglie il silenzio, per sè e per gli altri: i membri del direttorio non scendono nell’agone, quasi non fiatano se non per dire, come Roberto Fico, che «nel M5S c’è un’atmosfera serena, di dialogo e di condivisione». Pacificati più che silenziati.
Pronti a farsi più eterei degli altri, più imprendibili. Come lui.
E mentre il diarca svogliato si gode le prime ore tranquille di una settimana ad alta intensità , Roma il formicaio è impazzito.
La nuova struttura ha messo tutti contro tutti ed è l’ora della resa dei conti.
Il capogruppo alla camera Cecconi prova a tenere dritta una barca che scarroccia ancor prima di lasciare il porto, ma lo fa con l’aria di chi avverte che si parte comunque, con o senza l’equipaggio al completo.
Nell’assemblea di venerdì notte gli è stato chiesto di chiedere presto una «congiunta» con i senatori per regolare i conti aperti nel gruppo e, in caso, procedere a nuove espulsioni. Verranno esaminate le posizioni di più di venti deputati. L’aut aut.
Il grosso è accusato di non aver rendicontato.
La narrazione è sempre la stessa: chi critica lo fa per tenersi i soldi. E allora finiscono sul banco degli imputati Barbanti, Baldassarre, Bechis, Benedetti, Bernini, Cariello, Daga, Grande, Mucci, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rostellato, Segoni, Terzoni e Turco. L’intera pattuglia dissidente.
Certo, nel procedimento sono stati inseriti anche dei pasdaran come Morra, Nuti e Nesci, ma per loro le accuse derivano da questioni territoriali: non verranno espulsi e usciranno dall’assemblea con in tasca un’assoluzione definitiva.
Nel parapiglia delle espulsioni minacciate è una corsa a trovare il lato giusto della nave, quello dal quale non sta arrivando l’onda.
La vicecapogruppo Dadone ci tiene a precisare che quell’hashtag polemico contro il direttorio comparso venerdì su Twitter lei non l’ha mai condiviso. Anzi.
Il criterio col quale sono stati scelti i cinque a lei va benissimo: «Sono persone di fiducia di Beppe. che c’è di strano? È lui il fondatore del Movimento».
Francesco Maesano
(da “La Stampa”)
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Novembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
DENTIERE GRATIS, PENSIONI A MILLE EURO, NIENTE PIU’ TICKET E PURE UNA NUOVA MONETA DA AFFIANCARE ALL’EURO
Il nuovo “bomber Salvini” è “uno che ha risposto al telefono a Radio Padania per dieci anni”, Renzi “è bravo e simpatico, diciamo la verità : ci piace” ma guida “un governo da colpo di Stato”; infine “Grillo che è stanchino, povero ha lavorato così tanto”.
Insomma anche “se gli avvocati consigliano all’unico leader politico di stare zitto per non finire ai domiciliari lui ha deciso che basta così, che il Paese ha bisogno di lui e quindi si è detto ‘rischio’, è tornato in piazza e oggi è qui con voi”.
Silvio Berlusconi si autoannuncia così, parlando di sè in terza persona, dal palchetto approntato alle spalle di uno stand di Forza Italia in piazza San Fedele, la più piccola di Milano, incastrata dietro Palazzo Marino.
Per riempirla bastano cinquecento persone, ieri era per metà vuota.
Tanto che Berlusconi arriva alle 16:30, con un’ora di ritardo, e i pochi vertici di Forza Italia puntuali fanno a gara per non salire sul palco.
“Troppa poca gente, che figura faccio”, lamenta l’ex ministro Mariastella Gelmini. Poi è arrivato lui, Silvio. Circondato dagli uomini della scorta, ha parlato per un’oretta.
Il target scelto è quello di Cesano Boscone: anziani e pensionati. A loro le promesse elettorali: “Implantologia dentale gratuita, esenzioni ticket sanitarie e altre facilitazioni per chi ha lavorato una vita”.
Ancora: “Esenzione dei gabelli sulle successioni, delle tasse sulle case, pensioni minime a mille euro”.
Poi le ricette per rilanciare l’economia, nella giornata No tax organizzata da Forza Italia.
“Sei mesi di compravendita delle case senza pagare alcuna imposta”, creazione di una aliquota unica “del 20% per tutti”, infine il vecchio pallino del contante: “Il limite deve essere almeno portato ai livelli degli altri Paesi europei, non possiamo rimanere a 999 euro, è una follia, arrivano miliardari da tutto il mondo in Italia e non possono spendere liberamente perchè vengono schedati: viviamo in uno Stato di polizia tributaria”.
E lancia “una moneta da affiancare all’euro”. Al netto di proclami e promesse il problema però rimane il consenso. Berlusconi lo sa bene.
Così smentisce di aver incoronato Salvini leader del centrodestra: “L’ho chiamato per fargli i complimenti per il risultato in Emilia ma il leader c’è ed è qui davanti a voi”, dice. “Sappiamo che ci sono 6 milioni di italiani che non votano perchè in campo non c’è più quel signore che si chiama Berlusconi, per questo ho deciso di dire torno”. Forza Italia rimane “il partito di riferimento dei moderati” ma “c’è bisogno di una rifondazione e vi chiedo di andare anche porta a porta per convincere i vostri amici, i conoscenti: ditegli che Berlusconi c’è, raccontagli quello che abbiamo fatto e quale è il nostro programma”.
Dopo un’oretta gli uomini della scorta lo circondano e lo fanno scendere dal palco per accompagnarlo al corteo di tre macchine che lo aspetta.
A poche centinaia di metri da qui, in piazza del Duomo, il 13 dicembre 2009 Berlusconi venne colpito con una statuetta.
E da allora è la prima volta che l’ex Cavaliere torna in piazza in centro per un comizio. Ma non c’è più la folla di un tempo e non è più il Berlusconi in guerra elettorale.
Fino a febbraio i toni rimarranno bassi, poi, una volta scontata la pena alternativa ai servizi sociali al centro anziani di Cesano Boscone, Berlusconi promette di tornare. “Consideratemi già in campo: io non vi lascio soli”.
Certo, aggiunge, “se i giudici la smetteranno di fare politica e tentare di fermarmi”. Perchè Berlusconi, come dicono a Milano, “l’è semper lu”.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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