Novembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
“CARENZE NEI CONTROLLI INTERNI E NELLA GESTIONE E CONTROLLO DEL CREDITO E OMESSE E INESATTE SEGNALAZIONI ALLA VIGILANZA”
Al termine di due ispezioni avviate nel 2012 e nel 2013, Banca d’Italia ha multato la popolare dell’Etruria e del Lazio per 2,54 milioni di euro.
La maxi sanzione è a carico di 18 tra componenti ex componenti del collegio sindacale e del cda, tra cui Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena Boschi, ministro delle Riforme nonchè direttore generale della fondazione Open, la cassaforte che finanzia l’attività politica di Matteo Renzi e ha coperto, tra l’altro, l’esborso di circa 300mila euro per la recente Leopolda.
Il padre di Boschi è vicepresidente di Banca dell’Etruria dal maggio 2014 e componente del cda dal 3 aprile 2011.
Gli ispettori di via Nazionale a lui hanno comminato una multa di 144mila euro per “violazioni di disposizioni sulla governance, carenze nell’organizzazione, nei controlli interni e nella gestione nel controllo del credito e omesse e inesatte segnalazioni alla vigilanza”.
Da inizio 2013, inoltre, la sua posizione, come quella degli altri amministratori dell’istituto di credito, è al vaglio di due procure, Arezzo e Firenze.
L’inchiesta della magistratura ipotizza i reati di false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori, ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza e di falso in prospetto.
Il padre del ministro però non sarebbe indagato, a differenza degli ex vertici della banca il presidente Giuseppe Fornasari, il direttore generale Luca Bronchi e David Canestri, dirigente centrale con deleghe alla pianificazione e al risk e compliance.
Lo scorso 21 marzo gli uomini del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza hanno perquisito gli uffici dei dirigenti dell’istituto su richiesta del procuratore di Arezzo, Roberto Rossi.
L’inchiesta ha preso avvio, così come in tutti i casi simili a partire da Mps, dalle ispezioni svolte da Banca d’Italia.
E se la magistratura, a quanto si apprende, è ancora in piena fase investigativa, via Nazionale ha invece completato i propri rilievi e, come detto, emesso la multa.
I rilievi segnalati dalla Vigilanza sono molteplici: “Violazioni delle disposizioni sulla governance”, “carenze nell’organizzazione e nei controlli interni” “carenze nella gestione e nel controllo del credito”, “violazioni in materia di trasparenza” nonchè “omesse e inesatte segnalazioni all’Organismo di Vigilanza”.
La multa, complessivamente, ammonta a 2,54 milioni di euro.
La sanzione maggiore, 202.500 euro, è stata comminata all’ex direttore generale Bronchi, seguito, fra gli altri, da Massimo Tezzon (84mila euro), ex direttore generale di Consob e attuale presidente del collegio sindacale.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
PANETTIERI, BENZINAI, MECCANICI, TASSISTI SENZA PATENTE: L’ABUSIVISMO E’ UN AFFARE COLOSSALE CHE INGROSSA LE GRANDI ORGANIZZAZIONI CRIMINALI
Pubblichiamo un estratto di “Abusivi, la realtà che non vediamo. Genio e sregolatezza degli italiani”
(ed. Chiarelettere), un viaggio di Roberto Ippolito nell’Italia delle truffe e dell’abusivismo
Lavoravo. Cercavo. Trovavo. Una dopo l’altra, mettevo insieme tante storie per costruire questo libro. Un’infinità . Sarei dovuto essere contento. Invece più di una volta ho confessato avvilito all’Editore: “È troppo. Credimi, sto trovando troppo”.
Gliel’ho detto nonostante il timore di non riuscire a farmi comprendere.
Sono stato proprio io a proporgli di raccontare in un libro con più casi possibili gli abusivi, cioè i cittadini, i lavoratori, i professionisti, gli imprenditori o gli artigiani che agiscono ignorando le regole e non disponendo dei requisiti e dei permessi necessari. (…)
Questo libro è troppo. L’abusivismo è peggio, molto peggio di quello che avrei pensato.
Non risparmia nulla, nessun campo. Si manifesta in qualunque zona.
Gli abusivi non hanno pudori, non hanno remore, non hanno limiti. Prima di mettermi all’opera sapevo di qualche dentista abusivo, ma come avrei potuto immaginare l’esistenza di uno studio condiviso da padre e figlio entrambi senza requisiti?
Ho ottenuto i numeri degli abusivi smascherati dai carabinieri sul fronte medico: spaventosi. Quasi ogni giorno vengono scoperti un dentista e un medico che non potrebbero esercitare la professione. (…)
Ho indagato su varie attività economiche. E sono saltati fuori i panettieri abusivi, i macelli abusivi, i meccanici abusivi, i benzinai abusivi. I benzinai? Sì, ce ne sono. Come ci sono discoteche e sagre abusive.
Ho proseguito. Mi sono dedicato ai taxi cercando di capire la dimensione dell’illegalità . Non ho raccolto soltanto numeri impressionanti: ho trovato sulla mia strada perfino tassisti senza la patente. Proprio così: senza la patente.
Mica solo loro però: ci sono anche autisti di linee abusive di pulmini che ne sono privi.
Poi mi sono venuti incontro gli scuolabus irregolari senza assicurazione. Ogni giorno ci sono bambini che viaggiano su mezzi abusivi pericolosi e senza garanzie. (…)
L’abusivismo nelle sue diverse forme è un affare colossale che ingrossa le grandi organizzazioni criminali in alcuni settori prediletti, dai rifiuti ai giochi clandestini, ma procura anche vantaggi a tanti.
Alla fine del libro, tirando le somme, sono in grado di stimare le attività svolte senza le autorizzazioni necessarie per 42 miliardi nel 2014.
Aggirando la legge, viene evitato accuratamente anche il fisco.
Gli abusivi alimentano una quota significativa dei 130 miliardi di euro di evasione valutata, gravando sui conti pubblici e sul livello delle tasse pagate al posto loro dagli onesti.
Dilatano l’economia sommersa, provocando una grande fetta dei tre milioni e 100.000 lavoratori in nero esistenti in Italia. (…)
Ma ci sfuggono tutte le conseguenze del fenomeno. Con superficialità ci passiamo sopra. Le attività abusive, dalla pesca di frodo agli estetisti, mettono a rischio la salute.
Deviare un torrente in modo indebito (racconto anche questo), costruire una strada senza permessi o buttare giù alberi senza autorizzazione significa creare pericoli per l’ambiente e rendere possibili i disastri.
Ma i morti delle alluvioni non ci insegnano mai nulla. Del resto siamo anche capaci di procedere alle sepolture abusive (…).
Naturalmente sono consapevole che qualcuno potrebbe ritenere l’abusivismo determinato dall’abbondanza di regole. Ma il fatto che le norme, secondo i casi, possano essere eccessive, scritte male, applicate peggio o dirette a tutelare singole categorie non può giustificare comportamenti che rappresentano una minaccia per la salute, la sicurezza alimentare, l’ambiente, la competizione economica e la giustizia fiscale.
Che lo scuolabus debba essere assicurato non mi sembra possa essere oggetto di discussione. Che non si debba costruire in un parco nazionale o sulla spiaggia è perfino ovvio (…). La fantasia non fa difetto all’infinito abusivismo italiano. (…)
In una conversazione intercettata nel luglio precedente, il boss ergastolano Giovanni Di Giacomo dice in carcere al fratello Giuseppe: “Ma poi c’è un’altra cosa che fuori non la sa nessuno… questa te la dico a te… e a un certo punto dovrà venire fuori… a te ti abbiamo fatto noi altri” (ovvero l’investitura è stata decisa dai boss detenuti), ma “a lui” (il riferimento è a un altro Di Giovanni, Gregorio) “chi l’ha fatto?… e chi l’ha autorizzato? E questi sono tutti abusivi sono… ricordatelo!”.
Roberto Ippolito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
GLI ESPERTI ECONOMICI DI PALAZZO CHIGI VOGLIONO L’ANALISI COSTI-BENEFICI … DIMOSTREREBBE CHE SONO SOLDI BUTTATI… LOBBISTI DEL CEMENTO IN ALLARME
Un tecnicismo è il detonatore e la bomba sta per esplodere sulla scrivania di Matteo Renzi.
Ancora una volta – come ai tempi di Prodi — un governo guidato dal centro-sinistra sta per spaccarsi sulle grandi infrastrutture, rilanciate con entusiasmo dal decreto Sblocca Italia.
Il tecnicismo è una strana mossa di Rfi, la società Fs che gestisce la rete ferroviaria. Nel nuovo contratto di programma con il ministero delle Infrastrutture ha corretto da 8,4 a 12 miliardi di euro il costo previsto del Tav Torino-Lione, con un’impennata del 40 per cento.
In realtà è stata solo applicata al preventivo originario, stilato a prezzi 2012, l’inflazione degli anni occorrenti alla realizzazione, calcolata al tasso pessimista del 3,5 per cento annuo.
Tanto che Mario Virano, commissario governativo della Torino-Lione, ha subito minimizzato: il costo previsto per il governo italiano (2,9 miliardi se arriva un cospicuo finanziamento europeo) non aumenterà di un euro.
Ma tant’è, quel numerino scritto da Rfi ha toccato nervi scopertissimi.
Stefano Esposito, sostenitore acceso della Torino-Lione — tanto da essere nel mirino di frange violente dei No Tav — considera la correzione verso l’alto un siluro all’opera, tanto da aver ottenuto per l’11 novembre prossimo la convocazione dei vertici di Rfi alla commissione Trasporti del Senato.
Il parlamentare piemontese punta a stroncare subito ogni resistenza facendo uscire allo scoperto i frenatori delle grandi opere.
Solo che stavolta la lobby del cemento non se la dovrà vedere con localismi e ambientalismi, bensì con un’agguerrita pattuglia di economisti piazzati proprio a palazzo Chigi.
Il Tav Torino-Lione è solo la prima stazione di una via crucis destinata a toccarne numerose, soprattutto ferroviarie, come il terzo valico Genova-Tortona, il nuovo tunnel del Brennero e l’alta velocità Napoli-Bari, investimenti più celebrati che finanziati nel decreto Sblocca Italia, approvato alla Camera e in attesa del voto del Senato.
Il fatto è che la tesi principale degli oppositori della Torino-Lione — sono soldi buttati — ha sempre convinto anche Renzi. Ancora un anno e mezzo fa diceva: “Prima lo Stato uscirà dalla logica ciclopica delle grandi infrastrutture e si concentrerà sulla manutenzione delle scuole e delle strade, più facile sarà per noi riavvicinare i cittadini alle istituzioni. E anche, en passant, creare posti di lavoro più stabili” .
Sulla Torino-Lione la bocciatura era quasi sprezzante: “Non credo a quei movimenti di protesta che considerano dannose iniziative come la Torino-Lione. Per me è quasi peggio : non sono dannose, sono inutili. Sono soldi impiegati male”.
Poi la politica ha imposto i suoi prezzi e Renzi, conquistando palazzo Chigi, ha confermato Maurizio Lupi al ministero delle Infrastrutture per non perdere l’appoggio parlamentare del Ncd e quello lobbistico del potente e trasversale partito del cemento. Il decreto Sblocca Italia è stato il trionfo di Lupi e dei suoi sostenitori, con grandi opere a strafare e ampi varchi per cementificazioni di ogni tipo.
Adesso però sono proprio i lobbisti del cemento e delle imprese di costruzione a notare con preoccupazione che tra gli esperti economici che Renzi ha portato a palazzo Chigi ci sono autorevoli avversari dello spreco di miliardi in nome delle imprescindibili infrastrutture.
Il più insidioso è il bocconiano Roberto Perotti, uno che già sei anni fa pubblicò sul Il Sole 24 Ore rasoiate del seguente tenore: “Che cosa sarebbe più utile per l’immagine del Paese: ripulire i treni utilizzati da milioni di turisti stranieri o fare una galleria di dubbia utilità a costi esorbitanti? (…) Nonostante i loro eccessi, gli ambientalisti hanno ragione: deturpare una vallata per ridurre le emissioni dell’1% al costo di 16 miliardi è un buon investimento per le imprese appaltatrici, ma non per il Paese”. Soldi buttati, dunque, come diceva Renzi finchè ha potuto.
E come pensa un altro esperto di palazzo Chigi, il deputato Pd ex McKinsey Yoram Gutgeld, che già in tempi non sospetti definiva le nuove linee ad alta velocità “opere faraoniche, miliardarie e inutili”.
Per adesso la legge di Stabilità andrà liscia, e vedrà la conferma di tutti i finanziamenti previsti per la Torino-Lione e le altre grandi opere.
Ma lo scontro è solo rinviato. Gutgeld e Perotti pensano all’arma totale, a uno scherzetto che per il partito del cemento è come l’aglio per i vampiri: imporre al Cipe — l’opaco comitato interministeriale dove si fanno i giochi per i grandi investimenti, una cosa che in Italia nessuno ha mai fatto, la cosiddetta analisi costi-benefici.
Un esercizio che serve agli economisti per sapere se si sta spendendo bene o male. Domande come: serve davvero questa nuova ferrovia? Quanti posti di lavoro crea? È possibile spendere gli stessi soldi in qualcosa che dia risultati più interessanti? Siccome in Italia l’analisi costi-benefici non è mai stata adottata, a domande del genere si è risposto finora con slogan come “è per la competitività ” o “ce lo chiede l’Europa”.
Ma oggi l’unico argomento politicamente solido per andare avanti con la Torino-Lione è anche il più antipatico: non darla vinta ai No Tav.
Il nodo adesso sta per arrivare al pettine.
Già la Corte dei Conti francese ha fatto notare che i miliardi di euro per la nuova ferrovia Torino-Lione sono sostanzialmente soldi buttati.
Gli esperti di palazzo Chigi adesso si preparano a dare una spallata nella stessa direzione, scommettendo che nella difficile situazione dei conti pubblici si potrebbero risparmiare o spendere meglio decine di miliardi.
Per adesso l’operazione è tenuta sotto traccia. Il momento propizio, superato lo scoglio della Legge di stabilità , potrebbe essere l’inizio del 2015, per evitare un duello con la lobby del cemento in un momento politicamente complicato.
Nello scontro frontale tra il partito anti-spreco e quello del cemento guidato da Lupi è proprio Renzi che rischia di trovarsi schiacciato, se non si inventa una delle sue mosse.
Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
SONDAGGIO DI CONFESERCENTI: LA MISURA ANNUNCIATA DA RENZI NON INTERESSA QUASI A NESSUNO
Tfr in busta paga solo per due dipendenti su dieci e nella maggior parte dei casi da usare per pagare
bollette e debiti.
Così, secondo quanto risulta da un sondaggio Confesercenti-SWG, gli italiani accolgono la possibilità di ricevere dal prossimo anno il trattamento di fine rapporto con lo stipendio.
Un accoglienza tiepida che se confermata dai fatti comporterebbe, dicono i commercianti, un modesto aumento dei consumi ed un gettito Irpef derivante dalla maggiore tassazione di 1 miliardo, inferiore alle previsioni del governo.
A questo si aggiunge il timore espresso dal 64% degli imprenditori di avere problemi di liquidità nel caso in cui tutti i dipendenti scegliessero di monetizzare il Tfr. Secondo quanto risulta dal sondaggio il 18% dei dipendenti privati italiani sceglierà di avere il TFR in busta paga, a fronte del 67% che invece continuerà a lasciare accumulare il suo trattamento di fine rapporto nell’impresa in cui lavora mentre il 15% dei dipendenti ancora non ha deciso.
Hanno già scelto di usufruire della possibilità introdotta dalla legge di stabilità soprattutto le persone di età compresa tra i 35 e i 44 anni (21%), seguiti dai giovani fra i 18 ed i 24 (19%).
Lo lasceranno in azienda, invece, soprattutto le persone più vicine alla fine del rapporto lavorativo: non lo toccheranno principalmente coloro tra i 55 e i 64 anni (72%) e tra i 45 ed i 54 (70%).
Tra i lavoratori che hanno intenzione di richiedere il TFR su base mensile, la maggior parte è ancora incerta su come utilizzare la liquidità in più (44%).
I rimanenti, invece, la investiranno soprattutto per forme di risparmio alternative (17%).
Il 16% lo vuole investire in pensioni integrative, mentre il 13% segnala che userà il TFR in busta paga per saldare pagamenti e debiti pregressi.
La percentuale sale al 36% tra i giovani compresi tra i 18 e i 24 anni. Lo investirà in acquisti solo il 10%.
Se nel 2015 le indicazioni date dagli intervistati dovessero rimanere invariate, l’Ufficio Economico Confesercenti stima un effetto espansivo modesto sulla spesa, con un incremento, a fine 2015, di 380 milioni, pari allo 0,1% dei consumi commercializzati.
Il numero ridotto di persone che opteranno per il TFR in busta paga, inoltre, potrebbe porre un problema anche per i conti pubblici.
Il Tfr in busta paga, infatti, è sottoposto a tassazione ordinaria, e non ridotta come quando viene preso a fine carriera.
Sulla base dei dati emersi dal sondaggio, stimiamo che il gettito Irpef generato dalla maggiore tassazione sarebbe di 1 miliardo, circa 1,5 miliardi in meno di quanto previsto dalla relazione alla Legge di Stabilità .
Secondo cui il numero di dipendenti che opteranno per il TFR in busta paga è molto più alto: il 40% dei lavoratori delle imprese fino a 10 dipendenti, il 50% di quelle fra 10 e 50 dipendenti, il 60% in quelle di dimensioni ancora maggiori.
Secondo quanto emerge dal sondaggio inoltre il 64% degli imprenditori teme che, se tutti o la maggior parte dei dipendenti scegliessero di avere il TFR su base mensile, l’impresa avrebbe difficoltà con la liquidità disponibile, a fronte di un 36% che, invece, non avrebbe problemi.
Gli ostacoli sembrano nascere dagli impedimenti che le imprese incontrano nell’ottenere prestiti e finanziamenti dal canale bancario, segnalati dal 66% degli imprenditori.
(da “La Stampa”)
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Novembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
CASO CUCCHI: “PRONTI A RIAPRIRE LE INDAGINI E A INCONTRARE LA FAMIGLIA PER CERCARE ALTRE PROVE”…ILARIA: “AZZERARE PERIZIE E CONSULENZE FUMOSE”
Pronti a indagare di nuovo, a individuare nuovi fatti, cercare nuove prove. Perchè le sentenze vanno rispettate anche quando non si condividono, ma non si può accettare la morte di chi è affidato allo Stato.
Dopo i giorni delle polemiche, della rabbia, degli scontri incrociati, è il capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone a parlare del caso di Stefano Cucchi, il geometra romano di 31 anni arrestato nel 2009 per droga e morto una settimana dopo in ospedale, a seguito dell’assoluzione in appello di tutti gli imputati del processo (sei medici, tre infermieri e tre agenti della Polizia penitenziaria).
“Non è accettabile — dice — dal punto di vista sociale e civile prima ancora che giuridico, che una persona muoia, non per cause naturali, mentre è affidata alla responsabilità degli organi dello Stato”.
Per Pignatone la responsabilità certo resta “come vuole la Costituzione, personale, e non collettiva, e deve essere riconosciuta dalle sentenze dei giudici, che tutte meritano assoluto rispetto anche quando, come nel caso di specie, tra loro contrastanti e, a parere dell’ufficio di procura, in tutto o in parte non condivisibili“.
Secondo Pignatone, “nel caso in questione, poi, la sentenza di appello non è ancora definitiva e non se ne conoscono le motivazioni; essa, peraltro, giunge dopo un lungo e complesso iter processuale nel corso del quale tutte le parti, pubbliche e private, hanno potuto richiedere ai giudici gli accertamenti e gli approfondimenti ritenuti opportuni o necessari”.
“Tutte le sentenze meritano assoluto rispetto anche quando, come nel caso di specie, tra loro contrastanti e, a parere dell’ufficio di procura, in tutto o in parte non condivisibili”
Il passo avanti del procuratore capo è la disponibilità a rimettere mano agli incartamenti soprattutto in caso di fatti nuovi o altre prove.
“Se emergeranno fatti nuovi o comunque l’opportunità di nuovi accertamenti — dichiara il magistrato — la Procura di Roma è sempre disponibile, come in altri casi, più o meno noti, a riaprire le indagini”.
“Per quanto mi riguarda — prosegue — incontrerò volentieri, come già altre volte in passato, se lo vorranno al mio rientro in sede, i familiari di Stefano Cucchi e il loro difensore. Se dalle loro prospettazioni e dalla lettura della sentenza di appello emergeranno fatti nuovi o l’opportunità saremo disponibili a cercare nuove prove nel rispetto, ovviamente, delle regole dettate dalla legge”.
In mattinata era stata la famiglia Cucchi, infatti, a annunciare che domani — 3 novembre — sarà davanti al palazzo di giustizia di Roma per chiedere un incontro al procuratore Pignatone.
A intervenire in giornata è stato anche il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri: “E’ giusto e corretto chiedere la riapertura della indagini. La verità va ricercata sempre e fino alla fine”.
La sorella di Stefano: “Azzerare le perizie fumose”
“Prendiamo atto di questa importante decisione del procuratore capo della repubblica di Roma — ha subito replicato Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano — Rimaniamo in attesa di giustizia e verità come abbiamo sempre fatto in questi cinque anni. Possiamo dire che vanno azzerate tutte le perizie e le consulenze che hanno fatto solo fumo e nebbia sui fatti”.
La famiglia Cucchi — padre, madre e sorella — aveva già annunciato che si presenterà davanti alla procura con maxi-cartelloni raffiguranti Stefano.
“Andremo solo noi tre — ha detto Ilaria Cucchi — senza alcun sit-in, presidio o altro. Vogliamo far vedere come Stefano è morto e le condizioni con le quali ce lo hanno riconsegnato”.
Nella stessa mattinata Ilaria e la sua famiglia chiederanno un incontro al procuratore Pignatone. “Voglio chiedere al dottor Pignatone — aveva detto in precedenza Ilaria Cucchi — se è soddisfatto dell’operato del suo ufficio, se quando mi ha detto che non avrebbe potuto sostituire i due pm che continuavano a fare il processo contro di noi, contro il mio avvocato e contro mio fratello, ha fatto gli interessi del processo e della verità sulla morte di Stefano”.
Ilaria al presidente della corte d’appello: “Gogna? Solo critiche”
Ilaria Cucchi in giornata aveva scritto anche una lettera aperta a Luciano Panzani, presidente della Corte d’appello di Roma, che aveva difeso i giudici che hanno assolto gli imputati del caso Cucchi invitando a non sottoporli a una gogna mediatica: “Nutro profondo rispetto per la magistratura. Rispetto, ma non venerazione — si legge — Non credo di mancare di rispetto a Lei e alla Magistratura se mi permetto di dire che le critiche rivolte ai suoi colleghi sono tutt’altro che una gogna. Chiedere responsabilità per chi sbaglia e commette gravi e ripetuti errori non significa metterlo alla gogna”. Per Ilaria Cucchi “invocare responsabilità per chiunque sbagli e commetta gravi errori non significa metterlo alla gogna. Processare un ragazzo di soli trentun anni, dopo averne causato la morte tra atroci sofferenze come può essere allora definito? Processare la sua famiglia, definire in aula Stefano come un tossicodipendente da vent’anni, cafone e maleducato, cosa vuol dire?”.
Ilaria Cucchi sottolinea di non aver “criticato la sentenza. Ho nelle orecchie le parole del mio avvocato pronunciate in udienza preliminare quasi con disperazione. Ho nella mente il suo monito ai pm ‘con questo impianto accusatorio e con questi consulenti e con questo capo di imputazione ci porterete al massacro’.
Io voglio chiederle ancora solo questo: il 16 ottobre 2009 Stefano veniva portato, pestato e sofferente, nel suo tribunale di fronte ai suoi colleghi, indicato come albanese senza fissa dimora. Era sofferente e lo ha detto; nessuno lo ha guardato e tantomeno considerato. Era in condizioni tali da fare pietà ai sanitari ed agli stessi agenti che lo hanno via via preso in consegna. Ma nessuno ha fatto nulla e tutto è stato considerato normale. Senza che si debba parlare di gogna, che cosa un cittadino normale di un paese che si vuole definire normale può pensare di tutto questo? Meglio nascondere e tacere? Mi dica lei”.
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Novembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
NAPOLI, L’UNICO CHE INSEGUE LO SCIPPATORE ITALIANO E’ UN GIOVANE SENEGALESE CHE POI VIENE MINACCIATO: “NON ERA GIUSTO LASCIARLO SCAPPARE E SONO INTERVENUTO”… UNA LEZIONE ALLA FECCIA RAZZISTA DI CASA NOSTRA
Un senegalese prova a difendere una turista francese da uno scippo ma viene ostacolato dalla folla che
lo minaccia, lasciando scappare i rapinatori.
E’ successo a Napoli, durante un arresto compiuto dai carabinieri del nucleo radiomobile che sono riusciti a bloccare per rapina aggravata in concorso Carmine Roccia, 19 anni.
Il giovane, su uno scooter insieme ad un complice in via d’identificazione, ha aggredito una turista francese 29enne che stava transitando su corso Garibaldi, minacciandola con un coltello e costringendola a cedere la propria borsa.
Un cittadino senegalese 36enne che ha assistito alla scena è intervenuto per bloccarli. Ma è stato ostacolato da un folto gruppo di persone che lo ha minacciato di morte e ha fatto fuggire i malviventi.
Su richiesta di aiuto pervenuta al 112, è intervenuta una gazzella del nucleo radiomobile di Napoli che ha bloccato e tratto in arresto il 19enne e recuperato il bottino (500 euro in denaro contante, un tablet, uno smartphone e il passaporto).
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, l’immigrato ha assistito alla scena della rapina della borsa.
Ha iniziato a correre ed è riuscito a raggiungere i due rapinatori e a bloccare con una presa energica il motorino da dietro. Uno dei due lo ha minacciato con un coltello, forse lo stesso usato per la rapina alla ragazza, residente a Parigi, mentre sul posto sono contemporaneamente accorse molte persone che gli hanno intimato di lasciare andare i due.
Nel frattempo è arrivata una pattuglia del nucleo radiomobile dei carabinieri, allertata da una telefonata che parlava di una rissa in strada.
Nei momenti di confusione uno dei due rapinatori ha cercato la fuga a piedi ma è stato bloccato ed arrestato mentre l’altro è riuscito a fuggire a bordo di uno scooter e viene ora ricercato.
La ragazza francese, sotto shock per la rapina, a un certo punto ha gridato nei confronti del senegalese chiedendo di desistere, preoccupata per la sua incolumità . “Sono stato coraggioso? Non lo so, so che non era giusto che lasciassi andare quell’uomo. Quella ragazza è come se fosse mia sorella”, aggiunge.
Il senegalese protagonista di un caso di esempio civico è in Italia da sei anni e ha regolare permesso di soggiorno. Vive a Napoli ma lavora in provincia, a Somma Vesuviana, in una fabbrica dove si riciclano abiti usati.
Lo scorso 5 febbraio ci fu un precedente simile, ripreso in un video shock: Benjamin, un mendicante nordafricano, fu l’unico a intervenire per sventare uno scippo a una signora anziana nei vicoli.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
“NON CI FERMIAMO, RENZI PUO’ METTERE LA FIDUCIA CHE VUOLE”…”L’ITALIA DEVE LIBERARSI DI LUI”
Renzi derubrica quel mondo a una parola che sembrava persa nel tempo, sinistra radicale, dice che la minoranza del Pd non gli toglie il sonno, che se se ne vogliano andare, facciano pure.
Ma c’è qualcosa che non si può gestire, “riordinare”, con la questione di fiducia in Parlamento e con il voto blindato nelle direzioni del partito.
“Gli interessi dei lavoratori non sono rappresentati” da questo governo nè dal Pd.
E se il governo ha la fiducia in Parlamento “nel Paese non ce l’ha”.
Più di Fassina, più di Cuperlo o Bersani, è il segretario della Fiom Maurizio Landini che “rischia” di parlare finalmente alla pari con il presidente del Consiglio, perchè non è politica, questa volta, ma questioni di merito, sul lavoro, dice.
“Voglio unire il mondo del lavoro, raccogliere fiducia sulla mia piattaforma, voglio cambiare le politiche di questo governo”.
Le cariche della polizia agli operai delle acciaierie di Terni sono state un punto di svolta, molto più della manifestazione con — forse — un milione di persone in piazza San Giovanni, nella sfida a distanza con il garage della Leopolda.
“Il Governo può mettere le fiducie che vuole ma noi non ci fermiamo” dice a In Mezz’ora, su Rai Tre, Landini.
Il riferimento è al Jobs act e all’ipotesi che possa passare alla Camera senza modifiche (e quindi con un altro voto di fiducia, peraltro l’ennesimo posto dal governo Renzi).
Fine della vecchia sintonia, dunque. Ora inizia il confronto.
“Su Renzi ho cambiato idea quando ho capito che lui scelse le politiche di Confindustria” e di “seguire quello che gli chiedeva l’Ue. Quando incontrai Renzi parlammo di articolo 18. Lui mi disse che l’Europa premeva su di lui e io gli dissi che se avesse toccato l’art. 18 avrebbe aperto la strada per un conflitto nel Paese. All’inizio diceva di voler cambiare Paese e io dissi ‘cambiamolo insieme’”.
Quindi la sfida è, sì, nel merito, ma resta politica.
“L’unico modo per far cambiare l’idea al Governo — dichiara Landini — è di convincerlo che noi abbiamo la maggioranza dei consensi. Bisogna convincere Renzi che contro il lavoro non va da nessuna parte”.
D’altra parte “il premier, Matteo Renzi, ha fatto una scelta, rimettendo al centro l’articolo 18, che tende a riaprire un conflitto nel Paese”.
La prima partita sarà lo sciopero di 8 ore indetto dalla Fiom. Anzi, due. Una manifestazione si terrà a Milano il 14 novembre, un’altra a Napoli il 21.
Il leader dei metalmeccanici parla di un “consenso intorno alla Cgil e alla Fiom che da tempo non si vedeva”, che “quando un Paese ha bisogno di leader, allora è un Paese malato”, en passant ricorda che il presidente del Consiglio “non è stato mai eletto dal popolo per fare quel mestiere” e che questo Parlamento è lo stesso formato con una legge elettorale che la Corte costituzionale ha ritenuto illegittima.
Ma precisa di non volersi impegnare in politica: “Voglio rappresentare i lavoratori e voglio continuare a fare il sindacalista. Voglio però che sia chiaro che a me di fare la minoranza non me ne frega proprio nulla. Voglio rappresentare le persone”.
E per cambiare un Paese “lo devi governare, non devi stare all’opposizione”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
“LUI E’ UN UOMO DEL POPOLO E SA PARLARE”
Ascolta i sindacati ma con loro non tratta. ![](http://s23.postimg.org/tf867un0r/RENZI_LAND.jpg)
La strategia di Matteo Renzi è chiara: metterli all’angolo e impedire che possa nascere un nuovo soggetto di sinistra capitanato dal leader della Fiom Maurizio Landini. Contano più le invettive dai tavoli della Leopolda del finanziere Davide Serra o i messaggi distensivi del sottosegretario Graziano Delrio che solo pochi giorni fa giorno fa rimarcava la necessità di stringere un patto con i sindacati sul modello dei grandi paesi?
”Ecco- per dirla con Peppino Caldarola, ex direttore de L’Unità che tra giornalismo e politica è stato uno dei protagonisti della sinistra — noi siamo stati abituati a un sindacato che non ha limiti sul fronte di intervento. E la regola della trattativa dei sindacati sulla legge finanziaria riduceva il ruolo del Parlamento. Di fatto, la sua strategia consiste nel togliere la vera forza del sindacato, quella di essere un soggetto para-politico”.
Un decisionismo che una fonte renziana che ha chiacchierato a lungo con ilfattoquotidiano.it traduce così: “L’impostazione che Matteo dà è la seguente. Se si tratta di Terni, Electrolux, in casi di questo genere, la trattativa con i sindacati si porta avanti e si cerca di raggiungere un accordo. Ma se si tratta di legge di stabilità , o di Jobs Act, io governo vi ascolto ma poi sarò io a decidere”.
E in effetti il tavolo allestito mercoledì mattina a Palazzo Chigi, dopo l’assalto della polizia agli operai di Terni, va in questa direzione.
La conferenza stampa congiunta tra i sindacalisti e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio è servita solo a rinnovare, da parte del sindacato, la protesta per il trattamento subito dai lavoratori delle acciaierie di Terni il giorno prima, e da parte del governo a ribadire che nessuno ordine di caricare gli operai è partito da Palazzo Chigi.
Oltretutto l’atteso faccia a faccia tra Renzi e il leader della Fiom, Maurizio Landini, è durato troppo poco al punto che la risposta del sindacato dei metalmeccanici, uscendo dalla sede della presidenza del Consiglio, è stata quella di promuovere otto ore di sciopero per il mese novembre.
Una strategia sindacale che porta il premier-segretario a trincerarsi in un profondo silenzio — da lunedì scorso non proferisce parola — salvo cinguettare così: “Aumentano i posti di lavoro: più 82 mila sul mese scorso, più 150 mila da aprile. Solo con il lavoro #italiariparte”.
Un modo come un altro per rilanciare il lavoro fin qui svolto da capo dell’esecutivo per le ventiquattr’ore successive. Perchè il premier-segretario ha necessità di tenere alto il livello dello scontro inviando un certo tipo di messaggio all’opinione pubblica: “Io sono un’altra cosa, rispetto a quei sindacalisti che incrostano il sistema”.
In Transatlantico, però, questo approccio basato sull’estremizzazione della comunicazione lascia intendere a parlamentari democrat di aree diverse che “la verità è che il premier non ha una strategia, ma ha semplicemente una strategia politica che consiste nel mettere all’angolo tutto quello che viene da sinistra. In primis la Camusso. In questo senso la battuta della Picierno proprio sulla leader Cgil è rivelatrice di un atteggiamento diffuso fra i renziani”.
Atteggiamento che non si applica nei confronti di Maurizio Landini, “un figlio del popolo, che Renzi teme come abile comunicatore, e potrebbe addirittura togliergli il consenso di una fetta di elettorato in cerca di una alternativa seria a sinistra” (tanto che un sondaggio dell’Istituto Piepoli accredito il partito Fiom intorno al 10%).
Il premier porta avanti il dialogo con il segretario dei metalmeccanici, si narra perfino che si mandino sms e si incontrino in luoghi top secret.
“Sono come due amici che fanno a pugni e poi vanno a bere una birra insieme”, filtra dal Nazareno.
Ma alla fine, riferiscono fonti della sinistra sindacalista, “l’approccio morbido di Renzi nei confronti di Landini deriva dal fatto che il premier pensa di rompere il fronte dei sindacati. Ma Landini non è fesso, parla con lui, e poi quando esce e va in piazza dichiara lo sciopero generale”.
Messo da parte il binomio Camusso-Landini, il problema resta all’interno del partito democratico.
Alfredo D’Attore, bersaniano e testa pensante della minoranza Pd, ritiene che il partito non possa prescindere dal rapporto con la Cgil: “Spero che Renzi abbia capito che la spallata al sindacato e al ruolo dei corpi intermedi non passa. Spero che lo stia capendo e che adesso apra una fase di dialogo. Lasciamo perdere la Picierno, la linea della Leopolda porta l’Italia e il Pd in uno scontro frontale e in un vicolo cieco. Mi auguro che Renzi lo abbia capito e che torni a una sana concertazione. Concertazione non vuol dire poteri di veto ma affermare il valore del dialogo e del confronto. Confronto con le forze sociali e confronto in Parlamento che sono essenziali per migliorare legge di stabilità e legge sul lavoro. E di cose da correggere sulla legge di stabilità e sul Jobs Act ce ne sono parecchie”.
Ma la strategia renziana, per dirla con il fedelissimo del premier Ernesto Carbone, è lontana anni luce dalla concertazione sopraevocata: “Si parla e si discute con tutti, ma poi arriva il momento delle responsabilità e bisogna decidere. Per troppo tempo, infatti, la politica ha solo discusso, adesso la politica sceglie”.
Approccio che nei fatti acuisce la distanza fra la gas sia renziana e una larga fetta di democrat, legata più alla tradizione sinistra e alle triangolazioni con il sindacato.
E D’Attorre con ilfattoquotidiano.it mette a verbale la linea di separazione dal premier: “Naturalmente per essere vero ascolto non può ridursi a una funzione. L’ascolto vuol dire comprendere la ragione delle critiche che vengono avanzate. Così come sono oggi legge di stabilità e legge delega sul lavoro rischiano nel 2015 di aggravare la caduta del Pil, la caduta dei consumi e la deflazione, di aggravare la caduta dell’occupazione e di aumentare la precarizzazione del lavoro. Le modifiche che proponiamo vogliono evitare questi rischi e spingere anche Renzi ad un atteggiamento ben più incisivo in Europa, dove finora se stiamo alla sostanza delle cose, al di là degli annunci e delle battute, non abbiamo portato a casa nessuno vero cambiamento”.
Anni luce dall’apparente strategia del premier-segretario che insieme ai più fidati collaboratori di Palazzo Chigi starebbe limando un piano prevedendo che l’ascolto resti tale.
Le decisioni spettano soltanto al governo e al Parlamento, crede con forza il premier. “Fino ad oggi — riflette Caldarola — concertazione è stato sinonimo di discussione. Con Renzi concertazione significa decidere”.
“L’obiettivo del premier per affermare la sua leadership — conclude — è quello di smontare pezzo per pezzo la sinistra così com’è, ovvero la componente ideologica, il concetto di partito di massa, e infine vuole demolire il potere del sindacato”.
Giuseppe Alberto Falci
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
LA FRETTA DI RENZI DI TOGLIERE LE AUTO DA PIAZZA DEL DUOMO AVREBBE COSTRETTO LE AZIENDE COMUNALI A FORZARE LE PROCEDURE… INDAGA ANCHE LA CORTE DEI CONTI
L’ormai famosa “annuncite” potrebbe provocare guai giudiziari nella città di cui Matteo Renzi è stato sindaco.
A quanto riporta il quotidiano “La Nazione”, la Procura della Repubblica di Firenze ha aperto un’inchiesta sulle procedure che portarono alla pedonalizzazione completa di piazza del Duomo, partita il 25 ottobre 2010.
La procura ipotizzerebbe il reato di abuso d’ufficio. §
Al momento non ci sono iscritti nel registro degli indagati. La Corte dei Conti aveva già aperto un’inchiesta per danno erariale sulla medesima vicenda.
L’intervento sul centro storico fu promesso il 21 settembre 2009 dall’allora sindaco Renzi: ”Sono lieto di annunciare — disse — che è intenzione dell’amministrazione comunale procedere alla pedonalizzazione totale di Piazza Duomo, a partire dal prossimo 25 ottobre”.
Tempi molto stretti a cui, ricorda la Nazione, si dovettero adeguare la Firenze Parcheggi e la Sas, cui spettava di organizzare l’intero sistema della pedonalizzazione.
Ma proprio per la ristrettezza dei tempi, il Comune varò un’ordinanza di somma urgenza per bypassare le procedure e dare alle due società la possibilità di fare il tutto nei tempi annunciati dal sindaco.
La Firenze Parcheggi e la Sas poterono così esternalizzare alcuni servizi e alcuni lavori per rispettare la fatidica data indicata dal sindaco.
E’ questo il passaggio finito nel mirino della Corte dei Conti e della procura: le due società , ricostruisce ancora il quotidiano fiorentino, non avrebbero potuto esternalizzare nulla perchè quell’ordinanza non aveva titolo per essere emessa.
La Corte dei Conti ipotizza il danno erariale, perchè il pubblico avrebbe pagato indebitamente il privato; la procura punta all’abuso d’ufficio.
Nei giorni scorsi la Guardia di finanza si sarebbe presentata, nel massimo riserbo, negli uffici della Direzione mobilità e infrastrutture di Palazzo Vecchio, sede del Comune, per acquisire i documenti relativi a quella procedura.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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