Novembre 5th, 2014 Riccardo Fucile PER EVITARE CONTESTAZIONI, IL PREMIER ANNULLA LA VISITA A NAPOLI E VA A FARE PASSERELLA A VILLANOVA D’ALBENGA PER L’INAUGURAZIONE DELLO STABILIMENTO PIAGGIO CEDUTO AL PRINCIPE EREDITARIO DI ABU DHABI
A Bagnoli lo aspettavano in tanti a partire dal sindaco De Magistris, appena reinsediato. Ma
soprattutto movimenti e attivisti sociali che per il 7 novembre, data in cui era prevista la visita di Matteo Renzi, avevano organizzato un “caloroso” corteo di benvenuto.
Il corteo si farà lo stesso ma il presidente del Consiglio non ci sarà .
Ha deciso di annullare l’impegno Perchè “sovrapposto” a molti altri.
“Solo un rinvio” assicurano da Palazzo Chigi.
“Non scappo certo dalle difficoltà o dai conflitti” si premura Renzi di assicurare ai suo
Il sospetto che però voglia aggirare proprio le difficoltà si fa strada.
Ma che impegno ha preferito il premier per evitare Napoli
Renzi il 7 novembre si troverà a Villanova d’Albenga, in provincia di Savona, dove la Piaggio Aerospace, storica società dell’aeronautica italiana, inaugura il nuovo stabilimento.
Il clima sarà molto più disteso e più in sintonia con il messaggio che interessa al leader Pd.
La Aero Piaggio, infatti, dopo essere stata una eccellenza italiana, è stata venduta nel 2006 alla Mubadala degli Emirati Arabi che ne detiene il 98%.
Mubadala in arabo, come recita il sito aziendale, significa “scambio”, parola che ben si presta all’immaginifica retorica del presidente del Consiglio.
Fondata nel 2002 dal governo di Abu Dhabi “come attore principale della diversificazione economica dell’Emirato” è presieduta da “Sua Altezza lo Sceicco Mohamed Bin Zayed Al Nahyan, Principe Ereditario di Abu Dhabi e vice comandante supremo delle Forze Armate”
Come confermato dalla Fiom locale, la famiglia proprietaria sarà presente al completo durante l’inaugurazione dello stabilimento che è costato circa 400 milioni di investimento e la cui nascita è il frutto di un anno di trattative con il sindacato.
“A noi di Renzi, onestamente, non importa molto, ci importa la società e gli investimenti fatti” confessa il segretario della Fiom di Savona, Andrea Pasa.
“Sarebbe utile, anzi, che il nostro presidente del Consiglio prendesse qualche lezione di politica industriale dagli emiri”.
Provocazione voluta da chi ha passato l’ultimo anno a seguire la chiusura dello stabilimento storico di Finale Ligure, il ridimensionamento di quello di Sestri Ponente e il rischio che Piaggio Aero esternalizzi parte delle produzioni.
La Fiom dirà solo domani cosa intende fare il 7 novembre nel corso della visita del premier ma il contesto non assomiglia in nulla a quello dell’altro giorno a Brescia e nemmeno a quanto sarebbe potuto avvenire a Bagnoli.
Salvatore Cannavò
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 5th, 2014 Riccardo Fucile MINICHINI: “HO FATTO TUTTO QUELLO CHE ERA IN MIO POTERE PER AIUTARLO”
“Aveva già quei segni sotto gli occhi, lamentava mal di testa. Al medico che lo ha visitato ha detto di avere anche mal di schiena. E quel medico l’ho chiamato io, cinque minuti dopo averlo preso in consegna. Io non ho visto il pestaggio, non ho assistito, ma secondo lei, uno che appena vede l’arrestato in quelle condizioni chiama il medico…”.
Nicola Minichini è un fiume in piena. Dopo cinque anni e due assoluzioni, uno dei tre agenti di polizia penitenziaria finiti alla sbarra per la morte di Stefano Cucchi adesso chiede di essere lasciato in pace, “per non passare il resto della vita additato come un mostro”.
Minichini, può ricostruire quello che è accaduto nei sotterranei di piazzale Clodio il 16 ottobre 2009?
Io ho ricevuto Cucchi alle 13:30. Lo hanno accompagnato da noi i carabinieri dopo l’udienza di convalida. Durante il passaggio di consegne, si fanno le domande di prassi: come stai fisicamente, hai qualche problema, ecc. Cucchi rispose al mio collega di avere mal di testa e immediatamente io chiamai il dottor Ferri. Fu lui a notare che, oltre ai segni, aveva anche un livido sullo zigomo. Gli chiese come mai e Stefano rispose di essere caduto dalle scale. Si rifiutò di farsi visitare. Ferri gli somministrò una pillola per il mal di testa. Poi rientrò in cella. E dopo un’ora lo vennero a prendere i colleghi per portarlo a Regina Coeli.
Non notò nient’altro?
Si alzò da solo, ma non di scatto, faceva fatica a camminare. Ma in cella entrò da solo.
Quindi la versione dell’altro detenuto, Samura Yaya, secondo cui Stefano si rifiutava di entrare e voi lo portaste dentro con la forza, non è vera?
Nessuno dei 150 testimoni ha confermato quella versione. Senta, immagini questa situazione. In quei sotterranei transitano mediamente 30/32 arrestati al giorno, ci sono due agenti ogni arrestato più il personale di Villa Maraini più gli avvocati. Ma secondo lei è veramente possibile riempire di calci e pugni una persona senza essere notati? E per cosa, poi?
Me lo dica lei: per cosa?
Ecco, non lo so. Me lo devono ancora spiegare. Perchè ci aveva chiamato “guardie”? Ma ci chiamano in tutti i modi, persino “secondini”. Perchè Cucchi era un rompiscatole? Quaranta arrestati al giorno e sa quanti rompiscatole ci sono. Perchè mi doveva far trovare qualcosa, mi doveva far fare carriera? E io sarei così pazzo da menare uno davanti a tutti? Io quel reparto l’ho aperto nel 1993 e da allora non ho mai avuto un problema.
Minichini, lei però non ha mai accusato nessun altro di averlo pestato. A questo punto avrebbe potuto farlo.
Io non ho visto il pestaggio, se c’è stato io non c’ero. Quello che so per certo è che da noi non è successo niente.
Ma è certo che il pestaggio ci sia stato?
Lo dicono le sentenze, non lo dico io. Per quanto mi riguarda, quei segni sotto gli occhi potevano anche essere il risultato dell’eccessiva magrezza. Però, gliel’ho detto, la prima cosa che ho fatto è stata chiamare il medico.
Quindi lei ha la coscienza a posto, pur sapendo che è morto un ragazzo di 31 anni e che a cinque anni di distanza non c’è ancora un colpevole.
Io ho fatto tutto quello che era in mio potere per aiutare Cucchi, di più non avrei potuto.
Ha letto che adesso il procuratore capo Pignatone si è detto disposto a riaprire le indagini, qualora dovessero emergere nuovi elementi?
Io me lo auguro e mi auguro che possano trovare qualcosa. Sarebbe ora di allargare gli orizzonti. Non so perchè finora la Procura non ha avuto lo stesso accanimento nei confronti dei carabinieri, che lo hanno arrestato e avuto in consegna prima di noi.
Come si sente da “innocente”?
Come uno che chiede giustizia. Per la famiglia Cucchi e per la mia. Senza un colpevole agli occhi dell’opinione pubblica sarò sempre quello del caso Cucchi. Ho dovuto spiegare ai miei vicini che non sono un mostro, pensi come mi sono vergognato. Anch’io cerco la verità , perchè anch’io mi sento una vittima di questa storia.
Silvia D’Onghia
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 5th, 2014 Riccardo Fucile POI STEFANO FU ABBANDONATO IN OSPEDALE
“Aveva la faccia gonfia come un pallone e dei segni neri sotto gli occhi”. Giovanni Cucchi ha visto per
l’ultima volta suo figlio Stefano la mattina del 16 ottobre 2009, durante l’udienza di convalida del fermo per droga, nel Tribunale di piazzale Clodio, lo stesso che oggi non riesce a dare una risposta adeguata a questa famiglia. “Ho visto Stefano con il viso pieno, gonfio, gonfio come una persona che è stata presa a schiaffi, a botte”, ha raccontato Giovanni durante le indagini dei pm Barba e Loy.
Ma non è stato l’unico a vederlo così.
“La segretaria di udienza — si legge nelle motivazioni della sentenza di primo grado — ha ricordato che Cucchi era magrissimo, aveva le occhiaie, gli occhi ‘cerchiati’, e le era parso anche un po’ sofferente”
Il ragazzo era molto nervoso: scalciava contro sedie e tavoli e continuava ad alzarsi dalla panca sulla quale era seduto in fondo all’aula. Anche se “seduto” sembra una parola eccessiva: l’avvocato Rocca, quello che gli era stato assegnato d’ufficio perchè nessuno dei carabinieri aveva chiamato il legale di fiducia, ricordò che Stefano “era sdraiato nella panca… era sdraiato su un gluteo… non era proprio seduto”.
Quasi come uno che accusa dolore alla schiena. “Mi dichiaro innocente per quanto riguarda lo spaccio, colpevole per quanto riguarda la detenzione per uso personale — disse lo stesso Cucchi al pm che lo interrogava —. Mi scusi, non riesco a parlare bene”. Sarebbe bastato sollevare lo sguardo dalle carte per rendersi conto che quel detenuto non stava bene.
Nessuno lo ha fatto.
A giudizio, e finora assolti in entrambi i gradi, sono andati tre agenti di polizia penitenziaria; Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici.
Il teste su cui si è basata parte dell’accusa è Samura Yaya, un uomo del Gambia che si trovava nella cella 5 dei sotterranei del Tribunale (Cucchi era nella 3).
“C’era il ragazzo e qualcuno dava calci, faceva rumore con i piedi, sentito che il ragazzo caduto e stava piangendo” ha dichiarato ai pm in sede di incidente probatorio. Alle 14 Stefano venne visitato dal medico di piazzale Clodio, Ferri, che nel certificato scrisse: “Si rilevano lesioni ecchimotiche in regione palpebrale inferiore bilateralmente di lieve entità e colorito purpureo. Riferisce dolore e lesioni anche alle regioni del rachide e agli arti inferiori, ma rifiuta anche l’ispezione. Evasivamente riferisce caduta per le scale avvenuta ieri”.
All’arrivo nel carcere di Regina Coeli, Cucchi incontrò il dottor Degli Angioli, il primo e forse l’unico — nella catena delle 140 persone con cui ha avuto a che fare — che si rese conto della gravità della situazione: “Nel momento in cui ho detto di mettersi seduto lui mi ha detto ‘no, mi fa male la schiena’. Ha tirato giù i pantaloni e ho visto questo forte rossore, che c’era localizzato nella zona sacrale, un pochino alto, quasi lombare. Ho fatto una digitopressione e lui ha avvertito subito un contraccolpo”. Stefano finì all’ospedale Fatebenefratelli, con una frattura vertebrale, ma rifiutò il ricovero e preferì tornare in carcere, “dove c’è il medico che conosco”.
Durò solo poche ore, perchè il ragazzo — si legge ancora nelle motivazioni della sentenza di primo grado — “lamentava nausea e dolenzia diffusa, aveva brividi e freddo e diceva di non potersi alzare per il dolore”.
A tutti coloro che glielo chiedevano, continuava a ripetere di essere caduto dalle scale.
La notte, su indicazione dei medici, Stefano Cucchi venne trasferito nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini.
Lo aspettavano cinque giorni di agonia, con la sua famiglia chiusa dietro la porta del nosocomio a chiedere informazioni sul suo stato di salute. Ma lui non lo sapeva. Lui chiese solo, e a più riprese, di poter parlare con il suo avvocato. In cambio, diceva, avrebbe ricominciato a nutrirsi.
Stefano era molto dolorante, gli fu inserito un catetere vescicale ma, nonostante tutto, i medici e gli infermieri che ebbero a che fare con lui (i primi condannati in primo grado e assolti in appello, i secondi sempre assolti), lo trovavano “lucido” e “tranquillo”.
La sera del 20 ottobre, la dottoressa Bruno — tentando di convincerlo a mangiare — “drammatizzò” la situazione: “Non è che gli dissi ‘domani muori se non ti fai le flebo’. Però gli spiegai che i rischi per la sua salute erano significativi”.
Tanto significativi che la mattina dopo Stefano era morto davvero.
Si. D’O.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 5th, 2014 Riccardo Fucile SI E’ PARLATO DI MODIFICHE ALL’ITALICUM SU SOGLIE, PREFERENZE E PREMIO DI MAGGIORANZA
Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi è giunto a Palazzo Chigi, accompagnato da Gianni Letta, per incontrare il presidente del Consiglio Matteo Renzi.
A Palazzo Chigi è presente anche Denis Verdini.
“Si può fare di meglio” dell’ultima versione della riforma elettorale: su questo si sta muovendo il capo del governo.
Già in mattinata aveva incontrato i vertici del Pd. Con il leader di Forza Italia il segretario del Pd prova a rimodulare l’Italicum.
E da Berlusconi si aspetta risposte certe, in modo da sbloccare la riforma già oggi in prima commissione al Senato.
I punti aperti sono sempre quelli: soglie, premio, rappresentatività (cioè, scelta dei candidati).
L’intenzione è quella di alzare il premio al 40%, in questo caso chi vince arriverebbe al 55%.
Il nodo più complicato da sciogliere è come assegnare questo premio, alla lista (come preferisce Renzi) o alla coalizione.
A seconda del modello le soglie si assesterebbero, rispettivamente, al 5% o al 4 e 8% a seconda se si è o meno coalizzati.
Altro punto da chiarire, l’elezione dei candidati: capilista bloccati e preferenze è l’idea messa in campo ma, però, non ancora l’unica.
Uno dei punti emersi nella riunione tra Renzi e i vertici Pd è far approvare la riforma della legge elettorale entro dicembre in commissione Affari Costituzionali al Senato.
Poprio il patto del Nazareno è nel mirino sia della minoranza del Pd che da Sel e Cinque Stelle. –
Renzi ieri ha confermato che a suo avviso è “giusto fare le riforme con Berlusconi, non posso fare da solo. Io rispetto lui, Verdini e Letta, il fatto che Berlusconi sia stato condannato e Verdini rinviato a giudizio attiene alla loro vicenda personale”.
A Palazzo Chigi, dove intorno alle 15.30 è arrivato anche il ministro dell’Economica Pier Carlo Padoan, si è tentato dunque chiudere la partita, mentre l’ex Cavaliere sembra più cauto che in passato e secondo voci insistenti è intenzionato a legare l’appoggio all’Italicum ad una precisa contropartita.
Vale a dire modifiche alla legge Severino che gli permettano di ricandidarsi.
Di certo c’è che lunedì prossimo ci sarà un vertice di maggioranza sulle riforme. La richiesta, a quanto si apprende da fonti parlamentari, sarebbe arrivata dal leader Ncd Angelino Alfano e ha registrato l’ok del premier Matteo Renzi.
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Novembre 5th, 2014 Riccardo Fucile IL SENATORE BERSANIANO: “LETTA AVEVA DIVISO LA DESTRA, RENZI E’ RIUSCITO A DIVIDERE LA SINISTRA”
“Renzi prende il potere a patto di riportare Berlusconi al centro del sistema politico. Diceva di volerlo
‘asfaltare’ e invece si stanno facendo una bella strada insieme”.
A pronunciare questa frase a ilfattoquotidiano.it è il senatore Pd Miguel Gotor.
Il secondo rinvio a giudizio per Denis Verdini, trait d’union tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi per la stesura del cosiddetto Patto del Nazareno, scuote gli animi dei democratici, ormai confusi sul da farsi.
Cinquanta, 60, forse addirittura 70 parlamentari sono pronti ad alzare le barricate al grido di “no Verdini”.
Ad aprire le danze è stata l’intervista dell’Huffington post a Massimo Mucchetti: “Si apre nel caso di Verdini — scandisce — non già la questione della sua permanenza a Palazzo Madama, che non è in discussione, ma l’opportunità che sia il principale negoziatore e testimone del patto del Nazareno”.
A Montecitorio Verdini è stato il caso del giorno.
Visi scuri e bocche cucite hanno accompagnato il lungo pomeriggio in cui il patto del Nazareno ha rischiato di scricchiolare.
Da un capannello a un altro rimbalzava la seguente domanda: “Perchè continuare a trattare con un rinviato a giudizio?”. “Ma non lo scegliamo noi, lo sceglie Berlusconi”, ribatteva con un filo di sarcasmo un renziano della seconda ora.
“Noi avremmo preferito dialogare con persone che non hanno problemi con la giustizia. Ma non siamo noi a deciderlo, Forza Italia non è solo Verdini. Sarà Berlusconi a decidere chi sarà il proprio ambasciatore. Ancora non c’è la sentenza definitiva. Il problema è che loro sono stati legittimati dai voti delle politiche e delle europee”.
Secondo il senatore Gotor bisogna riavvolgere il nastro per comprendere cosa sia successo negli ultimi dieci mesi: “Il problema c’è ed è un problema che proviene da lontano. Soltanto chi aveva gli occhi foderati di prosciutto o un mero opportunismo faceva finta di non vederlo”.
E ancora: “Il punto politico — spiega il senatore bersaniano — è che Letta cade dopo aver diviso la destra. A quel punto l’ex premier ottiene un risultato politico molto importante, la nascita di un partito che si chiama Ncd. Ma Renzi riporta al centro Berlusconi, Letta cade, e di fatto l’attuale premier frena la diaspora all’interno del centrodestra. Perchè se Ncd invece di fermarsi a 33 senatori avesse superato i 40, Berlusconi sarebbe stato politicamente finito”.
Ma tornare indietro appare impossibile.
L’unica carta a disposizione della minoranza Pd, è quella di portare il caso alla prossima direzione, che — stando agli ultimi report del Nazareno — dovrebbe tenersi a metà mese.
In quella sede la fronda degli oppositori al premier non dovrebbe limitarsi all’area Civati, e ai soliti senatori, come Corradino Mineo.
La vera novità è che “anche all’interno del gruppo renziano comincia a destare un po’ di perplessità l’accordo con Berlusconi e Verdini. Del resto alla fine da questo rapporto non è uscito nulla di definitivo. Le riforme sono al palo. E la legge elettorale è lontana dall’essere ratificata. E noi, parlamentari, cosa raccontiamo ai cittadini che rappresentiamo?”.
Ma non c’è solo la legge elettorale. Perchè. come afferma la senatrice Lucrezia Ricchiuti, non sono stati affrontati “il falso in bilancio, la revisione della prescrizione, l’autoriciclaggio e una lotta seria all’evasione fiscale”.
Ma la Ricchiuti si spinge addirittura oltre: “C’è malumore fra tanti colleghi. Tanti colleghi non condividono la linea del premier, ma non lo diranno mai. Perchè dire questo, ovvero dire no al patto del Nazareno, significa non essere candidati al prossimo giro”.
Giuseppe Alberto Falci
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 5th, 2014 Riccardo Fucile DOPO IL RINVIO A GIUDIZIO DEL GARANTE DEL PATTO DEL NAZARENO, CRESCE L’IMBARAZZO TRA I PARLAMENTARI PD
Le camicie Verdini del Patto del Nazareno si stingono sempre di più dalle parti di Renzi.
L’ennesimo rinvio a giudizio dello sherpa berlusconiano plurinquisito, stavolta per la P3, da un lato aumenta imbarazzi e no comment nel partito renziano.
Dall’altro però accelera il relativo e silenzioso sganciamento dall’impresentabile Denis Verdini.
Sostiene Rosy Bindi, presidente della commissione Antimafia: “La verità è che a questo punto non bisognava proprio arrivarci, non c’era bisogno di quest’altro processo per capire che le riforme non si fanno con la garanzia di Verdini. Ma non mi faccia parlare troppo perchè diventerei pericolosa”.
Pippo Civati, altro volto della minoranza dem, la butta sull’ironia: “Sono sinceramente preoccupato per Renzi perchè ha un amico nei guai”.
L’ironia diventa pesantissima quando l’amicizia tra i due toscani, “Matteo” e “Denis”, entrambi di provincia, si trasfigura in uno dei tanti reati contestati a Verdini: “Associazione a delinquere, capito?”. Eccome.
Renzi coi processi dell’amico Denis non c’entra nulla, ma questo è solo uno dei modi in cui si infierisce sui colpi assestati al negoziatore principe del Nazareno, l’uomo davvero nero del patto.
Dice Davide Zoggia, bersaniano: “Io mi limito a leggere politicamente la vicenda e ricordo che quando noi concordammo con Berlusconi il nome di Franco Marini per il Quirinale venne giù il mondo nel Pd. Adesso nessuno parla”.
Ancora un bersaniano, Alfredo D’Attorre: “A Renzi dico che fare le riforme con Verdini non è stata un’idea brillante”.
Renzi e i renziani evitano però di affrontare l’argomento pubblicamente.
Troppo stridente, indecente l’ossimoro nazareno di un padre costituente che sarà protagonista di un processo dove la P3 dovrà rispondere anche di attentato a organi costituzionali.
Interpellata in merito da ilfattoquotidiano.it, ieri la ministra delle Riforme Maria Elena Boschi, che con Verdini ha lavorato spalla a spalla sull’abolizione del Senato, ha semplicemente eluso il problema, facendo finta di non vederlo: “Verdini? Il nostro referente è Forza Italia”.
La questione è che la bufera sullo sherpa impresentabile incrocia la tattica dilatoria di Berlusconi sulla legge elettorale, su cui lo stesso Verdini aveva dato rassicurazioni al premier per un’approvazione a fine anno.
Al contrario, Berlusconi vuole fare di tutto per non caricare la pistola di Renzi ed evitare quindi le elezioni anticipate.
Fino a che punto, allora, le due vicende coincidono?
I renziani che parlano con “Matteo” confermano che i rapporti tra Lotti e Verdini “sono molto raffreddati” e a Berlusconi è stata recapitata la richiesta di “nascondere” lo sherpa inquisito e imputato, cioè di non farsi accompagnare da lui ma solo da Gianni Letta (cosa non avvenuta… n.d.r.)
A far tremare i fedelissimi del premier sono sempre le voci su un’eventuale richiesta d’arresto per Verdini proveniente da Firenze.
La vicenda è quella del buco da 100 milioni di euro della banca di Verdini, il Credito cooperativo fiorentino.
Storia sulla quale ieri è tornato Massimo Mucchetti, senatore del Pd, intervistato da Alessandro De Angelis per l’Huffington Post: “Il principale negoziatore e testimone del patto del Nazareno è una persona che ha condotto al fallimento una banca di credito cooperativo. E questa non è materia di processo, ma un dato della realtà ”. Altro che persecuzione.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 5th, 2014 Riccardo Fucile LA TESSERA FANTASMA DEL FINANZIERE… IL SEGRETARIO DELLA SEZIONE: “ABBIAMO RICEVUTO SOLO UN BONIFICO DI 15 STERLINE”
Davide Serra, professione finanziere, tessera del Pd numero… boh? 
A oggi il CEO del fondo Algebris, che all’ultima Leopolda ha espresso il desiderio di limitare il diritto di sciopero, non risulta ancora iscritto al Partito Democratico di Londra.
Per ora c’è solo un bonifico, di 15 sterline, ma nel circolo della City lui non c’è mai entrato.
Nè lui, nè – per ora – il suo modulo di iscrizione.
«La sua iscrizione a mezzo stampa ci ha un po’ sorpresi – scherza Roberto Stasi, 32 anni, segretario del circolo al 124 di Canonbury Road, ricordando l’annuncio fatto a Firenze da Serra -, per questo abbiamo subito chiesto chiarimenti a una esponente dei circoli Renzi londinesi che in quei giorni era alla Leopolda».
Poi però è arrivato il bonifico, ma non basta.
«Abbiamo fatto avere a questa persona il modulo di iscrizione per Serra – continua Stasi -, ora attendiamo che ce lo restituisca firmato. Così poi potrò consegnargli la tessera. Voglio farlo di persona, come succede con tutti gli iscritti».
La notizia dell’iscrizione di Serra – seppur per ora solo annunciata – non ha lasciato indifferenti i tesserati del Pd londinese.
Per dare un’idea dell’aria che tira basta guardare i risultati delle primarie 2013: Civati 27 voti, Renzi 11, Cuperlo 3.
Una sezione giovane, aperta, desiderosa di rinnovare il partito, ma non troppo marcatamente «renziana».
Il lunedì successivo alla Leopolda, si sono riuniti e hanno iniziato a discutere.
Anche dell’iscrizione di Serra: «L’argomento ha creato molto dibattito – racconta Stasi – ma ovviamente il suo tesseramento non deve avere un “via libera”. A molti non è piaciuta la sua uscita sul diritto di sciopero, io personalmente l’ho considerata un brutto scivolone. E poi lo sciopero mica è una cosa solo italiana: qui la metropolitana a volte si blocca per tre giorni….».
Al circolo di Londra gli iscritti quest’anno gli iscritti sono una sessantina, quasi tutti ragazzi che sono partiti per l’Inghilterra alla ricerca di un futuro.
O quantomeno di un presente più roseo di quello che offre loro l’Italia.
«C’è di tutto – spiega Stasi, che di professione fa l’analista finanziario -, dal lavapiatti a chi lavora nella finanza. Mi piacerebbe che Serra venisse qui a confrontarsi con noi, a conoscere tutte queste esperienze, a capire le difficoltà di chi a 30 anni prova a inserirsi nel mondo del lavoro. Probabilmente lui è stato più fortunato di noi e capisco anche il suo punto di vista da investitore. Però colgo subito l’occasione per invitarlo alla prossima riunione, il 24 novembre. Il mio obiettivo è fargli cambiare idea. E magari portarlo in piazza con noi…».
Marco Bresolin
(da “La Stampa”)
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Novembre 5th, 2014 Riccardo Fucile DOPO L’INCHIESTA SUL RICATTO CON I FOTOMONTAGGI, IL BISCIONE GLI TOGLIE LA SUPERCONSULENZA DA 27.000 EURO AL MESE, L’APPARTAMENTO DI LUSSO, DUE AUTISTI E LA SEGRETARIA
Una raccomandata di poche righe datata il 30 ottobre scorso ed Emilio Fede è stato licenziato di nuovo da Mediaset.
Per sempre, si direbbe. E da un giorno all’altro, visto che la decisione unilaterale dell’azienda è stata immediatamente esecutiva a partire dal 31 ottobre.
Un licenziamento a quattro stelle che racconta come in realtà si erano accomodate le cose tra l’ex direttore del Tg4 e Mediaset dopo la sua prima, clamorosa, cacciata avvenuta il 28 marzo del 2010: giorno in cui, prima di asserragliarsi altre 24 ore nel suo ufficio, Fede mostrò a un imbarazzatissimo capo dell’ufficio legale, Pasquale Straziota, il fotomontaggio del direttore generale dell’informazione del gruppo, Mauro Crippa, in compagnia di un transessuale.
Tre mesi dopo però, il giornalista, per intercessione di Silvio Berlusconi, riuscì ad ottenere un nuovo contratto.
Un trattamento principesco, senza dubbio, considerato che, nonostante l’intesa prevedesse una collaborazione editoriale, Fede da allora non è mai più riapparso in video: «Eppure ho presentato almeno 70 proposte. Ma niente, non mi hanno mai nemmeno risposto…», si lamentava qualche giorno fa.
«Con la presente…» infatti, Fede non solo perde lo stipendio di 27 mila euro («lordi, eh?») mensili che percepiva da almeno tre anni ma anche la lussuosa casa di Milano Due, il pagamento delle bollette di luce, acqua, gas e telefono, i due autisti, la segretaria, l’ufficio.
Mancano giusto i dischi di Little Tony, come cantavano Jannacci e Fo in «Ho visto un Re…» e poi si può dire che Emilio Fede, 83 anni, è stato ridotto sul lastrico.
Si fa per dire, ovviamente, visto che ora comincerà a percepire una pensione notevole rispetto agli standard normali.
Unica concessione del Biscione: potrà rimanere nella sua abitazione fino alla fine di novembre, in modo di avere tempo per cercarsi un’altra casa.
Fede insomma torna a perdere tutto. E per un giocatore del suo calibro, è una sconfitta cocente che non intende commentare.
Almeno con noi de La Stampa: «Cosa volevi che facessero? Dopo quello che avete scritto!». Il lussuoso contratto sarebbe comunque scaduto a giugno.
Ma in questo modo, la revoca è definitiva e arriva tra l’altro a pochi giorni dalla sentenza d’appello per il processo Ruby due, dove Fede è stato condannato in primo grado a 7 anni di reclusione.
La missiva, a nome del consiglio d’amministrazione della società di Rti, viene giustificata con la notizia dell’inchiesta della Procura milanese in cui Emilio Fede, insieme al suo ex personal trainer, Gaetano Ferri, e altre persone, è indagato per associazione per delinquere finalizzata alla diffamazione, in relazione ad alcuni falsi scatti a luci rosse di un dirigente Mediaset e a dei file audio in cui si faceva menzione anche di fotomontaggi ai danni del presidente del gruppo, Fedele Confalonieri.
Foto e audio che il suo ex allenatore tentò anche di rivendere ad alcuni giornali sempre, ha raccontato, «su indicazione di Fede».
E di cui presto lo stesso Fede dovrà dare una spiegazione davanti al magistrato che indaga su questa strana storia, il pm Silvia Perrucci.
L’ex direttore finora ha spiegato l’esistenza di questo materiale e il suo possesso come il tentativo di sottrarre dal mercato immagini che avrebbero potuto imbarazzare il gruppo: «Ma quale ricatto! Io pagai quella foto e anche 5000 mila euro per il transessuale che aveva posato e poi la consegnai a chi di dovere in Mediaset. E loro mi licenziarono in tronco».
Pochi mesi dopo però, venne firmato il nuovo contratto reciso due settimane fa. Materia che adesso è all’esame della Procura dopo la richiesta di esibizione atti operata dalla polizia giudiziaria proprio due giorni prima della decisione di Mediaset. La società , che finora non ha presentato denuncia, ha però annunciato che è pronta a costituirsi parte civile contro l’ ex direttore quando l’inchiesta verrà chiusa.
Paolo Colonnelo
(da “La Stampa”)
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Novembre 5th, 2014 Riccardo Fucile CASSA INTEGRAZIONE A ZERO ORE PER I 76 LAVORATORI DI VIA BELLERIO… MENTRE LA MOGLIE DI SALVINI E’ STATA PIAZZATA IN REGIONE A 70.000 EURO L’ANNO CON CHIAMATA DIRETTA
La Lega non ce l’ha più d’oro. Ce l’ha in rosso come tanti. 
Vita finanziaria grama per il partito di Umberto Bossi, Roberto Maroni e ora di Matteo Salvini che rischia di dare l’ultima mandata alla storica sede di via Bellerio.
Travolto dai conti economici che non tornano, l’altro Matteo più famoso della politica, ha chiamato in assemblea plenaria i 76 dipendenti del partito e ha dato il ferale annuncio: «Siamo poveri in quanto a soldi ma ricchi di idee e consensi. Per questo abbiamo deciso di tagliare le spese del partito e puntare sul nostro generosissimo volontariato».
Traduzione: via alle procedure di cassa integrazione a zero ore per i 76 dipendenti.
In via Bellerio, manco a dirlo, il sindacato non c’è.
Entro due settimane verranno avviate le procedure con Cgil, Cisl e Uil settore Commercio. Quello che succederà dopo non lo sa nessuno.
Matteo Salvini fa l’ottimista: «Vogliamo dare il massimo aiuto ai lavoratori-militanti che hanno accompagnato la Lega fino ad oggi».
Uno dei custodi di questa ex azienda farmaceutica al 41 di via Carlo Bellerio – patriota italiano, 1800-1886 – mica le manda a dire dopo quattordici anni di lavoro e di militanza con uno stipendio da 1500 euro: «Ho un diavolo per capello anche se sono pelato. Si sono mangiati tutto. Non sappiamo nemmeno come fare a tenere aperta la sede se ci mettono in cassa e manco a rotazione».
Chi lo sa se ci saranno una Camusso o un Landini a difendere i lavoratori e soprattutto le lavoratrici di questo partito con i conti in profondo rosso.
Alessandro Morelli, direttore di Radio Padania – i media della Lega sono stati esentati da questo giro di vite, hanno già dato – ammette che qualche mal di pancia c’è: «Lunedì in riunione non è stato bello. È una scelta dolorosa si capisce. Meglio intervenire subito prima che sia troppo tardi”.
A molti dei 76 dipendenti invece è venuto il cimurro. Chi c’era lunedì nel salone al secondo piano giura che non c’era una bella aria. «Vi siete arricchiti sulla nostra pelle». «Vi siete fregati i soldi».
Il tormentone di sempre. Doppiamente attuale in un partito che ai tempi del tesoriere Francesco Belsito trafficava in Tanzania e in diamanti.
Che ha avuto una intera classe dirigente finita sotto inchiesta per le spese pazze dei fondi di partito.
«Solo due anni fa in cassa c’erano 30 milioni di euro». «C’è uno che per diventare Governatore ha speso una fortuna». Nei corridoi i veleni si sprecano.
Ma è da sempre così in questo partito di duri e puri dove alla fine sono diritti solo i muri.
Ai tempi dell’accordo con Silvio Berlusconi, anno 1994, si favoleggiava di un patto con il Cavaliere che sul piatto avrebbe messo 70 miliardi di lire.
Due miliardi di fideiussione solo per via Bellerio dove tra un po’ si rischierà di entrare dal retro, dove il muro è verde padano.
Perchè si sa, la Lega è al verde che più verde non si può.
Fabio Poletti
(da “La Stampa“)
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