Novembre 6th, 2014 Riccardo Fucile
RECCHI, VITALE, ONORATO, MANAGER E IMPRENDITORI ALLA CORTE DEL LORO BENEFATTORE…PELLICCE, TACCHI 12, PORSCHE CAYENNE E JAGUAR
Il presidente della Telecom Giuseppe Recchi, l’europarlamentare Alessandra Moretti, la ministra
Maria Elena Boschi e il ministro Maurizio Martina.
Ma anche manager come l’armatore Vincenzo Onorato, il finanziere Guido Roberto Vitale, Matteo Colaninno, Luca Garavoglia patron della Campari e il numero uno di Unipol, Pierluigi Stefanini.
Sono i primi ospiti intravisti alla cena di autofinanziamento del Pd, organizzata dal premier Matteo Renzi al ristorante ‘The Mall’ a Milano.
Scrive l’Agenzia italia:
Signore con la pelliccia (malgrado la temperatura ancora mite) e tacco dodici, signori eleganti: sono pochi quelli disponibili a fermarsi coi giornalisti.
La somma totale della raccolta fondi sarà resa pubblica, mentre, per la normativa della privacy, sarà comunicata l’identità dei soli sostenitori che firmeranno la liberatoria. Molti Suv, alcune Porsche
Cayenne e Jaguar.
Tutti scommettono sul premier-segretario. “Renzi ha tutta la mia simpatia, mi aspetto che ci dia speranza”, confida Fabrizio Du Chene, ad Igp, uno dei primi ad arrivare.
La quota di partecipazione per i circa 600 commensali presenti è di 1000 euro a testa e il catering è curato dagli chef di Eataly di Oscar Farinetti.
L’obiettivo, spiega uno degli organizzatori, è racimolare fino a 5 milioni di euro comprendendo anche la cena di autofinanziamento che si terrà domani sera a Roma all’Eur.
Il partito democratico soffre di un passivo di dieci milioni di euro.
Tuttavia durante la cena Renzi ha esposto con soddisfazione la situazione delle casse della formazione politica: “Abbiamo recuperato 18 milioni di risorse, grazie a questo nessun dipendente del Pd avrà la cassa integrazione”.
Per il bis romano della formula ‘mille euro per un posto a tavola con Matteo’ dopo la ‘prima’ di Milano, sono attesi imprenditori e professionisti vari, in prevalenza del Centro-Sud, ma nessun vip dello spettacolo.
Il catering, servito nella Sala delle Fontane, sarà curato da ‘Palombini’, nei bicchieri verranno versati acqua minerale Norda, vini Santa Margherita e Bertani.
Il numero dei tavoli è ancora da definire, dovrebbero essere più di 60.
Gli organizzatori, infatti, puntano a oltre 600 invitati.
In tempi di magra dovuti al taglio dei finanziamenti pubblici e alla crisi, il Partito democratico prova a rimpinguare le casse (i conti del 2013 sono in rosso per quasi dieci milioni di euro) mobilitando i suoi parlamentari.
Big e peones si sono dati da fare per rastrellare più fondi possibili, sotto la super visione del tesoriere Francesco Bonifazi e di Alessia Rotta, che in segreteria ha la delega alla Comunicazione.
Non sono ammessi cattivi pagatori: ogni commensale, raccontano, ha già ‘saldato’ tramite bonifico bancario per sedersi a tavola con Matteo Renzi, la ministra Marianna Madia e i sottosegretari, Luca Lotti e Angelo Rughetti.
Non previste invece presenze della minoranza.
Ci saranno tanti giovani manager, imprenditori e rappresentanti del mondo delle professioni, assicurano gli organizzatori.
Tra questi, ‘mister polistirolo’, Paolo Cerù, uno dei produttori leader nel settore delle materie plastiche nel Sud-Italia, e l’avvocato Raffaele de Stefano, titolare dell’omonimo studio tributario nella capitale.
Tra i nomi più in vista, Paolo Dosi, amministratore delegato di Clear Channel Italia, società leader mondiale nella pubblicità esterna e gestore esclusivo in Italia del bike sharing, da Milano a Verona; Bukurije Gjonbalaj, ambasciatrice della Repubblica del Kosovo in Italia.
Rosy Bindi ha fatto sapere che non parteciperà a nessuna delle due cene: “Sono il parlamentare che ha maggiormente finanziato il Pd, non posso partecipare all’altra linea di finanziamento che non condivido”, ha ribadito.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 6th, 2014 Riccardo Fucile
IL COMUNICATO GIUDICATO “MINATORIO” DAI VERTICI PD, ACCUSATI DAL SINDACATO DI “CANCELLARE I DIRITTI DEI LAVORATORI”
È polemica tra il Partito democratico e la Cgil Calabria. 
Il sindacato ha annunciato la propria mobilitazione contro l’Assemblea nazionale dei dem in agenda per il 13 dicembre a Reggio con un comunicato ritenuto «minatorio» dal partito del premier Matteo Renzi.
«Ci prepariamo ad accogliere – ha scritto nella nota la Cgil calabrese – l’Assemblea nazionale del Pd, e cioè di chi sta cancellando i diritti dei lavoratori. Sarà per loro una “giornata indimenticabile” che prepareremo con attenzione e cura».
Segue «l’appello alle forze dell’ordine affinchè non si ripetano episodi gravi come quelli successi a Roma contro i lavoratori di Terni».
Dura la risposta del Partito democratico, che in un comunicato firmato da Lorenzo Guerini e Matteo Orfini – rispettivamente vicesegretario e presidente dem – hanno stigmatizzato l’annuncio del sindacato: «Troviamo incomprensibili, se non preoccupanti, le parole espresse dalla Cgil calabrese che annuncia una “giornata indimenticabile” ed evocare un “appello alle forze dell’ordine” in occasione di un’Assemblea di una forza politica non è esattamente il modo opportuno di esprimere le proprie opinioni. Fermo restando il diritto di tutti di manifestare il proprio dissenso – prosegue il comunicato – chiediamo alla segretaria Camusso di valutare l’opportunità di prendere le distanze da toni che, oltre che eccessivi, possono apparire minacciosi o inviare messaggi pericolosi all’opinione pubblica».
E ancora, i due dirigenti del Pd aggiungono: «Non si capisce la volontà di entrare in questioni che riguardano la campagna elettorale del Partito democratico a sostegno del suo candidato alla presidenza della Regione. Alla disinformata segreteria regionale della Cgil calabrese ricordiamo che, come già annunciato dalla segreteria regionale, Matteo Renzi chiuderà la campagna elettorale in Calabria il 21 novembre».
Il segretario Susanna Camusso non aveva preso posizione sulla polemica.
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Novembre 6th, 2014 Riccardo Fucile
“LO STILE AGGRESSIVO DI RENZI CI CONDANNA ALLA STESSA MARGINALITA’ DEI GOVERNI PRECEDENTI”
Matteo Renzi si vanta spesso di avere cambiato l’atteggiamento dell’Italia in Europa. L’Italia è forse il paese fondatore maggiormente assente dall’arena comunitaria negli ultimi 15 anni, avendo giocato un ruolo marginale nella costruzione delle istituzioni europee. Quindi di un cambio di passo ci sarebbe bisogno.
E quale migliore occasione del semestre italiano per metterlo in atto?
Non passa giorno senza che ci sia, in effetti, qualche scontro istituzionale fra il governo italiano e la Commissione Europea.
Ma l’impressione è che lo stile aggressivo, “confrontational”, adottato da Renzi, ci condanni alla stessa marginalità dell’atteggiamento passivo adottato dai governi precedenti.
Potrà forse la rissosità servire a raccogliere consensi in Italia, trovando un comodo capro espiatorio, ma non ci permette di meglio tutelare i nostri interessi e soprattutto quelli che sono convergenti con gli interessi dell’Unione Europea nel suo insieme.
Le organizzazioni complesse, e ancora più quelle intergovernative, procedono per aggiustamenti marginali e si chiudono a riccio quando aggredite.
Chi, come noi, è in una posizione contrattuale debole può costruire coalizioni vincenti solo rendendosi credibile come rappresentante di interessi più vasti di quelli del proprio paese.
Purtroppo i resoconti degli incontri comunitari sono di tutt’altro tenore. E soprattutto tre esempi recenti sono sotto gli occhi di tutti.
Il primo è quello del cammino della legge di stabilità .
La Commissione Europea ci ha imposto di dimezzare il contenuto espansivo della nostra legge di bilancio, facendoci ridurre l’aumento del disavanzo nel 2015 da 11,3 a meno di 6 miliardi.
Ora, a una sola settimana dal via libera concesso dal vice-presidente Katainen alla legge di stabilità così “dimezzata”, sono arrivate le previsioni della Commissione che prefigurano la richiesta a breve di un’altra correzione di circa 3 miliardi in quanto l’indebitamento strutturale migliorerebbe solo dello 0,1 per cento rispetto al 2014, in luogo dello 0,3 previsto.
Legittima la frustrazione di chi deve affrontare il confronto parlamentare su di una manovra che deve costantemente ripartire da capo, come nel gioco dell’oca, con tempistiche che per di più non hanno alcun rispetto per il dibattito parlamentare.
Ancora più grave il fatto che la Commissione ci chieda di fatto di annullare il contenuto espansivo della manovra di fronte a un peggioramento della congiuntura.
Ma presumibilmente nella situazione dell’Italia si potevano trovare molti altri paesi. Se avessimo fatto presente questi problemi di calendario a tempo debito, avremmo potuto evitare queste incongruenze.
Potevamo anche incidere sul contenuto delle raccomandazioni, che oggi comportano un avvitamento in negativo, con manovre sempre più restrittive e revisioni al ribasso delle stime di crescita.
Bastava mettere in discussione il modo con cui vengono stimati parametri cruciali nelle raccomandazioni della Commissione e come vengono interpretate queste stime.
Il problema, in soldoni, è che la Commissione attribuisce una parte eccessiva della caduta del reddito in Italia a fattori strutturali, anzichè legati alla congiuntura negativa.
Questo significa che non abbiamo grandi giustificazioni per politiche espansive anticicliche. Come spiegano Cottarelli e altri su lavoce.info, bastano variazioni di pochi decimali di queste stime, ad esempio allineando quelle della Commissione alle stime dell’Ocse e del Fondo monetario, per legittimare il via libera a manovre molto più espansive di quella che saremo costretti a mettere in atto seguendo i dettami della Commissione.
I dati utilizzati a Bruxelles a supporto di queste stime sono poi discutibili: ad esempio, attribuiscono alle ore di cassa integrazione una riduzione permanente, anzichè temporanea, delle ore lavorate, contribuendo a ridurre di un terzo il prodotto potenziale, il livello del Pil in condizioni normali. Perchè allora il nostro paese non ha contestato fin dall’inizio questi metodi, perchè non ha chiesto che le ipotesi e i dati su cui si reggono gli scenari della Commissione venissero resi maggiormente trasparenti, creando un organismo tecnico in grado di valutare i margini di errore cui sono soggette le stime dei modelli e di segnalarne i limiti alle autorità comunitarie?
Nessun paese ha interesse a entrare in una specie di lotteria, in cui per via di un decimale di troppo o di meno si rischia di dover riscrivere una legge di bilancio.
Non è questione di cambiare i trattati. Nè c’è bisogno di rimettere in discussione le regole. Basta ridiscutere il modo con cui vengono messe in atto, per il bene di tutti.
Il secondo esempio è quello degli stress test sul sistema bancario, che si sono conclusi a fine ottobre.
Messaggio devastante per la credibilità del nostro sistema bancario e per la stessa Banca d’Italia in quanto siamo il paese in cui il patrimonio iscritto a bilancio dagli istituti di credito sarebbe il più lontano dalla realtà .
Anche in questo caso c’è stata una levata di scudi perchè gli stress test sarebbero stati troppo penalizzanti nei confronti delle banche italiane e troppo generosi nei confronti di quelle tedesche per via del fatto che hanno valutato in modo eccessivamente benigno i derivati in pancia a Commerzbank e Deutsche Bank.
Giuseppe Guzzetti, che ha coalizzato le fondazioni bancarie contro gli aumenti di capitale a Siena e Genova, impedendo che Monte dei Paschi e Carige si rafforzassero patrimonialmente in vista degli stress test, ha avuto parole di fuoco contro la revisione degli attivi bancari da parte della Bce.
Ora, ammesso e non concesso che i test fossero artatamente sbilanciati a favore della Germania, dove erano le nostre autorità di vigilanza, i tecnici del nostro ministero dell’economia, quando queste regole sono state discusse e adottate
L’impressione è che il nostro governo, che si lamenta spesso per la burocrazia di Bruxelles, dovrebbe innanzitutto preoccuparsi di dotare il nostro paese di una burocrazia adeguata.
Altri episodi recenti, non comunitari, certificano questa assoluta necessità .
Pensiamo al caso dei test di medicina, di cui alle cronache di questi giorni, destinato a lasciarci uno strascico di ricorsi per moltianni a venire (viaggiando su Internet si trovano siti di avvocati che si offrono di preparare ricorsi con tariffe leggermente superiori alle quote di iscrizione ai corsi di laurea).
Sorprende che nessuno abbia posto il seguente interrogativo: perchè il ministero dell’Università e della Ricerca deve concedere un potere di monopolio assoluto a un ente privato, come Cineca, che non sembra contemplare procedure di controllo ex ante dei test somministrati agli aspiranti medici?
E perchè non è in grado di gestire al suo interno anche le banche dati che raccolgono le informazioni sulle carriere dei docenti universitari?
Il cambio di passo dell’Italia a livello comunitario dovrebbe infine comportare una maggiore presenza del nostro paese sui temi più importanti di cui si dibatte anche al di fuori del Club Med, il circolo dei paesi del Sud.
Di qui il terzo esempio. Si sta consumando in questi giorni uno scontro molto acceso fra Angela Merkel e David Cameron che vorrebbe imporre tetti alla mobilità dei lavoratori comunitari all’interno dell’Unione.
Quello della libera circolazione è un principio basilare, fondamentale da presidiare soprattutto all’interno di una unione monetaria.
Il nostro paese potrebbe essere alleato di Juncker e della Germania in questa battaglia a difesa della mobilità del lavoro, difendendo un bene molto importante per i paesi che hanno la disoccupazione più alta.
Non mi sembra, tuttavia, di avere udito pronunciamenti del governo italiano a riguardo. Mi auguro di essermi sbagliato.
Tito Boeri
(da “La Repubblica“)
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Novembre 6th, 2014 Riccardo Fucile
LO RIVELA “IL MESSAGGERO”: SI PARLA DI TANGENTE DA 1,8 MILIONI DI EURO RICEVUTA DAI COSTRUTTORI ROMANI PULCINI QUANDO ERA ASSESSORE IN REGIONE LAZIO
Il tavolo lo aveva scelto lui. Roba seria, che odora tanto di moderno. 
“Pagamenti digitali” si chiamava il tema da svolgere scelto dal deputato del Pd Marco Di Stefano nel garage della Leopolda, l’assise renziana divenuta tappa obbligata per quei democratici che ci tengono a rimanere in sella.
E chissà come ha presentato la questione della tracciabilità dei denari su quel tavolo, pensando all’inchiesta romana sulla vendita di palazzi all’Ente previdenziale dei medici che — secondo quanto ha rivelato Il Messaggero – lo vede indagato per una presunta tangente da 1,8 milioni di euro.
Una cifra niente male, che per gli investigatori sarebbe arrivata dai costruttori romani Pulcini, finiti ai domiciliari per corruzione nell’ambito dell’inchiesta che ha colpito, a fine ottobre, il direttore regionale dell’agenzia del demanio del Lazio.
Secondo il quotidiano romano, la tangente sarebbe servita ad assicurare ai costruttori due contratti d’affitto a sei zeri per conto della “Lazio service”, società controllata della Regione.
A raccontare della presunta mazzetta oversize è l’ex moglie del deputato del Pd, Gilda Renzi e Bruno Guagnelli, fratello del suo ex braccio destro, Alfredo: “Mio fratello mi disse, ridendo, che Daniele Pulcini diceva sempre che l’assessore era un ladro, perchè aveva preteso un milione e 800mila euro per il buon esito di un affitto o di un acquisto di un palazzo di cui aveva bisogno la Regione Lazio nel 2009”, riporta Il Messaggero. Racconto che sarebbe stato poi confermato dall’ex moglie, ascoltata dagli ufficiali della Guardia di Finanza.
Il deputato del Pd, dunque, avrebbe chiesto e ottenuto — secondo quanto trapela — i soldi quando occupava il ruolo di assessore al Demanio della giunta Marrazzo, prima di presentarsi alle elezioni per la Camera.
Accusa che l’interessato respinge, spiegando che “quanto mi si attribuisce — si legge in una nota — esula completamente dalle competenze politiche che ho rivestivo nel 2008 e negli anni successivi”.
Al caso si aggiunge un giallo, con una sparizione sospetta.
Il testimone chiave Alfredo Guagnelli — che potrebbe confermare il racconto del fratello Bruno — è introvabile dall’8 ottobre del 2009, ovvero sei mesi dopo l’incasso di 300 mila euro che, per la Finanza di Roma, provenivano da una tangente partita dai costruttori Pulcini.
A cinque anni dalla scomparsa la Procura ha deciso di firmare una specifica delega d’indagini, affidate alla sezione omicidi della Squadra mobile.
Il fratello Bruno — che a sua volta oggi si sarebbe trasferito in Brasile — non ha mai creduto all’allontanamento volontario di Guagnelli.
Il giorno della scomparsa l’ex braccio destro del deputato Di Stefano aveva detto agli amici di dover andare in treno a Firenze per un appuntamento, senza aggiungere altri dettagli.
Ma non è tutto. E’ sempre il Messaggero a riportare un’intercettazione del gennaio 2013 in cui il futuro parlamentare, non contento della posizione in lista, spara a zero sul Pd e sulle primarie indette in fretta e furia a ridosso del voto: “Ho fatto le primarie con gli imbrogli, no? Non è che so’ imbrogli finti, imbrogli ripresi, non è tollerabile questa storia… Se imbarcamo tutti, ricominciamo dai fondi del gruppo regionale. Sansone con tutti i filistei, casco io ma cascano pure gli altri”.
Andrea Palladino
(da il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 6th, 2014 Riccardo Fucile
BERLUSCONI NELLA MORSA TRA L’IMBOSCATA DI RENZI E LA SCALATA DELL’EX GOVERNATORE
C’è chi, a palazzo Grazioli, la chiama “la morsa”. Che rischia di stritolare Silvio Berlusconi.
Da un lato Matteo Renzi che, pur di costringerlo a trattare (o meglio: pur di piegarlo) sulla legge elettorale, ha giocato di sponda con i grillini.
Dall’altro, i ribelli di Forza Italia. Che stanno “sfilando” il partito a Silvio Berlusconi. Per ora nella “morsa” è finita stritolata la candidata azzurra alla Consulta, Stefania Bariatti, i cui 493 voti non bastano a superare il quorum.
Mentre lo superano alla Corte Silvana Sciarra, candidato del Pd, e al Csm Alessio Zaccaria, il candidato dei 5 Selle.
È successo che un pezzo di Forza Italia si è praticamente ammutinato, oltre 45 assenti. In più in parecchi hanno votato in libertà . Fin qui i “ribelli”.
Ma il segnale che fa scattare l’allarme rosso è un altro.
Secondo i fedelissimi che Berlusconi sguinzaglia in Parlamento a prendere informazioni, anche Renzi avrebbe fatto un’imboscata.
Nel senso che una “pattuglia di fedelissimi del premier”, almeno 50 secondo i calcoli a Grazioli, ha ricevuto il mandato di non votare il candidato di Berlusconi, ma solo quello del Pd e quello di Grillo: “Renzi — dicono della cerchio stretto — vuole spaventarci, mostrando che ha un asse con Grillo per costringerci a chiudere sulla legge elettorale. Prima in mattinata al Senato è passata la norma sulla responsabilità civile, poi c’è stato il voto sulla Consulta”.
Una mossa, quella di Renzi, che i maligni definiscono molto “verdinesca”, nel senso di concordata con Verdini, che dopo la frenata del Cavaliere sulla legge elettorale, si è messo a lavoro per ricucire lo strappo.
Eccola, la “morsa”. Per ora Berlusconi è convinto che quello di Renzi con Grillo sia un “bluff”, ma che non è con i Cinque stelle il vero “piano B” di Matteo.
Il premier è troppo scaltro, troppo furbo per affidarsi al comico genovese, uno che, per dirla con un azzurro di rango, “prima ti porta in mare aperto, poi ti scarica”.
Lo usa per “spaventare”, ma non ci crede. Il “piano B” è un altro.
È approvare le riforme a maggioranza, anzi con la maggioranza di governo: “Se non chiudi — ha detto il premier a Berlusconi alla fine dell’incontro — faccio la legge con Alfano abbassando la soglia di sbarramento dal 5 al 2 per cento”.
Al momento, l’ex premier è convinto che Renzi stia alle minacce, ai giochi tattici con l’obiettivo di ricomporre il Nazareno che dà maggiori garanzie.
Il problema vero si chiama Forza Italia. Perchè è difficile tenere un negoziato duro con Renzi se il partito esplode.
E Forza Italia è una polveriera con una miccia accesa dentro. Il ribelle Fitto si sta prendendo il partito.
Alla conferenza stampa di ieri, dove ha presentato i “suoi” emendamenti alla legge di stabilità , c’erano una trentina di parlamentari. Ma è solo una mossa.
La prossima, domenica, è un’iniziativa in perfetto stile berlusconiano (di una volta). Ovvero la celebrazione, a Roma, del 25esimo anniversario del crollo del Muro di Berlino. Il 27, sempre a Roma, una grande iniziativa nazionale di opposizione al governo.
È il segno che Fitto non è più isolato, che ha una macchina organizzativa non più solo pugliese, ma nazionale.
E che pezzi di organizzazione sono passati con lui. Fonti attendibili assicurano che i 33 parlamentari nelle prossime due settimane diventeranno 40, praticamente la metà degli eletti di Forza Italia.
Per tenere assieme il difficile negoziato con Renzi e il partito, Berlusconi ha preso tempo. Rimandata, con la scusa della bolla d’acqua su Roma, la riunione dei parlamentari alla prossima settimana.
Al premier aveva detto, congedandosi, “ci sentiamo dopo che riunisco i miei”. Riunirli tra qualche giorno consente di fare melina sulla trattativa. E di respirare.
La morsa stringe.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 6th, 2014 Riccardo Fucile
IL CAPO DELLO STATO AVEVA POSTO 4 CONDIZIONI, MA GHEDINI DISSE NO
Giorgio Napolitano era davvero pronto a concedere la grazia a Silvio Berlusconi dopo la condanna per
frode fiscale dell’agosto del 2013.
La conferma arriva dall’allora segretario politico del Pdl e attuale ministro dell’Interno Angelino Alfano, intervistato da Bruno Vespa per il nuovo libro del giornalista, Italiani Voltagabbana.
Un brano del capitolo 11 è stato pubblicato dal Corriere della Sera e riguarda proprio i mesi di agosto e di settembre 2013, quelli che seguirono la condanna definitiva per il leader di quello che allora era ancora il Popolo delle Libertà e precedettero il voto del Senato che decretò la decadenza da senatore di Berlusconi.
Il provvedimento di grazia fu subito chiesto praticamente dall’intero centrodestra e il presidente della Repubblica rispose con una nota una decina di giorni dopo la sentenza definitiva della Cassazione: “Ad ogni domanda in tal senso — scrisse in una nota — tocca al presidente della Repubblica far corrispondere un esame obiettivo e rigoroso, sulla base dell’istruttoria condotta dal ministro della Giustizia, per verificare se emergano valutazioni e sussistano condizioni che senza toccare la sostanza e la legittimità della sentenza passata in giudicato, possono motivare un eventuale atto di clemenza individuale che incida sull’esecuzione della pena principale”.
Dopo quel comunicato i retroscena dei giornali sull’eventuale grazia, più o meno probabile, si moltiplicarono.
A Vespa Berlusconi dice che le condizioni per la concessione della grazia poste dal Quirinale erano due: le dimissioni da senatore prima del voto in Senato e la rinuncia all’attività politica.
Alfano esclude questo secondo aspetto, ma conferma il resto.
“Nel settembre 2013 — dice il ministro al conduttore di Porta a Porta — chiesi un appuntamento al presidente della Repubblica e gli preannunciai al telefono che volevo parlargli della grazia”.
L’incontro avvenne il 24 settembre, presente anche il segretario generale del Quirinale, Donato Marra. Alfano chiese innanzitutto la nomina a senatore a vita per Berlusconi. Per tre motivi, racconta: “E’ stato l’uomo più longevo alla guida del governo italiano, il più giovane cavaliere del lavoro e il presidente della società di calcio che ha vinto il maggior numero di titoli internazionali”.
E d’altronde, ricorda Alfano, l’articolo 59 della Costituzione parla di “meriti sociali” del candidato. Napolitano ascolta “con grande serietà ” e a quel punto “entriamo nel merito della grazia”.
Il presidente della Repubblica dice a Alfano quattro cose.
La prima, forse la principale: se Berlusconi si dimette prima del voto sulla decadenza al Senato, lui è pronto a concedere il provvedimento di clemenza.
Secondo: a quel punto il capo dello Stato sarebbe disponibile a riconsiderare un atto “unilaterale”, senza — cioè — aspettare un’eventuale richiesta da parte degli avvocati del Cavaliere.
Terzo: il presidente della Repubblica è pronto, racconta Alfano, a far uscire un comunicato con cui precisa che la condanna è per un solo lato della vita pubblica di Berlusconi (cioè l’esperienza imprenditoriale) che invece “va valutata nel suo complesso”.
Quarto e ultimo punto: è pronto a fare un appello per un provvedimento generale di amnistia e indulto (di appelli del genere il capo dello Stato ne ha fatti parecchi prima e dopo la condanna di Berlusconi).
“Ero entusiasta, ma Ghedini disse che quello che a me appariva un grande risultato in realtà era il nulla”
Alfano dice a Vespa che quel giorno uscì dal Palazzo del Quirinale “entusiasta”. Un’euforia spenta poco più tardi a Palazzo Grazioli, quando — dopo aver riferito tutto a Berlusconi — intervenne Niccolò Ghedini: il legale del Cavaliere “disse che di fatto la proposta di Napolitano equivaleva a far ritirare Berlusconi dalla politica e che quello che a me appariva un grande risultato in realtà era il nulla”.
Così l’allora segretario politico del Pdl restò “delusissimo”, provò a dire che Berlusconi sarebbe comunque decaduto con il voto parlamentare per effetto della legge Severino.
Ma neanche Gianni Letta intervenne. Il 27 novembre Berlusconi fu dichiarato decaduto dal presidente del Senato Piero Grasso.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 6th, 2014 Riccardo Fucile
NELLA SILICON VALLEY DELLA BRIANZA IL PREMIER COSTRETTO A PASSARE DA UN’ENTRATA LATERALE
Lancio di uova contro le auto blu, fischi e cartelloni di protesta: contestazioni hanno accompagnato la visita del presidente del Consiglio Matteo Renzi nella «Silicon Valley» brianzola, la Vimercate che ospita la nuova sede di Alcatel-Lucent.
Il premier ha fatto visita alla sede della multinazionale che a seguito della ristrutturazione ha realizzato 586 esuberi, la metà circa riallocati con la cessione di un ramo d’azienda: altre 200 persone sono state poste in cassa integrazione straordinaria fino al prossimo mese di maggio.
Il premier è passato da un’entrata laterale, mentre le auto del suo staff, arrivate davanti quello principale, sono state fatte oggetto di un lancio di uova da parte dei manifestanti in attesa.
L’arrivo delle auto blu davanti all’ingresso della multinazionale delle telecomunicazioni, è stato accolto anche con fischi ed insulti.
Davanti alla sede si sono radunanti circa 500 lavoratori per il presidio promosso dalla Fiom Cgil e dalla Fim Cisl di Monza e Brianza.
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Novembre 6th, 2014 Riccardo Fucile
“SIAMO SENZA GLI 80 EURO, NON C’E’ NULLA PER NOI NEL JOBS ACT E I FONDI VANNO SOLO AI COMMERCIANTI: LA PROTESTA DI INFORMATICI, DESIGNER, TRADUTTORI, CONSULENTI DI IMPRESE
Sono informatici, designer, grafici, traduttori, esperti di marketing, organizzatori di eventi, consulenti
di imprese.
Un milione e mezzo di persone (nell’universo ben più vasto di partite Iva vere o finte) che vanno avanti in una giungla fatta di lavori a singhiozzo e pacchetti clienti, aziende da soddisfare e gare al ribasso.
Di loro, di questo terziario avanzato che è in gran parte giovane e cresce ogni giorno di più, il governo Renzi sembra essersi dimenticato.
L’associazione Acta — nata nel 2004 per rappresentare i free lance del mondo del lavoro — ha lanciato il suo grido d’allarme la settimana scorsa alla Camera: «Siamo rimasti fuori dagli 80 euro, non c’è niente per noi nel jobs act, non abbiamo un’indennità malattia degna di questo nome. Il governo aveva promesso fondi nella legge di stabilità , e invece quel che c’è ci penalizza », spiega la presidente Anna Soru.
In effetti, gli 800 milioni che Matteo Renzi aveva promesso al mondo delle partite Iva dopo la loro esclusione dal bonus fiscale, serviranno in gran parte ad abbassare i contributi previdenziali per artigiani e commercianti (519 milioni).
Il resto doveva allargare la platea del cosiddetto regime dei minimi, quello che consente a un ragazzo che si mette in proprio per fare — ad esempio — il consulente, di avere un carico fiscale vantaggioso ed evitare adempimenti complicati.
E invece, le cose potrebbero addirittura peggiorare.
Oggi, per chi avvia un’attività per i primi 5 anni (o per chi non ha compiuto 35 anni di età ) questo regime prevede un’imposta del 5%, l’esenzione dall’Iva e la possibilità di scaricare i costi sostenuti a fronte di un fatturato di 30mila euro annui.
In Stabilità , il regime si applica è vero — a tutti, ma con un’aliquota maggiore — al 15% — compensata in parte da un calcolo dei costi a forfait, ma entro un limite di 15mila euro annui che a molti è sembrato una beffa.
Con in più una clausola di salvaguardia che fa sì che chi ha già aperto una partita Iva godrà dei vecchi vantaggi, mentre per chi la aprirà dal primo gennaio sarà tutto diverso.
«Il limite a 15mila euro — spiega Mara Mucci, Movimento 5 Stelle — porterà a un aumento del nero, perchè molti cercheranno di restare entro i minimi. E il sommerso sarà favorito anche dal forfait dei costi. In più, non si fa niente per le partite Iva finte, anzi — nel tentativo di farle uscire allo scoperto — finiranno per essere pagate di meno». Mucci propone per tutti gli autonomi un limite a 40mila euro (il governo ha differenziato per categorie) e un ritocco all’aliquota in caso di mancate coperture.
Che sia necessario intervenire, lo ha ammesso lo stesso sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti martedì sera a Ballarò, e lo dice il deputato Pd Antonio Misiani: «Il regime va cambiato, ma il problema è più generale: è necessario allargare il sistema delle tutele a questi lavoratori, che sono tantissimi. E bisogna prima di tutto bloccare l’innalzamento dei loro contributi, che cominceranno a salire dal prossimo anno per arrivare entro il 2019 al 33 per cento, dal 27 attuale».
«Ci dicono che è per le nostre pensioni — spiega Anna Soru — ma il punto è che noi stentiamo ad andare avanti oggi. Quel che chiediamo è di essere ascoltati. Da un governo che dice di guardare al mondo del lavoro com’è oggi ci sembra il minimo. Finora però non è successo ».
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica”)
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Novembre 6th, 2014 Riccardo Fucile
UNA CLAUSOLA DELLA LEGGE DI STABILITA’ COMPORTA IL VERSAMENTO DI GARANZIE IN SOLDONI ALLE GRANDI BANCHE D’AFFARI CON CUI L’ITALIA HA SOTTOSCRITTO DERIVATI PER 160 MILIARDI
Nella legge di Stabilità c’è una norma che potrebbe comportare l’obbligo per l’Italia di versare miliardi di euro su conti esteri come garanzia per le grandi banche d’affari con cui il Paese a metà anni novanta ha sottoscritto derivati per un valore di 160 miliardi di euro.
A denunciarlo sono Adusbef e Federconsumatori, facendo riferimento a un articolo pubblicato dl portale Gli Stati Generali che ha rivelato le implicazioni di quanto previsto dall’articolo 33 del ddl ora all’esame della commissione Bilancio della Camera.
Quell’articolo stabilisce infatti che il Tesoro sia autorizzato “a stipulare accordi di garanzia in relazione alle operazioni in strumenti derivati. La garanzia è costituita da titoli di Stato di Paesi dell’area dell’euro denominati in euro oppure da disponibilità liquide (…)”.
Si tratta in pratica, spiegano Gli Stati Generali, di una clausola “che obbliga la parte su cui grava la perdita potenziale a garantire i pagamenti futuri sui contratti derivati attraverso un deposito di garanzia“.
E oggi la parte “debitrice” è lo Stato italiano, perchè il valore di mercato dei derivati, agli attuali tassi di interesse, è negativo per chi li ha in pancia.
Morale: Roma, se la norma passasse, sarebbe tenuta a mettere sul piatto una somma a garanzia degli impegni presi con Morgan Stanley, Jp Morgan, Deutsche Bank e altre banche negli anni novanta.
Quando il ministero dell’Economia, allora guidato da Carlo Azeglio Ciampi, ha fatto man bassa di derivati per portare il deficit all’interno dei severi parametri imposti ai Paesi che aspiravano a entrare nell’Eurozona.
Il “quantum” del deposito è difficile da calcolare, anche perchè l’articolo della legge di Stabilità rimanda a un futuro decreto attuativo.
Si parla comunque di una percentuale delle perdite potenziali.
In un caso reso noto l’anno scorso da Repubblica e Financial Times, un pacchetto di otto contratti derivati dal valore nozionale di 31,7 miliardi presentava nel 2012, quando furono ristrutturati a caro prezzo, perdite potenziali per 8,1 miliardi.
Un quarto del totale.
Dopo quell’allarme, ricorda il comunicato diffuso mercoledì, le associazioni per i diritti dei consumatori hanno presentato esposti-denunce a 10 Procure della Repubblica chiedendo anche di “sequestrare i contratti derivati i quali, analogamente a Santorini e Alexandria del Monte dei Paschi di Siena, sono stati ristrutturati con perdite rilevanti per lo Stato”.
La Procura di Roma “aprì un’inchiesta affidata al Pm Nello Rossi, di cui non si è saputo più nulla”.
Ora, invece, spunta una norma che non solo porterebbe miliardi nelle casse delle banche di investimento, ma attribuirebbe loro anche un privilegio del tutto inedito: gli istituti diventano creditori privilegiati dello Stato italiano, con la possibilità di rivalersi sui depositi di garanzia nel caso di un default sovrano.
Mentre gli altri creditori, come tutti i piccoli risparmiatori italiani e le banche italiane che possiedono Btp, dovrebbero mettersi in fila.
Il Regolamento europeo sui derivati entrato in vigore nel 2012, peraltro, esclude che una clausola del genere (in gergo Double way credit support annex) si possa applicare a contratti sottoscritti da Stati sovrani.
Nella relazione illustrativa, spiega ancora Gli Stati Generali, il Tesoro scrive che “tale pratica operativa è già stata adottata da altri emittenti sovrani: ad esempio, è già attiva da tempo in Svezia, Portogallo e Danimarca ed è stata di recente introdotta dalla Bank of England”.
Ma sono casi ben diversi: per Lisbona è stata una resa in una situazione di grave crisi, per Svezia e Danimarca un modo per risparmiare sugli oneri finanziari.
Al contrario per l’Italia, oberata da un debito che l’anno prossimo toccherà il 133,8% del pil, equivarrebbe a dare un pessimo segnale sulla propria affidabilità creditizia.
Secondo Gli Stati Generali, però, quell’articolo (comparso quasi uguale anche nel collegato alla Stabilità 2014, ma poi stralciato) è caldeggiato dallo stesso Tesoro e in particolare dalla responsabile della direzione Debito pubblico Maria Cannata, che in via XX Settembre lavora fin dagli anni Novanta.
Cioè l’epoca della sottoscrizione dei derivati.
Le argomentazioni tecniche riportate nella Relazione fanno riferimento alle nuove regole di Basilea che obbligano le banche a considerare nei requisiti di capitale “le esposizioni creditizie generate da posizioni in strumenti derivati”.
Una norma che “potrebbe tradursi in un disincentivo nell’acquisto di titoli pubblici italiani con un impatto negativo sulla domanda che a sua volta può generare incrementi nei tassi”.
In più sulle somme in deposito “sarà possibile negoziare con ogni controparte uno spread sui tassi monetari e, in caso questi ultimi siano negativi, un floor a zero”.
Per cui “è verosimile pensare che possa esserci saldo positivo per lo Stato”.
Peccato che per ottenerlo bisognerà dare in pegno la liquidità del Tesoro.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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