Novembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
LA VERA STRATEGIA E’ ALLARGARE LA MAGGIORANZA AL SENATO
L’appuntamento è per martedì in Commissione Affari Costituzionali al Senato.
Lì si taglierà il nastro per avviare finalmente l’esame della nuova legge elettorale.
Con quale maggioranza? E’ tutto da vedere. Ma sicuramente si tratterà di una maggioranza allargata che non scontenterà l’alleato di governo Angelino Alfano. Perchè la vera strategia del premier Matteo Renzi non è quella di trovare un accordo con Beppe Grillo sull’Italicum, ipotesi che ha già messo in allarme Ncd.
Piuttosto, lo schema sul quale stanno lavorando giorno dopo giorno i suoi in Senato punta ad allargare la maggioranza di governo a Palazzo Madama, guardando agli ex cinquestelle (4-5) e ai senatori del Gal (una decina).
E’ un chiodo fisso, dal giorno del voto sul Jobs Act, provvedimento che ha confermato le difficoltà dell’attuale maggioranza in Senato.
I segnali mandati in direzione del M5s, all’indomani dell’incontro della discordia tra Renzi e Berlusconi a Palazzo Chigi, sono in realtà segnali di fumo inviati all’indirizzo di Forza Italia per indurli a decidere.
Una tattica che, a sentire il ministro Boschi, avrebbe già dato i primi frutti: “Sono convinta che siamo ad un passo dall’accordo. Purtroppo però non possiamo aspettare i tempi di Forza Italia. Spero che si chiariscano al loro interno…”
Renzi non aspetta, ma stavolta, dovesse davvero crollare il patto del Nazareno che “scricchiola”, la strategia del premier non guarderà solo in una direzione, quella di Grillo per intendersi. Per vari motivi.
Uno, perchè “non si può fare affidamento sul M5s, hanno cambiato idea troppe volte…”, specificano nella cerchia parlamentare del premier.
L’interlocutore a cinquestelle resta sempre oggetto misterioso in casa Pd, anche se il dialogo sull’elezione dei giudici costituzionali ha dato ottimi frutti, sbloccando l’impasse parlamentare almeno per quanto riguarda i due nomi indicati da Dem e dal M5s.
Però, riflettono oggi i renziani, non è detto che il risultato su Consulta e Csm sia visto come un trionfo nel mondo grillino: potrebbe invece alimentare la polemica al loro interno, come in effetti sta succedendo.
Ed è questa la scommessa renziana: favorire il processo di sfarinamento del M5s.
Il premier ne ha parlato nell’ultima direzione del Pd. Il Movimento 5 stelle è in “sgretolamento”. E chi farebbe accordi con una forza in sgretolamento? Nessuno, men che meno Renzi che già deve avere a che fare con una “balcanizzata” Forza Italia, come la descrive il radical-renziano Roberto Giachetti.
L’altro motivo per cui il segretario Dem non punta all’accordo con Grillo sulla legge elettorale sta nel fatto che un passo del genere segnerebbe la fine della legislatura, quasi in automatico, perchè farebbe saltare l’alleanza con Alfano, asfalterebbe quel che resta del patto del Nazareno e lascerebbe Renzi da solo con la riottosa minoranza Dem.
In una situazione del genere, si potrebbe solo tornare a votare. E su questo il premier non ha ancora deciso, ha tutta l’intenzione di evitare le urne in primavera (che direbbe l’Ue?) ma anche la determinazione a fornirsi di una pistola carica per governare il Parlamento: la nuova legge elettorale, appunto.
E’ per questo che quella lanciata da Renzi sull’Italicum è una rete a tutto campo. Anche la Boschi lo dice: “Andremo avanti con chi vorrà dare una mano”.
Da martedì si inizia in commissione, ma lunedì a Palazzo Chigi potrebbe essere convocato un vertice di maggioranza sulla legge elettorale.
Al di là delle trattative con gli alleati, l’obiettivo in casa Dem è di annettere alla maggioranza 4-5 senatori ex grillini, mentre dal Gruppo Grandi Autonomie e Libertà (Gal) dovrebbe arrivare una decina di nuovi apporti.
Al gruppo Pd del Senato hanno notato che nel voto sullo Sblocca Italia, mentre i cinquestelle si stendevano per protesta sui banchi del governo in aula con le mani imbrattate di inchiostro ‘anti trivellazioni petrolifere’, molti loro ex colleghi non si sono presentati a votare.
Un segnale che i Dem leggono come la conferma della volontà di collaborare con il governo.
E poi c’è il precedente di Luis Orellana, ex M5s, che sul Jobs Act ha votato a favore, mentre la senatrice grillina Serenella Fuksia si è astenuta.
Naturalmente è una strategia che — sperano nel Pd – darà frutti nel tempo, il lavoro di conquista è iniziato dopo l’estate e scorre in parallelo con la costruzione, mattone dopo mattone, del ‘partito della nazione’.
E, man mano che va avanti il lavoro in prima commissione, proseguirà la trattativa con Forza Italia. Che però “è allo sbando — insiste Giachetti in un’intervista a Intelligonews – Renzi porti avanti l’Italicum vediamo chi lo vota”.
La strategia della rete a tutto campo è alla fine una necessità che va oltre lo stesso Patto del Nazareno.
Serve per fronteggiare due rischi veri. Il primo, che l’indecisione di Berlusconi trascini le riforme nella palude, senza passi avanti nè indietro.
Il secondo rischio sta nella domanda: quanta Forza Italia voterebbe secondo le indicazioni del leader sulla legge elettorale?
“Se Berlusconi domani dicesse ‘sì’ al premio di lista avrebbe metà partito contro, al pari avrebbe l’altra metà del partito contro se invece dicesse ‘ok’ al premio di coalizione”, continua Giachetti.
Tra una cena di autofinanziamento del Pd e l’altra, tra Milano e Roma e i giri nelle fabbriche con annesse contestazioni, Renzi aspetta il segnale da Berlusconi, ma stavolta è un’attesa a tempo.
Il premier mette nel conto che il dibattito sul nuovo Italicum può davvero essere il big bang di Forza Italia che apre il bivio definitivo: col capo o in autonomia (Fitto). Un’esplosione che mette voti in libera uscita, si leccano i baffi in ambienti renziani. Perchè, ragionano, tra uno sgretolamento e un’annessione in maggioranza, dal dibattito sulla legge elettorale potrebbe davvero uscire quella ‘big tent’ che Renzi vuole mettere addosso al Pd per farne un contenitore ‘acchiappatutti’.
Lo diranno solo i numeri al Senato: la matematica è una scienza esatta.
(da “Huffigtonpost“)
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Novembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
MA CONTINUA A TRATTARE SULLE MODIFICHE
La “consolazione” è la rivolta della base grillina contro il “patto con l’Ebetino” (che si è manifestato
sulle nomine al Csm) e l’imbarazzo dei big grillini (da Di Maio a Crimi).
Rivolta e imbarazzo che rimettono al centro la trattativa nel “patto del Nazareno”. Solo questo “bluff” degli abboccamenti di Renzi con Grillo allevia la grande paura dell’isolamento.
Nervoso, insofferente per il “tradimento di Matteo”, Berlusconi sente che attorno c’è un quadro che si sta sfarinando.
A partire da Forza Italia, dove ormai è psicosi da voto anticipato: “Se il presidente dice sì alla legge elettorale — sussurra un big azzurro — in Parlamento si scatena l’inferno. Ci perdiamo la metà dei gruppi, tra 30 e 40 parlamentari”.
Se però dice no, c’è un altro inferno che si può scatenare, gli ripetono Gianni Letta e Denis Verdini: uscire dal gioco che conta, dal Great game per il Quirinale e ri-perdere la patente di presentabilità politica nell’era di Cesano Boscone.
Da “padre della patria” a Caimano, per l’ennesima volta. Ma senza il potere di una volta, nell’epoca in cui sta gestendo la successione per le sue aziende, che non stanno proprio in buona salute.
Il contatto col premier dovrebbe scattare domenica. Telefonico. E il Cavaliere pare un leone in gabbia. Ai suoi consegna sfoghi avvelenati verso l’inquilino di palazzo Chigi e gli ultimatum che manda: “Ha tradito i patti, per l’ennesima volta. E ora vuole farmi trattare con il coltello alla gola”.
Segue, nello sfogo, l’elenco dei tradimenti: sull’Italicum, che gli serviva a far cadere Letta, incassato il sì al primo Nazareno, cambiò più volte le soglie di accesso al ballottaggio.
Poi ci fu l’emendamento D’Attorre per farlo valere in una sola Camera. Ora lo schema cambia: rottamato l’Italicum, nuova proposta.
Con tanto di diktat, come quelli recapitati dal ministro Boschi.
Il ragionamento politico “puro”, spiegano nella cerchia ristretta porta a un “no”, sonoro e urlato. Con l’obiettivo di restare col Consultellum, unica garanzia in caso di voto anticipato.
Il problema è che la legge elettorale è solo un tassello del mosaico. Perchè, dice una fonte di rango, “Berlusconi non tratta da uomo libero”.
È il Quirinale la vera posta in gioco. Un minuto dopo che viene approvata la legge elettorale si aprono le danze della successione a “Re Giorgio”.
E il Quirinale, nella testa e nelle speranze di Berlusconi, è sinonimo di agibilità politica.
O quantomeno un presidente “amico” è cruciale in relazione ai dossier giudiziari ancora aperti.
Scottato dagli ultimi anni, l’ex premier considera il Colle più alto il crocevia dei destini del mondo. Proprio sul Quirinale più volte Renzi ha assicurato che il nome sarà condiviso.
Ora è chiaro che, dopo gli ultimi giorni, la “credibilità ” di Renzi a corte ha perso parecchi punti, però la rottura è rischiosa.
Matteo poi è un giocatore cinico ed è un grande comunicatore, se iniziasse a martellare sull’inaffidabilità di Berlusconi farebbe male davvero.
È questo insieme di elementi che spinge Berlusconi ha tenere alta la posta ma senza rompere: “Il Patto del Nazareno — dice il capogruppo al Senato Paolo Romani – tiene sicuramente. Come tutti gli accordi ha bisogno di approfondimenti e successivi assestamenti”.
L’obiettivo resta quello di prendere tempo: “Accelerare sulla riforma elettorale può essere utile a migliorare la performance dell’esecutivo, ma farla bene e metterla al riparo da rischi di incostituzionalità è utilissimo al paese” sostiene Maria Stella Gelmini.
La sensazione però è che le parole vengono pronunciate nella consapevolezza che, alla fine, Berlusconi si sentirà costretto a dire sì per scongiurare il vero piano B di Renzi: una legge elettorale a maggioranza e addio Quirinale.
Non è un caso che Verdini ha praticamente passato la giornata a parlare con Guerini di soglie.
Se Renzi mantiene lo sbarramento al 5 per i piccoli, tiene una quota di nominati e conferma l’articolo 2 ovvero che la legge elettorale è valida solo per il Senato (la norma che di fatto blocca le elezioni anticipate), potrebbe essere il male peggiore che giustifica il sì.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
“PERSI 16 MILIARDI DI INVESTIMENTI A CAUSA DELLA CRIMINALITA'”
La criminalità mette in fuga gli investitori internazionali: tra il 2006 e il 2012 l’Italia ha perso almeno 16 miliardi, il 15% dei flussi diretti dall’estero, per colpa del crimine.
Colpa delle istituzioni italiane, dice il governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco, al convegno “Contrasto all’economia criminale, precondizione per la crescita economica” spiegando che per non perdere una montagna di denaro sarebbe bastato che “le istituzioni italiane fossero state qualitativamente simili a quelle dell’area dell’euro”.
Insomma è evidente che la criminalità abbia un impatto fortemente negativo sull’immagine di un Paese e di conseguenza sugli investimenti stranieri che questo riesce ad attrarre.
Anche per questo “una rapida approvazione della legge” sull’autoriciclaggio “sarebbe comunque un primo, importante, passo dopo anni di discussione” ha proseguito Visco sottolineando che il testo in discussione “rappresenta un compromesso tra diverse posizioni” e non esclude “ulteriori misure”.
La vera missione del governo però è quella di “creare le condizioni per tornare a crescere” perchè è “fondamentale e urgente”.
Di più, ricorda Visco: “Le aziende che operano nelle aree caratterizzate da alti livelli di criminalità pagavano, secondo uno studio, tassi d’interesse di circa 30 punti base più elevati rispetto a quelli pagati dalle imprese attive in zone con bassa criminalità ed erano costrette a fornire maggiori garanzie per ottenere credito”.
Anche nel mercato assicurativo i premi più elevati sono stati pagati in Campania, Puglia e Calabria.
Il premio medio pagato a Napoli è oltre il triplo della media Ue.”La criminalità frena investimenti esteri”
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Novembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
L’ACCORDO SULLE RIFORME CADE SUI GIUDICI COSTITUZIONALI… E VERDINI SI INFURIA
Il cielo su Roma scarica bombe d’acqua e a Montecitorio si consuma tra i berlusconiani una tragedia
già vista un anno fa.
Allora erano le colombe Alfano e Cicchitto a sbraitare contro i falchi Verdini e Santanchè e si è visto come è andata a finire.
Adesso i ruoli sono invertiti.
I verdiniani sono le colombe filonazarene che inveiscono contro Brunetta, Fitto e tutto il cerchio magico di Palazzo Grazioli (Ghedini, Rossi, Toti, Romani e Dudù) che sta spingendo B. a rompere il patto.
A far esplodere Forza Italia è la mancata elezione del giudice costituzionale in quota azzurra, Stefania Bariatti — al posto della Sandulli costretta a ritirarsi — ancora una volta scelta dal Gran Visir di B., l’andreottiano Gianni Letta.
I voti di FI che mancano sono almeno un cinquantina, ma la novità è un’altra: dopo che l’altro giorno Berlusconi ha alzato il prezzo sulla legge elettorale, nel vertice andato male con il premier, i renziani hanno mandato un avvertimento chiaro con altri cinquanta voti finiti in bianco. Per la serie: tu minacci io rispondo.
Confessa un parlamentare renziano: “Alcuni di noi hanno avuto la direttiva di non votare la Bariatti”.
Ecco perchè a un certo punto si forma un capannello di colombe nazarene di Forza Italia e il senso della discussione è il seguente, testuale: “Così Berlusconi è cornuto e mazziato. Da un lato le prende da Renzi dall’altro dai ribelli interni. Il cerchio magico lo ha chiuso di nuova in una bolla. Lo hanno convinto che può candidarsi di nuovo e vincere le elezioni. Ma Berlusconi non ha capito che stavolta ha trovato uno più spregiudicato di lui. Se il patto del Nazareno si rompe tra due mesi siamo finiti tutti, altro che scissioni, altro che fare opposizione”.
Allo stesso tempo il leader dei filonazareni, l’impresentabile Denis Verdini, discute platealmente con Lorenzo Guerini, pilastro del giglio magico di Renzi. Il punto è che Verdini stavolta è impotente.
Non può garantire come fino a qualche giorno fa. Lo scenario forse sta mutando e lui è il primo a pagarne le conseguenze: “Io non ho concorrenti, lascio il posto a chi lo vuole, naturalmente tranne che a casa mia”.
Il riferimento è alle manovre dei nemici del cerchio magico in primis.
Le mosse di Fitto, pure importanti, e la gestione pazzotica del gruppo da parte di Renato Brunetta sono una questione importante ma non decisiva.
Sono Ghedini, Toti, Romani, la Rossi, la stessa fidanzata Francesca Pascale che spingono Berlusconi a rompere con Renzi. Il gioco è questo da settimane e Verdini lo ha capito quando un giorno Silvio ha telefonato a “Matteo” senza dirgli nulla.
Di qui tutte le voci che si sono rincorse su “Denis”, sul suo abbandono e sui suoi guai giudiziari (inchieste e rinvii a giudizio).
Da ieri l’ipotesi dell’abbandono è sempre più in campo, dopo che Renzi ha confermato pubblicamente che il patto “scricchiola”.
E non riguarderebbe solo Verdini. Spiega una colomba: “Che senso avrebbe rimanere se salta tutto? Di questo passo perderemo anche il giudice della Corte costituzionale , Berlusconi sta favorendo il dialogo di Renzi con i grillini per una nuova maggioranza”.
In realtà , a B., del giudice della Consulta in quota Fi non importa granchè.
sulla votazione di ieri si sono scaricati i mal di pancia contro la gestione di Brunetta, peraltro antirenziano di ferro, del gruppo (non avrebbe partecipato alla riunione decisiva con gli altri partiti per concordare i nomi) e quelli contro Letta che ha scelto di nuovo il candidato.
È ormai un caos senza fine. Berlusconi è finito di nuovo nel pantano. “Cornuto e mazziato”, come dicono le colombe.
E con due clan agguerriti contro il Pd: i fittiani che si stanno organizzando e arriveranno a essere 50 in Parlamento e il cerchio magico di Dudù.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
LA VIA CRUCIS DI “GARANZIA GIOVANI”… C’E’ CHI PROVA DA APRILE A PRENDERE DUE RAGAZZI PER LA SUA FABBRICA
Provateci voi, ad assumere un giovane disoccupato in Campania usando il progetto «Garanzia Giovani».
Mike Taurasi sta tentando da aprile, a prendere due ragazzi per la sua fabbrichetta metalmeccanica. Una via crucis.
Nonostante la disoccupazione giovanile in regione sia quasi al 59%. Quindici punti più della media nazionale, che già mette spavento.
È una storia piccola piccola, quella di Mike. Ma spiega la difficoltà del progetto che avrebbe dovuto segnare una svolta per i nostri giovani, in particolare nel Mezzogiorno, più di tante pensose analisi socio-economiche.
Ricordate il primo spot televisivo? Ragazzi e ragazze riccioluti, belli, allegri, sognanti con una voce fuori campo che spiegava: «Ogni grande impresa è un viaggio verso il futuro. Ogni viaggio ha bisogno di una garanzia e di un solido progetto. L’Italia, con l’Europa, propone il progetto “Garanzia Giovani” per aiutarti a intraprendere la strada giusta. Capiremo insieme chi sei, chi vuoi diventare, le tue attitudini, i tuoi sogni. Stato, Regioni, soggetti pubblici e privati, insieme per offrire ai giovani dai 15 ai 29 anni una opportunità …».
Era aprile. E dopo una lunga incubazione (il primo intervento della Ue per «incalzare i governi» ad adottare il piano risaliva addirittura al maggio 2013) pareva proprio che il piano miracoloso fosse lì lì per partire.
In uno degli spot c’erano due ragazze in una stazione vuota. L’annuncio diceva: «In partenza dai primi binari sono solo stages non retribuiti. Questo non è un paese per giovani».
Dopo di che una spiegava all’altra le meraviglie in arrivo con la nuova piattaforma e la voce fuori campo stavolta annunciava «l’Europa riparte dai giovani!».
Fu allora che Mike e suo fratello, che nel 2010 hanno messo su a Manocalzati, vicino ad Avellino, la «Taurasi Engineering», una fabbrica specializzata in lavorazioni meccaniche di precisione, progettazione e realizzazione di impianti di automazione e robotica, cominciarono a informarsi: «Ci fu risposto che non era ancora il momento. Sia il sito web nazionale sia quello regionale, per settimane e settimane, hanno raccolto solo i dati dei ragazzi che si offrivano».
A luglio, «appena ho potuto iscrivermi come azienda, mi son registrato a “ClickLavoro-Campania” e ho inserito i profili delle prime figure professionali che cercavo, un ingegnere meccanico e un operaio. Da assumere con un contratto a tempo indeterminato». Mica precari: a tempo indeterminato.
«Ho avuto un po’ di riscontri e abbiamo fatto un primo incontro con alcuni giovani. I quali subito dopo si son presentati ai Centri per l’impiego locali (Avellino e Battipaglia) per il primo colloquio d’inserimento.
A quel punto abbiamo cominciato ad aspettare, aspettare, aspettare…». Macchè, attesa inutile.
Finchè, visto che il centro per l’impiego non aveva informazioni su come procedere, «preso dallo sconforto e dalla rabbia, ho contattato l’Arlas, l’agenzia per il lavoro regionale: l’iscrizione a “ClickLavoro-Campania” non bastava, dovevo iscrivermi pure a http://www.bandidg11.regione.campania.it, il sito dei bandi regionali, per accreditarmi “all’attivazione dei tirocini”». Fatto anche questo.
Compresa la procedura con firma digitale. Niente da fare. I fratelli Taurasi, che per ogni assunzione a tempo indeterminato dovrebbero ricevere dai quattro ai cinquemila euro, sono ancora lì, in attesa.
E un eventuale tirocinio iniziale? «Sono ancora lì a farci l’esame del sangue. Tutto paralizzato. A un certo punto non potevamo più aspettare. E ci siamo rassegnati a fare la prima assunzione senza aspettare gli incentivi. E finirà così, probabilmente, anche con la seconda».
Tanto più che del miliardo e 513 milioni di euro stanziati per l’ambizioso progetto, la quasi totalità è gestita dalle Regioni. E ognuna si è regolata a capriccio.
C’è chi come la Lombardia ha puntato quasi un terzo delle risorse (52 milioni su 178) sui bonus agli imprenditori disposti ad assumere ragazzi, chi come il Piemonte («Fior di studi ci dicono che se un’azienda vuole assumere non rinuncia se poi non ha quel piccolo incentivo», spiega Sergio Chiamparino) sulla formazione.
«Quella seria, ovviamente: su misura delle richieste del mercato», precisa l’assessore al lavoro Giovanna Pentenero. Cioè non quella che forma «barman acrobatici» o«esperti di abbronzatura artificiale». Fatto sta che a Torino e dintorni, per capirci, i tirocini nelle imprese private sono partiti da mesi.
La Campania, che aveva in dote più soldi di tutti (191 milioni), ha deciso di metterne una montagna (45 e mezzo) sull’«accoglienza», distribuendo cioè una pioggia di prebende a una folla di società anche dei sindacati che fanno a pagamento lo stesso lavoro (in pratica: il primo colloquio) fatto «gratis» dai centri per l’impiego pubblici, dove i funzionari si lamentano: «Giriamo a vuoto, colloqui su colloqui senza prospettive perchè è tutto bloccato».
Seguono 24 milioni sui corsi di formazione (che videro la Regione anni fa lanciare perfino un corso per veline tivù!), 39 sull’«accompagnamento» (cioè secondo colloquio anche questo in concorrenza coi Centri per l’impiego), 30 sui tirocini (tutti negli uffici pubblici, che come è noto poi non assumeranno per il blocco del turn-over), 30 sul servizio civile e zero (zero: almeno per ora) sui bonus nei quali speravano i fratelli Taurasi e altri giovani imprenditori.
Giusto? Sbagliato? Lasciamo rispondere a un titolone del Mattino: «Lavoro, fallito il piano giovani. Pochi iscritti, flop di posti offerti».
Stefano Caldoro, il governatore, contesta: «Siamo partiti in ritardo, ma nessuno ha accelerato quanto noi».
Il governo, per bocca di Graziano Delrio, pare pensarla diversamente. E lancia messaggi ultimativi: o le Regioni si danno una mossa o Roma potrebbe riprendersi soldi e deleghe scavalcandole… Vada come vada, resta il tema: con l’angoscia della disoccupazione che attanaglia 44 ragazzi su cento in Italia, 59 in Campania, 60 in Puglia, 62 in Calabria e 64 in Sicilia, è mai possibile che dei giovani imprenditori debbano aspettare mesi e mesi e mesi per usare una legge che avrebbe dovuto spalancare le porte all’assunzione di decine di migliaia di ragazzi?
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
RASCHIATO IL FONDO DEL BARILE: C’E’ ANCHE CINZIA IACOPINI A SOSTEGNO DEL CANDIDATO DI LEGA NORD, FORZA ITALIA E FDI, ALAN FABBRI
Nella corsa al governo della Regione Emilia Romagna, tra le fila di Fratelli d’Italia ci sarà anche la
fondatrice di Alba Dorata Federazione in Italia.
Cinzia Iacopini, originaria di Massa ma residente a Busseto, nel parmense, è candidata con il movimento di Giorgia Meloni nell’alleanza che sosterrà la presidenza del leghista Alan Fabbri insieme al Carroccio e Forza Italia.
Ex leghista a sua volta, la Iacopini lo scorso aprile ha dato vita al nuovo movimento politico Fronte Cristiano, di cui è la coordinatrice nazionale, insieme a gruppi come Lombardia Nazione Libera, Comitato Popolo Sovrano e No Euro.
Obiettivo è difendere le radici cristiane dell’Italia dalle spinte di globalizzazione, contrastare l’islamizzazione del Paese e preservare il popolo italiano dalle forze esterne che stanno prendendo il sopravvento, come quelle del Medio Oriente.
Tutte idee che Iacopini porterà avanti anche con la candidatura in Regione.
“Mi sono candidata con Fratelli d’Italia, ma porterò con me tutte le istanze del gruppo di cui faccio parte, Fronte Cristiano e Alba Dorata Federazione — spiega Iacopini — Tutti conoscono il mio background e non ero disposta a rinunciarci per la candidatura, visto che ne vado fiera. Anche Giorgia Meloni, che all’inizio era un po’ preoccupata, si è convinta. Prima di accettare la loro proposta però ho chiesto l’approvazione degli altri movimenti che rappresento e alla fine abbiamo convenuto che sono tanti i punti in comune con Fratelli d’Italia”.
Difesa della famiglia naturale e delle origini culturali cristiane dell’Italia, stop all’immigrazione, sovranità politico-economica e sostegno agli italiani in termini di case, lavoro e servizi sono i punti che si leggono sui manifesti elettorali della candidata consigliera che stanno circolando in Rete da alcuni giorni.
Sotto, i simboli dei movimento che sostengono Iacopini: oltre al Fronte Cristiano e Alba Dorata, Fronte Antimondialista, Onda d’Urto, No Euro e Lombardia Nazione Libera, alcuni dei quali vicini anche al gruppo di secessionisti veneti arrestati a inizio aprile.
“Fronte Cristiano è appena nato e da qui comincerà una nuova strada — continua Iacopini — Partecipare alle elezioni con Fratelli d’Italia significa anche, per i movimenti autonomisti, rispondere alle accuse di chi li taccia come secessionisti, e dimostrare invece che si vuole appoggiare un federalismo che valorizzi ogni singola regione, per il bene dell’Italia e del suo popolo”.
Una promessa è quella di raccogliere le firme per presentare alle autorità giudiziarie una denuncia per la violazione dell’articolo 3 della Costituzione contro “la discriminazione degli italiani.
Silvia Bia
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
PERCHE’ NON SPIEGA LE RAGIONI CHE LO HANNO INDOTTO A NON CHIEDERE I DANNI ALL’EX TESORIERE? COSA HA DA NASCONDERE?… FORSE QUALCUNO HA SCHELETRI NELL’ARMADIO E NON ERA IL CASO DI “STUZZICARE” BELSITO?
Contrordine padagni: la Lega ha rinunciato a chiedere i danni all’ex tesoriere Francesco Belsito nei procedimenti penali con al centro il presunto scandalo sui fondi del Carroccio in corso nei tribunali di Milano e Genova e fra i cui indagati c’è anche Umberto Bossi.
E’ quanto è emerso nel corso dell’udienza preliminare a carico dell’imprenditore Stefano Bonet e del commercialista Paolo Scala, rinviati a giudizio per riciclaggio.
L’iniziativa non era stata pubblicizzata.
Il Carroccio, su indicazione del segretario Matteo Salvini, ha revocato la costituzione di parte civile in questo e negli altri procedimenti.
Il tutto avviene a pochi giorni dalla decisione di chiedere la cassa integrazione per i circa 70 dipendenti della Lega Nord.
La stessa Lega nei mesi scorsi si era costituita parte civile nei confronti dell’ex tesoriere Belsito e dei due presunti riciclatori.
Adesso, però, gli avvocati del partito hanno presentato al gup milanese Carlo Ottone De Marchi la revoca della costituzione nei confronti dei due imputati, Bonet e Scala.
E la revoca, da quanto si è saputo, verrà presentata anche negli altri due procedimenti, uno a Genova e l’altro a Milano, in cui è imputato, fra gli altri, anche Belsito.
Una decisione sconcertante presa dal legale rappresentante del partito, ovvero Salvini, e motivata da “tutta una serie di ragioni”, di natura “ancorchè politica”.
Il Carroccio non si era costituito neanche nei confronti di Umberto Bossi e dei suoi figli Renzo e Riccardo.
Il gup milanese ha mandato a processo (la prima udienza è fissata per il 12 gennaio davanti alla settima sezione penale di Milano) Bonet e Scala, difesi dagli avvocati Giuseppe Prencipe e Pierluigi Bonafin, e accusati di aver riciclato quegli ormai famosi 5,7 milioni di euro di fondi del Carroccio che Belsito avrebbe usato per investimenti a Cipro e in Tanzania.
Nella scorsa udienza, invece, il giudice ha deciso di mandare a giudizio con citazione diretta Umberto Bossi, i suoi figli e Belsito per l’accusa di appropriazione indebita per le presunte spese personali con i fondi della Lega Nord.
La parte del procedimento che riguarda la presunta truffa sui rimborsi elettorali ai danni dello Stato da circa 40 milioni di euro è stata trasmessa a Genova per competenza territoriale.
In questo filone sono imputati l’ex segretario Bossi, tre ex componenti del comitato di controllo di secondo livello della Lega.
Ma se Belsito ha sottratto soldi alle casse della Lega fino al punto di causare la messa in cassa integrazione di tutti gli impiegati di via Bellerio, perchè Salvini ha rinunciato a recuperare la refurtiva che avrebbe permesso di tutelare almeno i dipendenti?
Cosa si nasconde dietro il “patto della Riviera” (visto che Belsito è titolare di un noto bar di Genova e di una discoteca alla moda della riviera di levante mentre Salvini è noto frequentatore di Recco e Portofino)?
Perchè si è voluto fare un favore a Belsito e danneggiare la Lega?
Forse vi sono “indicibili” accordi nel timore che escano altri scheletri dall’armadio?
Ma come, il “mitico” fuoricorso che pretende etica dagli altri, dopo aver piazzato la moglie senza concorso in Regione Lombardia, adesso chiude gli occhi anche sui lingotti della Tanzania?
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Novembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
POCHI GIOVANI E POCHE DONNE: “SEMBRA LA VECCHIA DC”
Lo spazio si chiama The mall e sta sotto il nuovo quartiere residenziale Porta Nuova a Milano. 
Il padrone di casa, Manfredi Catella, ad di Hines Italia, sembra soddisfatto che il Pd glielo abbia chiesto: «Finalmente la sinistra si rivolge a mondi diversi da quelli tradizionali».
A guardarsi attorno, durante la prima cena di finanziamento del partito di Matteo Renzi, pare di stare più al Rotary che a una tradizionale riunione democratica.
In attesa del discorso del premier una signora lo dice chiaro e tondo: «Sembra la vecchia Dc».
In effetti, i giovani sono pochi e le donne pochissime.
Avanza il finanziere Guido Roberto Vitale, accompagnato dall’esperta di moda Albertina Marzotto: «Seguo Renzi dalla cena che fece a Milano con Davide Serra e lo sostengo. Per il resto continuo a occuparmi di affari e contribuisco al sito Linkiesta, che verrà presto rilanciato con un nuovo direttore».
C’è il presidente di Unipol, Pierluigi Stefanini, bolognese cui non soltanto per il nome vien da domandare: ma lei non stava con Bersani? «Siamo conterranei e amici di vecchia data, ma Renzi è il capo del governo». Allora è renziano? «Sono curioso».
Gli altri sono una marea di piccoli e medi imprenditori semisconosciuti: «E’ il popolo del nuovo Pd, ma facciamo ancora fatica a portare i grandi nomi», ammette uno degli organizzatori.
Tra i politici, i ministri Martina e Boschi, il sottosegretario Luca Lotti, Ermete Realacci, Piero Fassino che arriva due ore dopo con la moglie Anna Maria Serafini e Stefano Boeri.
Coppia glamour della serata, Carlo Capasa, ad di Costume national, con l’attrice Stefania Rocca: «Ho accompagnato lui, quello su Renzi sarebbe un discorso lungo…».
Invitati non paganti, Beatrice Trussardi: «Sono qui per curiosità , non mi esprimo» e Raffaele Jerusalmi, ad di Borsa italiana: «Un’esperienza che non aggiunge molto».
Francesco Rigatelli
(da “La Stampa”)
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Novembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
NEL PARCHEGGIO SUV E JAGUAR, ALLA CENA ANCHE UN IMPRESARIO DI POMPE FUNEBRI
Sotto il Diamantone, grattacielo simbolo della Milano rinata, gli ospiti arrivano alla spicciolata. Usano il più bieco dei trucchi per sviare le domande dei cronisti.
Orecchio attaccato al cellulare, voce stentorea e passo spedito.
Eppure mille euro per partecipare alla cena con il premier Matteo Renzi e finanziare il Pd varrebbero bene una risposta alla più semplice delle domande: chi è? di che si occupa? perchè è qui?
L’ex arbitro Gianluca Paparesta, uno tra i 800 ospiti paganti del The Mall, avrebbe quanto meno fischiato un fallo di ostruzionismo.
Sarà il riserbo tradizionale del mondo imprenditoriale lombardo, sarà che nessuno vuole scoprire le sue carte. Come ai tempi di Silvio Berlusconi re.
Matteo Renzi arriva alle 21 e 26, con oltre un’ora e mezzo di ritardo e subito pronuncia parole magiche per l’uditorio: «Faremo lavorare meno i commercialisti», «Il Fisco non è più nemico dei cittadini».
Dentro tavoli da 12, con tovaglie bianche e una zucca a fare da centrotavola.
Fuori sfilano Porsche Cayenne, suv e un paio di Jaguar.
Gli «happy few» che possono accedere direttamente dal garage. Gli altri arrivano dalla strada.
Sfilano i ministri Maurizio Martina e Maria Elena Boschi, poi Alessandra Moretti, Stefano Boeri, Patrizia Toia, Emanuele Fiano, Piero Fassino, il capo di gabinetto di Pisapia, Maurizio Baruffi.
Qualcuno si eccita a vedere Fabio Minoli, già Forza Italia della prima ora. È la pistola fumante. Quella che proverebbe la grande passione dei berlusconiani per il leader pd. L’entusiasmo crolla quando si scopre che Minoli, da tempo, è il nuovo capo della comunicazione di Confindustria.
Arriva Guido Roberto Vitale, ex presidente Rcs. «È giusto che la politica la paghino i cittadini e non lo Stato».
C’è il presidente di Telecom, Giuseppe Recchi, l’ad di Borsa italiana, Raffaele Jerusalmi, Daniele Schwarz, ad di Multimedica, Michele De Carolis, ad di Swg, figlio di Massimo, leader della maggioranza silenziosa. L’attrice Stefania Rocca.
Colpisce la diversità delle risposte.
I politici – tutti paganti – difendono la scelta della cena milionaria: «Noi ci rivolgiamo a tutti – dice Toia –. Non saremo mai un partito berlusconiano». «L’importante è che queste iniziative vengano fatte in modo trasparente – dice la Moretti – gli ospiti sono qui per finanziare il Pd, un’idea, un progetto di cui Renzi è espressione. Perchè hanno fiducia in una politica che cerca di cambiare il Paese».
Gli imprenditori oscillano su un paio di temi.
Il più gettonato: «Siamo qui per ascoltare». «Mi aspetto un contributo per la vittoria dell’Italia».
I più scanzonati: «Ho pagato i mille euro, ma scarica l’azienda». «Paga direttamente l’azienda». «La Milano da bere finanzia il Pd».
Fino all’appello accorato di un impresario di pompe funebri di Modena: «Sono qui perchè Matteo Renzi è l’unica speranza. Siamo in una crisi profonda, anche nel nostro settore, dove si risparmia persino sulle bare»
Il premier è in forma smagliante. Liscia il pelo alla platea su tasse e Fisco. Ma tocca tutti i temi nelle sue corde.
L’incipit è uno scatto d’orgoglio: «Ho detto no al voto anticipato, mi gioco tutto». Ricorda che per le riforme è necessario cercare il consenso delle opposizioni. Ma fino a un certo punto: «Perchè se qualcuno vuole bloccarle noi andiamo avanti da soli». Coinvolge il pubblico: «Secondo voi i dipendenti pubblici in Italia sono troppi?». Sììì risponde la platea alzando la mano.
«Secondo l’Europa sono pochi ma vanno impiegati meglio, in questo senso va la riforma della Pubblica amministrazione».
Arriva al lavoro: menu interessante per la platea di imprenditori e giovani start up: «Questa riforma del lavoro è quella più di sinistra possibile».
E infine: «Abbiamo recuperato 18 milioni di risorse, grazie a questo nessun dipendente del Pd andrà in cassa integrazione».
Sono le 23. Tutti sono arrivati al secondo. Renzi non ha ancora toccato cibo.
Maurizio Giannattasio
(da “il Corriere della Sera“)
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