Dicembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
“EROGAZIONI A FAVORE DELLA SUA FONDAZIONE PER FINANZIARE LA SUA ATTIVITA’ POLITICA”… I SOLDI TRANSITAVANO ATTRAVERSO UNA SERIE DI FONDAZIONI CHE NON HANNO L’OBBLIGO DI RIVELARE I NOMI DEI DONATORI”
C’è un filo rosso che lega tra loro gran parte degli arrestati e degli indagati dell’inchiesta Mondo di Mezzo, che ha decapitato a Roma un’organizzazione mafiosa capace di orientare le decisioni di politici di destra e di sinistra, e Gianni Alemanno. Sono le fondazioni su cui transitano i soldi destinati alla campagna elettorale dell’ex sindaco o che sono il compenso per intervenire nell’assestamento di bilancio 2013/2014.
Il deus ex machina era Salvatore Buzzi, gestore di una rete di cooperative che spaziano dalla raccolta dei rifiuti, alla manutenzione del verde pubblico, fino all’accoglienza di profughi e rifugiati.
Sono tre, secondo gli inquirenti, le “utilità ” garantite dal clan ad Alemanno: soldi per le cene elettorali, claque per la campagna e “ricerca di consenso elettorale” in vista delle elezioni europee.
Parlando con un altro indagato, Buzzi riferisce di “un pagamento di 75.000 euro per cene elettorali a favore di Alemanno” fatte arrivare alla Fondazione Nuova Italia, di cui l’ex sindaco è presidente, si legge nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari firmata dal gip Flavia Costantini.
È ancora Buzzi a recuperare “50 uomini per formare una claque elettorale da utilizzare nel corso della campagna elettorale di Alemanno”.
Sempre Buzzi parla di una ricerca di consenso elettorale per la candidatura di Alemanno alle elezioni europee, effettuata attraverso personaggi da lui definiti “amici del sud”. Sforzi risultati vani, perchè alla fine l’ex primo cittadino non conquisterà il seggio.
Al centro del sistema ci sono le fondazioni, l’istituto giuridico più idoneo per gli obiettivi del clan perchè in base alla legge non hanno l’obbligo di rivelare la provenienza dei finanziamenti.
La “remunerazione per gli imprenditori o altri referenti della pubblica amministrazione — ha detto il procuratore aggiunto Michele Prestipino durante la conferenza stampa — andava dai 15mila euro mensili per diversi anni a centinaia di migliaia di euro a singole persone fisiche o giuridiche una tantum fino a versamenti di denaro a enti e fondazioni legate alla politica romana”.
Dagli accertamenti effettuati sui conti correnti delle cooperative riconducibili a Buzzi gli investigatori hanno accertato che risultava effettivamente, il 15 novembre del 2012, bonificata la somma di 30 mila euro in favore della “Fondazione per la Pace e Cooperazione Internazionale Alcide De Gasperi”.
Il 6 dicembre 2012, poi, “a poche settimane dall’approvazione del successivo assestamento di bilancio che prevedeva lo stanziamento di ulteriori fondi in favore dei minori immigrati e del campo nomadi, ed in concomitanza con la cena elettorale a favore di Alemanno e con l’aggiudicazione della gara Ama, venivano disposti altri bonifici dai conti delle società di Buzzi in favore della Fondazione Nuova Italia, per l’importo complessivo di ulteriori 30.000,00 euro”.
C’è una figura a cui, secondo i pm, ruota il giro di soldi che transita attraverso le fondazioni: è Franco Panzironi, ex amministratore delegato dell’Ama.
“Il dato storico emerso dalle indagini è che Panzironi, in ragione del suo ruolo in Ama — spiega il gip — è asservito agli interessi dei soggetti economici riconducibili alla coppia Buzzi-Carminati (Massimo, capo del gruppo, ex Nar ed ex Banda della Magliana, ndr). (…) Le utilità percepite da Panzironi, tuttavia, non sono limitate allo stipendio che costantemente percepisce, ma sono arricchite — argomenta il gip — da erogazioni verso fondazioni delle quali egli esprime organi apicali, una delle quali, la Fondazione Nuova Italia, ha il suo presidente nel sindaco Gianni Alemanno, suo riferimento politico nel comune e suo nume tutelare, con il quale egli ha rapporti diretti, privi di mediazione alcuna, che gli garantiscono un reale potere, non solo d’interdizione, all’interno di Ama, massimamente nel periodo nel quale egli non riveste qualifiche formali. Utilità che vengono percepite anche da Alemanno, sia sub specie di finanziamento della sua attività politica, sia sub specie di erogazioni in contanti, sia sub specie di raccolta di consenso politico“.
Il gip parla di “un approccio palesemente illecito dei componenti di Mafia Capitale (così come il procuratore aggiunto di Roma Giuseppe Pignatone chiama l’organizzazione, ndr), e di uno dei suoi più significativi membri, verso la pubblica amministrazione. Un approccio che ha avuto forme di manifestazione diverse e che si è tradotto anche in contatti diretti con Alemanno e in condotte funzionali di costui che hanno oggettivamente favorito il sodalizio”.
In particolare il gip fa riferimento alla nomina dell’avvocato Giuseppe Berti, secondo gli inquirenti “espressione del gruppo di interessi del sodalizio” all’interno dell’Ama, la municipalizzata per la raccolta dei riufiti.
“Così come significativo — prosegue il giudice per le indagini preliminari — il suo partecipare all’attività che ha condotto direttamente alla nomina” di Giovanni Fiscon, “anch’egli espressione diretta degli interessi del gruppo” alla direzione generale di Ama
Il gip focalizza l’attenzione anche sui “contatti esistenti tra il capo di gabinetto della segreteria di Alemanno e il gruppo di Buzzi nonchè i contatti con il medesimo Alemanno fiinalizzati a costruire le condizioni per la realizzazione dell’assestamento di bilancio del comune che, alla fine del 2012, hanno consentito di rinvenire risorse economiche utili per l’attività ” di Mafia Capitale.
“In conclusione — ragiona il gip — quello che può essere, allo stato dell’indagine, affermato con certezza è che vi erano dinamiche relazionali precise, che si intensificavano progressivamente, tra Alemanno, sindaco di Roma, e il suo entourage politico e amministrativo, da un lato e il gruppo criminale che ruotava intorno a Buzzi e Carminati (capo del gruppo, ex Nar ed ex Banda della Magliana) dall’altro; dinamiche relazionali che avevano ad oggetto specifici aspetti di gestione della cosa pubblica e che certamente non possono inquadrarsi nella fisiologia di rapporti tra amministrazione comunale e stakeholders”.
Marco Pasciuti e Giovanna Trinchella
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
LA CENA ORGANIZZATA DAL BRACCIO DESTRO DI CARMINATI PER RINGRAZIARE “I POLITICI CHE CI SONO A FIANCO”… ALEMANNO, POLETTI, PANZIRONI, MARRONE, OZZIMO
C’è una foto che racconta alla perfezione la parabola di Salvatore Buzzi, secondo la procura di Roma capo della nuova Mafia capitolina insieme all’ex fascista Massimo Carminati.
Lo scatto risale al 2010, e immortala una cena in un centro di accoglienza organizzata da Buzzi e la sua cooperativa, “29 giugno”.
Attorno al tavolo ci sono tutti quelli che a Roma contavano qualcosa.
Politici di destra e sinistra, assessori e esponenti del clan dei Casamonica, tutti insieme appassionatamente.
Buzzi, detenuto negli anni ’70 e ’80 per omicidio, poteva dirsi più che soddisfatto: era riuscito infatti a far sedere fianco a fianco l’allora sindaco Gianni Alemanno (oggi indagato con Buzzi per associazione mafiosa), l’ex capo dell’Ama Franco Panzironi (arrestato con Buzzi), un esponente del clan dei Casamonica in semilibertà , l’attuale assessore alla Casa Daniele Ozzimo (al tempo consigliere Pd e pure lui indagato oggi dai magistrati: si è dimesso ), il portavoce dell’ex sindaco Sveva Belviso e il potente parlamentare del Pd Umberto Marroni, seduto, sorridente, vicino a Panzironi.
Marroni (accompagnato dal padre Angiolo, al tempo garante dei detenuti della Regione Lazio) era capogruppo del Partito democratico in Consiglio comunale, sulla carta il capo dell’opposizione ad Alemanno.
Oggi è onorevole, e siede alla Camera.
«Per due anni – raccontò Buzzi – insieme ad altre nove cooperative abbiamo lottato contro Alemanno che voleva tagliarci i fondi. Abbiamo organizzato sette manifestazioni in Campidoglio. Alla fine abbiamo raggiunto un accordo e perciò c’è stata quella cena. Invitammo i politici che ci erano stati a fianco, per questo c’erano anche esponenti del Pd».
Una holding criminale che spaziava dalla corruzione all’estorsione, dall’usura al riciclaggio, con infiltrazioni “diffuse” nel tessuto imprenditoriale politico e istituzionale.
E’ ciò che emerge dall’inchiesta della procura di Roma che ha portato all’arresto di 28 persone. Indagini sull’ex sindaco e altri politici capitolini
Nella cena bipartisan Buzzi era riuscito a infilare anche Giuliano Poletti, attuale ministro del Lavoro e allora gran capo della Lega Coop.
Poletti e Buzzi si conoscono bene: il ministro (non indagato e non coinvolto nell’inchiesta) è stato invitato dal braccio destro di Carminati anche all’assemblea della cooperativa 29 giugno per l’approvazione del bilancio 2013.
Tanto che, per festeggiare l’arrivo di Giuliano al dicastero del Lavoro, lo scorso maggio Buzzi ha dedicato la copertina del magazine dell’associazione proprio all’ignaro Poletti.
Buzzi è uno che ci sa fare.
La sua carriera ha dell’incredibile. Arrestato per omicidio, condannato a trent’anni, nel 1980 decide di mettersi a studiare e di laurearsi.
Tre anni più tardi, risulta a “L’Espresso” riesce a diventare dottore in Lettere Moderne, con una tesi sull’attività giornalistica dell’economista Pareto.
Un lavoro eccellente: Buzzi prende 110 e lode, è il primo a laurearsi all’interno delle mura di Rebibbia.
Un anno dopo, sempre in carcere, si fa notare prendendo la parola in un convegno su “Misure alternative alla detenzione e ruolo della comunità esterna”.
La sua relazione chiede che la riforma carceraria venga applicata rapidamente, in modo da garantire ai carcerati misure alternative alla detenzione.
Anche stavolta, applausi a scena aperta, tanto che Stefano Rodotà , allora deputato della sinistra indipendente, secondo l’Ansa dichiara che «la relazione svolta dal detenuto Buzzi rappresenta un documento concreto e di grandissimo interesse per cui d’ora in poi per le istituzioni non ci sono più alibi». Un detenuto modello, insomma.
Buzzi due anni dopo corona il suo sogno, ed esce dalla cella. Fonda con altri soci la cooperativa «Rebibbia 29 giugno» e comincia a rifarsi una vita.
Partecipa nel 1986 a un convegno sugli anni di piombo a Roma a cui partecipano ex terroristi dissociati che hanno aperto cooperative, e racconta di aver ottenuto – con la sua – alcuni lavori di ristrutturazione sulla Tiberina, persino quelli per la ristrutturazione di una caserma dei carabinieri.
«Se non ci saranno altri lavori» spiega dal palco «tutto finirà . Cosa aspetta il comune di Roma a dare una destinazione ai 500 milioni di lire che la Regione Lazio ha attribuito ad ogni comune sede di istituzioni carcerarie?».
Non sappiamo quando Buzzi decide si tornare al crimine, nè quando conosce Carminati e e i sodali con cui costuira l’associazione mafiosa che – ha spiegato Giuseppe Pignatone – da lustri domina Roma attraverso tangenti, intimidazioni, usura, riciclaggio e corruzione.
Sappiamo che di soldi, alla sua cooperativa, ne arriveranno a bizzeffe.
Grazie, soprattutto, agli accordi con la politica: spulciando il bilancio 2013, si scopre che i ricavi della galassia presieduta da Buzzi hanno sfiorato i 59 milioni di euro, mentre il patrimonio di gruppo ha superato i 16,4 milioni.
Possibile che la politica, in tutti questi anni, non si sia mai accorta che l’ex detenuto modello era tornato dalla parte dei cattivi?
Emiliano Fittipaldi
(da “L’Espresso“)
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Dicembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
SALVINI DESNUDO: COSA SI CELA SOTTO LA FELPA, IN ATTESA DI CONOSCERE COSA NASCONDE NEL CERVELLO
Ecco, magari proprio tutta questa voglia di rimirarcelo anche «desnudo» forse non c’era.
Certo, lo vediamo (e lo sentiamo) in tutte le salse.
Accendi la tivù, ed è lì che parla. Apri la radio, e c’è lui che conciona. Ti connetti a Internet, e la rete ribolle di polemiche pro o contro le sue ultime sparate.
Dilaga su Twitter, inonda Istagram e su Facebook ha sfondato il muro dei 500 mila «mi piace».
A quelli a cui non piace, invece, ha sfondato qualcos’altro.
E che look, poi. Mai casual è stato meno casuale.
Felpe dedicate a ogni possibile località del Nord, specie in quelle dove si vota. Magliette «Basta €uro» indossate al congresso del Front national facendo andare alla neuro qualcuno a Bruxelles.
Barba accuratamente incolta da hipster padano (è un finto trasandato che ha capito che oggi la politica è comunicazione e per comunicare tutto fa brodo).
Però tutto ci saremmo aspettato, meno di vedere sulla copertina di «Oggi» Matteo Salvini fotografato nel lettone con un sorriso piacione, coperto solo e poco da una cravatta verde Lega, mentre lo strillo di copertina annuncia all’interno un’«intervista esclusiva» (sì, buonanotte, è l’uomo più intervistato d’Italia) e «foto incredibili», e qui invece ci siamo.
Peraltro, per rassicurare l’elettorato moderato, il segretario leghista è immortalato rivolto verso la sua destra: una sottile metafora dell’ultima svolta politica leghista, ovvio.
E per questo non si vede l’orecchino che, come ha spiegato oggi (ma non a «Oggi») quel Cavour al contrario dell’onorevole Gasparri, sarebbe il principale impedimento alla sua conquista del centro-destra.
Comunque, benchè immersi come siamo in una sorta di Grande Fratello con Salvini come unico protagonista, con i media che raccontano una specie di tutto Matteo minuto per minuto, diciamolo: per favore, Salvini, «desnudo» poi no.
Alberto Mattioli
(da “La Stampa”)
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Dicembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
COLLABORATORI ARRESTATI, NESSUNA SOLIDARIETA’ DAL PALAZZO
“Cado dalle nuvole, è una cosa incredibile, sto cercando di capire. Io nel corso del mio mandato ho sempre combattuto la criminalità ”. La voce di Gianni Alemanno è provata. È appena finita la conferenza stampa di Pignatone.
Per la prima volta si parla di “mafia” in un’inchiesta locale.
Di “Mafia Capitale”, mafia avanzata, di terza generazione che puntava al cuore della spesa pubblica, agli appalti ma che si avvale anche degli strumenti tipici della criminalità di strada.
Per gli inquirenti è nel cuore dell’amministrazione: “Le condotte di Alemanno — scrive il gip — hanno agevolato il sodalizio”.
Indagato Alemanno, indagato pure l’ex capo della sua segreteria Antonio Lucarelli. Arrestati i suoi “camerati” più fedeli.
Erano loro i terminali di una rete che aveva relazioni con il gruppo criminale che ruotava intorno a Salvatore Buzzi da un lato.
E, dall’altro, a Massimo Carminati, ex terrorista di estrema destra dei Nar ed ex membro della banda della Magliana: “Alemanno – si legge negli atti – faceva nomine gradite a Carminati”.
Cade la linea telefonica. Alemanno risponde al secondo squillo: “Da sindaco ho sempre chiesto al prefetto, al questore, al comandante dei carabinieri se c’erano a Roma infiltrazioni mafiose. E ho sempre ricevuto risposte negative fino a che non è arrivato Pignatone”.
Già , la novità è che i metodi mafiosi, ha appena spiegato Pignatone, erano dentro il sistema di potere del sindaco.
I contorni dell’organizzazione criminale si confondono con quelli del Gran Consiglio che ha amministrato Roma, dopo la marcia elettorale del 2008.
“Duce, duce”, saluto romano e braccio teso.
La sera della vittoria elettorale le immagini fecero il giro del mondo.
Al Campidoglio era arrivata la destra capitolina, estrema. Maniere forti e fame di potere, nell’Italia berlusconiana e del Pdl al 40 per cento.
Un marchio rimasto indelebile anche se Alemanno usa il Campidoglio come palcoscenico per la politica che conta.
Studia da anti-Berlusconi interno, entra nel dibattito nazionale, critica il Cav senza strappare mai. Per questo prova a darsi una presentabilità politica, prende le distanze dal Ventennio, dalle leggi razziali. Tanta Shoa e buoni rapporti, almeno ci prova, con la comunità ebraica. Nel frattempo, però, il marchio non si lava. E i suoi macinano business e scandali.
Oggi, tutti coinvolti nell’inchiesta romana. Franco Panzironi, detto “Tanca”, è stato amministratore delegato dell’Ama ed è stato rinviato a giudizio nel 2012 per oltre 841 assunzioni irregolari presso l’azienda che smaltisce i rifiuti nel comune di Roma. Nell’inchiesta su Mafia Capitale figura tra gli arrestati.
Per i pm il suo ruolo sarebbe stato quello di fare da cerniera con l’Ama per gli appalti assegnati sui rifiuti.
Analoghi reati contestati a Riccardo Mancini, vicinissimo ad Alemanno. Da ammistratore delegato di Eur Spa è stato rinviato a giudizio il 24 ottobre per una presunta mazzetta da 600mila euro versata da Breda Menarinibus (Gruppo Finmeccanica) per aggiudicarsi la fornitura di 45 filobus al Comune di Roma. Praticamente braccio destro di Mancini è Carlo Pucci (arrestato anche lui nell’ambito di Mafia Capitale), che Mancini porta con sè a Eur Spa.
Secondo gli inquirenti, insieme a Panzironi, Pucci fornisce “uno stabile contributo per l’aggiudicazione di appalti pubblici e per lo sblocco di pagamenti in favore delle imprese riconducibili all’associazione”.
Accuse pesanti. Come quella che riguarda i finanziamenti alla fondazione dell’ex sindaco.
Sono circa le 18,00 quando Alemanno risponde a telefono dopo che la linea si è interrotta di nuovo.
Domanda: che dice degli uomini più vicini a lei?
Risposta: “Mi auguro che siano in buona fede”.
Scusi, Alemanno, ma lei?
“Ora però ho parlato troppo”. Clic.
È semplice la domanda che rimbalza nel Palazzo: ma Alemanno poteva non sapere? Poteva cioè non essere al corrente di come si muovevano i suoi collaboratori più stretti?
Il metro della risposta è il gelo attorno all’ex sindaco. Lasciato solo nel momento forse più complicato della sua vita politica.
Ciò che resta del suo mondo politico parla poco, pochissimo. Sgomenti, i parlamentari di Forza Italia chiedono notizie sull’inchiesta.
Anche se l’ex sindaco è ormai passato a Fratelli d’Italia è stato l’uomo forte su Roma, ai tempi d’oro.
Poche le dichiarazioni di solidarietà . Parla Ignazio La Russa: “Conosco da decenni Gianni Alemanno e con lui ho avuto condivisioni e anche scontri politici ma sono sempre stato convinto della sua pulita e disinteressata passione”.
Parla anche Francesco Storace, a modo suo: “Sono stato cinque anni all’opposizione di Alemanno in Campidoglio. Ma che c’entra la mafia?”. Già , che c’entra.
Tacciono pure quelli che con Alemanno stavano in giunta.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
AFFARI NELLA GESTIONE DEI RIFIUTI, MANUTENZIONE DEL VERDE E CAMPI NOMADI… CENTO INDAGATI, 200 MILIONI SEQUESTRATI
Maxi operazione a Roma per “associazione di stampo mafioso” con 37 arresti, di cui 8 ai domiciliari, e sequestri di beni per 200 milioni.
Un “ramificato sistema corruttivo” in vista dell’assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici dal Comune di Roma e dalle aziende municipalizzate con interessi, in particolare, anche nella gestione dei rifiuti, dei centri di accoglienza per gli stranieri e campi nomadi e nella manutenzione del verde pubblico: è quanto emerso dalle indagini del Ros che hanno portato alle misure restrittive e ai sequestri da parte del Gico della Finanza.
Le accuse vanno dall’associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e altri reati.
“Con questa operazione abbiamo risposto alla domanda se la mafia è a Roma – ha spiegato il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, nel corso della conferenza stampa dopo la maxi-operazione – Nella capitale non c’è un’unica organizzazione mafiosa a controllare la città ma ce ne sono diverse. Oggi abbiamo individuato quella che abbiamo chiamato ‘Mafia Capitale’, romana e originale, senza legami con altre organizzazioni meridionali, di cui però usa il metodo mafioso”.
Nello specifico, ha riferito Pignatone, “alcuni uomini vicini all’ex sindaco Alemanno sono componenti a pieno titolo dell’organizzazione mafiosa e protagonisti di episodi di corruzione. Con la nuova amministrazione il rapporto è cambiato ma Massimo Carminati e Salvatore Buzzi (presidente della cooperativa 29 giugno arrestato oggi) erano tranquilli chiunque vincesse le elezioni”.
Gli arresti.
A capo dell’organizzazione mafiosa l’ex terrorista dei Nar, Massimo Carminati che, secondo gli investigatori, ”impartiva le direttive agli altri partecipi, forniva loro schede dedicate per comunicazioni riservate e manteneva i rapporti con gli esponenti delle altre organizzazioni criminali, con pezzi della politica e del mondo istituzionale, finanziario e con appartenenti alle forze dell’ordine e ai servizi segreti”. L’organizzazione di Carminati è trasversale.
Ne è convinto il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone che sull’argomento ha precisato: “Con la nuova consiliatura qualcosa è cambiato, in una conversazione Buzzi e Carminati prima delle elezioni dicevano di essere tranquilli”.
Carminati diceva a Buzzi, ha spiegato Pignatone: “Noi dobbiamo vendere il prodotto, amico mio, bisogna vendersi come le puttane” e di fronte alle difficoltà presentate da Buzzi, Carminati aggiungeva: “Allora mettiti la minigonna e vai a battere con questi”.
Tra gli arrestati anche altri nomi di spicco come l’ex ad dell’Ente Eur, Riccardo Mancini e l’ex presidente di Ama, Franco Panzironi: per i pm romani “pubblici ufficiali a libro paga che forniscono all’organizzazione uno stabile contributo per l’aggiudicazione degli appalti”.
E Luca Odevaine, ex capo di gabinetto della giunta Veltroni e ora direttore extradipartimentale di polizia e Protezione civile della Provincia di Roma.
Gli indagati.
Fra gli indagati figura l’ex sindaco della città Gianni Alemanno, la sua abitazione è stata perquisita.
“L’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno è indagato per il reato di 416 bis, ossia l’associazione a delinquere di stampo mafioso, ma la sua posizione è ancora da vagliare – ha detto il procuratore capo Pignatone – Sugli indagati preferiamo non fare alcuna precisazione”.
Pignatone ha inoltre aggiunto che l’inchiesta ”non si chiude oggi” e che tra gli indagati ci sono anche alcuni esponenti delle forze dell’ordine che hanno agevolato l’organizzazione guidata da Massimo Carminati.
Non solo. “Nel marzo 2013 nel Cda dell’Ama viene nominato con provvedimento del sindaco Alemanno un legale scelto da Carminati stesso. Lo stesso per il direttore generale di Ama e un altro dirigente operativo – ha spiegato il pm di Roma Michele Prestipino parlando dell”incessante attività di lobbying’ dell’organizzazione criminale individuata “per collocare con successo manager asserviti ai loro interessi”. Prestipino ha citato anche la nomina del presidente della Commissione Trasparenza del Comune di Roma e la candidatura a sindaco di Sacrofano – dove risiede Massimo Carminati, considerato capo di Mafia Capitale – di un uomo fidato poi eletto.
Indagato anche l’ex capo della segreteria di Gianni Alemanno, Antonio Lucarelli.
Il procuratore Giuseppe Pignatone ha riferito di un incontro tra uno dei bracci destro di Massimo Carminati, Salvatore Buzzi e Lucarelli.
“Buzzi voleva far sbloccare un finanziamento e Lucarelli non lo riceveva – ha detto – dopo la telefonata di Carminati si precita sulla scalinata del Campidoglio da Buzzi che gli dice che è tutto a posto, che ha già parlato con Massimo. Buzzi commentando questo incontro dice ‘c’hanno paura di lui'”.
Coinvolti come indagati anche l’assessore capitolino alla Casa, Daniele Ozzimo, che ha deciso di dimettersi dalla carica pur dichiarandosi “totalmente estraneo allo spaccato inquietante emerso”.
Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha accettato le sue dimissioni e aggiunto: “Siamo fiduciosi nel lavoro della magistratura. Ci auguriamo sia fatta piena luce su una vicenda inquietante e che sta facendo emergere l’esistenza di un sistema diffuso di illegalità ai danni della città . Questa amministrazione ha improntato il suo lavoro sulla trasparenza. Per questo apprezzo la decisione personale e il coraggio di Daniele Ozzimo che rassegnando le dimissioni, ha agito prima di tutto nell’interesse della città mettendo in secondo piano se stesso”, ha detto Marino.
Indagati anche il consigliere regionale Pd Eugenio Patanè, quello Pdl Luca Gramazio, e il presidente dell’Assemblea capitolina Mirko Coratti.
Che si è dimesso anche lui, dopo qualche ora.
Nella lista degli indagati c’è anche il responsabile della Direzione Trasparenza del Campidoglio, Italo Walter Politano: è accusato di associazione di stampo mafioso. Nominato dal sindaco Ignazio Marino il 15 novembre 2013, Politano è di fatto referente al Comune di Roma del Commissario nazionale anticorruzione Raffaele Cantone. Domani dovrebbe essere rimosso dall’incarico.
Ma ci sarebbero un centinaio di nomi negli atti della Procura di Roma.
Tra cui quello di Gennaro Mokbel, già condannato in primo grado per l’inchiesta Telecom Sparkle-Fastweb, e tre avvocati penalisti, ai quali i pm contestano il reato di concorso esterno in associazione mafiosa: avrebbero concordato con gli associati “la linea difensiva da adottare” in un procedimento in cui era coinvolto Riccardo Mancini, ex amministratore delegato dell’Ente Eur, arrestato in passato per un giro di presunte mazzette legate all’appalto per la fornitura di filobus al Comune di Roma.
I sequestri.
Ci sono anche una ventina di quadri di valore tra gli oggetti sequestrati durante le perquisizioni, come ha riferito il capo dei carabinieri del Ros, il generale Mario Parente. Si tratta di quadri trovati nell’abitazione di uno degli indagati e di proprietà dello stesso Carminati che vanno da opere di Andy Warhol a Jackson Pollock.
Le opere verranno ora analizzate dagli esperti. A casa di un altro indagato sono invece stati trovati 570mila euro in contanti.
Le tangenti.
Appalti per decine di milioni di euro a società collegate a Massimo Carminati, considerato il capo dell’organizzazione mafiosa, in cambio di tangenti per centinaia di migliaia di euro.
E’ il “patto corruttivo-collusivo”, secondo il pm della Direzione antimafia (Dda) di Roma Michele Prestipino, individuato dall’indagine Mondo di Mezzo.
“In cambio di appalti a imprese amiche – ha detto il magistrato – venivano pagate tangenti fino a 15 mila euro al mese per anni. Ma anche centinaia di migliaia di euro in un solo colpo, fino a versamenti di denaro a enti e fondazioni legate alla politica romana”. E tra queste “anche la fondazione creata da Alemanno”.
Tra gli appalti pubblici Prestipino ha citato quello del 2011 per la raccolta differenziata dei rifiuti del Comune di Roma e quello per la raccolta delle foglie.
Su altri appalti dell’Ama – municipalizzata romana dei rifiuti – per altri 5 milioni di euro sono in corso approfondimenti d’indagine.
La maxi-operazione ‘Mondo di mezzo’.
E’ infatti un’azione senza precedenti quella che ha messo a soqquadro Roma e il suo hinterland. Coordinata da tre pubblici ministeri – Luca Tescaroli, Paolo Ielo e Giuseppe Cascini – sotto la supervisione del procuratore capo della procura di Roma Giuseppe Pignatone ha infatti smantellato un’organizzazione che racchiude almeno dieci anni di malavita.
Personaggi che hanno solcato la scena della mala capitolina, come il nero Carminati ex della Banda della Magliana, ma anche politici e amministratori che hanno favorito e consentito a questo malaffare di radicarsi, di mettere le radici, di infilarsi coi suoi tentacoli ovunque. Ribaltando di netto le regole del gioco.
Ricostruire la trama e gli intrecci che hanno reso possibile tutto questo malaffare è stata un’impresa titanica. C’è un’intercettazione che spiega il senso dell’organizzazione mafiosa messa su da Massimo Carminati e ha dato il nome all’indagine. “L’intercettazione per noi più significativa è questa – ha spiegato Giuseppe Pignatone – quando Carminati parlando con il suo braccio destro militare, Riccardo Brugia, gli dice ‘E’ la teoria del mondo di mezzo, ci sono i vivi sopra e i morti sotto e noi in mezzo. C’è un mondo in cui tutti si incontrano, il mondo di mezzo è quello dove è anche possibile che io mi trovi a cena con un politico…’.
Carminati parla col ‘mondo di sopra’, quello della politica e col ‘mondo di sotto’, quello criminale, e si mette al servizio del primo avvalendosi del secondo al servizio del primo.
La caratteristica principale di questa organizzazione sta nei suoi rapporti con la politica e nel fatto che alterna la corruzione alla violenza, preferendo la prima perchè fa meno clamore”.
Le reazioni.
“Quello che sta emergendo è un quadro inquietante – ha commentato il rpesidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti – E’ un bene che la magistratura sia impegnata a fare piena luce. Con sempre più forza bisogna proseguire, ognuno nei propri ambiti, sulla via della legalità senza se e senza ma”.
“E’ un’inchiesta che certifica il profondo inquinamento delle istituzioni, al di là delle vicende dei singoli, e che conferma sempre di più la presenza di una cupola criminale con le mani sulla città . Il sistema mafioso corruttivo svelato oggi impegna subito chi ha responsabilità amministrative e politiche ad assumere urgenti misure nella lotta alla criminalità e alla corruzione – si legge in una nota dell’Ufficio di Presidenza di Libera – Siamo convinti che accanto alla repressione e gli strumenti giudiziari, è necessario il risveglio delle coscienze, l’orgoglio di una comunità che antepone il bene comune alle speculazioni e ai privilegi, contrastando in tutte le sedi la criminalità organizzata e i suoi complici”.
“Cade il velo di ipocrisia sulla città e Roma diventa Capitale delle mafie”, ha commentato l’Associazione dasud che “denuncia dal 2011 gli affari criminali a Roma con dossier e inchieste, da ‘Roma città di mafie’ all’ebook ‘Mammamafia. Il welfare lo pagano le mafie’. L’indagine di oggi, finalmente racconta di un patto trasversale inquietante che tiene insieme boss, imprenditori, manager, funzionari, amministratori pubblici e politici di destra e sinistra, rappresentanti del mondo dell’associazionismo e del terzo settore e descrive come ha funzionato fino a ieri il sistema degli affari a Roma, quale ruolo le mafie abbiano svolto sul degrado delle periferie,? Quanta speculazione sia stata fatta sui migranti e i rom della città ,?
Quale sistema di corruzione abbia regolato i rapporti tra imprese e pubblica amministrazione, quali relazioni pericolose regolino i rapporti tra politica e pezzi significativi della storica eversione nera e l’estrema destra di oggi.
Il sodalizio con a capo Carmati come ha detto il procuratore Pignatone è solo uno dei tanti che opera su Roma. Il negazionismo e l inerzia della politica e delle classi dirigenti sono serviti solo a farli agire indisturbati. Non è più il tempo dell antimafia di facciata, serve subito un impegno trasversale”.
Federica Angeli, Valeria Forgnone e Viola Giannoli
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Dicembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
UNO DEI SETTORI IN CUI LA CUPOLA ERA PIU’ INFLUENTE ERA QUELLO DELLE POLITICHE SOCIALI… “SONO IN GRADO DI ORIENTARE I FLUSSI”… ECCO A CHI SERVONO I CAMPO ROM
Per la “cupola” di Roma l’emergenza immigrati era una miniera d’oro: i fondi per i centri d’accoglienza sono un piatto ricco e il sodalizio criminale ipotizzato dagli inquirenti fa in modo che parte di questi finanziamenti finisca nelle tasche delle cooperative amiche.
Gli inquirenti lo chiamano “Sistema Odevaine“: “La gestione dell’emergenza immigrati è stato ulteriore terreno, istituzionale ed economico, nel quale il gruppo riconducibile a Buzzi si è insinuato con metodo eminentemente corruttivo — si legge nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari firmata dal gip Flavia Costantini — alterando per un verso i processi decisionali dei decisori pubblici, per altro verso i meccanismi fisiologici dell’allocazione delle risorse economiche gestite dalla P.A.”.
Un sistema studiato per far arrivare i soldi pubblici ai gestori amici “che si dividono il mercato“.
E il mercato dei fondi statali per i centri di accoglienza per gli immigrati è immenso. Gli inquirenti parlano della “possibilità di trarre profitti illeciti immensi (…) paragonabili a quelli degli investimenti illeciti realizzati in altri settori criminali come lo smercio di stupefacenti.
Le intercettazioni parlano chiaro.
Al telefono con Pierina Chiaravalle, Salvatore Buzzi, numero uno della cooperativa “29 giugno” e braccio operativo dell’organizzazione, domanda: “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”.
Il centro del sistema è Luca Odevaine. Ex vice capo di gabinetto del sindaco Walter Veltroni e capo della polizia provinciale di Roma, “Odevaine è un signore che attraversa, in senso verticale e orizzontale, tutte le amministrazioni pubbliche più significative nel settore dell’emergenza immigrati”, scrivono i pm.
Perchè è così importante la sua figura? “La qualità pubblicistica di Odevaine risiede nell’essere appartenente al Tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il Ministero dell’Interno — Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione” e al contempo è “esperto del presidente del C.d.A. per il Consorzio “Calatino Terra d’Accoglienza”» , ente che soprintende alla gestione del C.A.R.A. di Mineo“. Un’intercettazione in cui Odevaine parla con il suo commercialista fotografa il suo ruolo: “Avendo questa relazione continua con il Ministero — spiega l’ex vice capo segreteria di Veltroni — sono in grado un po’ di orientare i flussi che arrivano da… da giù… anche perchè spesso passano per Mineo… e poi… vengono smistati in giro per l’Italia… se loro c’hanno strutture che possono essere adibite a centri per l’accoglienza da attivare subito in emergenza… senza gara… (inc.) le strutture disponibili vengono occupate… e io insomma gli faccio avere parecchio lavoro…”.
Odevaine è ben pagato, secondo Salvatore Buzzi.
Parlando con Giovanni Campennì, il braccio operativo dell’organizzazione spiega: “Mò c’ho quattro… quattro cavalli che corrono… col PD, poi con la PDL ce ne ho tre e con Marchini c’è… c’ho rapporti con Luca (Odevaine, ndr) quindi va bene lo stesso… lo sai a Luca quanto gli do? Cinquemila euro al mese… ogni mese… ed io ne piglio quattromila”.
Il piatto è ghiotto anche nella sola città di Roma e la cupola è talmente potente da deviare in sede di bilancio pluriennale risorse in favore delle strutture di accoglienza. Gli inquirenti sottolineano la “capacità del sodalizio indagato, di interferire nelle decisioni dell’Assemblea Capitolina in occasione della programmazione del bilancio pluriennale 2012/2014 e relativo bilancio di assestamento di Roma Capitale, avvalendosi degli stretti rapporti stabiliti con funzionari collusi dell’amministrazione locale, al fine di ottenere l’assegnazione di fondi pubblici per rifinanziare “i campi nomadi”, la pulizia delle “aree verdi” e dei “Minori per l’emergenza Nord Africa”, tutti settori in cui operano le società cooperative di Salvatore Buzzi”.
All’epoca dei fatti alla guida del dipartimento Promozione dei Servizi Sociali e della salute del Comune di Roma (che gestisce la questione immigrati) c’era Angelo Scozzafava, con il quale la “cupola” aveva ottimi rapporti: “Le indagini hanno evidenziato l’ipotesi di una remunerazione dell’attività funzionale di costui da parte di gruppo criminale — scrivono gli inquirenti — con la promessa dell’assegnazione di un appartamento in una cooperativa” perchè “Scozzi” come lo chiamano i sodali, “si fa promotore di attività a favore del gruppo presso altri organi dell’amministrazione comunale, per spingere su finanziamenti a favore del campo nomadi“.
Ma dopo le elezioni comunali del 2013 le cose cambiano: il 14 giugno 2013 Buzzi raccontava al telefono a Carminati di trovarsi al Campidoglio “in giro per i Dipartimenti a saluta’ le persone”.
La decisione veniva accolta favorevolmente accolta dall’ex Nar che riteneva necessario “vendere il prodotto amico mio, eh. Bisogna vendersi come le puttane ades…adesso”.
A quel punto Buzzi raccontava la difficoltà di muoversi nell’ambito della nuova situazione politica romana in quanto in quel momento “solo in quattro sanno quello che succede e sono nell’ordine Bianchini, Marino, Zingaretti e Meta“, e Carminati rispondeva in maniera eloquente: “E allora mettiti la minigonna e vai a batte co’ questi, amico mio”.
Marco Pasciuti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
E’ UNA DESTRA “LIBERA” DI NOME MA NON DI FATTO QUELLA CHE NON ACCETTA RILIEVI SU FORMAZIONI SBALLATE… SE POI IL PUBBLICO DISERTA GLI SPALTI PER LA SCARSA QUALITA’ DEL GIOCO SAREBBE MEGLIO PORVI RIMEDIO CON UNA SERENA AUTOCRITICA PIUTTOSTO CHE CASSARE CHI SI ERA PERMESSO DI ANTICIPARE LA DEBACLE
Una delle qualità riconosciute a un buon allenatore è quella di dividere i meriti di una vittoria con i propri atleti e di addossarsi interamente la responsabilità di una sconfitta, analizzandone poi le cause con i propri giocatori nel chiuso dello spogliatoio.
Capita ogni tanto che qualche “mister” preferisca prendersela con i giornalisti che hanno magari evidenziato le lacune tecniche del regista mandato in campo e la scarsa attitudine a “vedere la rete” del presunto bomber.
Non appartenendo alla categoria dei menagramo nè a quella dei “critici del giorno dopo”, bensì a quella di coloro che, al momento della presentazione del nuovo allenatore, avevamo ben memorizzato il metodo di gioco annunciato e a come avrebbe dovuto muoversi in campo la squadra, ci siamo limitati a rilevare che da un gioco che avrebbe dovuto coinvolgere tutti gli uomini messi in campo (concetto di squadra corta) si è passati a lanci lunghi (stile “viva il parroco”) operati per lo più da registi dai piedi sbilenchi o quantomeno a scarpe invertite e spesso a favore di punte che soffrono di artrosi.
Lo abbiamo fatto notare all’allenatore ben prima dell’inizio del campionato e ci saremmo aspettati i relativi aggiustamenti tattici che rendessero la squadra competitiva: spesso il gioco di squadra e il sacrifico di tutti compensa la caratura tecnica inferiore o l’inesperienza dei giovani.
Così non è stato e ora che i nostri rilievi si sono mostrati fondati e il pubblico amareggiato dal “non gioco” sta disertando gli spalti, non crediamo che la soluzione sia vietare, per ritorsione da asilo Mariuccia, l’accesso al campo di allenamento dei giornalisti scomodi, cancellando dai follower i “cattivi” che hanno solo espresso motivate e costruttive critiche nell’interesse della squadra.
Sono le stesse operazioni di “epurazione” di cui qualcuno è rimasto vittima in altre squadre e di cui si è giustamente lamentato alzando il dito per protesta, fino a raccogliere il cartellino rosso di espulsione.
Confidiamo che il buon senso prevalga anche perchè, a forza di estromettere senza mai confrontarsi, si rischia di giocare a spalti deserti.
Neanche in campo neutro per squalifica causa invasione di campo, perchè questo comporterebbe ancora un minimo di vitalità di un mondo che ha perso persino la voglia di scavalcare una rete per contestare.
Delle critiche un allenatore può fare tesoro o fare spallucce, ma del buon senso, come dice Crozza-Razzi, “non credo”.
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Dicembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
COSA GLI TOCCA FARE PER RACCATTARE DUE VOTI AL SUD… MA L’IMPORTANTE E’ CHE I MERIDIONALI CONOSCANO LUI
«Cosa mi ha fatto cambiare idea sui meridionali? I fatti. Probabilmente il Sud lo conoscevo poco, ho fatto e abbiamo fatto degli errori». Alt. Fermi tutti. Pizzicotto.
No, non è un sogno. È proprio Matteo Salvini, ieri ai microfoni di Rtl.
Un’autocritica in regola, piena e completa come in un processo stalinista.
D’accordo: arriva a pochi giorni dal lancio della nuova Lega «nazionale» (la settimana prossima, pare, e di sicuro nel nome ci sarà «Salvini» e non «Nord»), però non è meno clamorosa.
Il famigerato video del 2009, quando Salvini fu piratato a Pontida mentre con una birra in mano cantava giulivo: «Senti che puzza / scappano anche i cani / sono arrivati i napoletani», sembra dimenticato.
Sperando che se lo siano scordato anche i meridionali.
Sullo sbarco al Sud il capitano leghista si gioca molto. Far uscire la Lega dalle sue riserve padane significa lanciare una doppia sfida: a Berlusconi sulla leadership del centrodestra e a Renzi su quella del Paese.
Da qui i distinguo di Salvini, che non solo non smentisce ma rilancia: «Confermo tutto. La critica rimane, anzi è ancora più dura, sui politici del Sud. Ma lì c’è anche tanta energia positiva, gente che vuole solo lavorare in pace. E ne ha piene le scatole di falsi invalidi, forestali inutili e pizzo alla camorra. Il Sud va salvato dalla sua classe dirigente».«Non è che in questo momento a Taranto o a Catania i problemi siano meno gravi che a Milano. Semmai il contrario», dice il segretario.
La scelta delle due città è puramente voluta: «Sono quelle da cui mi scrivono di più». Poi, certo, «l’autonomia e il federalismo sono le risposte che servono anche al Sud, purchè non siano intese come per esempio fa Crocetta in Sicilia». Cioè, come? «Come spesa senza controllo e infatti ormai fuori controllo».
Resta il problema di trovarne un’altra, di classe dirigente. «Al 95 per cento sarà formata di gente nuova, professionisti, imprenditori, insegnanti, persone senza esperienza politica — promette Salvini -. Poi ci potrà essere una piccola parte di politici, ma dovrà essere impeccabile. Non vogliamo riciclati».
Da sinistra e soprattutto dal l’Ncd sparano a zero sulla svolta meridionalista. «Farneticazioni» è il termine più cordiale.
Resta il fatto che, nella sua inesausta attività di esternatore full time, adesso il segretario della Lega Nord fa il paladino del Sud.
Scherza invece il Matteo I, insomma Renzi, che dalla direzione del Pd sfotte: «Salvini è riuscito a mandare in estasi la Le Pen. Bravo, non era facile, immagino».
Replica di Matteo II: «Che cattivo gusto…».
Alberto Mattioli
(da “La Stampa“)
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Dicembre 2nd, 2014 Riccardo Fucile
GRILLO E CASALEGGIO COME QUEI PADRI GRETTI CHE VEDENDO I FIGLI CRESCERE LI SEGREGANO IN CASA PER NON PERDERE IL LORO CONTROLLO
Sabato sera, quando s’è diffusa la voce di un’altra ventina di espulsi nel M5S, ero a Merano, invitato dal locale meetup 5Stelle a parlare della trattativa Stato-mafia.
Cerco le parole per descrivere il volto di quei ragazzi quando li ho informati degli ultimi boatos da Roma, ma non le trovo.
Sono i famosi “ragazzi meravigliosi” di cui parla sempre Grillo, sia in originale sia nell’imitazione di Maurizio Crozza.
Ed esistono davvero, e sono davvero meravigliosi. A Merano preparano le primarie online per scegliere il candidato sindaco (in primavera si vota sia a Merano sia a Bolzano) e intanto supportano le battaglie del loro consigliere alla Provincia autonoma che consulta gli iscritti prima di ogni votazione in Consiglio.
Alla notizia delle nuove, minacciate espulsioni, il commento più ricorrente era questo: “Ecco, noi ci arrabattiamo dalla mattina alla sera, dedicando il nostro tempo libero a inventare iniziative che avvicinino alla politica una cittadinanza sempre più sfiduciata e impigrita, rimettendoci di tasca nostra perchè siamo e vogliamo restare senza un soldo pubblico, e poi basta una notizia da Roma, o da Milano, o da Genova per rovinare mesi e mesi di duro lavoro”.
Tutti increduli dinanzi a un sogno che si sta trasformando nel peggiore degli incubi.
Intanto sulla email del Fatto arrivano lettere di militanti, compresi i fondatori di alcuni meetup fin dal 2005, che se ne vanno.
Il nostro giornale, checchè se ne dica, non è mai stato l’organo dei 5Stelle, come non lo era dell’Idv o di Ingroia o di altri partiti (tipo quello, tutto presunto, “delle procure”).
Non dobbiamo nulla a nessuno e nessuno deve nulla a noi.
Ma sappiamo benissimo che la nostra lettura del potere in Italia e dei sistemi criminali retrostanti era ed è condivisa da tanti cittadini che, negli anni, hanno riposto le loro speranze di cambiamento — spesso poi deluse — in quelle forze politiche, dopo aver tifato per Mani Pulite e la Primavera di Palermo, poi confidato nell’Ulivo di Prodi modello-base, poi partecipato alla stagione dei girotondi e dei movimenti (sfociata ancora tre anni fa nella bella battaglia vinta dei referendum contro l’acqua privata, il nucleare e l’impunità ad personam), e ultimamente — perchè no — accarezzato il sogno renziano.
È a questi cittadini che si è sempre rivolto il Fatto: non per aderire a questa o quella sigla, ma per incoraggiare politici onesti e non ricattabili a rompere quel grumo di interessi illegali e ricatti incrociati che paralizza la vita pubblica e condanna l’economia nazionale alla crescita zero.
Il merito di Grillo e Casaleggio è stato offrire a tanti italiani, perlopiù giovanissimi, uno strumento organizzato per impegnarsi e provarci.
Ora il movimento, dopo le crisi tipiche della crescita, è diventato grande, ma i suoi fondatori sembrano non riconoscerlo più.
Come i padri gretti che diventano incapaci di trattare da adulti i figli maggiorenni e, anzichè accompagnarli con l’esperienza in un percorso sempre più autonomo, li segregano in casa per non perderne il controllo. O li fanno interdire. O li diseredano.
La nomina del direttorio a cinque (a parte il metodo: molto meglio farlo votare dagli eletti) era un primo segnale di apertura, subito purtroppo seguito da due di chiusura: l’estromissione di Artini e Pinna dal gruppo della Camera senza neppure il voto dei deputati (che peraltro avrebbe dovuto arrivare prima di quello del blog) e la minaccia di fare altrettanto con 15, 17, o 20 parlamentari accusati di non si sa bene cosa.
Già era assurdo espellere due deputati accusati di “tenersi i soldi” (avevano solo rendicontato la restituzione in un luogo diverso dal sacro blog).
Ma ora violare persino le proprie regole sulle espulsioni è pura provocazione, che taglia le gambe al direttorio appena nominato.
Il tutto nel momento (la crisi di consensi del renzismo, l’onda nera del fascioleghismo, l’elezione del capo dello Stato, robette così) che richiederebbe una presenza ancor più forte dell’opposizione.
Non si può neppure dire: “fermatevi prima che sia troppo tardi”.
Perchè è già troppo tardi.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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