Dicembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
ANTONIO ESPOSITO ERA ACCUSATO DI AVER VIOLATO IL DOVERE DEL RISERBO PER UN’INTERVISTA AL “MATTINO”
Il giudice Antonio Esposito, presidente del collegio che ha condannato in via definitiva Silvio Berlusconi per frode fiscale al processo Mediaset, è stato assolto dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.
Era accusato di aver violato il dovere del riserbo per un’intervista concessa prima del deposito delle motivazioni della sentenza.
Gli addebiti nei sui confronti sono stati esclusi.
A far finire Esposito davanti al ‘tribunale delle toghe’ erano state le dichiarazioni rilasciate al Mattino di Napoli, a pochi giorni dalla condanna a 4 anni inflitta al Cavaliere, arrivata il primo agosto 2013.
Un’intervista che scatenò la bufera contro il giudice anche per il titolo: “Berlusconi condannato perchè sapeva, non perchè non poteva non sapere”.
Esposito accusò subito il giornale — contro il quale ha intentato una causa civile — di aver manipolato le sue parole.
Una tesi ribadita durante il processo disciplinare (e la cui fondatezza è stata riconosciuta dalla stessa Procura generale della Cassazione) spiegando di non aver “mai parlato degli esiti del processo Mediaset“, ma che al testo venne aggiunta una domanda su quel procedimento che in realtà non gli era mai stata formulata.
Per capire la decisione di oggi della sezione disciplinare del Csm — che è impugnabile davanti alle Sezioni unite civili della Cassazione ed è stata presa dopo oltre tre ore di camera di consiglio — bisognerà attendere il deposito delle motivazioni.
Nella sua lunga autodifesa (che ha occupato anche una parte dell’udienza di oggi) Esposito ha ricostruito il clima di quei giorni e ha spiegato che, se parlò effettivamente con il giornalista delle ragioni per cui il processo sul leader di Forza Italia era stato assegnato alla sezione feriale della Cassazione e fissato per il 30 luglio, fu perchè ritenne suo “dovere ristabilire la verità “, dopo aver subito “il più infame linciaggio mediatico della storia”, con l’accusa esplicita di “aver emesso un provvedimento anomalo con lo scopo di colpire Berlusconi”.
Il giudice ha inoltre negato di aver sollecitato l’intervista: “Non avevo alcun motivo di farmi pubblicità attraverso un giornale a bassa tiratura, quando il mio nome era apparso su tutti i giornali italiani e stranieri e io avevo rifiutato di dare un’intervista alla Cnn”.
Il rappresentante della procura generale della Cassazione, Ignazio Juan Patrone, che aveva chiesto per Esposito la sanzione della censura, aveva invece sostenuto che il magistrato era comunque venuto meno al dovere del riserbo, “sollecitando lui stesso la pubblicità di notizie sulla propria attività e sul processo appena trattato” e non ancora concluso, visto che non erano state depositate le motivazioni.
Il comportamento di Esposito, aveva sostenuto nella sua requisitoria, è stato “gravemente scorretto” nei confronti dei colleghi del collegio, anche perchè aver scelto un “canale personale privilegiato” per le sue esternazioni, “senza informare nessuno“.
“Nessuno nega che c’erano stati titoli odiosi su alcuni giornali ed erano state fatte considerazioni sgradevoli su Esposito”, aveva ammesso Patrone, ma la strada non può essere in questi casi quella dell’autodifesa.
Esposito si sarebbe dovuto comportare come hanno fatto “decine di magistrati che, oggetto di accuse gravi, hanno affidato la loro tutela alle sedi deputate, il Csm e l’Associazione nazionale magistrati”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
RENZI VUOLE PORTARE A ROMA I GIOCHI PER FAR DIMENTICARE MAFIA CAPITALE. UN PROGETTO DA 9,8 MILIARDI SCARTATO DA MONTI… ALLEANZA CON IL PRESIDENTE DEL CONI MALAGà’, PENSANDO ANCHE AL CAMPIDOGLIO
Quindici giorni fa, la retata per Mafia Capitale. Adesso, la candidatura per la Capitale olimpica.
Questa è Roma, che aspira al 2024 con i Cinque Cerchi per scordare er Cecato Carminati. Non c’è evento più scintillante (e dispendioso) delle Olimpiadi, peste che da Oslo in Norvegia a Monaco di Baviera terrorizza i governanti.
La coppia, Giovanni Malagò e Matteo Renzi, non è meno scintillante e non sarà meno dispendiosa per le casse pubbliche.
Il capo del Coni garantisce trasparenza, teorizza investimenti privati: auspici, nulla più. Perchè Roma sarà premiata o esclusa tra un paio di anni, settembre 2017.
Ma soltanto per far sentire il nome di Roma al Comitato Olimpico Internazionale, prima di consegnare un progetto con i disegnini che spesso in Italia si traducono in cantieri immortali, occorrono una decina di milioni di euro (2 li mette il Cio).
Verrà un gruppo per la promozione di Roma 2024 e ci sarà il consulente Andrea Guerra, Malagò a capotavola.
Perchè Malagò è l’uomo sportivo, di larghe relazioni e di smisurate ambizioni, che affascina e conforta Renzi. Per qualsiasi esigenza.
Elezioni anticipate a Roma? Malagò non va preparato, è sempre pronto. Effusioni mediatiche di ottimismo? Viva le Olimpiadi di Malagò.
E poi Renzi, il fiorentino, propone le gare itineranti, a Firenze ovvio, a Napoli come no, pure in Sardegna per la vela e forse a Milano per il Duomo e perchè escludere Torino che Piero Fassino già s’infervora?
Pare che persino il Vaticano sia disponibile a ospitare il tiro al volo nei santi giardini. Quel che va scrutato, quel che resta di concreto, oggi, sono le fotografie di grandi intese e grandi sorrisi tra lo scalpitante Malagò, lo speranzoso Renzi e il riabilitato Ignazio Marino, il sindaco che in questi giorni ha sprigionato indignazione per le malefatte romane e ora rievoca con orgoglio rionale la storia millenaria di questa città .
E come sottovalutare i miliardi: sei o sette o fino a dieci. Chissà .
Ma esiste uno studio, firmato dal professor Marco Fortis, che valutava in 9,8 miliardi di euro il conto per Roma 2020, una bizzarra proposta in piena recessione di Gianni Alemanno e di Silvio Berlusconi, ancora a Palazzo Chigi, cestinata con un glaciale comunicato da Mario Monti.
Il traguardo 2024 non è lontano, di più. Ma l’Italia, stavolta, ha battuto la concorrenza, tra francesi e tedeschi che tentennano e gli Stati Uniti che nicchiano.
Il Cio sarà grato a Renzi, non sapeva davvero come perpetuare questa diabolica macchina mangia-soldi che ha devastato aree urbane e diffuso sprechi ovunque.
Neanche dieci giorni fa, il Cio s’è riunito a Montecarlo per stravolgere le regole e rendere più commestibile l’organizzazione dei giochi olimpici.
Malagò e Renzi, furbi, erano già d’accordo, e sono scattati come da agenda. La tenzone Olimpiadi sì e Olimpiadi no, Olimpiadi banchetto per le mafie e Olimpiadi opportunità nazionale, che ci viene somministrata ai tempi di Carminati & Buzzi, ha curiose origini fiorentine.
E ci conduce a Eugenio Giani, consigliere regionale toscano, un quarto di secolo a Palazzo Vecchio. Giani racconta al Fatto che i delegati provinciali (che rappresentava) furono determinanti per la sorprendente elezione di Malagò contro Raffaele Pagnozzi. Anche per rendere omaggio a Giani, che dirige il Coni fiorentino, Malagò andò agli Uffizi per un convegno assieme a Renzi. Aprile 2013.
E capita, perchè capita in politica, fu folgorazione. Malagò disse che “la voglia di cambiamento”, classica espressione renziana, Matteo la poteva replicare al governo.
Da poche ore insediato, e siamo alle Olimpiadi invernali di Sochi, febbraio di quest’anno, il primo ministro Renzi telefonò a Malagò per i rituali complimenti.
E così pensarono di trasferire a Palazzo Chigi le passerelle del Coni, che mai fanno male. Il genio di Malagò e Renzi ha prodotto il presidente con la racchetta da tennis, con la maglia da pallavolo, con la sciabola, col ciclista Vincenzo Nibali.
Con cadenza mensile, Malagò va a Palazzo Chigi e accompagna un campione italiano. Quando Carlo Tavecchio scivolò col razzismo di “Optì Pobà ” che sbarca in Italia con le banane e poi correva temerario verso la Figc (ci è riuscito), Renzi disse che per il calcio s’affidava a Malagò.
Per le Olimpiadi, anche. E la politica vien da sè.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
UNA SPESA CHE POTREBBE ARRIVARE A 20 MILIARDI DI EURO IN UN PAESE DALLE CASSE ESANGUI
Sedici anni fa, un ministro del Tesoro chiamato Carlo Azeglio Ciampi firmò un impegno a nome dell’Italia: avrebbe coperto spese fino a due miliardi di euro (in denaro attuale) per una città che si candidava alle Olimpiadi d’inverno. Torino.
E quando i delegati del comitato promotore andarono in Australia per farsi conoscere, si resero conto che mancava un tassello: dovettero stampare nuove brochure, con inclusa una mappa d’Europa nella quale Torino era chiaramente situata rispetto a Roma, Milano, Parigi.
Quella città candidata andava rimessa sulla carta del mondo, perchè ne era sparita dopo i lunghi anni di crisi della Fiat.
Non c’è dubbio che questa sia un’assonanza con la proposta di Roma per le Olimpiadi estive 2024, avanzata dopo sei anni di recessione italiana, ma i parallelismi finiscono qui. Non solo perchè a Roma si possono rimproverare molti difetti, ma non di non essere già sulla carta.
In realtà anche la scienza triste, l’economia, fa sorgere dubbi sulla praticabilità della candidatura di un Paese che oggi ha un debito al 130% del Pil: sei volte più alto rispetto a quando ospitò le prime Olimpiadi romane nel 1960.
I conti sono sotto gli occhi di tutti.
Le Olimpiadi d’inverno di Torino alla fine sono costate 5 miliardi di euro, per metà coperti da denaro pubblico, mentre per quelle estive il successore di Ciampi, Pier Carse, lo Padoan, dovrebbe sottoscrivere una garanzia di copertura fra le tre e le dieci volte superiore.
Un “pagherò” (se vince Roma) che va dai sei ai venti miliardi di euro e va firmato non fra dieci anni ma fra dieci mesi, quando le proposte andranno depositate.
I Giochi estivi più economici ed efficienti della storia recente, Londra 2012, sono costati circa 160 euro in media per ogni suddito di Sua Maestà , 12 miliardi di euro di denaro pubblico, e restano un raro esempio di gestione oculata.
Per molti altri eventi del genere, secondo le stime del National Geographic , le previsioni iniziali di spesa sono state regolarmente sfondate: a Pechino 2008 del 4%, ad Atene 2004 del 60%, a Sydney 2000 del 90%, ad Atlanta del 147% e a Barcellona 1992 del 417%. Montreal 1976 ha impiegato tre decenni a rientrare dai costi.
A Roma, dove la società di trasporto pubblico locale ha chiuso senza perdite un solo bilancio negli ultimi 11 anni, come finirebbe?
Se la storia dell’Expo di Milano 2015 insegna qualcosa, finirebbe in senso opposto a Atene, Atlanta, Sydney, o agli sprechi dei mondiali di calcio Italia ’90.
Invece di pagare troppo, per mancanza di risorse Roma rischia di poter spendere molto meno di quanto previsto e di quanto necessario.
All’Expo di Milano sta già succedendo, con la Regione e il governo che gareggiano nel trattenere e negare i finanziamenti, mentre l’evento promette di essere meno ricco e attraente del previsto.
Ma, appunto, questa è solo scienza triste. John Maynard Keynes diceva che sarebbe «splendido» se gli economisti riuscissero a essere «umili e competenti come dei dentisti», perchè non lo sono.
Ma anche altri aspetti della vita di una nazione permettono di dubitare della praticabilità di una candidatura di Roma.
Il governo la presenta mentre fa i conti con sconvolgenti casi di corruzione emersi quasi ovunque ci siano lavori pubblici, anche di consistenza minima.
I miliardi del Mose di Venezia, i commissariamenti decisi per alcune delle grandi imprese dell’Expo, il racket degli appalti che ha trascinato il Comune di Roma al default e poi ha continuato ad infierire.
È vero che, come ha ricordato ieri il commissario anti-corruzione Raffaele Cantone, le Olimpiadi di Torino hanno dimostrato che anche in Italia possono svolgersi grandi eventi nella legalità .
Ma su questo fronte il Paese ha già fatto abbastanza per essere credibile?
Toccherebbe al comitato promotore di Roma 2024 spiegarlo ma, malgrado la svolta pubblica del premier Matteo Renzi, sembra che non sia ancora ben formato nè abbia un proprio budget da spendere.
A discolpa di Roma, va detto che non tutto finirebbe lì.
Competizioni si terrebbero a Milano, Napoli e a Firenze, per qualche ragione, andrebbe la pallavolo.
L’ultima volta che la città ha vinto uno scudetto in questa disciplina correvano gli anni ’70 e andò alle ragazze dello Scandicci: metafora perfetta del lavoro che resta da fare per tornare credibili.
Di solito le Olimpiadi migliori e più fertili di crescita futura sono sempre andate a città risorgenti: Londra dalla grande crisi, Pechino dalla povertà , Barcellona da 40 anni di franchismo.
Roma e l’Italia risorgenti non lo sono ancora: se quei soldi ci fossero, dovremmo forse spenderli per ridurre le tasse, cambiare la giustizia, in modo da ridare lavoro stabile agli italiani.
Allora saremo pronti a candidarci di nuovo ai Giochi, per festeggiare la nostra rinascita un’estate intera.
Federico Fubini
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
RENZI PENSA SOLO A GUADAGNARCI IN IMMAGINE NEL BREVE, TANTO NEL 2024 NON CI SARA’ PIU’
Matteo Renzi conosce l’importanza dei simboli: candidare Roma alle Olimpiadi del 2024 serve a rilanciare l’immagine di una Capitale associata in questo momento soltanto a corruzione, politica predatoria e addirittura mafia.
La Cina nel 2008 ha usato i Giochi per esibire una potenza globale, Londra ha esorcizzato la crisi finanziaria con quelli del 2012, con gli Europei di calcio, nello stesso anno, la Polonia ha presentato i successi di un’economia dinamica, libera dalla polvere sovietica e dai guai dell’euro.
Peccato che l’ultima Olimpiade con un bilancio economico positivo sia quella di Los Angeles, 1984. Dopo i Mondiali di calcio di Italia 90, il Pil è addirittura sceso, i Giochi invernali di Torino hanno lasciato soprattutto debiti al Comune.
Dietro i brindisi per Expo 2015 a Milano c’erano studi sul mirabolante impatto economico della manifestazione di nessuna credibilità , come ha dimostrato l’economista Roberto Perotti.
E ora, a pochi mesi dall’inizio, in tanti vorrebbero non dover gestire una simile grana: è forte il timore che alla fine ci saranno state più mazzette che visitatori.
Nel 2012, il governo Monti ritirò la candidatura dell’Italia alle Olimpiadi 2020 perchè non riteneva il Paese capace di gestire un evento da 9,8 miliardi di euro senza trasformarlo nel solito sifone di milioni dalle casse pubbliche a tasche private, come successo con tutti gli ultimi grandi eventi (tipo Mondiali di nuoto).
Ci sono poteri che si agitano, però: quell’intreccio di costruttori, banche, consulenti e faccendieri che prospera su questi progetti sognava i Giochi 2020, poi si è innamorato dell’idea di un Gran premio di Formula 1 tra le strade di Roma.
E ora ha di nuovo Olimpiadi in cui sperare.
Eppure nella squadra di Matteo Renzi ci sono consulenti, come Perotti e Yoram Gutgeld, che hanno promesso un’analisi rigorosa di costi e benefici di ogni grande progetto pubblico.
Perchè fare un’eccezione per le Olimpiadi? Visto il cinismo del premier, è lecito notare che gli eventuali scandali e buchi dei Giochi 2024 saranno un problema del governo che ci sarà allora.
Mentre quello attuale beneficerà a lungo del sostegno di tutti i soggetti, dalla fedina penale più o meno pulita, che puntano al grande affare olimpico.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
NEGATO L’UTILIZZO DEL SIMBOLO AI MEET UP NEL LAZIO E A MESSINA… I MILITANTI: “HANNO VINTO LORO”… MA ORGANIZZANO “L’ULTIMO ATTO”
«Hanno vinto loro». La frase, laconica e definitiva, è stata pubblicata sulla pagina Facebook del gruppo 878, meet up romano tra i più duri e intransigenti, constituency politico-culturale degli esponenti più in vista del M5S di provenienza laziale: Paola Taverna, Roberta Lombardi, Alessandro Di Battista.
Chiuso per volontà di Beppe Grillo, che attraverso il suo legale ha tolto agli attivisti l’uso del simbolo, di cui è proprietario.
«Ci hanno detto che è in atto un processo riorganizzativo interno, non punitivo — spiegano loro sul profilo Facebook — ci è stato chiesto di dare fiducia».
Intanto danno appuntamento a giovedì prossimo per «l’ultimo atto», l’ultima, polemica convocazione del meet up.
Messina. Lo studio legale milanese Squassi&Montefusco invia la stessa lettera al meet up locale.
Via il simbolo, un’espulsione senza clamori, senza pianti nei corridoi e telecamere a caccia dei reietti.
Chiude un altro meet up simbolo del grillismo degli inizi, quello delle agende rosse e della mafia che c’è e si vede. Un gruppo “dissidente”, che non ha fatto mancare la sua voce critica verso la leadership.
«Io sono un’attivista dal 2007 — spiega Maria Cristina Saija, animatrice del meet up e candidata per il Movimento alle comunali di Messina — allora eravamo in 4 o 5. Ricordo benissimo quando abbiamo deciso di fare una lista, nel 2008. Ci siamo riuniti a Palermo, eravamo i grillini siciliani. L’unica persona un po’ più conosciuta era Sonia Alfano. Aveva il numero di Beppe è lo chiamò per chiedergli se poteva scendere a darci una mano con le Regionali. Lui venne e iniziò così il primo esperimento politico del M5S in Sicilia. Adesso il Movimento sta involvendo. Abbiamo fatto tutte le campagne elettorali auto-tassandoci e ora ci mollano così».
I parlamentari minimizzano. Parlano di personalismi, beghe locali.
Eppure lo stesso accade anche in Lombardia o ancora in Sicilia, a Misterbianco, roccaforte Cinque stelle che nel mezzo fiasco delle Europee ha portato al Movimento il 36 per cento dei consensi, superando il Pd.
«Non so bene cosa stia succedendo», spiega Maria Marzana. «Nei meet up ci sono cittadini che collaborano con l’azione dei parlamentari ma non conosco le singole realtà », afferma.
Cittadini, parlamentari: l’uno vale uno scolorisce di fronte a un “processo di riorganizzazione” che ha tutta l’aria di voler espellere dal corpo politico del Movimento le ali estreme, i dissidenti quanto gli oltranzisti, disincarnando il Movimento dalla dimensione locale, quella dalla quale montano più forti le critiche, quella che ha riempito l’hotel affittato a Parma pochi giorni fa da Federico Pizzarotti.
Francesco Maesano
(da “La Stampa“)
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Dicembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
COME LA PENSA LA BASE DEL PD: A ROMA TUTTI RESPONSABILI…
PER 3 ELETTORI SU 4 COLPE TRASVERSALI DEI PARTITI NELL’INCHIESTA SU MAFIA CAPITALE… SCETTICISMO SULLA PULIZIA ANNUNCIATA DA RENZI
Sono trascorsi quasi sessant’anni dalla celebre inchiesta di Manlio Cancogni sull’ Espresso intitolata «Capitale corrotta, nazione infetta» e nulla sembra cambiato, nonostante il nostro Paese sia profondamente diverso rispetto agli anni Cinquanta
L’inchiesta Mafia Capitale sta producendo reazioni pesantissime nell’opinione pubblica, già scandalizzata dalle indagini Expo e Mose.
L’indignazione e la tendenza a generalizzare sono largamente diffuse e rischiano di accentuare i sentimenti di antipolitica e di sfiducia dei cittadini, nonostante il forte richiamo del presidente Napolitano che ha definito l’antipolitica «patologia eversiva», facendo appello a una maggiore moralità in politica e severità nei confronti dei corrotti.
Ciò che colpisce maggiormente dello scandalo romano è che in un ventennio caratterizzato da un duro scontro tra destra e sinistra nel Paese, nelle aule parlamentari, sui media e nei talk show, esponenti di destra e di sinistra (insieme a criminali incalliti) fossero complici nelle malefatte.
Come se il conflitto politico assomigliasse a un combattimento di wrestling, nel quale i protagonisti apparentemente si scambiano colpi durissimi ma in realtà fingono di combattere e si accordano sul risultato del match.
Con la differenza che nel wrestling il pubblico ne è consapevole, mentre in politica gli elettori non lo sono e si indignano
Non sorprende quindi che tre italiani su quattro (e il 73% tra gli elettori del Pd) siano convinti che tutte le amministrazioni che si sono succedute a Roma negli ultimi anni abbiano le stesse responsabilità rispetto a quanto avvenuto, mentre il 14% attribuisce la colpa all’amministrazione di centrodestra guidata da Alemanno e il 3% a quelle di centrosinistra
Risultano più diversificate le opinioni riguardo a quanto sarebbe meglio fare per Roma nell’immediato futuro: il 32% propende per elezioni il prima possibile (in particolare gli elettori di Forza Italia: 65%), il 29% ritiene opportuno lo scioglimento del consiglio comunale e il commissariamento della Capitale (45% tra gli elettori grillini) e il 26% vorrebbe che si continuasse con il sindaco Ignazio Marino ma si procedesse ad un profondo rinnovamento della giunta e dei dirigenti comunali (49% tra gli elettori del Pd).
Il clima di sfiducia tra i cittadini non aiuta il percorso di riforme intrapreso dal governo e il premier Renzi sembra esserne consapevole, tant’è che nel suo ruolo di segretario del Pd è intervenuto immediatamente commissariando il partito romano, dichiarando che farà pulizia al proprio interno allontanando chi ha preso tangenti.
Nonostante le migliori intenzioni prevale nettamente la sfiducia nei risultati che si potranno conseguire: solo il 15% prevede che Renzi riuscirà a fare pulizia nel suo partito, il 36% ritiene che Renzi sicuramente si impegnerà ma non riuscirà a fare molto e il 43% è convinto che nel Pd non cambierà nulla.
Il pessimismo alberga anche tra gli elettori del Pd: solo il 30% infatti pensa che il partito riuscirà a fare pulizia, il 48% non si aspetta risultati significativi e il 15% è decisamente rassegnato.
La situazione è anche peggiore sul fronte opposto: il 62% degli italiani ritiene che nel centrodestra non cambierà nulla (è l’opinione prevalente tra tutti gli elettorati), il 22% che non cambierà molto nonostante l’impegno dei partiti e solo l’8% è ottimista sulla possibilità di fare pulizia.
Fa decisamente riflettere il fatto che i più scettici rispetto alle reali possibilità di cambiamento siano i più giovani (18-30 anni).
La rassegnazione rispetto alle reali possibilità di cambiamento è accompagnata dalla convinzione che i partiti abbiano avuto responsabilità dirette in questi fenomeni di corruzione, traendone vantaggi significativi: è di questo parere il 67% degli italiani mentre il 29% ritiene che i partiti non siano stati in grado di vigilare sull’operato dei propri esponenti ma abbiano responsabilità dirette.
Il quadro che emerge è decisamente preoccupante: i cittadini considerano la corruzione una malattia endemica nel nostro Paese e la loro esasperazione è acuita dallo stridente contrasto tra i sacrifici che sono chiamati a fare a causa della crisi e l’utilizzo dei soldi pubblici che escono dalle loro tasche.
È presto per capire se questi sentimenti si tradurranno in un aumento dell’astensionismo o favoriranno una o più forze politiche. Spesso si tratta di un’indignazione emotiva e superficiale, seguita più da rassegnazione e da mancanza di memoria che da comportamenti coerenti.
Ma questa volta, e i segnali dell’Emilia sono eloquenti, non è improbabile che la sfiducia e il distacco diventino davvero prevalenti.
Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
“NON SI POSSONO ACCETTARE PREDICHE DA OGNI PULPITO”
«La lealtà al governo è fuori discussione». Pierluigi Bersani parla di lealtà , come ha già fatto Renzi nell’Assemblea dem di domenica.
L’ex segretario non c’era; colpa di un mal di schiena. Ma torna ieri da Piacenza a Roma per la presentazione del libro di Luigi Agostini (“Ripensare la sinistra”) e non risparmia critiche al premier.
A cominciare dalla battuta sulla lealtà , appunto: «Non da tutti i pulpiti si possono accettare prediche… il Pd deve essere un partito organizzato e plurale, senza padroni».
È la prima stoccata. Ed è anche il segnale che la tregua natalizia che ha concluso la riunione del “parlamentino” democratico, è in realtà assai fragile. La sinistra dem non s’arrende.
Basta vedere gli emendamenti all’Italicum, la nuova legge elettorale, presentati dai bersaniani al Senato.
C’è quello contro i capilista bloccati, sottoscritto da una trentina di senatori dem e l’altro — primo firmatario Miguel Gotor, a seguire altre 33 firme, praticamente un terzo del gruppo del Pd — che prevede il sistema per quote, cioè il 25% di candidature bloccate e il restante 75% con le preferenze.
«Ma non facciamo per favore psicodrammi sulle minoranze… », esorta Bersani e ricorda l’episodio che ha portato i dem sull’orlo della rottura, perchè in commissione alla Camera la sinistra del partito aveva votato contro i 5 senatori nominati dal capo dello Stato.
«Cos’è, li vogliamo ammazzare? Nei paesi democratici le Costituzioni non le fa il governo. Di riforme ce n’è da fare, nessuno frena ma bisogna migliorarle dove si può. Il Patto del Nazareno con Berlusconi non è obbligatorio, ma ampiamente facoltativo anche per i numeri».
Ecco quindi che sul nuovo Senato e sulla legge elettorale la battaglia della minoranza dem è solo all’inizio, Renzi lo sappia. «L’Ulivo ad esempio, ha fatto il Mattarellum che è meglio del Porcellum e, secondo me, un filino meglio dell’Italicum », ricorda Bersani.
Anche questa è la risposta alle critiche mosse da Renzi alle troppe nostalgie uliviste, che hanno però dimenticato la palude in cui il centrosinistra si mise.
Bersani non ci sta. «Siamo tutti figli dell’Ulivo, tutti quanti anche Renzi lo è. L’Ulivo ha avuto la magia di mettere insieme diverse culture riformiste nel reciproco rispetto e dignità , non dividendo tra innovatori e cavernicoli ».
Un’altra frecciata a Renzi. Un appello affinchè il Pd sia un partito di sinistra, figlio appunto dell’Ulivo e della distinzione tra il berlusconismo che ha imperato per oltre dieci anni e i tentativi prodiani di cambiare il paese.
L’ex segretario del Pd — che del governo Prodi fu ministro — ricorda le “lenzuolate”, le sue riforme di politica industriale. Non gli piace il “grillismo” del premier che fa di tutta l’erba un fascio.
Del resto Prodi ha incontrato Renzi a Palazzo Chigi. «Bene, così il premier avrà avuto una visione più vera sugli ultimi 20 anni», ironizza il bersaniano Alfredo D’Attorre.
Ma è la partita intorno al Colle, per la successione a Napolitano, che quell’incontro apre.
Al Pd spetterà indicare un nome, utilizzando il “metodo Ciampi”: è la riflessione di Bersani.
Ai cronisti che gli chiedono cosa deve fare Renzi per evitare i 101 “franchi tiratori” che impallinarono Prodi, Bersani risponde con una battuta: «Renzi trovi parecchi Bersani in giro». Trovi, in pratica, dirittura di comportamento. Sul Quirinale però non si sbilancia: «Mi fa molto piacere, davvero che si siano incontrati. Non chiedete a me se possa correre di nuovo Prodi per il Colle», si sottrae.
La controffensiva dell’ex segretario comunque è a 360 gradi.
La politica non può ridursi a semplice comunicazione, deve essere altro. Insiste sull’autonomia e la necessità di guardarsi in faccia: «Bisogna essere un collettivo. Chiedo troppo?».
Racconta di quando disse a Giuliano Ferrara che un partito non può essere liquido: «Se è liquido, facciamoci una bella bevuta e non se ne parli più…».
Replica a stretto giro del ministro Maria Elena Boschi: «Sì, serve confrontarsi, ma anche comunicare bene, mentre il Pd precedente considerava di destra la comunicazione ».
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
NELLA PARTITA PER IL QUIRINALE SI NASCONDE DIETRO IL “PATTO” MA LA FRONDA INTERNA GLI PORTA VIA UNA CINQUANTINA DI VOTI PER POTER CONTARE VERAMENTE NELLA SCELTA FINALE
Hanno ammazzato il Nazareno, il Nazareno è vivo.
C’è un caotico sottofondo de-gregoriano (nel senso di Francesco, non di Sergio) nelle reazioni che si registrano nel cerchio magico berlusconiano dopo l’incontro a sorpresa, a Palazzo Chigi, tra Romano Prodi e Matteo Renzi.
A caldo, Berlusconi ha finto indifferenza e tranquillità : “Matteo è il primo a non volere Prodi, il secondo sono io”.
Ma nella lunga ed estenuante successione a Giorgio Napolitano che si è aperta agli inizi di novembre, pesano sempre di più le faide che stanno squassando Forza Italia da mesi: dalla quasi scissione del pugliese Raffaele Fitto (che conta su almeno quaranta parlamentari) alla “scomparsa” di Denis Verdini, sopraffatto dalla banda dei quattro composta da Toti, la Pascale, la Badante Rossi e il barboncino Dudù.
Risultato: l’ex Cavaliere continua a ripetere che il Quirinale è dentro il patto del Nazareno sottoscritto insieme con Renzi il 18 gennaio scorso.
A questo punto, però, B. che garanzie fornisce sulla tenuta dell’accordo in Parlamento?
I numeri sono numeri e i quaranta fittiani, che potrebbero diventare cinquanta nel segreto delle urne presidenziali, sono un’incognita troppo grossa. Ed è per questo che “hanno ammazzato il Nazareno” e allo stesso tempo “il Nazareno è vivo”.
Disperato e stretto nella morsa tra i due Mattei (Renzi da un lato, il leghista Salvini dall’altro con l’ipoteca sul futuro centrodestra), Silvio può solo sperare che il premier mantenga quanto stabilito nel patto.
Compresa la fatidica clausola dall’acronimo “TTP”. Ossia Tutti Tranne Prodi.
Berlusconi e Renzi la concordarono sin dall’inizio con queste parole: “In nessun caso, durante le trattative per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, potrà essere fatto il nome di Romano Prodi”.
Lo stesso Professore, al Fatto Quotidiano, confermò nell’agosto scorso: “Non sono sorpreso per niente”.
In queste ore, c’è però qualcuno che firmerebbe subito il certificato di morte del patto segreto. Un qualcuno di clamoroso, perchè il suo nome è Denis Verdini ed è lo sherpa azzurro del Nazareno, accusato dai suoi di essere ormai più renziano che berlusconiano.
Attorno a Verdini c’è un insolito clima di pessimismo e scetticismo.
In privato, il potente senatore forzista, a processo tra l’altro per il fallimento della sua banca fiorentina, rinfaccia a B. di essere circondato da “una banda di dilettanti” (la già citata banda dei quattro) e di non riuscire più a tenere insieme tutti.
A cominciare dalla fronda dei fittiani. Così in questo quadro tornano a circolare le voci su un prossimo abbandono di Verdini a fine anno, sia per i suoi guai giudiziari, sia per il fallimento del patto.
L’inizio della fine, per i filonazareni azzurri, è stato a novembre quando Renzi ha ribaltato l’impianto dell’Italicum in un vertice della sua maggioranza di governo.
Da allora, tra B. e Renzi i rapporti sono diventati meno intensi e lo stesso Verdini è stato emarginato dai renziani di riferimento.
Di qui la versione meno hard del patto segreto propugnata dal cerchio magico e che vede il suo approdo finale nell’elezione del successore di Napolitano.
Il nome preferito di Berlusconi, già bruciato in un colloquio informale con il Corriere della Sera, è quello dell’ex craxiano Giuliano Amato, gradito anche a Re Giorgio.
In ogni caso, per B., non dev’essere “un uomo di parte” e non Prodi, soprattutto.
Quando il gioco delle trattative si farà duro e il capo dello Stato avrà firmato le sue dimissioni, Berlusconi si aspetta dal premier una rosa di almeno tre nomi, tra cui quello da votare insieme. Al di là della finta indifferenza di B., tutti questi movimenti renziani finiscono per acuire la balcanizzazione di Forza Italia.
Berlusconi difende il patto perchè dice che queste riforme sono “le nostre”?
Renato Brunetta si dissocia sul Mattinale e dice che non è vero. Ma è il solito Fitto a cavalcare la passività dell’ex Cavaliere in questa fase di trambusto e di caos.
L’ex governatore pugliese si butta sulle finte risposte dei renziani (non di Renzi) a B. sul Quirinale (“Non è contenuto nel Nazareno) e parla di “conseguenza di scelte sbagliate” che hanno condannato Forza Italia “all’irrilevanza”.
Di qui a un mese sarà sempre così. Fin quando Napolitano non deciderà di mettere fine al suo secondo mandato a termine.
E se lo farà nella seconda decade di gennaio, il primo anniversario del patto del Nazareno entrerà a piedi uniti nella campagna elettorale per il Colle.
Racconta un filonazareno: “Noi non possiamo fare altro che aspettare le mosse di Renzi. A meno che il presidente non faccia un colpo dei suoi”.
Ma quale?
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
LA LETTERA APERTA DI MAURIZIO BIANCONI A BERLUSCONI
Maurizio Bianconi, deputato di Forza Italia, ha scritto una lettera aperta a Silvio Berlusconi
Caro Presidente,
Non sono un Tuo tifoso, nè in casa mia sono appese foto con Te con dedica amicale. Anzi, prima del 2008 io non Ti conoscevo neppure.
Ti ho poi stimato grandemente ed anche voluto bene, perchè ho visto in Te il taglio dell’uomo extra ordinem ed un afflato umano che neppure i miei miti di gioventù mi avevano mai regalato.
Ti ho sempre difeso,anche quando alla gente con la mia cultura primigenia appariva problematico fare scudo. Non sono andato con Fini, nè con La Russa, nè (più facile) con Alfano
Ho subito senza protestare il ritorno al passato, ad un passato che per voi era il mitico 1994, anno nel quale il mio passato aveva già un paio di generazioni di vita.
Non potrai dunque dire di me che non Ti sono stato leale, che per interesse o altro Ti ho tradito, come non vorrei che Tu dicessi che Ti devo seguire sempre e comunque, anche se fai strage dei tuoi.
Un vecchio adagio diceva ‘se avanzo seguitemi.se indietreggio uccidetemi’. Senza arrivare a tanto tuttavia una scrollatina dobbiamo dartela.
Dalla triste questione che ci alienò drasticamente i consensi popolari, che nulla aveva di politico, ma che nacque per la tua irriducibile ingenuità , inescusabile in un perseguitato come Te, si sono susseguiti una serie di errori politici uno più grave dell’ altro, che ancora oggi persistono, che Ti abbiamo rappresentato in tutti i modi possibili, alcuni dei quali (specie da parte mia ) lo riconosco,troppo duri,
Inutile buttar sale sulle ferite: Tremonti, Alfano, Monti, fine finanziamento pubblico partiti, legge Severino, Letta, affidamento dei tuoi desiderata ad ambasciatori inidonei, fiducia mal riposta in troppe occasioni, rifiuto di pensare ad un partito arioso ed aperto.
Potrei continuare, ma ti verrebbe l’orticaria e basta.
Oggi siamo alla pietra tombale, a quel Patto del Nazareno, che è una truffa per il centrodestra, un imbroglio x Te, la fine del nostro sogno.
Tu stesso ne hai riconosciuto il costo. Ma nn puoi pensare che i cittadini siano cosi’ ingenui da ritenere possibile che si possa accettare la riduzione ai minimi termini della nostra ditta, della Tua credibilità , della fiducia, in nome di pseudoriforme che Ti ostini (sapendo la verità ) a definire “nostre” e “risolutive”, quando sono esclusivamente “loro” e sì “risolutive” ma per bloccare a favore di Renzi le istituzioni.
Sono “loro” e lo hai visto bene, quando sono andati in crisi per una semplice variazione in Commissione sull’abolizione dei senatori a vita .
Perchè, vedi, fra l’altro, questo ircocervo istituzionale è per Renzi e Co, realizzazione del programma di governo, non scrittura delle regole. Tanto vero che non si parlò di regole cambiate, ma di governo andato sotto.
E dunque Forza Italia, per Tuo esplicito riconoscimento nella Tua telefonata a Imola, mai ha fatto vera opposizione a Renzi.
Anzi è diventata maggioranza a sostegno di Renzi per supplire alla sua crisi interna, in cambio di riforme che fanno comodo..solo a Renzi.
Insomma da Popolo della Libertà a Forza Italia a Forza Renzi ….e poi?
Non era per questo che la gente Ti ha votato ed ha sperato in Te.
Ma Tu dici, vedrai, ci faremo almeno un Presidente della Repubblica che sceglieremo anche noi. Ti hanno detto di no anche su quello.
Dunque, Presidente, è giusto o no essere leali e dirTi che sbagli e che devi rientrare nel solco delle cose giuste per riannodare il filo con la tua e la nostra gente, che ormai è rassegnata o non vota o, a seconda delle inclinazioni, va da Salvini o da Renzi, lasciandoci soli con gli ultimi tenaci fedelissimi.
Te per il centrodestra sei quello che è Ronaldo per il Real Madrid. Se torni in campo però, a infortunio smaltito, bisogna che Tu faccia gol nella porta di Renzi e del Pd e non metta tutta la tua classe a fare un autogol dietro l’altro.
Altrimenti, se proprio hai deciso di continuare così per motivi che solo Tu conosci sii conseguente.
Noi dentro il partito difenderemo fino all’ultimo l’alternativa di centrodestra. Il mio è un discorrere leale, non servile.
Ma sappi che con la lealtà c’è salvezza, diversamente c’è Piazzale Loreto, Sant’Elena, o più prosaicamente il discredito e l’oblio.
Con vero affetto
tuo Maurizio Bianconi
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