Dicembre 23rd, 2014 Riccardo Fucile TROPPI DIRIGENTI DA SALOTTO, MENTRE ZINGARETTI PREPARA LA FRONDA AL PREMIER
«Buffoniii»… l’altra settimana Matteo Orfini, Nicola Zingaretti e Ignazio Marino sono stati
fischiati così, al Laurentino 38, periferia Sud-Est di Roma, e non era la cosa peggiore che gli dicevano.
Eppure, racconta Orfini, «ho voluto che andassimo lì, come ho voluto tre giorni fa che con tutti i coordinatori dei circoli andassimo a Corviale, perchè se c’è una cosa che dobbiamo tornare a fare è essere nelle periferie, da dove eravamo spariti. Zingaretti e Marino mi guardavano, c’era un teatro di 250 posti e 600 persone fuori che rumoreggiavano… bene, siamo usciti e abbiamo parlato. Ci fischieranno, hanno ragione, prendiamo i fischi e parliamogli»
Questo per dire cos’è il Pd a Roma. O, meglio, cosa non è: i suoi tre principali dirigenti, il commissario, appena nominato da Matteo Renzi dopo lo scandalo mafia Capitale, il governatore e il sindaco, fanno però fatica ad affacciarsi in intere aree della città .
Com’è potuto accadere, al partito erede di Petroselli — che fece uscire intere borgate dall’Ottocento — o, si parva licet, al partito erede dei fasti decaduti del «Modello Roma» del primo centrosinistra
Le cause, se giri un po’ anche tra i circoli storici — Giubbonari, Trastevere, Mazzini — stanno innanzitutto in una totale alterazione della sua vita democratica.
«Roma è il peggior Pd d’Italia», ha detto Renzi.
Ma com’è successo? Un dirigente di primo piano che chiede l’anonimato racconta il quadro vero dei circoli: «A Roma esistono 150 circoli del Pd. Bene, un terzo sono veri, hanno iscritti veri e una dinamica reale, dibattito, sono contendibili. Un terzo sono totalmente falsi, non hanno attività , spesso neanche sede. E un terzo sono circoli proprietari, cioè interamente pagati da un consigliere. Questi circoli magari esistono, fanno attività , ma non sono contendibili».
Insomma, quando si vota esprimono risultati tipo 100 a zero a favore di un candidato.
Alle ultime elezioni del segretario regionale Pd — ben prima dello scandalo — l’affluenza era già stata bassa.
Aveva vinto Fabio Melilli, sostenuto da tutti i big del partito, Bettini, Zingaretti, il segretario romano Cosentino.
Melilli è un sabino, fortissimo in provincia, con l’80%, mentre a Roma aveva prevalso la sua rivale, la renziana Lorenza Bonaccorsi.
Ora lui dice: «I dirigenti del partito devono smettere di vedere nel Pd un mezzo per far carriera. E forse bisogna finirla con l’idea che conti solo l’amministrazione». Frecciata a Zingaretti?
Il governatore, vero avversario di Renzi in prospettiva, richiesto di un parere ci scrive «il mio unico compito è provare a governare bene. Del Pd mi occupo davvero poco o nulla».
Singolare, il suo rivale Renzi ha del partito più o meno la stessa idea: starsene alla larga. Ma questo lascia campo libero alle peggiori dinamiche.
Il commissario Orfini: «A Roma abbiamo imbarcato qualunque cosa. Per questo faremo una roba violenta nella bonifica. Intanto faremo un vero database per tenere sotto controllo le iscrizioni. Se vuoi un partito aperto devi avere una comunità vera, per fermare l’arrivo dei barbari».
E così si sono creati, a Roma, un Pd dei salotti e uno della strada (e della stradaccia, diciamo): con l’uno che si voltava dall’altra parte magari anche per non vedere ciò che faceva l’altro. Racconta Tobia Zevi, il candidato renziano, sconfitto, alle elezioni per la segreteria romana: «Lo scandalo nasce con la giunta di Alemanno.
Ma siccome esponenti del centrosinistra sono coinvolti, non basta chiudere i circoli, dobbiamo chiederci: qual è la funzione del partito? Petroselli, e anni dopo Veltroni, avevano un modello di partito, ma noi oggi?».
Marino, che un mese fa il Pd voleva mettere sotto tutela, è improvvisamente diventato «l’argine contro la corruzione».
Va a Tor Sapienza e, dove veniva cacciato, viene invitato a pranzo (ieri l’altro).
Gli iscritti calano, nel 2012 erano dodicimila, oggi poco più di settemila. Mafia Capitale tocca un volume d’affari di 200 milioni, le vere partite in città sono altre, per esempio la metro C, impantanata, i cui costi sono lievitati da 1,6 a 4 miliardi: e pensate, su questa cosa dovrebbe vigilare il futuro Pd.
Jacopo Iacoboni
(da “la Stampa“)
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Dicembre 23rd, 2014 Riccardo Fucile DOMANI NEL CONSIGLIO DEI MINISTRI PRENATALIZIO JOBS ACT, DECRETO ILVA, MILLEPROROGHE E NOMINE
“Da grande voglio fare l’estintore”. Eccola lì, che arriva la battuta di Matteo Renzi. Che poi, tanto battuta non è. Domenica sera, studio di Fabio Fazio, Che tempo che fa. Il premier in versione pre-natalizia cambiaverso: da Rottamatore a estintore.
Nella fattispecie è occupatissimo a estinguere il dissenso, il lavoro parlamentare comunemente inteso, e pure lo spirito critico generale.
Arma di distrazione di massa: il grande gioco del Quirinale (le grandi manovre ci sono, ma ovviamente sotto traccia). Sul tavolo del governo domani ci saranno una serie di provvedimenti non secondari. Prima di tutto i decreti attuativi del jobs act.
Ufficialmente a Palazzo Chigi stanno finendo di lavorare al testo.
Il governo sta tenendo il più possibile coperte le sue intenzioni. “Non sarà una vigilia di pace”, li preannunciava alla Camusso Renzi durante la cerimonia degli auguri di Napolitano alle autorità .
L’ipotesi è di non distinguere le fattispecie dei licenziamenti disciplinari, in maniera da chiarire quali possono avere diritto al reintegro.
Promessa che il governo aveva fatto alle minoranze Pd. Ma lasciare al giudice solo il compito di decidere se il fatto materialmente sussiste.
Un modo per restringere al minimo lo spazio per il reintegro. Ancora sul tavolo anche il licenziamento per scarso rendimento. Che non piace alle minoranze. Mentre si discute sull’entità dell’indennizzo.
Tra i decreti arriva anche un Mille-proroghe. E poi, c’è quello sull’Ilva.
Così lo annunciava il premier al Foglio: “Ci permetterà di salvare l’Ilva”.
I timori che si addensano sul provvedimento però sono tanti: il sospetto è che il governo voglia nazionalizzarla, dividendo i rami di azienda, e lasciando allo Stato gli oneri, come i debiti e le bonifiche.
A Palazzo Chigi stanno lavorando anche a un altro provvedimento, sulla città di Taranto. Non finisce qui. Domani si attendono alcune nomine importanti.
Prima di tutto, a capo dell’Arma dei Carabinieri dovrebbe arrivare il Generale Tullio Del Sette, capo di gabinetto del ministro Pinotti.
Con buona pace dell’uscente Gallitelli, che, per quanto ufficialmente pensionato al 31 ottobre, voleva il tempo, prima di essere sostituito, di aspettare il prossimo inquilino del Quirinale e cercare di diventarne il consigliere militare.
Atteso anche il nuovo Comandante dell’Esercito. E il nuovo Avvocato di Stato. Scaduto Michele Dipace, si cerca il sostituto.
Possibile uno degli attuale vice, Giuseppe Fiengo, Massimo Massella Ducci Teri, Salvatore Messineo.
In pole, Massella. In alternativa, l’avvocato del Mef, Capo ufficio del coordinamento legislativo, Carlo Sica.
Nel frattempo, continua il gioco di strategia sul Colle. “L’intervista di Berlusconi a Repubblica è stata importante”, commentavano ieri a Palazzo Chigi.
È stato lo stesso Renzi a chiedere a Verdini di farla.
Il capo di FI ha detto: “Il problema non sono le radici politiche. Ma che sia un garante”. E sottolineando che non fa parte del Nazareno: “Dico solo che votando insieme la Costituzione, si può votare insieme anche per il Quirinale”, con il concorso di tutti, e quindi Fi ma anche Lega e M5S.
Niente veti, ha detto il presidente del Consiglio. E veti l’ex Cavaliere non ne pone. Allineato, pure nel metodo.
Il premier un nome secco, che sarà messo ai voti a partire dalla quarta “chiama” quando basterà la maggioranza assoluta.
Ieri l’ha detto pure al brindisi al Nazareno con i deputati Pd: “Non dobbiamo dividerci”.
Anche se i franchi tiratori sono messi in conto. Mentre nel borsino quotidiano crescono le quotazioni di Padoan (come tecnico), ieri pure al brindisi dem, unico ministro non del partito, Sabino Cassese (come non politico), di Pierluigi Castagnetti (come cattolico) e di Piero Fassino.
Come cresce la tela di chi vuole usare Prodi contro il Nazareno.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 23rd, 2014 Riccardo Fucile L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITà€: “L’ALLATTAMENTO AL SENO VA SOSTENUTO E NON SI POSSONO PUBBLICIZZARE I PRODOTTI ARTIFICIALI”… EPPURE LA GARA TRA NATURA E AZIENDA COMINCIA PRESTO… GIà€ IN OSPEDALE, APPENA USCITI DALLA SALA PARTO
“Signora, ma lei… che intenzioni ha?”. È un pomeriggio di metà marzo e in una stanza di una
clinica convenzionata di Roma, c’è una neonata che non ha nemmeno compiuto ventiquattr’ore.
Parto naturale, tutti stanno bene. Eppure questo pediatra di esperienza sente il bisogno di fare una domanda con tono da melodramma.
La signora in questione, per la verità , nel clima di preoccupazione immotivata è immersa dal momento in cui le hanno tagliato il cordone ombelicale. Ha provato, come da manuale, ad attaccare al seno la sua piccola che ha appena visto la luce.
E un’infermiera dai modi spicci l’ha allontanata dicendo “non abbiamo tempo da perdere”.
Ha tentato, come si insegna, ad allattarla poche mezz’ore più tardi, sentendosi rispondere che “può stare qui tutta la notte, tanto non le esce niente”.
E poi, è arrivato quel pediatra, con il tono da fine del mondo, a chiederle cosa pensasse di fare con quella bambina affamata che ha solo una richiesta: un misurino di Nidina 1, latte in polvere, marca Nestlè.
Il benvenuto al mondo è scritto nella lettera di dimissioni dall’ospedale. E per ogni donna è opera ardua dover cominciare la lotta contro le lusinghe del mercato appena messo piede fuori dalla sala parto.
Allattare al seno — lo dicono decenni di letteratura scientifica — fa bene alla salute di madre e figlio, è economico, pratico, sostenibile e riduce pure i costi per la collettività , perchè diminuisce il bisogno di cure mediche.
Eppure, quello che è successo a metà marzo in quella clinica, non è nè un’eccezione nè una sfortunata casualità : il sostegno all’allattamento materno spesso scarseggia e altrettanto spesso viene consigliata l’alternativa artificiale.
A dire il vero, dal 1981, ci sarebbe in vigore un “Codice internazionale per la commercializzazione dei sostituti del latte materno” messo a punto dall’Organizzazione mondiale della Sanità . E agli operatori del settore, quel Codice, ricorda che “svolgono un ruolo essenziale nel guidare le pratiche di alimentazione dei lattanti, incoraggiando e facilitando l’allattamento al seno, e fornendo consigli oggettivi e coerenti alle madri ed alle famiglie”.
Eppure, negli ospedali italiani, sembrano esserselo dimenticato in tanti.
Lo dice il Report sull’allattamento al seno appena pubblicato dal ministero della Salute (lo illustriamo brevemente qui sopra, ndr): “In molti punti nascita non si applicano o si applicano solo parzialmente o senza particolare successo le modalità organizzative ed i protocolli assistenziali, che invece sono notoriamente facilitanti l’avvio dell’allattamento al seno”.
Ogni anno l’associazione Ibfam redige un rapporto che illustra nel dettaglio tutti i casi di violazione del Codice dell’Oms.
Anche per il 2014, per scriverli tutti, ci sono volute 107 pagine.
Le segnalazioni di lettere di dimissioni con specificata la marca di latte da usare sono vietate dal Codice.
Eppure le danno a Roma, a Cosenza, a Novara, a Firenze: dappertutto. Recitano la formula di rito: “L’alimento migliore per ogni bambino è il latte materno (…) In caso di necessità , qualora venisse a mancare il latte materno, si consiglia integrazione con alimento per l’infanzia”.
E poi ecco il nome del momento: a chi si affida ai consigli della direzione sanitaria farà un certo effetto scoprire che se suo figlio fosse nato un mese prima o un mese dopo, il latte raccomandato sarebbe stato un altro.
Il meccanismo della “turnazione” funziona così: le aziende, in accordo con le strutture ospedaliere, stabiliscono un calendario annuo.
A gennaio si usa Milupa, per dire, a febbraio Humana, a marzo Aptamil e così via. Una pratica, dicevamo, vietata dal Codice ma anche da una legge italiana del 2009 e sanzionata più volte dall’Antitrust, visto che le multinazionali fanno cartello e organizzano la turnazione tagliando fuori le aziende minori.
Spiega il Rapporto Ibfan: “Le principali ditte si spartiscono il privilegio di offrire forniture gratuite o a basso costo di latte artificiale ai reparti maternità , ben consapevoli che durante il periodo in cui viene usato un certo tipo di latte questo sarà anche consigliato alle dimissioni, con un ritorno di pubblicità e vendite che compensa ampiamente l’investimento iniziale”.
L’ultima inchiesta che ha portato all’arresto di 12 pediatri livornesi è di meno di un mese fa: scoraggiavano l’allattamento materno e suggerivano l’uso di latte artificiale.
Ora sono accusati di corruzione, perchè, secondo l’accusa, quei consigli alle neo mamme erano dati in cambio di telefonini, televisori, weekend a Parigi e viaggi a Sharm El Sheik. Gentili omaggi delle aziende farmaceutiche.
“Quelle identificate dall’indagine sono mele marce — tuonò allora il ministro della Salute Beatrice Lorenzin — una macchia per tutti certo, ma il cesto è sano”.
In mezzo a quel cesto sano, comunque, ci sono anche quelli che non disdegnano i convegni a Bilbao o a Marrakech, quelli che frequentano i campus a Capri: nulla di illegale, se non che dietro a questi eventi internazionali, ovviamente, ci sono tutte le più grandi aziende farmaceutiche e alimentari del settore.
Al ministro Lorenzin dovrebbe far drizzare le antenne il report appena pubblicato dal Tavolo tecnico a cui abbiamo accennato già sopra.
Paola Negri, presidente Ibfan Italia, nella riunione di novembre a cui è stata invitata, ha raccontato la sua esperienza di consulente per l’allattamento a Firenze e posto l’attenzione sull’ultima frontiera del business neonatale: i latti di crescita.
Ultima frontiera Allungare l’età : così sono nati i prodotti “di crescita” Mai sentiti? Sono una trovata degli ultimi 4 — 5 anni e rientrano in pieno nelle strategie di up-ageing che le aziende produttrici stanno sperimentando: perchè limitare al primo anno di vita l’offerta alimentare dedicata ai bambini?
Allungare l’età dei bisogni è la strada maestra per trovare spazio per nuovi profitti.
Spiega una ricerca commissionata dalla Heinz (la multinazionale della Plasmon, per intenderci) che “la categoria baby food è fondamentale per tutti i distributori perchè permette di fidelizzare i consumatori con uno scontrino medio più alto (+25 per cento) e genera traffico nel punto vendita in ragione della maggiore frequenza di spesa”.
Anche in questo caso, poco importa che l’Organizzazione mondiale della Sanità abbia ripetutamente bollato i latti di crescita come “inutili”: se si decide di proseguire l’allattamento oltre l’anno di vita, basta il latte materno.
Altrimenti, si può introdurre il latte vaccino o ricavato da altri cereali (riso, avena e simili).
Eppure, un buon motivo per affidarsi ai latti di crescita, per la Società italiana di Pediatria c’è: “Rappresentano un’arma in più per prevenire carenze di alcuni micronutrienti. Tali carenze sono frequenti quando i bambini assumono latte vaccino e soprattutto quando ne assumono notevoli quantità , anche per la riduzione dell’appetito che ne può conseguire”. Aggiunge la Sip: “È spesso arduo il passaggio da una alimentazione esclusivamente lattea ad una che comprende anche altri alimenti e non sempre è facile l’adattamento del bambino e della sua famiglia ad una alimentazione variegata e più ricca di nutrienti”. Meno male che ci aiutano Heinz, Nestlè e Danone.
Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 23rd, 2014 Riccardo Fucile ECCO LA ROSA DEGLI ASPIRANTI AL QUIRINALE
Siccome è sommamente inopportuno fare nomi per evitare di bruciarli, la rosa degli aspiranti al Quirinale citati nell’ultima settimana è estremamente succinta: appena 25 candidati.
Amato Giuliano. È il prediletto di Napolitano e B. (infatti ha due pensioni). Potrebbero essergli fatali l’inesperienza politica (ha avuto solo 76 incarichi) e la tenera età (appena 76 anni).
Cassese Sabino. Leggermente più maturo (79 anni), piace molto a Re Giorgio e soprattutto all’infanto Giulio. L’altra sera sparava cassate da Floris. Ieri ha scritto sul Corriere che il nuovo presidente “tornerà al modello einaudiano”. Tradotto: se eleggete me. non rompo i coglioni, dove mi mettete sto. S’offre parecchio.
Draghi Mario. È riuscito nella mission impossible di fare il banchiere senza finire imputato, e per giunta non piace alla Merkel: il che, in Italia, è un doppio handicap. Inoltre, se eletto presidente, farebbe il presidente: ergo non garba a Renzi, che per il Colle sta cercando un portachiavi.
Visco Ignazio. Come sopra, con un’aggravante: denuncia troppo spesso la corruzione. Non si parla di corda in casa degl’impiccati.
Prodi Romano. Piace ai nemici del Nazareno: minoranza Pd, fittiani FI e Sel potrebbero votarlo contro Renzi&B., bruciandolo. Ma Renzi potrebbe anticiparli e candidarlo contro di loro, bruciandolo. Lui sta pensando di anticipare tutti e darsi fuoco.
Padoan Pier Carlo. Essendo ministro dell’Economia, vuol fare il ministro dell’Economia: perciò Renzi lo manderebbe volentieri al Quirinale, se lì non volesse fare il presidente della Repubblica.
Fassino Piero. Renziano di scuola gregantiana, dunque non sgradito ai Pd antirenziani, nel 2006 si prostituì con un articolo fantozziano sul Foglio chiedendo a B. i voti per eleggere D’Alema. Così fu eletto Napolitano, che per questo lo adora.
Chiamparino Sergio. Candidato anfibio: renziano non ostile agli anti-Renzi, Pd gradito a FI, politico ma pure banchiere, curriculum pieno di poltrone ma anche di buchi (di bilancio: ieri al Comune di Torino, ora in Regione Piemonte). Ce la può fare.
Veltroni Walter. Sponsor di Odevaine ma anche di Renzi, nostalgico di Craxi ma anche di Berlinguer, avversario di B. ma anche dei demonizzatori di B., è Nazareno dentro. Quasi perfetto.
Muti Riccardo. Era la prima scelta di Renzi. Poi il Fatto l’ha scritto e il premier l’ha smentito: quindi era vero. Non ha alcuna esperienza, ergo va benissimo. Molto favorito pure dal cognome.
Finocchiaro Anna. Stoppata nel 2013 da Renzi per via della foto all’Ikea con la scorta, gli diede del “miserabile”. Ora però si dà un gran daffare per la riforma-boiata del Senato. E poi è donna. E poi Matteo, oggi, è più di bocca buona.
Severino Paola. Avvocato di tutti i grandi gruppi italiani, piace a B., Letta zio, Curia e Caltagirone: quindi in un paese serio sarebbe out anche per l’Arcicaccia. Qui invece è in pole position.
Franceschini Dario. Da quando qualcuno ha invocato l’alternanza laici-cattolici, si cerca disperatamente un cattolico. Al punto che s’è pensato persino a lui. Ma solo per questo motivo.
Mattarella Sergio. Vedi sopra.
Casini Pier Ferdinando. Vedi sopra.
Gentiloni Paolo. Vedi sopra.
Rutelli Francesco. Vedi sopra.
Grasso Piero. Già nel 2013, appena eletto presidente del Senato, si disse disponibile a un più alto incarico (l’unico esistente). Ma nessuno se lo filò. Vedi mai che quest’anno vada di moda il nulla mischiato col niente.
Boldrini Laura. È l’altra soluzione istituzionale in caso di impasse. Lei insiste molto per una donna al Colle. Può contare già sul suo voto, semprechè non sbagli a compilare la scheda.
Bonino Emma. Candidata al Quirinale dal 1976, è stata con B. e con l’Ulivo. Nè cattolica nè comunista, pacifista ma pro guerre, non è più in Parlamento: non può contare neppure sul suo voto
Pinotti Roberta. È l’unica Renzi-girl sopra i 50 anni, il che la rende sospetta agli occhi di B. Peccato per il vizietto di usare i voli militari come taxi per tornare presto a casa. Ma chi ci dice che in Italia sia un handicap?
Baresi Franco. Già capitano del Milan e della Nazionale, è il candidato di Matteo Salvini. Quindi ha qualche chance più di Massimo D’Alema.
Caprotti Bernardo e Feltri Vittorio. Il patron di Esselunga (classe 1925) e l’ex direttore del Giornale e di Libero sono i candidati di Roberto Calderoli. Chi ha voglia di ridere, pensi al Porcellum.
Napolitano Giorgio. Nessuno ne parla, ma una nuova, eventuale paralisi di veti incrociati potrebbe indurre i partiti a chiedergli un altro estremo sacrificio. Del resto, come titola l’Huffington Post, “Gli italiani vogliono ancora Napolitano”. Se lo meritano proprio.
Carminati Massimo. Non l’ha (ancora) candidato nessuno. Ci permettiamo di farlo noi, sperando di non bruciarlo. Uomo del fare, decisionista, sufficientemente esperto di giustizia e anche di economia, è forse un po’ troppo a destra, però non disdegna il dialogo a sinistra (è persino socio della coop rossa 29 Giugno). Potrebbe rivelarsi prezioso presso i grandi elettori per sbloccare l’impasse con uno dei suoi celebri intercalari: “Ti fratturo la faccia”.
Marco Travaglio
(da Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 23rd, 2014 Riccardo Fucile MANUTENZIONE STRADE E GESTIONE DELLE SCUOLE A RISCHIO DEFAULT
I dipendenti sono in stato di agitazione in tutta Italia, molte Province temono il default
finanziario già nei prossimi mesi e il presidente dell’Upi, Alessandro Pastacci, pur dando ampie assicurazioni sul pagamento degli stipendi, spiega che «se la legge di stabilità non cambia non sarà possibile garantire ai cittadini tutti i servizi che oggi vengono erogati, dalla manutenzione delle strade alla gestione delle scuole».
Il nodo è quello delle risorse: «La legge di stabilità prevede il trasferimento di un miliardo di euro di tributi locali nel 2015, a parità di funzioni e di dipendenti».
Infatti tutti i dipendenti rimarranno in capo alle province per due anni, nelle more dell’attuazione della riforma.
Dopo, il futuro è incerto, rileva Michele Gentile, Cgil funzione pubblica: «La legge non prevede un meccanismo unico, rischia di esserci una soluzione diversa per ogni Regione.
Rimane poi il problema dei 1000 precari i cui contratti scadono a fine anno: al momento non è previsto alcun rinnovo».
I dipendenti sono sul piede di guerra, ma non solo per i propri stipendi: «Noi vogliamo che ai cittadini vengano garantiti i servizi a cui hanno diritto, e con i tagli della manovra non sarà più possibile farlo», dice Marco Zatini, che con i colleghi occupa da giovedì la sala consiliare della Provincia di Firenze.
Rosaria Amato
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 23rd, 2014 Riccardo Fucile IL PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE “TRADIZIONE E LIBERTà€” ANNUNCIA UNA NUOVA AGGREGAZIONE DI CENTRODESTRA IN VISTA DELLE REGIONALI… E DIVENTA REFERENTE IN LIGURIA DI “ALTRA DESTRA”, IL NUOVO MOVIMENTO DI SVEVA BELVISO
Dopo una militanza giovanile a destra, il suo percorso politico è passato attraverso AN, Pdl e Fli ed è stato per molti anni consigliere comunale a Genova: scelte sempre convinte o qualche volta ha dissentito dai vertici?
Per me la politica è stata ed è solo passione civile e rigore morale. E alla politica ho sempre dato e mai preso. Quindi quando mi sono reso conto che tali condizioni venivano meno sia nel PDL e sia in FLI, ho contestato le scelte dei vertici e me ne sono andato. Direi con buone capacità lungimiranti, visto gli esiti di questi partiti.
L’esperienza del Pdl e la sua successiva frantumazione come l’ha vissuta? Anche a livello locale ha pesato una struttura verticistica? Allora si diceva che Scajola avesse sempre l’ultima parola…
Il problema non erano solo i vari Scajola: il PDL era solo una fusione a freddo e non poteva durare, ancor meno in Liguria dove di fatto si “giocava a perdere” nella speranza di avere briciole di potere.
Poi ha seguito Fini in Futuro e Libertà : rimpianti per un’avventura che poteva finire diversamente?
Quando Fini alzò il famoso dito eravamo in tanti a pensare che fpsse arrivato il momento di ritrovare la nostra identità . Poi ci ritrovammo confusi con l’UDC e Monti. Un suicidio politico senza precedenti nella storia.
Lei è sempre stato consigliere di opposizione alla giunta di centrosinistra: solo Castellaneta in passato è riuscito a sfiorare la vittoria alle comunali. Solo frutto del consociativismo del Pd o anche a destra occorrerebbe fare una seria autocritica?
La destra che io rappresentavo è sempre stata leale e coerente. Ripeto, c’erano potentati nel centro-destra che consapevolmente non volevano vincere. Un dato oggettivo: alle ultime comunali il centro-destra non ha voluto appoggiare Musso e ha indicato Vinai che poi è volato subito tra le braccia di Renzi. Se F.I. e Lega avessero invece fatto un passo indietro oggi forse il sindaco di Genova non sarebbe Doria. E sarebbe stata tutta un’altra storia.
Una curiosità : perchè ogni volta che il centrodestra deve trovare un candidato presidente alla Regione si va sempre alla ricerca di un imprenditore? Non è un target che preclude la simpatia di altre fasce sociali?
In parte è un abbaglio del berlusconismo, in parte una necessità . Non avendo il centro-destra quella rete di “amici” e cooperative dal finanziamento facile, il candidato presidente deve di fatto pagarsi la campagna elettorale. Credo comunque che gli elettori siano principalmente attenti ai programmi, alle proposte e al profilo morale del candidato.
A livello nazionale va di moda Salvini: c’è chi dice che a Renzi faccia comodo una destra lepenista che non arriverà mai a costituire un serio pericolo per la sinistra al governo…
Salvini ha indicato due “nemici” dei mali dell’Italia: l’euro e gli extracomunitari. Può prendere voti di pancia, così come fa Grillo, ma non ha una visione del futuro. Nella Lega non riesco a vedere il sogno della società etica o i valori di destra in cui mi riconosco. Senza dimenticare che lo stesso fascismo fino al ’38 non era stato certo razzista.
Di Fini allenatore e cercatore di talenti e della Meloni alla ricerca di intese con Salvini e Fitto che ne pensa?
Non so cosa voglia fare Fini, ma non mi sembra che stia pellegrinando per l’Italia alla ricerca di talenti nuovi o vecchi. FdI fa male ad appiattirsi su posizioni paraleghiste, anche perchè l’elettore premierà sempre l’originale mai la fotocopia. In quanto a Fitto, sino ad oggi non mi sembra che abbia dimostrato di avere le caratteristiche e la personalità per fare il futuro leader nazionale di tutto il centro-destra
Poche ore fa è stato nominato coordinatore regionale di “Altra Destra”, la nuova
formazione politica che ha come leader Sveva Belviso, assessore alle politiche sociale nella giunta Alemanno, la candidata donna più votata in assoluto a Roma, personaggio nuovo nel panorama politico nazionale. Perchè questa scelta?
“Altra Destra” è appena nata, ma promette appunto un nuovo ( e nel contempo antico) modo di far politica a Destra, partendo dai problemi e dando soluzioni anche rivoluzionarie. L’entusiasmo e la passione di Sveva Belviso sono contagiosi. È giovane, coraggiosa e ha le idee molto chiare. Sono onorato che mi abbia voluto coinvolgere nel suo progetto e ci impegneremo al massimo per costruire Altra Destra anche in Liguria.
La Belviso ha dichiarato che occorre rottamare tutti i vecchi leader del centrodestra e aprire una fase nuova, alternativi alla sinistra e alla Lega. Emerge una visione laica, attenta alle disabilità e ai diritti civili, alla sicurezza e al decoro urbano. E’ un modello che può avere spazio?
In un momento in cui Renzi fa il pifferaio liberista per piacere ai mercanti e ai mercati, un movimento di destra che riscopre meritocrazia, legalità e le proprie radici sociali ha spazi enormi.
In vista delle regionali in Liguria, che posizione prenderete?
Come Tradizione e Libertà abbiamo lavorato in questi mesi per trovare un minimo denominatore comune con altre associazioni o singole persone che vogliono essere alternativi alla sinistra di potere, ma che non si riconoscono più in F.I. o Lega. L’idea è quella di arrivare a mettere insieme una lista civica che sia la casa e il laboratorio d’idee di tutti i moderati della Liguria.
Avete in mente già un nome da dare a tale lista civica?
Qualche proposta c’è già . Ma più che altro stiamo lavorando sui progetti per tagliare gli sprechi pubblici e per rilanciare l’economia della Liguria.
Se il progetto va in porto Lei, che di fatto sarà uno dei padri fondatori di questa lista civica, avrà sicuramente voce in capitolo. Cosa chiederà al tavolo delle trattative?
Più che “tavolo delle trattative”, solleciterei solo incontri alla luce del sole e in ogni caso per me non chiedo nulla. Pretendo solo che il candidato presidente sia una persona di indiscussa integrità morale e che il suo sia un programma condiviso e condivisibile. Con questi presupposti, non escludo che alle urne di primavera potremmo avere qualche piacevole sorpresa.
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Dicembre 23rd, 2014 Riccardo Fucile VITO GIACINO, EX BRACCIO DESTRO DEL SINDACO LEGHISTA ERA STATO ARRESTATO LO SCORSO FEBBRAIO
Vito Giacino, ex vicesindaco di Verona ed ex braccio destro del sindaco del Carroccio Flavio Tosi, è stato condannato a cinque anni di reclusione per corruzione.
Il Gup, Giuliana Franciosi, ha accolto in pieno la richiesta del pubblico ministero Maria Beatrice Zanotti, che aveva chiesto appunto cinque anni per l’ex braccio destro di Flavio Tosi, arrestato lo scorso 17 febbraio assieme alla moglie, Alessandra Lodi, a sua volta condannata a quattro anni.
Il pm aveva chiesto cinque anni di carcere anche per la donna.
L’indagine era partita in seguito alla denuncia dell’imprenditore immobiliare, Alessandro Leardini, che aveva raccontato di avere pagato presunte tangenti per 600mila euro a Giacino, in parte camuffate sotto forma di consulenze legali alla moglie, in cambio di favori per concessioni edilizie e varianti urbanistiche.
Giacino, che si era dimesso da vicesindaco il 15 novembre del 2013 quando era già indagato e il suo ufficio in municipio era stato perquisito, si trova ancora ai domiciliari.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 23rd, 2014 Riccardo Fucile MUTAMENTI GENETICI DELLA SINISTRA SUL TEMA GIUSTIZIA
Sarà anche vero che, come ebbe a confessare Maria Elena Boschi al presidente emerito della
Consulta Gustavo Zagrebelsky “abbiamo a che fare con la stampa, per cui le parole che usiamo più sono pesanti, più passano”.
Sarà anche vero che il ruolo di ministro delle Riforme, con un Parlamento diviso in medie, piccole e grandi fazioni, e con nessuna idea condivisa su come si possa riformare il Paese, debba essere compito particolarmente gravoso.
Sarà che le riforme annunciate fin qui hanno ricevuto bocciature da professori di diritto e una dubbia acquiescenza da parte dei gruppi politici, prima di impantanarsi nelle secche tra Montecitorio e Palazzo Madama.
O che quella lanciata come la grande riforma delle Province abbia partorito per adesso solo un’elezione farsa e la protesta dei dipendenti sotto i palazzi della politica.
Fatto sta che sabato, il ministro per le Riforme e i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi si è tramutata in una sorta di Capezzone d’altri tempi.
In risposta all’Anm che aveva criticato la leggerezza del governo nell’affrontare il problema della corruzione e ne aveva denunciato l’ossessione verso la responsabilità civile dei magistrati, Boschi aveva detto: “I magistrati dovrebbero parlare attraverso le loro sentenze, applicare le leggi, non commentarle o scriverle, quello spetta ai parlamentari”
È questo un concetto caro al centrodestra degli ultimi vent’anni.
Da Daniele Capezzone a Fabrizio Cicchitto, passando per l’indimenticato Sandro Bondi, il sindacato delle toghe non dovrebbe mettere bocca sull’operato di chi governa.
Questo, ad esempio, è un Capezzone d’annata: 27 novembre 2009.
Dice, l’ex segretario Radicale all’epoca portavoce di Forza Italia: “Spiace dover ricordare nozioni che dovrebbero essere elementari in un Paese civile. Ma in uno Stato di diritto le leggi le fa il Parlamento, sulla base del mandato popolare, e non il dott. Cascini, l’Anm e i magistrati. Il compito dei magistrati è quello di applicare le norme, non di discuterle politicamente”.
È praticamente la stessa dichiarazione di Boschi.
Ha più piglio, certo il Sandro Bondi che nel settembre dell’anno passato tuonava: “Il segretario dell’Anm, Rodolfo Sabelli, fornisce l’ennesima conferma di una casta di funzionari dell’amministrazione pubblica che pretende di stabilire e di dettare al Parlamento quali siano le leggi conformi o meno alla nostra Costituzione, soverchiando in maniera illegittima le istituzioni democratiche preposte a tutelare i diritti fondamentali della nostra democrazia e delle libertà dei cittadini”.
Sul tema della politicizzazione della magistratura è del resto Fabrizio Cicchitto l’analista più attento: “Questa non è una battaglia per cercare tutti insieme di migliorare la macchina della giustizia. – vergava nel lontano gennaio del 2005 – Questa è una battaglia politica, uno scontro, con una parte della magistratura e l’intera Anm schierata in modo esplicito ed estremista a fianco di uno schieramento politico per abbatterne un altro”.
Il ministro Boschi, che è giovane, deve averlo ascoltato il saggio Cicchitto.
Nel settembre scorso, sul tema, annotava del resto: “Bisogna uscire dalla guerriglia che ha caratterizzato il nostro paese negli ultimi anni”.
Eppure un tempo il Partito democratico difendeva quasi sempre le prese di posizione dell’Anm.
A Bondi si rispondeva così: “Registriamo la singolare concezione della democrazia del ministro Bondi, che nega persino il diritto ad esprimere il dissenso a chi ha il compito di rappresentare i magistrati (…). Il governo ha dimostrato di usare la sua maggioranza per fare e disfare a proprio piacimento in tema di giustizia ora lasci almeno a chi ci lavora il diritto di dissentire”.
Nello specifico era Andrea Orlando. Oggi ministro della Giustizia del governo Renzi. Che però la pensa come Boschi.
Eduardo Di Blasi
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Giustizia, governo | Commenta »