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MAXI-PENSIONI E ALTRI REDDITI DI SAN SERGIO, DETTO IL SOBRIO

Febbraio 1st, 2015 Riccardo Fucile

IL VITALIZIO E LA LIQUIDAZIONE DA PARLAMENTARE, L’ASSEGNO DI DOCENTE UNIVERSITARIO E LO STIPENDIO DELLA CONSULTA: DAL 2008 FANNO QUASI TRE MILIONI DI EURO

San Mattarella stilita. San Sergio penitente.
A leggere i ritratti pubblicati sui giornali o declamati in tv il nostro nuovo presidente della Repubblica vive in tale stato di astrazione – non disgiunto da frugale sprezzo dei piaceri mondani – da conservare a malapena rapporto con l’umano essendo già  in procinto di assunzione al cielo.
La sobrietà , l’appartamentino da 50 metri quadri nella foresteria della Consulta, ovviamente arredato con modestia, la Panda, l’assenza del pur minimo particolare di colore indizio sicuro di vita pia e morigerata.
Alcune “vite dei santi” sono un capolavoro di dialettica a confronto delle agiografie che stanno ricoprendo il Mattarella vero con questa sorta di beato penitente incapace di sorriso
Eppure l’eterna Quaresima del nostro avrebbe di che essere interrotta, almeno a stare ai suoi guadagni degli ultimi anni.
Li contiamo da quando ha lasciato il Parlamento, cioè dalla fine di aprile del 2008, 25 anni dopo la prima volta che ci era entrato da deputato (era il 1983).
Certo i soldi non danno la felicità  – e si presume che il capo dello Stato sia stato costretto ad accettarli contro la sua volontà , data la sua proverbiale sobrietà  – ma fare due conti è sempre utile.
Dopo 25 anni di carriera parlamentare onesta e non priva di soddisfazioni, infatti, Sergio Mattarella s’è portato a casa una “liquidazione” da 234mila euro e da quel momento percepisce un vitalizio parlamentare da 9.363 euro al mese.
Dal maggio 2008 dovrebbe averlo ricevuto fino all’ottobre 2011, quando il nostro è stato eletto alla Corte costituzionale: in tutto fanno circa 400mila euro di vitalizio incassati (viene sospeso durante il mandato alla Consulta e pure al Colle).
Nel frattempo il nuovo capo dello Stato non è stato con le mani in mano: dall’aprile 2009 all’ottobre 2011 era infatti membro del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il Csm dei Tar.
A palazzo Spada, come d’altronde alla Consulta, non hanno l’abitudine di mettere online i loro compensi: comunque a stare ai bilanci, il gettone di presenza per il Consiglio di presidenza vale circa 65mila euro l’anno in media a testa, più i benefit ed eventuali compensi per gli altri incarichi interni.
Da tre anni e qualche mese, poi, Mattarella – anche se sicuramente lui non ha dato peso alla cosa, sobrio com’è – è arrivato nel paradiso terrestre della Consulta.
Ecco come si compone la retribuzione media di un giudice costituzionale: il compenso del primo giudice della Cassazione – cioè il magistrato che guadagna più di tutti gli altri – aumentato del 50% (il presidente si becca anche un altro 20%).
Allo stipendio la legge aggiunge “una indennità  giornaliera di presenza pari a un trentesimo della retribuzione mensile spettante ai giudici ordinari”.
Negli anni scorsi, quelli in cui Mattarella è stato giudice delle leggi, faceva circa 470mila euro l’anno: da giugno per i normali togati è in vigore il tetto a 240mila euro che dovrebbe aver portato il totale dell’Eden poco sotto i 400mila.
Piccolo particolare: le tasse si pagano solo sul 70% dello stipendio.
Facendo un conto spannometrico gli emolumenti incassati – al netto dei benefit come l’auto con autista che il sobrio presidente ha sicuramente evitato di utilizzare – ammontano più o meno a un milione e mezzo di euro.
Non manca, al penitente Mattarella, nemmeno la sobria pensione di professore universitario.
Assistente di diritto costituzionale all’università  di Palermo dal lontano 1965 – quando aveva 24 anni, un anno appena dopo essersi laureato – nel capoluogo siciliano è diventato docente insegnando diritto parlamentare fino al 1983: da quella data fa il politico e i contributi per la pensione gli sono stati giustamente versati lo stesso.
Non si sa quale sia la cifra, ma se stiamo alla media si tratta – più o meno – di 80mila euro l’anno.
Insomma, a fare la somma dal 2008 a oggi Sergio Mattarella di riffa o di raffa ha sobriamente messo da parte per la beneficenza – visto che praticamente, a stare ai media, nemmeno si nutre – una sommetta di 2,8 milioni di euro circa.
Ora si dovrà  accontentare di 239mila euro l’anno, lo stipendio del capo dello Stato fissato da Napolitano: forse è per questo che pare triste.

Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano”)

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SALVA-BERLUSCONI, LA BOSCHI DICE IL FALSO IN TV: “IN FRANCIA LEGGE UGUALE CON SOGLIA AL 10%

Febbraio 1st, 2015 Riccardo Fucile

MA NON E’ VERO: A PARIGI I GIUDICI POSSONO INTERVENIRE QUANDO LA FRODE SUPERA I 153 EURO…IL MINISTRO DIFENDE LA DELEGA FISCALE: “RIGUARDA TUTTI GLI ITALIANI, NON E’ UN FAVORE A BERLUSCONI”

L’articolo 19 bis del decreto attuativo della delega fiscale, ovvero il cosiddetto “salva-Berlusconi“?
Non è una norma pensata per salvare l’ex Cavaliere, ma riguarda 60 milioni di italiani. Parola di Maria Elena Boschi: il ministro delle Riforme, quelle stesse riforme che il governo Renzi sta portando avanti grazie all’accordo stretto il 18 gennaio 2014 con Forza Italia e il suo leader che di quella norma sarebbe il primo e più illustre beneficiario, lo ha spiegato durante la trasmissione L’Arena, su Rai Uno, aggiungendo: “In Francia hanno una norma uguale, con una soglia più alta, non del 3% ma del 10% di non punibilità ”.
Ma le cose non stanno affatto così.
“Non credo che possiamo fare o non fare una norma, che riguarda 60 milioni di italiani, perchè c’entra o meno Berlusconi. Così si resta fermi agli ultimi 20 anni…”, ha detto il ministro, ospite del programma di Massimo Giletti sulla rete ammiraglia Rai, a proposito di quanto inizialmente previsto sull’evasione fiscale dal decreto del governo poi rinviato.
“La norma — precisa il ministro — non è a favore di Berlusconi, ma riguarda tutti. Come ha detto Renzi, il 20 febbraio riaffronteremo il tema. Ma che non sia una norma per Berlusconi lo dimostra il fatto che in Francia hanno una norma uguale, con una soglia più alta, non del 3% ma del 10% di non punibilità  dell’evasione fiscale ai fini penali”.
La Boschi, tuttavia, non la dice tutta.
Perchè il Code gènèral des impà’ts prevede una doppia soglia: una, sì, del 10% ma anche una molto più bassa: 153 euro.
Oltre la quale l’evasione è considerata reato.
“Chiunque si sia fraudolentemente sottratto o abbia tentato di sottrarsi al pagamento totale o parziale delle imposte previste in questo codice — recita l’articolo 1.741 nella formulazione entrata in vigore nel 2013 — sia che abbia volontariamente omesso di presentare la dichiarazione nei tempi prescritti, o abbia deliberatamente nascosto parte degli importi soggetti a imposta, sia che abbia organizzato la propria insolvenza o abbia ostacolato in altri modi la riscossione, o abbia messo in atto qualsiasi altro tipo di condotta fraudolenta, è passibile, indipendentemente dalle sanzioni fiscali applicabili, di una multa di 500.000 euro e del carcere per cinque anni. (…) Questa disposizione si applica nel caso in cui l’occultamento superi un decimo della base imponibile o la cifra di 153 euro“.
Quindi, in base alla legge d’oltralpe (un testo nato per escludere il penale per le microevasioni), il fisco è autorizzato a perseguire penalmente chiunque evada più di 153 euro: sta all’Agenzia delle entrate segnalare alla magistratura quali evasioni perseguire.

Ovviamente quelle milionarie finiscono automaticamente sotto la lente d’ingrandimento della Giustizia.
Un’interpretazione confermata da varie prese di posizione dell’Ordine degli avvocati di Parigi (“L’occultamento volontario al fisco di tutti i redditi superiori ai 153 euro è punito dall’articolo 1.741 del Code gènèral des impà’ts con cinque anni di prigione”), dalla lettura che il governo francese dà  sul proprio sito degli “Elementi costitutivi del reato di frode fiscale” e dalla risposta che l’esecutivo transalpino forniva ad un’interrogazione parlamentare con la quale il socialista Girard Joel chiedeva di alzare la soglia perchè “troppo bassa”: “L’articolo 1741 del Codice generale delle imposte prevede una soglia di 153 euro. Questo limite è stato fissato durante lo sviluppo del testo, ormai molto vecchio. Tuttavia l’impegno a perseguire penalmente l’evasione fiscale è solitamente riservato per le frodi più gravi, per le quali è stata scartata la buona fede del contribuente. Tuttavia, è in corso una riflessione sulla necessità  di cambiare sul testo”.
Ma il testo, con la soglia dei 153 euro, non è stato mai modificato.

Marco Pasciuti
(da “il Fatto Quotidiano“)

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INTERVISTA A VITTORIO FELTRI: “BERLUSCONI INCOMPRENSIBILE, DA RICOVERO ALFANO”

Febbraio 1st, 2015 Riccardo Fucile

“SCHEDA BIANCA E’ RINUNCIARE A PROPRIE IDEE, SE MARTINO GLI FACEVA SCHIFO POTEVANO VOTARE PER ME”

Il vincitore è chiaro, lo sconfitto pure. Lineare la strategia di Renzi, incomprensibile la tattica di Berlusconi. Da ricovero, invece, l’“altalena” di Alfano e del suo Ncd.
È questa, idopo l’elezione di Mattarella, la sintesi di Vittorio Feltri, che si è pure portato a casa 46 voti.
Feltri, chi vince e chi perde?
«Questa partita l’ha vinta Renzi. Ha imposto il suo candidato, considerato da Berlusconi, e me ne stupisco, non degno di essere votato. Se avesse scelto di votarlo, Forza Italia avrebbe fatto una discreta figura. Mattarella è un democristiano, non un ex segretario del Pd, del Pds o del Pci, e Berlusconi aveva detto proprio di non volere un ex comunista. Votare scheda bianca ha significato rinunciare anche alle proprie idee. Tra l’altro c’era un candidato di bandiera, Antonio Martino, che ha preso due voti, e questo è squallido. E se poi proprio Martino gli faceva schifo, c’ero io, che avevo i voti di Lega e Fratelli d’Italia.
Il numero di schede bianche dimostra che in Forza Italia c’è stato un serio smottamento. Siamo al declino di Berlusconi?
«Forza Italia non solo si è indebolita ma ha creato scompiglio al proprio interno. Ci sono delle crepe che minacciano di segnalare in anticipo un brutto crollo. Anche perchè non si capisce se a votare per Mattarella siano stati i parlamentari fedeli a Fitto o qualcun altro».
Se Forza Italia è all’angolo, Salvini ride?
«L’alleanza tra Salvini e la Meloni può portarli al 20% dei consensi, una forza con la quale, alle prossime elezioni, dovrà  fare i conti soprattutto Forza Italia, che ne avrà  di meno. Il futuro del centrodestra, dunque, non è più legato a Berlusconi quanto ai leader di Lega e FdI».
La rottura con Renzi è stata una pantomima e in realtà  i due erano d’accordo?
«Non credo abbia senso parlare di pantomima. Se così fosse, Berlusconi avrebbe dovuto votare per Mattarella già  al primo turno. Stavolta la sua strategia sfugge alle mie pur modeste capacità  logiche».
Alfano è passato dal “no” al “sì” a Mattarella in men che non si dica, provocando lo sconquasso nell’Ncd. La maggioranza che sostiene Renzi è a rischio?
«Alfano dovrebbe farsi curare da un traumatologo. Non ne azzecca una neanche per sbaglio. Finora ha ottenuto solo la sua poltroncina. Quanto al rischio per la maggioranza, per buttare giù dalla poltrona quelli dell’Ncd ci vorrebbe la fiamma ossidrica. Mi stupisce l’ingenuità  con cui questi strateghi della politica agiscono. E Berlusconi è quello che mi ha stupito più di tutti».
A proposito di strategia errata, il M5S proprio non le sa giocare le partite politiche.
«E infatti anche le loro scelte sfuggono a ogni logica. All’inizio, tra l’altro, loro, nemici dell’euro, avevano proposto Prodi, cioè colui che l’euro l’ha introdotto».
Renzi ha compiuto il suo capolavoro politico: Pd compatto, Berlusconi spalle al muro, Alfano piegato, Grillo irrilevante, un uomo che non gli farà  ombra al Quirinale.
«Io non lo vedo questo capolavoro. Renzi è stato lineare. Berlusconi gli aveva detto di non volere un ex comunista e Renzi è stato di parola. Un atteggiamento normale a cui gli altri hanno risposto con strane elucubrazioni, facendolo sembrare un furbacchione».
Lei ha avuto 46 voti. Ci farà  un pensierino la prossima volta?
«La prossima volta forse sarò al cimitero».

Lu.Ro.
(da “il Tempo”)

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M5S, STRATEGIA FALLITA, ORA CRESCONO I MALUMORI

Febbraio 1st, 2015 Riccardo Fucile

IL MOVIMENTO ESCE CON LE OSSA ROTTE E GUARDA A PODEMOS E SYRIZA

Immobili, quasi ipnotizzati dal battimani ritmico di due terzi dell’emiciclo.
Nessun gesto plateale è consentito, neanche l’abbandono del posto: la fotografia dello stallo in cui versa il M5S è tutta lì.
Sergio Mattarella è presidente della Repubblica e il Movimento non sa come spiegare, e come spiegarsi, il fatto di non essere mai sceso in campo nel corso di una partita che ha prodotto un ridimensionamento del patto del Nazareno.
«Merito nostro, abbiamo innalzato la qualità  della politica», provano a declinare un po’ tutti, rispondendo agli input che arrivano da Milano.
Ma la realtà  dei due tentativi tattici, delle due incursioni nel campo avverso nel giro di pochi giorni, prima con la sinistra Pd e poi con i renziani, resta agli atti.
Strateghi della domenica
Un minuto dopo l’elezione il blog di Grillo tenta una clamorosa strambata.
Il giorno prima Mattarella sembrava responsabile delle morti legate all’uranio impoverito, il giorno dopo diventa «una persona rispettabilissima e, per certi versi, migliore anche di Prodi».
Carlo Sibilia segue tutto lo scrutinio in piedi come Alessandro Di Battista. L’idea di giocare di sponda col Pd passava soprattutto da loro.
Quando l’aula si svuota il commento più gentile dei colleghi è «strateghi della domenica».
E gli ex gongolano
Alla fine, quando Laura Boldrini proclama eletto Mattarella, gli applausi arrivano anche da qualche Cinquestelle.
Abbastanza pochi da poterli contare: Di Maio, Sibilia, Grande, Taverna, Ciprini, Grande, Cioffi, Baroni.
Cecconi non s’arrende e in Transatlantico intona il grido dell’ultimo dei Mohicani: «Non moriremo democristiani». Intanto gli ex-M5S gongolano. «Nel Movimento sono arrivati alla sindrome bipolare – attacca Rizzetto – ieri crocefiggevano Mattarella, oggi lo esaltano».
La vittoria di Fico
Roberto Fico esce dall’aula con l’aria di chi aveva ragione dall’inizio. Nega divisioni all’interno del direttorio: «È normale che si discuta ma le decisione vanno prese insieme».
Poi offre il benvenuto del Movimento al nuovo presidente: «Le parole ci piacciono, vediamo i fatti, a partire dalla legge elettorale».
Dall’inizio contrario all’idea di cercare sponde, nell’elezione di Mattarella vede il riconoscimento di una ragione che sentiva di avere dall’inizio.
Luigi Di Maio, che va ad abbracciare Imposimato nel suo appartamento all’Eur e si dice «fiero di non aver votato Prodi».
I modelli Podemos e Syriza
Ora le voci di dentro parlano di una fase di riorganizzazione imminente.
I senatori chiedono di essere inclusi nei meccanismi decisionali e anche sull’idea di ricorrere a delle «strategie» molti chiedono che si passi dallo spontaneismo di questi giorni a una maggiore articolazione.
Il blog sembra confermare: «D’ora in poi sarà  bene adattarsi all’idea di un M5S meno prevedibile del passato».
Un po’ meno schizzinosi, un po’ più aperti, sul modello di quanto succede con gli altri movimenti europei: se prima formazioni come i greci di Syriza e gli spagnoli di Podemos erano viste con sospetto, ora la linea sta cambiando, e il Movimento a corto di carburante potrebbe cercarne un po’ anche lì.

Francesco Maesano

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NCD NELLA BUFERA, MOLTI CHIEDONO AD ALFANO DI LASCIARE IL VIMINALE PER PENSARE AL PARTITO

Febbraio 1st, 2015 Riccardo Fucile

PREOCCUPAZIONE PER LE REGIONALI

“Angelino, lascia il Viminale e pensa al partito”. Soprattutto adesso che si avvicinano le elezioni regionali.
È la richiesta che arriva, in modo più o meno velato, da tanti di Ncd al segretario.
Il ritiro di Alfano, dal ministero più pesante che ci sia, sarebbe un passo indietro doloroso, per farne due avanti, che i maggiorenti del partito non hanno in certi casi il coraggio di domandare direttamente a lui, ma caldeggiano tra loro nelle conversazioni agitate di queste ore, in seguito al Ground Zero del centrodestra in tutte le sue articolazioni.
Angelino Alfano però non sembra voler lasciare l’incarico di Governo: “Ora faremo sentire forte la nostra voce all’interno del governo, a partire dalla riforma delle popolari e i decreti sul Jobs Act” dice in un’intervista al Tg1.
“Ho deciso io di votare Mattarella come presidente della Repubblica. Sono convinto di aver fatto bene anche se questo ha creato malumori nel mio partito. Io non tratterrò nessuno come non ho costretto nessuno a venire, chi ci sta ci sta”.
Ed ancora: “Noi al governo ci rimaniamo per affrontare le nostre battaglie”.
Il cambio di rotta repentino di Alfano nella partita del Colle e l’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale hanno fatto dunque esplodere il Nuovo centrodestra, diviso tra chi non vuole morire renziano, chi vuole tornare con Silvio Berlusconi e chi invece vuole restare nella terra di mezzo ma non capisce bene come, con chi e fino a quando. In Ncd adesso si è tutti contro tutti.
Lasciare il Viminale, ma non il governo, e sostituire Alfano in quel ruolo con qualcuno di area centrista, sarebbe la risorsa con cui Ncd spera di recuperare forza agli occhi di Renzi tramite il potenziamento vero di un partito che adesso deve affrontare le elezioni regionali e che soltanto l’azione diretta di un segretario impegnato a tempo pieno potrebbe mettere o rimettere in piedi
In questo contesto c’è anche chi vorrebbe lasciare l’esecutivo – in seguito all’asse con Sel nella scelta del Capo dello Stato- per giocare meglio la partita sui territori.
Dove però rimane il dubbio amletico di sempre: Come conciliare la presenza nel governo di Renzi con la voglia di correre con il centrodestra sui territori?
Il risultato, nel day after l’elezione di Matrarella, è che Ncd non ha più il capogruppo dei senatori, perchè Maurizio Sacconi si è dimesso, e neanche un portavoce dal momento che Barbara Saltamartini ha lasciato l’incarico, probabilmente per traslocare nella Lega Nord, con Salvini che la attende a braccia aperte.
Venerdì sera, quando le agenzie iniziavano a lanciare la notizia che Ncd avrebbe votato per il giudice costituzionale proposto da Renzi per il Quirinale, le urla provenienti dalla sala dove gli alfaniani si sono visti – salvo poi far slittare l’incontro alla mattina dopo – si sentivano nei corridoi circostanti.
Roberto Formigoni e Carlo Giovanardi, tra gli altri, avrebbero manifestato apertamente la loro insofferenza per l’atteggiamento di Matteo Renzi, che ha proposto un nome senza cercare il dialogo con gli alleati di governo, forte del sostegno di Sel. In particolare, l’ex governatore lombardo, chiede una verifica di governo perchè “i rapporti con questo esecutivo non vanno bene e questo lo dimostra non soltanto il caso Mattarella ma anche cosa è successo sulla cosiddetta norma salva Berlusconi, sui decreti per le banche popolari e sul Jobs act”.
Anche Fabrizio Cicchitto chiede di “aprire una riflessione” sia sul governo sia sul partito.
“Premesso che io ritengo la leadership di Alfano fondamentale per l’aggregazione di Area popolare e per la ricostruzione del centrodestra – dice – va aperta una riflessione sui suoi ruoli. Si pone l’esigenza che Alfano possa esercitare pienamente la sua leadership”.
A chi chiede una verifica di governo, il premier però ha risposto che non ci sarà : “È roba da prima Repubblica”.
Nunzia De Girolamo, presidente dei deputati di Ncd, ha espresso i suoi malumori per il cambio di linea nella partita del Colle e in un tweet precisa che non sta valutando le dimissioni da partito ma chiede “al centrodestra un sussulto di dignità “.
Quella dignità  che secondo i malpancisti non si è dimostrata per l’elezione del presidente della Repubblica.
Ora tocca alle elezioni regionali di cui si sente il peso.
In Campania alcuni di Ncd vorrebbero correre con il Pd, altri invece con Stefano Caldoro dunque con Forza Italia, e altri ancora come Area popolare da soli.
Su Milano il discorso è ancora più complicato.
Maurizio Lupi, secondo quanto viene raccontato in ambienti di Ncd, vorrebbe essere il candidato sindaco. Ma con quali alleati?
Forza Italia è necessaria, ma i berlusconiani stanno tentando il dialogo con la Lega Nord, su cui buona parte degli alfaniani mette il veto.
In più trattare sulle alleanze nei territori, da una posizione di governo, risulta più complicato
Da domani inizieranno le riunioni tra i parlamentari di Area popolare, con un confronto che sarà  molto “duro”, come lo definisce Formigoni.
E bisognerà  scegliere anche il nuovo capogruppo al Senato.
Tra i nomi che circolano c’è quello di Renato Schifani.
Ma anche su questo non mancano le difficoltà  interne.

(da “Huffingtonpost“)

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TUTTI A CASA, LA RESA DEGLI EX PCI: “NON CONTIAMO PIU’ NULLA”

Febbraio 1st, 2015 Riccardo Fucile

DALL’AMARO SPOSETTI AL SILENTE VELTRONI TRA PRUGNE E MELE COTTE

Restituiti al Novecento, al secolo che li ha visti nascere e morire. Oggi utili attaccapanni di Matteo Renzi. E anche imperdibili protagonisti dei retroscena, preziosi nelle rievocazioni storiche, inaffondabili fratelli coltelli.
“Abbiate pietà  di noi comunisti. Non contiamo più niente”, è la lapide che poggia sul petto il compagno Ugo Sposetti. Un valoroso ex.
In quest’aula così plaudente, unanime, esagerata nel sorriso, di rosso (deviato però verso un fucsia di periferia) resiste solo la chioma bigodinata della sindacalista toscana della Cgil Valeria Fedeli che siede sull’alto scranno, alla destra della Boldrini, in qualità  di vice presidente del Senato (il titolare è nelle funzioni di supplente del Capo dello Stato).
Assiste e piange quando è proclamata la beatificazione di Sergio Mattarella, anzitutto e soprattutto democristiano.
Bianco di cuor e di capelli, il nuovo presidente trova casa alla Dc e riduce a clochard i figli e i nipoti di Botteghe oscure.
“Abbiamo sempre subìto le differenze personali, le diverse ambizioni, gli umori degli uni contro gli altri”, dice Andrea Orlando, il ministro della Giustizia.
Vera e così tragica la sua riflessione che la corrente dei giovani turchi, di cui è azionista, ha voluto differenziarsi dagli altri Pd segnalando l’adesione al voto con l’aggiunta della sigla del nome di battesimo di Mattarella.
Contarsi per contare almeno un po’. Tragica perchè il cognome vincente a Renzi l’ha dato l’ex comunista Bersani a dicembre.
Lo stesso nome che Berlusconi aveva rifiutato due anni fa e che a capodanno sembrava invece di suo gradimento. Bersani, smacchiatore mancato, era consapevole che invece per lui la strada sarebbe stata storta. Come sempre.
E il premier ha effettivamente verificato il traffico di sms confliggenti che accoglievano le proposte di Veltroni, Finocchiaro, Fassino e tutta l’allegra brigata.
Ricorda bene David Ermini, avvocato fiorentino, vicino di casa di Matteo, perciò deputato, che i no, i distinguo, le perfidie si espandevano quando c’erano di mezzo gli ex comunisti.
Il colore del volto del sindaco di Torino Piero Fassino, ieri, era non a caso di una vivissima cenere e l’umore black, come al solito.
Ha tolto di mezzo un cronista che gli chiedeva un commento sull’elezione e si è rifugiato in una palestra a festeggiare le giornate di sport sotto la Mole. Non una sillaba. Muto proprio, e lui in genere non si fa pregare.
Crudele testimonianza che più si è fratelli e più si è coltelli. Moltissimo coltelli.
Infatti Ileana Argentin commenta: “Le conflittualità  battono sempre la realtà ”.
Quali sono le conseguenze di questo amore tragico?
“Devo dire la verità : mille volte meglio Mattarella di Napolitano. È più progressista, più netto, più limpido questo democristiano di tanti comunisti finti. Io mi fido più dei primi che dei secondi”, dice Nicola Fratoianni, coordinatore di Sel.
Le parole sono pietre, e di un bel granito è la frase di Rosy Bindi: “Forse noi della Dc siamo stati più di sinistra di quegli altri”. Forse sì.
“Non voglio rovinare la festa”, concede il generoso Giorgio Tonini.
Il Transatlantico è divenuto l’appendice postuma della Balena bianca.
Dc di ogni annata si sono ritrovati. Fossero solo i siciliani, nelle loro singolari declinazioni (bianchi, bianco-rossi, bianco-neri) ad esultare per il conterraneo!
Arrivano dalla Puglia e dal Piemonte, dalle Marche. Di nuovo in armi.
Quegli altri, cioè i rossi, sono intanto spariti dal Transatlantico.
Massimo D’Alema, da una legislatura fuori dalla porta del Parlamento, manda le congratulazioni, che sono anche sincere perchè Mattarella è stato il suo vice al tempo del governo da lui diretto.
Veltroni non si sente e non si vede, di Fassino abbiamo detto, di Chiamparino abbiamo visto l’andatura storta, il passo laterale, il sorriso spento.
Stefano Fassina ha la postura del viandante e l’eloquio morigerato. Ha votato pure lui ed è contento. Basta così.
Cesare Damiano: “Il fatto è che nel nostro partito esistono tante individualità ”.
Il veltroniano Walter Verini: “Il fatto è che il Pci fa parte del Novecento, è storia conclusa. Mi è indifferente che Mattarella venga dalla Dc, per me è un antesignano del Pd. Purtroppo c’è chi non ha metabolizzato”.
“L’errore madornale è stato quando al tempo della svolta non abbiamo fatto subito una scelta di campo aderendo al partito socialista europeo. La nostra storia è finita lì”, spiega ai reduci interdetti Giorgio Napolitano, il comunista uscente.
Napolitano? “Proprio lui che da migliorista, lo ricordo bene perchè guidavo la segreteria di Enrico Berlinguer, non perdeva occasione di una stilettata, una specificazione, una precisazione, una distinzione”.
Dal salotto di casa, in piazza Farnese, Achille Occhetto scava nella memoria.
E sempre sono pietre. Irriducibili, incomponibili, eterni coltelli.
Meno male che è finita dicono i banconisti della buvette. Frittelle, tramezzini e arancini sono andati a ruba, restano in vita tre macedonie, due piatti di melone, e poi prugne e mele cotte.
La pietanza della terza età  o del partito che fu.

Antonello Caporale
(da “il Fatto Quotidiano”)

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LA MINORANZA PD FELICE DI MORIRE DEMOCRISTIANA

Febbraio 1st, 2015 Riccardo Fucile

LA SINISTRA “PORTA A CASA LA PELLE”, MA A CHE PREZZO?

Parlare di «vittoria della sinistra» per l’elezione di Mattarella è velleitario.
Ma è anche vero che, con Mattarella, forse la sinistra italiana incassa il massimo che potesse incassare oggi: un democristiano di sinistra.
E, forse, rientra in una qualche agibilità  politica, dopo esser stata spazzata via da Renzi nella vicenda della legge elettorale e delle riforme.
«La sinistra porta a casa la pelle», sorride Norma Rangeri poco prima di iniziare la riunione del Manifesto.
«Se non fosse stato per i sondaggi in calo, le divisioni interne al Pd, l’ira della minoranza, Renzi non avrebbe certo scelto Mattarella. Cioè un uomo con una cultura un po’ più vicina alla sinistra».
Naturalmente, ragioniamo con Rangeri, «lo spazio per un’ipotetica forza a sinistra di Renzi resta quello che era: non si riduce nè si accresce. Anzi, da un certo punto di vista le cose si complicano: anche la fiammata Cofferati, avvenuta dopo le primarie Pd con i brogli in Liguria, «è ora più difficile, e molto più improbabile un’uscita della minoranza Pd».
Non di meno, proprio nel giornale del grande Luigi Pintor, che scrisse il memorabile «Non moriremo democristiani» (28 giugno 1983, dopo la mediocre vittoria di misura della Dc di De Mita sul Pci), sanno – parole di Rangeri – che «spesso è meglio per la sinistra italiana un democristiano di sinistra che un comunista migliorista».
Non è necessario dare i nomi a questi due eloquenti profili.
Vedremo. Certo di Pintor si ricorda sempre il «non moriremo democristiani», e poco l’ultimo editoriale, «La sinistra italiana che conosciamo è morta» corrosa dalla voglia di governare costi-quel-che-costi.
La triste profezia del vincere-per-vincere. Meglio, riteneva Pintor, pensare il futuro tra movimenti, forze sociali, giovani.
Un soggetto nuovo, non una somma di uscite dai partiti.
È la tesi di Stefano Rodotà  su Micromega: «Chi pensa di ricostruire un soggetto di sinistra o socialmente insediato guardando a Sel, ex Rifondazione e minoranza Pd sbaglia. Lo dico senza iattanza, ma hanno perduto una capacità  interpretativa e rappresentativa della società . Nulla di nuovo può nascere portandosi dietro queste zavorre».
Con l’elezione di Mattarella, poco cambia.
Anzi, la prospettiva guadagna sulla carta un sicuro difensore della Costituzione. Già , la Costituzione.
Gustavo Zagrebelsky faceva notare che «questa è la prima elezione di un presidente della Repubblica gestita da un presidente del Consiglio. Nella Costituzione l’elezione è una vicenda indipendente, gestita dai gruppi parlamentari, cioè i partiti. Qui è diventata una vicenda interamente governativa».
Rilevantissima critica; da sinistra ci si aspetta che Mattarella sia molto meno lord protettore del governo, e molto più della Carta.
Anche qui, sarà  il tempo a giudicare.
Luciana Castelina è contenta. Le parliamo alla fine di un seminario a Roma sulla sinistra dopo la vittoria di Tsipras, «siccome la sinistra è divisa – scherza la signora – c’è un seminario al giorno».
Castellina è certa che «Mattarella sia una persona affidabile, difende la Costituzione, è stato uno dei pochi dc a schierarsi contro la Mammì. Da questo punto di vista io parlerei anche di una vittoria della sinistra Pd. Renzi ha capito che stava tirando troppo la corda. Naturalmente Mattarella è un democristiano, ma sappiamo che il presidente dev’essere una figura di mediazione».
Paradossalmente, incassare un democristiano di sinistra sbollisce la rabbia della sinistra Pd, e allontana altre prospettive a sinistra?
«Non sono mai stata per il tanto peggio tanto meglio. Non credo che dobbiamo sperare che Renzi faccia il peggio. Certo io Renzi continuerò a combatterlo fino in fondo per le sue politiche».
Con chance, a breve, di rivedere una forza a Sinistra? Manca una personalità , anche; ma la signora la vede non come noi, «io non ho mai amato la politica delle personalità , preferisco la costruzione dei soggetti».

Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)

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I VOTI SEGNATI PER IL QUIRINALE: LA CONTA VOLUTA DA RENZI FA COMODO A (QUASI) TUTTI

Febbraio 1st, 2015 Riccardo Fucile

GRUPPI E CORRENTI SI FANNO CONTARE DAL PRIMO MINISTRO ELEGGENDO L’EX DC CON NOMI DIVERSI

Sergio Mattarella è diventato il tredicesimo presidente della Repubblica al quarto scrutinio, con molti più voti del previsto.
Alla fine le preferenze per l’ex ministro Dc sono state 665, 37 in più rispetto alle previsioni, visto che poteva contare su 630 voti certi. 127 voti, poi, li ha presi poi il candidato del M5S Ferdinando Imposimato, 46 sono andati a Vittorio Feltri indicato da Lega e Fratelli d’Italia, 17 a Stefano Rodotà  scelto dagli ex grillini (che però sono almeno il doppio).
Infine 2 voti nell’ordine a Emma Bonino, Antonio Martino, Giorgio Napolitano e Romano Prodi.
Tredici sono le schede nulle, mentre le bianche, ovvero il non voto di Forza Italia, si sono fermate a     105. Contro i 142 elettori azzurri.
Segno che 37 grandi elettori forzisti hanno contravvenuto alle indicazioni di Silvio Berlusconi.
E portato soccorso a Mattarella.
Sul banco degli imputati, naturalmente, ci sono i 38 parlamentari fittiani: alcuni di loro potrebbero aver votato Mattarella, addirittura marchiando il loro voto con una formula precisa. Ma a complicare il sudoku del Quirinale c’è anche la voce secondo cui Denis Verdini, che fino all’ultimo ha fatto pressione su Berlusconi per Mattarella, abbia indicato ai suoi fedelissimi di votare per il candidato renziano.
Anche loro contandosi, con l’uso della formula “on. Mattarella Sergio”, letta per una decina di volte da Laura Boldrini.
Ma sulle formule usate per contarsi torneremo tra poco.
Il dato politico è che a Mattarella sono arrivati 37 voti in più del previsto, ovvero dei voti delle forze ufficialmente in suo favore: Pd, Area popolare (Ncd e Udc), Sel, Per l’Italia, Scelta civica, Gruppo Autonomie e Gal.
Ma anche in questo caso il conteggio si fa fluido. Innanzitutto perchè un margine di disobbedienza del 10 per cento rispetto alle direttive dei partiti va sempre messo in conto. Perchè, si sa, in un’elezione contano anche le antipatie personali, le frustrazioni dei delusi, le ripicche politiche contro i leader. In secondo luogo, se l’Udc di Casini dovrebbe aver votato compatto Mattarella, ciò non è accaduto con Ncd, dove diversi esponenti hanno lasciato intendere di aver votato scheda bianca.
Voti che si sono andati a mischiare, o “mascariare”, con quelli di Forza Italia.
Altro dato politico da non sottovalutare è che Mattarella sarebbe stato eletto anche senza i voti di Area popolare: meno quei 75 sì, il capo dello Stato avrebbe ottenuto 590 consensi, ben oltre il quorum richiesto.
Ma torniamo alla “marchiatura” del voto, fatta per contarsi non solo tra partiti, ma pure tra le correnti.
Renzi, per esempio, sembra l’abbia pretesa da tutto il Pd.
E infatti a Montecitorio il nome del futuro presidente è stato declinato in tutte le salse.
Così ecco che i deputati Pd hanno usato la formula “Mattarella”, i senatori “Sergio Mattarella”, i giovani turchi invece “Mattarella S.”, mentre i bersaniani “on. prof. Sergio Mattarella”.
Sel, invece, ha usato la formula “on. Sergio Mattarella”.
Ma anche Ncd e Udc si sono contati, specie il partito di Alfano (dove il rischio franchi tiratori era alto) utilizzando la formula “on. Mattarella”, i primi, e “Mattarella Sergio”, i secondi.
Ma proprio su questo non sono mancate le polemiche.
Nell’ufficio di presidenza di giovedì mattina, infatti, i Cinque Stelle, insieme all’azzurro Lucio Malan, avevano chiesto alla Boldrini di leggere solo il cognome del candidato, in qualsiasi maniera fosse stato scritto, proprio per evitare il fenomeno della conta.
Ricevendo un no come risposta “perchè per prassi si è sempre letto il nome per esteso”.
Così, a fine votazione, ieri sono arrivati altri attacchi.
“Indecente e vergognoso che si consenta alle correnti del Pd di pesarsi in questo modo”, l’affondo di Mauro Pili, deputato del gruppo misto.
Ma nessuno sembra aver intenzione di cambiare il regolamento.
Perchè la conta fa comodo a (quasi) tutti.

Gianluca Roselli
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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SILVIO & ANGELINO “SONO SENZA PALLE” E VERDINI FA IL GRUPPO

Febbraio 1st, 2015 Riccardo Fucile

IL VELENO DELLA “BADANTE” DI BERLUSCONI, ROSSI: “È TUTTA COLPA DI LETTA E VERDINI, SE NE DEVONO ANDARE”…. NCD A PEZZI: TRA DIMISSIONI (SACCONI) E PROMESSE DI CRISI DI GOVERNO

A metà  mattinata, prima che suoni mezzodì, il Transatlantico è un formicaio rassegnato e rilassato, allo stesso tempo.
Le facce della disfatta sono centinaia. Il conto è presto fatto. Sono tutti quelli che, in un modo o nell’altro, non sono renziani.
Verso la buvette, spicca la faccia abbronzata di Osvaldo Napoli, vecchia volpe del mondo berlusconiano. Dice: “A questo punto ce lo dobbiamo dire”. Che cosa dobbiamo dire? “Che per fronteggiare questo qui ci vogliono le palle, altrimenti ce lo teniamo minimo dieci anni. Il problema è che nessuno, e ripeto nessuno, ha mostrato di avere le palle”.
Crudo ma efficace. “Questo qui”, ovviamente, è Matteo Renzi. Spregiudicato e trionfatore.
Craxi e D’Alema mess’insieme, altro che nuovo Berlusconi.
In una settimana ha cambiato modulo due volte, dall’Italicum nazareno a Mattarella presidente, e ha vinto.
La crudele vignetta del leghista Calderoli
La mancata applicazione dello schema sferico di Napoli è stata letale per tutti. La prima vittima di Renzi è disegnata nella vignetta che Roberto Calderoli mostra a Denis Verdini nell’emiciclo di Montecitorio. Una rappresentazione spietata, volgare, realistica. Il premier che sodomizza Silvio Berlusconi con un mattarello.
Lo sfascio di Forza Italia dopo il raggiro sul Quirinale (Silvio dixit: “Eravamo d’accordo su Amato”) trasfigura la Badante del cerchio magico in una vipera.
Parole come veleno. La Badante è la senatrice Mariarosaria Rossi: “Gianni Letta e Verdini hanno rovinato Berlusconi. Se ne devono andare. Hanno mandato il capo a trattare con Renzi con le armi scariche. Gli ha dato la legge elettorale, le riforme, tutto. E quello lo ha fregato. La colpa è di Verdini e Letta”.
Il veleno tracima a quintali: “Voi giornalisti vi siete occupati solo di noi del cerchio magico invece di dedicarvi al duo tragico”. Alias Gianni & Denis.
Ribattono dall’enclave di Verdini: “Semmai la colpa è di Toti e di Romani (due del cerchio magico, ndr) che hanno trattato con D’Alema su Amato. Renzi lo ha saputo e si è regolato di conseguenza”.
Come finirà  la guerra tra i perdenti azzurri va oltre ogni umana previsione.
Su circa 150 grandi elettori forzisti almeno la metà  ha votato per Mattarella. Dai 70 franchi soccorritori in su.
Le cifrature sul nome del capo dello Stato (per esempio: “On. Sergio Mattarella” oppure “On. prof. Mattarella”) vengono ricondotte allo stesso Verdini e ai ribelli di Raffaele Fitto.
I fittiani giurano però di avere votato scheda bianca. Ma Saverio Romano, vicinissimo all’ex governatore pugliese, confessa: “Vent’anni di Dc, di valori condivisi, di apprezzamento per la persona di Mattarella, senza dimenticare la comune cittadinanza, sono elementi sufficienti per avermi convinto a votarlo”.
La strategia degli sconfitti: “Minacciamo di aspettare”
Sempre in onore dello schema sferico di Napoli, c’è da registrare la magistrale dichiarazione di Vincenzo D’Anna, altro ribelle azzurro, che con tono autocritico verga il primo e unico articolo dello statuto degli anti-renziani: “Qualunque cosa accada noi decidiamo di aspettare”.
È la fondamentale differenza tra Renzi e il resto di tutta la politica italiana. Velocità , non solo d’esecuzione, contro riflessi lenti e indecisione .
Il premier ha sfruttato tutti i punti deboli di alleati e avversari.
Rinchiuso ad Arcore, Silvio Berlusconi ha sbraitato per il terzo giorno consecutivo contro Renzi. Salvo farsi ammansire dal solito Gianni Letta e fare una telefonata di auguri al nuovo capo dello Stato.
I clan di Forza Italia si stanno rimescolando per l’ennesima volta. Falchi che ridiventano colombe e viceversa.
Tre dolenti prefiche berlusconiane, accomodate su un divano a fumare, nell’apposita galleria di Montecitorio, spifferano: “Si è creato l’asse tra Verdini e Fitto”. Superslurp. Gli interessati smentiscono.
Poi arriva il botto: “Verdini ha promesso a Renzi 40 voti a Mattarella. E Renzi che ha cifrato ogni partito e corrente sta verificando”.
I voti di Verdini a Mattarella possono essere il preludio al modo più classico di gestire una sconfitta: agganciarsi al carro del vincitore.
“Denis” potrebbe fare un gruppo autonomo in Parlamento per sostenere Renzi. Fitto ha confidato che sarebbe questa la direzione di Verdini. Ma chi in teoria dovrebbe far parte di questo nuovo gruppo per ora smentisce con granitica certezza: “Non ce ne andremo mai”.
I poltronisti alfaniani fanno sempre le cose a met�
Seguendo la traccia della “mancanza di palle” ratificata da Osvaldo Napoli si arriva infine ad Angelino Alfano, il quarantenne che si ostina a credersi un leader nonostante l’evidenza.
Alle due del pomeriggio, Mattarella è presidente della Repubblica da poco più di un’ora e Barbara Saltamartini, tutta in nero, sentenzia: “Così non si può fare. O Mattarella te lo intesti sin dall’inizio oppure vai sino in fondo con Berlusconi” .
La Saltamartini, ex An, si è dimessa da portavoce del Nuovo centro destra, il partitino ministeriale di Alfano nato dalla scissione del Pdl.
Ncd esplode come Forza Italia. Il ministro dell’Interno ha deciso di votare Mattarella dopo le minacce del premier e le conseguenze sono varie.
Maurizio Sacconi, ex socialista come Fabrizio Cicchitto, si dimette da capogruppo di Area popolare al Senato, la sigla che raduna alfaniani e casiniani dell’Udc.
Addirittura s’ipotizza che Nunzia De Girolamo, capogruppo alla Camera, possa andare con la Lega. Lei si limita a dire: “Per il momento resto ferma”.
Il dramma di Ncd è quello di non voler rinunciare alle poltrone di governo.
Allo stesso tempo non si vuole perdere la pace ritrovata con Berlusconi, necessaria alla sopravvivenza elettorale.
Ergo, ecco la sintesi della fragile ambiguità  di “Angelino”: “A Renzi ha quasi chiesto scusa per le polemiche sul voto a Mattarella e ha detto di non preoccuparsi. Dopo un minuto ha chiamato Berlusconi e gli ha promesso che prima o poi aprirà  la crisi e farà  cadere il governo”.
Quale dei due Alfano prevarrà ? Pronostica un berlusconiano: “Se Alfano si dimette da ministro e fa la crisi io mi faccio prete, lo giuro solennemente”.
In ogni caso il tormentone terrà  banco nei prossimi mesi, scrutando la faccia dura e segnata di Gaetano Quagliariello.
Persino Paola Taverna applaude la proclamazione
Nella galleria dei perdenti, l’immagine più bella appartiene al campo dei grillini.
Sono le 13 e 25 quando Laura Boldrini, presidente della Camera, proclama il nuovo presidente della Repubblica.
Alcuni deputati del M5S battono le mani. In prima fila ad applaudire c’è Paola Taverna, superintransigente a Cinque Stelle.
Chi l’avrebbe detto mai.

Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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