Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
IL NUOVO GRUPPO DI EX GRILLINI E TUTTI I SENATORI DI SCELTA CIVICA
«Io non escludo che la consapevolezza che tanti parlamentari hanno acquisito il giorno dell’elezione del
Capo dello Stato li renda consapevoli della responsabilità che hanno da qui a 2018».
La frase pronunciata questa mattina da Debora Serracchiani, vicesegretario del Partito Democratico, non andrebbe sottovalutata.
Usa tre parole chiave: «consapevolezza», «responsabilità » e «2018».
La prima e la terza sono immediatamente collegate, frutto di una costatazione che è anche un messaggio esplicito: in Parlamento c’è molta gente che tiene al proprio seggio, lo vuole conservare fino al «2018», ed è «consapevole» che una crisi di governo oggi metterebbe fine alla loro esperienza parlamentare. Forse per sempre.
E qui entra in gioco l’altra parola-chiave: «responsabilità ».
Un termine abusato nel dicembre del 2010, quello dei Razzi e degli Scilipoti che lanciarono una ciambella di salvataggio al governo Berlusconi.
E infatti Maurizio Lupi, ministro di Ncd, prova ad allontanare quello che per il partito di Alfano assomiglia a uno spettro: «Di responsabili il governo Berlusconi è morto e spero che le lezioni servano. Le maggioranze stanno in piedi su riforme e contenuti». Eppure qualcosa in Parlamento si sta muovendo.
Nuovi «Responsabili» si preparano.
I tre fronti a Palazzo Madama
Anche senza l’appoggio di Forza Italia, il governo Renzi ha i numeri per approvare le riforme costituzionali. Addirittura potrebbe dare il via libero definitivo all’Italicum (alla Camera) senza i voti di Ncd.
Certo, il sostegno del Nuovo Centrodestra è oggi decisivo in Senato, dove la maggioranza è risicata.
Per questo nella malaugurata ipotesi (per Renzi) di una rottura con Alfano, l’esecutivo punta ad avere le spalle coperte.
Intanto il Pd si è assicurato il pieno sostegno dei senatori di Scelta Civica, che domani dovrebbero sciogliere il gruppo e aderire a quello dei democratici (si tratta comunque di uno spostamento all’interno della stessa maggioranza).
Ma in Senato sono almeno tre i fronti su cui le diplomazie sotterranee stanno lavorando.
Nel gruppo Misto ci sono 16 ex Cinque Stelle: 6 di loro hanno già votato Sergio Mattarella (a cui anche la Serracchiani ha fatto un velato riferimento) e nel Pd sono dati praticamente per acquisiti, ma c’è ottimismo anche sugli altri dieci.
Altro fronte è quello di Area Popolare: non tutti sono considerati «alfaniani di ferro», anche perchè nel gruppo ci sono 5 ex Scelta Civica, 3 che erano nel gruppo Gal e una ex grillina.
Se Alfano decidesse di rompere, non tutti lo seguirebbero.
E poi ci sono i 15 del gruppo Gal: 2-3 di loro votano stabilmente con la maggioranza, altri potrebbero aggiungersi.
Ultimo fronte è quello interno a Forza Italia: Verdini controllerebbe un pacchetto di senatori (c’è chi dice 10, chi 15) che, in caso di bisogno, sono pronti a sostenere la maggioranza, soprattutto sulle riforme.
Del resto una trentina di forzisti ha disobbedito all’ordine di scuderia e votato Mattarella.
Il nuovo gruppo alla Camera
Risolto il problema a Palazzo Madama, a Montecitorio non ci dovrebbero essere problemi.
Qui i numeri sono molto più larghi, non c’è il rischio di andare sotto nemmeno in caso di un addio di Ncd (che conta solo su 34 deputati) o di qualche sgambetto della minoranza Pd.
È notizia di oggi che dieci ex componenti del Movimento Cinque Stelle hanno dato vita a una nuova componente nel gruppo Misto: Alternativa Libera.
Il «frontman» Walter Rizzetto è il capogruppo, Sebastiano Barbanti il tesoriere, mentre Massimo Artini (considerato molto vicino a Matteo Renzi) ne è il «responsabile».
Un termine che forse non è stato scelto a caso.
Marco Bresolin
(da “La Stampa“)
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Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
FUTURI EQUILIBRI E PREMI DI CONSOLAZIONE
Tutti in fila per un premio di consolazione.
Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica. E tutti quelli (o quasi) che ci speravano, e che alla fine sono scesi a più miti consigli e hanno portato acqua al mulino di Matteo Renzi, aiutandolo nell’operazione Quirinale, ora si aspettano ricompense.
La prima è Anna Finocchiaro.
Per qualche giorno è stata in ballo davvero: era la candidata dei Giovani Turchi, sarebbe stata la prima donna al Colle, a Berlusconi pare non dispiacesse troppo.
Non se n’è fatto niente. Adesso, è in pole position. Ma per cosa?
Lei vorrebbe diventare giudice della Consulta al posto del neo Presidente.
In realtà , ci aveva già provato un paio di mesi fa, quando il Parlamento doveva eleggere i membri di sua competenza.
“Non ha i titoli”, avrebbe detto Renzi ai suoi collaboratori allora. “Non ha i titoli”, continua a ribadire oggi.
Parla chiaro l’articolo 135 della Costituzione : i giudici della Consulta vanno scelti tra magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori (quindi, Corte di cassazione o Procura generale della Cassazione).
Lei ha fatto il pretore a Leonforte dal 1982 al 1985, e poi è stata procuratore nel tribunale di Catania fino al 1987, anno in cui venne eletta deputato nelle file del Pci.
Visto che ha fatto 28 anni di Parlamento, non ha neanche l’altro requisito possibile: ovvero aver insegnato materie giuridiche all’Università .
E allora, per Anna si è pensato a un ministero.
La Lanzetta si è dimessa dagli Affari regionali. E il posto sembrava già pronto per lei. Che però, preferisce non andarci: pensa di non avere le competenze giuste.
C’è un altro dato: Renzi pensa a un super Ministero del Mezzogiorno, che abbia anche la gestione dei Fondi europei, ora nelle mani del sottosegretario Graziano Delrio.
Tanti soldi e tanto potere. E il premier davvero è disposto a darli a una di cui si fida, ma fino a un certo punto, come la Finocchiaro?
Senza contare che Delrio non ha molta intenzione di cedere quelle deleghe.
Tra quelli che Matteo vorrebbe portare al governo c’è Vasco Errani, ex governatore dell’Emilia Romagna, e per questo “depositario” di potere vero.
Ma è appena stata fissata per il 17 giugno davanti alla Corte di Cassazione l’udienza sul suo ricorso, dopo la condanna a un anno per falso ideologico.
In questa situazione, il suo nome non è spendibile.
A Porta a Porta l’altra sera Renzi ha parlato di una donna. Il nome che torna, insistente, è quello di Valentina Paris, giovanissima responsabile Enti Locali in quota Giovani Turchi (ovvero Matteo Orfini).
Non sarebbe un premio di consolazione, ma sarebbe di certo un modo per gestire tra Pd e Palazzo Chigi, un dicastero di peso.
Per tornare alla Finocchiaro, lei forse si accontenterebbe del ministero dell’Istruzione. Ora occupato da Stefania Giannini, una sempre a rischio, ma sempre lì.
Però, sia i vicini alla senatrice, che i vicini a Matteo danno la stessa versione di come andrà : “Anna sta gestendo una partita importante, quella delle riforme, da presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato. È importante che rimanga lì”.
Insomma, consolazione senza premio.
Un altro che si aspetta un premio è Pier Luigi Bersani: lui lo chiede sotto forma di modifiche all’Italicum, che però il premier non ha alcuna intenzione di fare.
E allora, si parla di posti al governo, per alcuni giovani.
C’è il fedelissimo dell’ex segretario, Alfredo Dattorre. O c’è Andrea Giorgis, che nella partita delle riforme sta giocando un ruolo di mediazione e correzione di rotta tra governo e minoranze.
Poi, c’è tutta la questione Ncd.
Sono giorni che Renzi fa minacce velate (e non) ad Alfano e a Lupi. Ma per adesso non ha nessuna intenzione di sostituirli.
Molto meglio così: li cuoce a fuoco lento, li insulta pubblicamente giorno dopo giorno, ma non gli fa toccare palla.
In questo caso sì che il premio di consolazione potrebbe essere buttarli fuori, con una crisi di governo nella quale loro potrebbero contare qualcosa davvero.
Potrebbero, ma forse no: perchè il premier pensa di avere già pronta una nuova maggioranza a Palazzo Madama, grazie ad alcuni ex Cinque Stelle, alcuni di Gal e — se servisse — anche qualche parlamentare di Ncd.
E c’è sempre la garanzia Verdini.
Allora, Matteo aspetta. E lascia a loro la prima mossa: perchè sa che per Ncd così la situazione è insostenibile.
Da qui a un paio di settimane, un ministro dovrà uscire. Probabilmente Lupi.
Chi rischia di avere un premio di consolazione che in realtà non vorrebbe è Piero Fassino: la ricandidatura a sindaco di Torino.
Incarico che ha accettato malvolentieri già al primo mandato.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
ANNULLATO IL RABDOMANTE TOUR, SOSPESE LE DATE DI NEW YORK E LONDRA… IL LEADER SCENDERA’ IN CAMPO PER LE REGIONALI
“Canceled”, “Cancelled”, “Abgesagt”, “Annullato”. Il Rabdomante tour non s’ha da fare. Non ora almeno. 
Beppe Grillo doveva esordire con un novo spettacolo da portare in giro per il mondo il prossimo 13 marzo, alla prestigiosa Town Hall di New York.
Lo spettacolo non si farà . Così come non si terranno le altre date finora previste in calendario: Londra, Locarno, Zurigo, Colonia, Stoccarda, Bruxelles e Monaco.
Su tutti i siti di prevendita viene comunicata la cancellazione dell’evento.
Rimane in piedi, stando al web, solo lo show nella capitale belga.
Ma, ci viene spiegato, anche quello è da considerarsi annullato. Non si sa che fine farà il Rabdomante tour. Forse verrà riproposto dopo l’estate, in autunno.
Forse è definitivamente archiviato. Una decisione in questo senso ancora non è stata presa.
Si vocifera di un flop delle prevendite, ma quel che è certo è che il fondatore del Movimento 5 stelle non vuole lasciare soli i suoi ragazzi in un momento complicato, costellato da addii e appannamento mediatico dopo l’ondivaga strategia sul Quirinale. Soprattutto perchè all’orizzonte c’è un test elettorale non da poco, quello che porterà i cittadini di Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana e Umbria a rinnovare i propri consigli regionali.
Alcuni parlamentari vicini al leader spiegano che, memore delle difficoltà in Calabria e in Emilia Romagna, dove con gradazioni diverse il disimpegno del leader ha portato a risultati elettorali al di sotto delle aspettative, Grillo ha deciso di non disertare l’appuntamento con le urne, ma di scendere in campo in prima persona battendo le piazze di mezza Italia.
Nei prossimi giorni l’ex comico spiegherà le ragioni della sua scelta con un post sul blog.
In un primo momento si era studiata la fattibilità di tenere in piedi l’uno e l’altro impegno. Ipotesi poi scartata, per l’impossibilità di far coincidere gli spostamenti del tour con la pianificazione degli impegni elettorali.
Niente più teatri ma piazze, dunque. Perchè per girare il mondo c’è sempre tempo.
Le date del voto, al contrario, sono dietro la porta.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
INSIEME RAGGIUNGONO IL 12% DI SHARE, CON UNA LEGGERA PREVALENZA DI BALLARO’
I talk show politici, tranne Paragone tutto solo ne’ “La Gabbia” della domenica, vanno in onda a coppia e, nei limiti del possibile, fanno di tutto per non assomigliare al compagno di serata.
Del Debbio si rivolge alla politica guardandola dalla famosa “parte della gente comune”, Formigli invece la politica la scava dal di dentro.
Il passo teatrale di Santoro nessuno lo confonderebbe con quello salottiero di Porro.
Le distinzioni non sono invece così evidenti fra Giannini e Floris, la coppia del martedì che si spartisce l’eredità del primo Ballaro (a proposito, martedì scorso messi insieme hanno superato il 12%. Un sussulto o una inversione di tendenza nei comportamenti del pubblico?).
I due programmi, se non si va troppo a sottilizzare, sono simili per struttura, aspetto e contenuti, oltre che, per gli ospiti che saltabeccano dall’uno all’altro, come il poligamo fra le stanze nuziali.
E dunque, per prodotti così simili ti aspetteresti platee somiglianti.
Ma questo è vero solo per la quantità .
Giannini staziona sul 6/7 per cento di share mentre Floris lo segue attorno al 4/5 per cento.
Differenza contenuta, che non denota una prevalenza di Giannini, ma si spiega per una banale e materialissima circostanza: Floris subisce molte più interruzioni pubblicitarie di Giannini (non è Cairo che è cattivo; sono le regole del mercato che lo disegnano così).
E si sa che ogni intervallo pubblicitario, specie quando si avanza verso le ore più tarde (e non a caso la distanza di audience fra i due programmi si allarga con l’avanzare della notte) è un’occasione che molti spettatori colgono per affacciarsi su altri programmi, che magari li catturano, o magari solo per farla finita con la tv e andarsene a dormire.
Se andiamo a guardare non “quanti”, ma “quali” scelgono Giannini e Floris, le differenze saltano invece agli occhi: il pubblico di Floris e composto in maggioranza, non schiacciante ma sensibile, da maschi e nella platea di Giannini accade invece il contrario. Ma quel che più fa la differenza è che le donne che seguono Floris sono concentrate nell’età da 45 a 64 anni, mentre quelle che si appassionano (più o meno) per Giannini sono le over 65.
E lo stesso spartiacque vige tra i maschi: i più anziani con Giannini, i “quasi anziani” con Floris.
Il riscontro di questa suddivisione lo troviamo nei titoli di studio: gli spettatori fermi alla licenza elementare o alla scuola media (e cioè quelli delle classi di età più avanzate, che hanno vissuto nell’Italia in cui l’obbligo scolastico era meno esteso) scelgono in gran prevalenza Giannini.
Mentre i figli dell’Italia post boom, quelli che hanno studiato fino al diploma e alla laurea, preferiscono di gran lunga Floris.
E non fa meraviglia, per chi ha appena qualche idea della questione meridionale, che Floris prevalga, e non di poco al Nord, mentre Giannini lo sovrasta al Sud.
Cosa dedurne? Forse, ma fate voi, che le ragioni di divisione del Paese sono talmente forti che riescono a manifestarsi perfino scegliendo fra due cose apparentemente identiche.
Sicchè, ora che il partito-nazione è cosa fatta, ci ritroviamo ancora e come sempre a dover fare gli Italiani.
Stefano Balassone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
DOPO LA PRUDENZA INIZIALE IL M5S SI SCHIERA CON I NEOPOPULISTI DI SINISTRA
All’inizio, nei primissimi istanti dopo la vittoria, era tutto un “sì, ma…”, “bravi, però…”, “belle idee,
tuttavia…”.
È però bastata una manciata di giorni per allineare il Movimento 5 stelle su binari paralleli a quelli su cui si sta muovendo Alexis Tsipras.
Una volta visto che Matteo Renzi ci parla ma senza metterci il cappello, che le trombe di Nichi Vendola su quel versante sembrano sfiatate, gli uomini di Beppe Grillo hanno deciso di adottare con convinzione la battaglia anti-austerity e anti-Merkel che i descamisados greci (Tsipras e il suo ministro dell’Economia Varoufakis in primis) stanno portando in giro per il Vecchio continente.
È lo stop dato dalla Bce ai bond ellenici a innescare la miccia. E a scatenare la reazione di due membri del Direttorio: “È un attentato finanziario alla Grecia. Stop alle garanzie e spread schizza a +126 altro che Europa dei popoli”, tweetta Carlo Sibilia.
“Tsipras resisti! Non cedere ai ricatti della Troika e non fidarti dei Renzi e dei Draghi, collaborazionisti dell’Europa delle banche”, gli fa eco Alessandro Di Battista.
Dopo la sbornia comunicativa legata al Quirinale, percepita dall’opinione pubblica come una vittoria di Matteo Renzi, l’alzarsi del livello di scontro tra Atene e Berlino, con il coinvolgimento a vari livelli di tutte le altre capitali europee, viene visto come un modo per uscire dall’angolo e rilanciare un tema caro al Movimento come quello dell’uscita dall’euro.
Un paio di giorni fa, quando Tsipras è sbarcato a Roma, i grillini hanno tentato invano un inserimento last minute nel suo programma di incontri. Nulla di fatto, ci si dovrà aggiornare più in là .
Nella strategia comunicativa dei 5 stelle lo spot realizzato da Nicola Virzì, alias Nick il Nero, della comunicazione del Senato sul ritorno alla lira ha fatto da apripista.
Nel bene e nel male, la grandissima viralità delle immagini che ritraggono Paola Taverna intenta a scambiare un euro con mille lire è stata la conferma che il tema può tornare a far presa.
Così si è mosso pure il team europeo, coordinato da un fedelissimo di Gianroberto Casaleggio, Filippo Pittarello.
“La Banca Centrale Europea, con un comunicato, ha obbedito alla linea di Angela Merkel e ha chiuso i rubinetti alle banche della Grecia – hanno alzato i toni i 17 eurodeputati con un post sulla propria pagina Facebook – A chi appartiene la sovranità in Grecia? Ai greci o al duo Merkel-Draghi? Non ci sono le baionette dei Colonnelli, ma in un’altra epoca questo si chiamerebbe tentativo di colpo di Stato”.
Ma si va oltre, con quella che sembra la dichiarazione di alleanza con il leader ellenico: “Se Tsipras vuole davvero rispettare gli impegni elettorali, allora, si sbrighi a portare i greci fuori dalla moneta unica. Noi siamo col popolo greco e le sue scelte, non bisogna piegarsi ai diktat di Merkel o Draghi: l’Europa non può essere tutto questo”.
Facendo una chiacchierata con un membro dello staff, si capisce come, al di là del sostegno ad una precisa linea politica, il piatto sia più ricco di quel che appare: “Quel che dice Tsipras sull’Europa e sull’austerity – spiega – è sostanzialmente quel che dice Farage. Ma mentre il leader dell’Ukip da noi gode di cattiva stampa, Syriza è diventata una sorta di icona dell’antieuropeismo”.
Insomma, nessuna contraddizione, anzi.
Volendola dire con un grande vecchio della sinistra italiana, Fausto Bertinotti, “è la prima volta che il populismo ha avuto uno sbocco a sinistra. Finora si è incanalato o in movimenti di destra, si veda Marine Le Pen, o in soggetti difficilmente inquadrabili, come quello di Beppe Grillo. Ma Tsipras è riuscito a incanalare a sinistra lo scontro sociale prevalente in questi anni, quello tra l’alto e il basso della collettività “.
Gli stessi temi del “nessuno deve rimanere indietro” battuti da tempo dai 5 stelle.
Che si ritrovano improvvisamente a fianco un leader di sinistra di cui la sinistra stessa diffida, per il suo eccesso di populismo.
Occasione ghiottissima per rilanciare il Movimento dopo le settimane di vacche magre che hanno pascolato intorno al Quirinale.
L’inciampo potrebbe essere nel fatto che Varoufakis, pur considerando l’euro come un errore, ha più volte ribadito di ritenere che sia ormai troppo tardi per uscirne. Ma ci sarà tempo per discuterne.
“Cercare un asse con il nostro premier non ha senso, e spero che Alexis lo sappia. Renzi è la Troika che Tsipras vuol combattere”, spiega Di Battista.
Che in un’intervista a l’Espresso lancia l’idea di un coordinamento con i movimenti neopopulisti che guardano a sinistra, da Syriza agli spagnoli di Podemos: “Non dico che siamo uguali, perchè ogni paese è diverso, ma simili sì, e il fronte comune deve formarsi tra gli euroscettici. Syriza deve cercare i movimenti euroscettici, di destra e di sinistra, e deve aumentare così il suo potere contrattuale”.
Nel mazzo, ovviamente, c’è il Movimento 5 stelle. Che dopo aver a lungo tribolato nel cercare di spiegare il perchè e il percome a Strasburgo stia con Farage, ha un’occasione ghiottissima per rilanciarsi.
Accanto a partiti e sigle che hanno un appeal assai maggiore sia nel proprio elettorato, sia in quello appena al di là del confine. Sinistro, ovviamente
.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
GLI INTERROGATIVI DA PORSI DOPO LA ROTTURA TRA IL GOVERNO GRECO E LA TROIKA
COSA HA DECISO LA BCE?
La Banca Centrale europea ha deciso che dall’11 febbraio le banche greche non potranno più utilizzare i titoli di Stato ellenici come garanzia per ricevere liquidità da Francoforte “perchè non è più certa la chiusura del memorandum con i creditori”.
Lo Statuto di Eurotower prevede che l’istituto non possa accettare come garanzia titoli giudicati “spazzatura” dalle agenzie di rating.
Quelli di Atene, scesi a questo livello da molto tempo, erano stati accettati finora grazie a una deroga cancellata ieri.
SIGNIFICA CHE LA BCE HA CHIUSO DEL TUTTO I RUBINETTI ALLA GRECIA?
No. Francoforte ha precisato nello stesso comunicato che le banche greche potranno ancora finanziarsi con le linee di credito d’emergenza (Ela) attraverso la banca centrale di Atene.
L’accesso a questi prestiti è in teoria illimitato. Nel 2012 nel periodo peggiore della crisi di Atene, le banche del paese erano tenute in vita da oltre 120 miliardi di Ela.
LA GRECIA PUO’ FINANZIARSI IN ALTRI MODI?
Le banche possono chiedere liquidità alla Ue usando altri titoli che hanno in portafoglio. Ci sono ad esempio 37 miliardi di titoli del Fondo salvastati, metà dei quali già utilizzati a garanzia.
Atene non può più emettere titoli di stato perchè ha già raggiunto il tetto di 15 miliardi concordato con i creditori.
Le linee di emergenza sono quindi l’unico canale di finanziamento per tenere in piedi la macchina dello Stato. Cioè pagare stipendi e onorare prestiti e interessi.
POSSONO ESSERE REVOCATE ANCHE LE LINEE D’EMERGENZA?
Sì. La Bce si riunisce ogni due settimane, la prossima sarà il 18 febbraio, per verificare la solidità come controparte delle banche greche.
Per revocare le linee d’emergenza occorre però l’ok di due terzi del consiglio di Eurotower.
COME SI PUO LEGGERE LA DECISIONE DELLA BCE?
Come un cartellino giallo (quasi rosso) al governo greco.
Obbligato ora a trovare in tempi stretti un’intesa con i suoi creditori in condizioni negoziali però molto peggiori rispetto a quelle di mercoledì mattina.
L’avviso è chiaro. Non si scherza con il fuoco. E se alla fine si alza troppo l’asticella Francoforte potrebbe chiudere del tutto i rubinetti.
E a quel punto l’uscita della Grecia dall’euro sarebbe quasi inevitabile.
CHE RISCHI PUO’ AVERE LA DECISIONE DELLA BCE?
Il vero rischio è che da oggi i greci riprendano a ritirare soldi dalle banche, preoccupati dal fatto che la crisi precipiti e vengano imposti controlli sui capitali.
E’ successo di recente a Cipro. A dicembre, in vista delle elezioni, i depositi sui conti correnti sono già calati di 4 miliardi a 163 miliardi totali.
A gennaio ne sarebbero stati prelevati altri 11. Senza soldi dei correntisti in cassa, gli istituti rischiano di implodere.
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
DA DRAGHI E DALLA GERMANIA ARRIVA UN DOPPIO SCHIAFFO ALLE INTENZIONI DELLA GRECIA
Il colpo inferto a sorpresa da Mario Draghi fa ancora male, ma all’indomani dalla decisione della Banca
Centrale Europea di sospendere le linee di credito alle banche greche, Alexis Tsipras prova a rialzarsi.
E lo fa giocando sul tavolo due carte.
Una interna, la piazza, chiamata a raccolta per sostenere l’azione del governo greco contro il primo muro alzato dall’Europa alle richieste di Bruxelles, e una esterna, con il sì all’invito inoltrato al presidente russo Vladimir Putin a visitare il Paese, dopo una lunga telefonata tra i due.
Un messaggio, neanche troppo velato, a tutti i partner europei.
Se la giornata di giovedì era finita nel peggiore dei modi, quella di venerdì non è iniziata meglio.
Prima con l’indice della borsa di Atene prevedibilmente precipitato fino a -9%, salvo poi rientrare in chiusura di seduta a un più modesto -3,37%, poi con l’attesissimo incontro tra il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis e il suo collega tedesco Wolfagng Schaeuble.
Un incontro cordiale al termine del quale le posizioni sono rimaste comunque molto distanti.
“Siamo d’accordo sull’essere in disaccordo”, ha commentato Schaeuble trovando forse la sintesi perfetta del faccia a faccia, ribadendo poi a a Varoufakis che “la Grecia deve lavorare con il Fondo monetario internazionale, la Bce e la commissione europea”, cioè con le tre istituzioni con cui ha affrontato il programma di aiuti”.
Cioè, continuare ad avere a che fare con la Troika.
Il tutto mentre, quasi simultaneamente, il premier greco Alexis Tsipras, reduce dal suo tour nelle capitali europee, giocando in casa e parlando con i parlamentari di Syriza, affermava che “la Troika è completamente finita, la Grecia non è più il misero partner che ascolta le prediche. Rispetteremo la volontà del popolo greco. Aspettiamo le proposte della Germania dalla quale non abbiamo ancora ascoltato niente di concreto”. Non solo, il partito del premier greco, forte del solido mandato popolare che lo ha portato al governo, ha chiamato a raccolta i cittadini per una grande manifestazione anti-austerità davanti al Parlamento di Atene, dove non sono mancati anche molti slogan anti-tedeschi.
Varoufakis oggi ha ribadito quanto già spiegato nei giorni scorsi, cioè che il governo greco sta cercando di avere “un programma ponte fra adesso a fine maggio”, per avere “spazio” per “dei colloqui su un nuovo contratto con la Bce, la Commissione Ue e il Fmi”.
Cioè, essenzialmente, un po’ di tempo in più.
Esattamente l’opposto di quanto l’Eurotower ha fatto capire ieri: senza un rapido accordo con i partner europei, e quindi rassicurazioni sugli impegni e le riforme che la Grecia è chiamata a realizzare, la Banca Centrale non può più utilizzare i titoli di Stato greci come garanzia per il finanziamento presso la Bce delle le banche elleniche. E anche il Fondo Monetario oggi è stato netto spiegando che l’accordo quadro sulla sostenibilità del debito greco “resta in piedi” e “non c’è stata alcuna discussione con le autorità su possibili cambiamenti”.
Alexis Tsipras, dopo una settimana all’insegna di sorrisi, doni e scambi di regali, si è trovato improvvisamente solo.
Anche Matteo Renzi, con cui era sembrato così in sintonia appena tre giorni fa, oggi ha voltato le spalle al premier greco, spiegando che “la decisione Della banca centrale europea sulla grecia è legittima e opportuna”.
Anche per questo oggi ha deciso di giocarsi una nuova carta: quella del contatto con Vladimir Putin.
Il premier greco ha annunciato oggi che si recherà a Mosca in vista dal leader russo. Un gesto che arriva proprio mentre i rapporti tra Russia e Germania sono particolarmente tesi e la Commissione Europea sta valutando l’ipotesi di far scattare nuove sanzioni verso Mosca per via della crisi ucraina.
Sanzioni però che dovrebbero essere votate all’unanimità e che avrebbero quindi ovviamente bisogno anche del sostegno di Atene.
Prestissimo per parlare di asse, anche perchè mettersi di traverso, in solitaria, all’iniziativa di Bruxelles rischierebbe di lasciare Atene ancora più isolata.
Per la Grecia, in questo momento, il peggiore degli scenari possibili.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
IERI BACI E ABBRACCI CON IL LEADER GRECO, OGGI STA CON LA TROIKA: SE FOSSIMO NELLA MADRE COMINCEREMMO A PREOCCUPARCI
Dopo Silvio tocca a Tispras: sono lontani i tempi degli attacchi alla troika.
Ora i poteri forti che hanno portato la macchietta fiorentina a governare l’Italia e gli hanno permesso di sistemare la sua corte dei miracoli nei gangli vitali dello Stato pretendono di passare alla riscossione e lui scatta sull’attenti.
La decisione della Bce sulla Grecia? “E’ legittima e opportuna“.
Matteo Renzi ha commentato così la mossa di mercoledì della Banca centrale europea, che ha deciso di non accettare più i titoli di Stato ellenici detenuti dalle banche del Paese in cambio di liquidità .
Una decisione giusta, ha detto il presidente del Consiglio, “dal momento che mette tutti i soggetti in campo attorno ad un tavolo “.
Dopo aver idealmente abbracciato Tsipras martedì 3 febbraio durante la sua visita a Roma e l’idea di cambiamento che il premier greco vuole introdurre in Europa, Renzi continua sulla strada che gli hanno indicato i suoi manovratori.
Incassato il Quantitative Easing voluto dal presidente dell’Eurotower Mario Draghi, per Roma il prossimo appuntamento è con il parere che la Commissione Ue è chiamata a esprimere sulla legge di Stabilità messa a punto dall’Italia.
Meglio allinearsi, quindi.
Per l’Italia, tuttavia, all’orizzonte si profila un’altro pericolo: la Commissione potrebbe avviare contro Roma una procedura per debito eccessivo in qualunque momento, visto che non rispetta la regola del debito.
Ma la Commissione ha finora rassicurato l’Italia: il vento è cambiato a Bruxelles, non si vuole punire i Paesi ma aiutarli a trovare la loro via per coniugare finanze sostenibili e crescita.
Per tenere elevata la pressione sull’Italia in vista di marzo resta il fatto che “tutte le opzioni sono sul tavolo”, compresa la procedura, spiegava il 27 febbraio il commissario europeo all’Euro, Valdis Dombrovskis, secondo il quale per l’Italia “la flessibilità si applica” ma “il margine di manovra è limitato perchè il disavanzo è vicino al 3%”.
E il soldatino gonfiato di Pontassieve scatta sull’attenti. A lui interessa solo mantenere salda la poltrona, cosa vuol dire coerenza non fa parte del suo sacco da scout.
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Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
SPUNTA NELLA NOTTE UNA NORMA CHE COSTRINGEREBBE RAI E MEDIASET A PAGARE 50 MILIONI PER LE FREQUENZE TV IN DIGITALE
Un brivido corre lungo la schiena di Silvio Berlusconi. 
Perchè è un segnale sulla “roba”, sull’Impero, quello che si materializza nel day after della “rottura” del Nazareno. Pesantissimo. Così lo legge l’ex premier.
Eccolo: nel milleproroghe, questa mattina, il governo riformula un emendamento sulle frequenze tv in digitale.
L’effetto è, di fatto, chiedere 50 milioni a Rai e Mediaset da redistribuire ad altri operatori.
C’è già chi, dentro Forza Italia, parla di “vendetta”. Berlusconi è impietrito perchè nè da una una lettura politica, legata alla fine del Nazareno.
Quella stessa lettura che al ministero dello Sviluppo negano. Interpellate, fonti del Mise spiegano che non è una ritorsione politica. E allora, partiamo dall’inizio.
Fino a ieri sera, era stabilito che della questione tv, di fatto, ce se ne occupasse nel 2015.
Così era scritto nella legge di stabilità . In serata viene “sfornato” l’emendamento. O meglio “riformulato”, come notano i parlamentari presenti in commissione Finanza questa mattina.
È l’emendamento 3.52, relativo all’articolo 3.
Il testo è questo: “L’importo dei diritti amministrativi e dei contributi per i diritti d’uso delle frequenze televisive in tecnica digitale, dovuto ai sensi degli articolo 34 e 35 del citato decreto legislativo dagli operatori di rete operanti in ambito nazionale e locale, è determinato con decreto del ministero dello Sviluppo economico in modo trasparente, proporzionato allo scopo, non discriminatorio ed obiettivo sulla base dell’ambito geografico del titolo autorizzato”.
Tradotto: l’ammontare dei diritti, che i tecnici hanno stimato in 50 milioni di euro, è adesso nelle mani del Mise.
Fino a ieri c’era dunque una “salva-Mediaset”, nel senso che la questione era congelata almeno fino al 2015.
Ora il governo stabilirà le regole, ovvero quando Rai e Mediaset possono sborsare l’ammontare complessivo.
È un segnale che secondo le antenne berlusconiane arriva direttamente palazzo Chigi. Da lì ieri sera sarebbe partito l’input.
A Grazioli Berlusconi è basito. Perchè a questo punto teme che Renzi non farà prigionieri. E sono basiti gli strateghi della “rottura”, quelli del cerchio magico.
Il timing la dice tutta. L’accantonamento di Verdini dal suo ruolo di mediatore e la rottura del Nazareno rischia di costare caro all’ex premier.
Non solo in termini politici, ma economici. Non è un mistero che era proprio Verdini a tenere i rapporti con Giacomelli, di concerto direttamente con Confalonieri e i vertici Mediaset.
Adesso, per la prima volta da quando c’è il governo Renzi, c’è un segnale negativo per Mediaset che, in questi mesi, ha visto il titolo decollare in borsa.
E chi conosce Berlusconi sa che, sulla roba, è spietato: “Ci mette un attimo — sussurra un parlamentare che ci ha parlato – a mandare al diavolo quelli che hanno fatto i fenomeni coi soldi suoi”.
E ora la paura è che questo sarà solo l’inizio: “Renzi — spifferano a Grazioli — si muove come uno che non fa prigionieri”.
Una dopo l’altra potrebbero saltare tutte le “salva-Silvio”.
E’ questa l’aria che tira. La “salva-Silvio” implicita su Mediaset, ma anche la famosa “salva-Silvio” sul 3 per cento che il governo avrebbe dovuto portare al consiglio dei ministri del 20 febbraio.
“Non riguarderà Berlusconi” aveva detto la Boschi qualche giorno fa.
Ed è possibile che sia così. Fonti del Tesoro raccontano che è allo studio, in questi giorni, un’ipotesi molto concreta: escludere la frode provando anche a mettere un tetto massimo all’evasione.
Anche perchè pare che il premier ascolti molto Marco Causi, esperto parlamentare del Pd della commissione Finanze.
È stato lui ha insistere sull’“inopportunità della norma”. Perchè preoccupa gli esperti, preoccupa le procure.
Insomma, fa passare il messaggio che le grandi aziende sono incentivate a creare nei loro bilanci delle zone opache.
La decisione finale è nelle mani di Renzi, che fino a qualche giorno fa ha dato ordine di difendere pubblicamente la norma. Quando era in piedi il Nazareno.
Ora, tutto è possibile. Pure che il Parlamento accetti di discutere il conflitto di interessi.
Finora la richiesta dei grillini non è stata accolta. Ora, chissà : “Renzi — ripetono a Grazioli — non vuole fare prigionieri”.
(da “Huffingtonpost”)
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