Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
“CONVOCATE SOLO PER INTASCARE I GETTONI, SPRECATI 300.000 EURO IN UN ANNO”
Il tam tam corre sul web, in pochi giorni sono seimila quelli che aderiscono al gruppo #Noisiamoaltro #Agrigentomanifesta .
Ma a prendere tutti in contropiede sono i mille che improvvisamente si ritrovano a Porta di Ponte alle otto di sera per marciare sul Comune mentre le telecamere di Ballarò raccontano all’Italia intera che cos’è la “malapolitica”.
Perchè qui dove l’acqua continua ad arrivare nei rubinetti delle case solo ogni quattro giorni mentre le bollette sono le più care d’Italia, dove il Comune sull’orlo del dissesto “sostiene” con assegni da 28 euro all’anno famiglie indigenti con figli disabili, dove centinaia di dipendenti pubblici sono indagati per essere rimasti a casa ad assistere ipotetici familiari malati, qui non ha mai protestato nessuno, la rassegnazione l’ha sempre avuta vinta.
E invece lo scandalo di quei 30 consiglieri comunali che in un anno, riunendosi ben 1.133 volte senza produrre alcunchè, hanno intascato gettoni di presenza per quasi 300.000 euro, fa rinascere improvvisamente la voglia di indignarsi.
In via Atenea, il salotto buono di Agrigento, la crisi ha il volto di due negozi su tre con le saracinesche abbassate e il cartello “affittasi”.
È su quelle vetrine che ieri sono i comparsi i volantini della rivolta, affissi dagli agrigentini di #Noisiamoaltro che provano a ripercorrere la strada segnata dieci anni fa a Palermo dai giovani di Addiopizzo.
«Un popolo che non si ribella è un popolo senza dignità », è lo slogan che gridano sotto le finestre di un Comune ormai sotto un duplice assedio: quello della gente, strangolata dalla crisi e umiliata dal malaffare che prosciuga le poche risorse pubbliche che arrivano nelle casse di un’amministrazione prossima al dissesto, e quello della Procura della Repubblica che sta stringendo il cerchio sullo scandalo dei gettoni delle commissioni consiliari ma anche sulle tangenti che alcuni di quegli stessi consiglieri avrebbero ricevuto per approvare alcune varianti al piano regolatore generale che, come nel più classico dei copioni, farebbero quintuplicare il valore di alcuni terreni che diventerebbero edificabili.
Due blitz in due giorni nello storico palazzo di città che da mesi (dopo le dimissioni del sindaco Marco Zambuto, travolto dalla legge Severino a seguito di una condanna per abuso d’ufficio in primo grado poi cancellata in appello) è amministrato da un commissario in attesa delle elezioni in programma in primavera.
Prima la Guardia di Finanza che indaga sul caso delle commissioni consiliari, e ieri la Digos che ha sequestrato, alla vigilia della seduta decisiva del consiglio comunale prevista per questa sera, tutte le carte relative al piano regolatore.
Tutta documentazione finita sul tavolo del procuratore aggiunto Ignazio Fonzo che coordina il pool pubblica amministrazione
Per strada, al bar, la gente fa i conti in tasca ai 30 consiglieri comunali: 1.133 sedute delle sei commissioni consiliari permanenti nel corso del 2104, sedute di pochi minuti che non hanno prodotto praticamente nulla e sono costate al Comune quasi 300 milioni di euro e portato mediamente nelle tasche di ogni consigliere circa 10mila euro.
Cifre enormi se comparate con quelle di qualsiasi Comune, soprattutto se si considera che, nella speciale classifica della vivibilità delle città italiane, Agrigento è all’ultimo posto.
E ora anche il ministero delle Finanze annuncia un’ispezione.
«Bravi, portateveli tutti in carcere», grida, mimando con le mani il gesto delle manette, un gruppo di cittadini che, nella piazza del Comune, assiste all’arrivo dei magistrati e dei poliziotti che indagano sul giro di tangenti sul piano regolatore di cui ci sarebbe prova in una pen drive contenente le conversazioni tra alcuni consiglieri che parlano delle mazzette intascate.
È una campagna elettorale al vetriolo quella che si preannuncia in città .
«Ognuno ha il governo che si merita – dicono gli animatori della rivolta – ora è giunto il momento di dimostrare che “noi siamo altro” da questi ladroni. La vera protesta non sarà l’atto di manifestazione contro un consiglio comunale che ha ridotto Agrigento ultima in qualsiasi classifica sulla vivibilità in Italia, ma ripartire con la consapevolezza e la convinzione che da oggi quel sistema elettivo basato sul voto “all’amico di”, al “figlio di” viene a morire. Oggi Agrigento ha la possibilità di recuperare la propria dignità , ha la possibilità di dimostrare che tutta la città si discosta da quel tipo di politica».
Alessandra Ziniti
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
SOTTO ACCUSA PER PECULATO ANCHE GLI ALTRI DUE CONSIGLIERI DEL CARROCCIO: VIAGGI NEI FINE SETTIMANA, A CAPODANNO E PASQUA, OSTRICHE A NIZZA E 84 SCONTRINI DELLO STESSO RISTORANTE
Un elenco di spese sospette da giustificare poichè nel periodo incriminato era anche il capogruppo. 
E un avviso di garanzia che gli sarà con ogni probabilità notificato nei prossimi giorni, formalmente un «invito a comparire» ovvero la convocazione per un interrogatorio da rendere nella qualità d’indagato.
La Procura ha deciso nelle ultime ore quale linea adottare nei confronti di Edoardo Rixi, vicesegretario federale della Lega Nord e attuale candidato alla presidenza della Regione e formalmente accusato di peculato nell’inchiesta sulle spese pazze in consiglio regionale nell’ultima legislatura.
Rixi risponde per essere stato al vertice del partito nel biennio sott’inchiesta, quando del Carroccio hanno fatto parte (come d’altronde oggi) pure Maurizio Torterolo e Francesco Bruzzone.
Anche gli ultimi due sono sott’accusa, ma il primo a sedersi davanti al sostituto procuratore Francesco Pinto, a meno di clamorose inversioni dell’ultim’ora, sarà proprio Rixi.
«È uno degli sviluppi possibili – spiega Maurizio Barabino, legale del politico – sebbene, al momento non ci sia stato formalizzato nulla di ufficiale».
A Rixi gli inquirenti chiederanno conto di varie spese, poichè giustificate come iniziative legate all’attività istituzionale leghista ci sono viaggi in montagna, una mangiata di ostriche al Cafè de Turin di Nizza e numerose gite fuori porta, nei weekend, a Pasqua, il 25 aprile e il Primo Maggio.
Ad attirare l’attenzione dei militari sono soprattutto le date delle ricevute, che spesso collocano i pernottamenti do sabato e domenica.
Nel calderone sono finiti pure 84 scontrini d’uno stesso ristorante di Savona, cene a Mondovì, menù per bimbi.
(da “il Secolo XIX”)
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Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DELL’ONU: “USATI COME KAMIKAZE, SCUDI UMANI E SOTTOPOSTI AD ABUSI SESSUALI”… NESSUNA PIETA’ PER QUESTI INFAMI
Bambini usati come scudi umani o kamikaze, oppure seviziati e vittime di abusi sessuali.
Le Nazioni Unite hanno denunciato il reclutamento in Iraq da parte dei “gruppi armati”, in particolare dell’Isis, di un “alto numero di bambini”, compreso minori con disabilità , per farne dei combattenti o trasformarli in scudi umani o kamikaze oppure per sottoporli a sevizie o abusi sessuali.
Non solo: i minori vengono anche brutalmente uccisi tramite crocifissione o sepolti vivi.
“Si tratta di un problema enorme”, ha dichiarato da Ginevra Renate Winter, una dei 18 esperti indipendenti, membri del Comitato dei diritti dei minori dell’Onu, il cui compito consiste nell’assicurare che gli Stati rispettino i trattati internazionali relativi ai diritti dei minori.
Le vittime sono per lo più bambini yazidi o cristiani, ma anche sciiti e sunniti.
“I bambini vengono utilizzati come kamikaze, compresi i bambini con disabilità e quelli che sono stati venduti ai gruppi armati dalle loro famiglie”, sottolineano gli autori del rapporto.
Alcuni bambini sono stati trasformati in scudi umani per proteggere le installazioni dell’Isis dai raid aerei, obbligati a lavorare ai posti di controllo o impiegati nella fabbricazione delle bombe per i jihadisti.
Winter ha esortato il governo di Baghdad a fare tutto il possibile per proteggere i bambini, pure prendendo atto della situazione e del controllo da parte dei jihadisti di parte del territorio iracheno.
Ma il comitato ha sottolineato che alcune violazioni dei diritti dei bambini non possono essere attribuite soltanto ai jihadisti.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
NUOVE INTERCETTAZIONI E QUEL TERRENO CHE INTERESSAVA A MORENO NICOLIS, IMPRENDITORE ARRESTATO… UN’AREA RESA EDIFICABILE DALLA GIUNTA DI TOSI
«Per mangiare devi far mangiare». 
Si è sentito rispondere così il ministro delle finanze della cosca emiliana guidata dal padrino Nicolino Grande Aracri.
E lui, Antonio Gualtieri, in fatto di gestione delle relazioni pubbliche non è da meno: «Questi “baluba”… non capiscono che senza politica… non si fa niente».
Per questo Gualtieri ha stretto una forte amicizia con Moreno Nicolis, l’industriale del ferro di Verona, vicino all’amministrazione di Flavio Tosi.
Un’aspetto quest’ultimo sottolineato anche dal giudice per le indagini preliminari di Bologna che ha firmato i mandati di cattura per 117 persone, tutte legate alla ‘ndrangheta di stanza in Emilia.
Ora Gualtieri e Nicolis sono entrambi indagati nell’inchiesta Aemilia. Il primo è in cella per associazione mafiosa, il secondo è agli arresti domiciliai per estorsione aggravata dal metodo mafioso.
I detective dell’Arma per tre anni hanno messo sotto controllo capi, gregari, politici e colletti bianchi dei Grandi Aracri.
E hanno così scoperto che Nicolis godeva di ottimi contatti con il sindaco Flavio Tosi e l’ex vice sindaco, con delega all’Urbanistica, Vito Giacino, condannato in primo grado a cinque anni per concussione.
È lo stesso Antonio Gualtieri che racconta, come già rivelato da “l’Espresso” , del pranzo a casa dell’industriale veronese alla presenza di Tosi e Giacino: «Mi sono incontrato con il sindaco e il vice sindaco di Verona, con Tosi e coso, e ancora stanno mangiando, lì da Moreno, sotto in taverna».
Ma non c’è solo questo nelle informative dei Carabinieri. Gli indagati hanno in ballo diversi affari nella città di Romeo e Giulietta.
Uno di questi è l’acquisizione dei beni del fallimento Rizzi, l’altro è una speculazione che sta a cuore a Nicolis. E proprio quest’ultima sarebbe andata in porto.
Tra i documenti in mano agli inquirenti infatti ci sono una serie di dialoghi in cui una donna fa riferimento all’area di Borgo Roma «vicino alla Glaxo», la multinazionale farmaceutica.
E spiega che «Nicolis voleva barattare l’informazione del fallimento della Rizzi Costruzioni con il sindaco di Verona Flavio Tosi, in cambio della variazione sul piano regolatore di alcuni terreni destinati a costruzioni industriali, posti nei pressi della ditta Glaxo, in area commerciale».
Di certo, da quanto risulta a “l’Espresso” la variante alla fine è stata fatta: la conferma, appunto, è nel piano degli interventi approvato dalla giunta di Tosi e Giacino.
Il “Piano degli interventi” varato proprio quando Giacino era nella giunta è uno strumento urbanistico che in pratica equivale al vecchio piano regolatore.
Nel Piano dell’anno 2011-2012, a firma di Giacino e Tosi, compaiono proprio due varianti urbanistiche chiesta dalla Nicofer, la società di Nicolis: la prima riguarda la ristrutturazione della sua fabbrica; la seconda invece rende per la prima volta edificabili ben 16.500 metri quadri in un’area di 42 mila nella zona sud della città , in via Golino, vicino all’ospedale di Borgo Roma, proprio nei pressi della Glaxo, la stessa indicata nelle intercettazioni.
Quel piano urbanistico approvato dai politici di Verona ha quindi autorizzato la Nicofer a realizzare un grande centro commerciale.
Una volta ottenuta la variante, la società di Nicolis ha poi ceduto la proprietà a un gruppo della grande distribuzione, la Supermercati Tosano.
Una manovra che ha trasformato quei terreni in zona edificabile, perciò la vendita è stata molto favorevole per le casse della società veronese.
Ma gli interventi della giunta Tosi a favore di quell’affare tra privati non si fermano qui. Dopo l’arresto di Giacino, la Soprintendenza ha bloccato il centro commerciale perchè troppo a ridosso del Forte Tomba, la fortezza costruita nell’Ottocento dagli austriaci.
Un vincolo comunicato a Nicolis il 3 febbraio 2014.
Nonostante ciò, poco dopo, l’area è stata venduta alla Supermercati Tosano. A novembre quest’utltima ha fatto ricorso al Tar contro la Soprintendenza.
E in questa battaglia non sarà sola, perchè l’amministrazione comunale si è schiarata al fianco dei privati: secondo la l’amministrazione Tosi, la società Tosano, ma anche il venditore, cioè l’amico Nicolis, avrebbero subito un danno ingiusto. Una vera e propria anomalia secondo l’opposizione.
Nicolis sa rapportarsi con la politica della sua città .
Lo scrivono gli investigatori antimafia, i quali precisano che questi rapporti gli garantiscono la possibilità di «manovrare degli affari e conoscere — in anticipo — eventuali orientamenti su alcune aree cittadine, in relazione all’edificabilità o meno».
Per questo Nicolis è per la ‘ndrangheta emiliana una risorsa, un pezzo pregiato del suo “capitale sociale”.
E l’industriale veronese con la dote che si porta dietro conquista i cuori degli ‘ndranghetisti.
Per il capo clan è «l’amico degli amici». E poi è tra i pochi “padani” accettati al cospetto del padrino Nicolino Grande Aracri, detto “Manuzza”.
«Una grande persona», avrebbe detto di lui lo stesso “Manuzza”. Il manager del clan Gualtieri è convinto che con Nicolis il clan potrà puntare molto in alto: «Abbiamo un bellissimo rapporto… ma bello davvero… con quel signore che mi ha dato… la macchina… è uno dei primi industriali di Verona!… e che è lui che mi sta dando una mano politicamente per fare questo affare (riferito alla Rizzi Costruzioni ndr)». Non solo, sempre secondo il braccio imprenditoriale del padrino, Nicolis «c’ha la politica in mano.., lui, il sindaco e il vice sindaco mangiano in casa sua!!».
Gli investigatori sono riusciti a ricostruire anche un incontro fondamentale per le indagini, che si è tenuto a Cutro, tra “Manuzza”, Gualtieri e Nicolis.
Era il Natale del 2011. E il boss, il manager e l’industriale si ritrovano nel feudo calabrese per un summit. Dopo l’incontro, Gualtieri e Nicolis si scambiano qualche opinione sul grande capo.
Le cimici piazzate nel Suv dell’emissario della ‘ndrangheta intanto registrano. I due non lo sospettano e parlano. Nicolis non sembra affatto stupito dell’incontro con il boss, anzi all’inizio sembra deluso: «Non mi sembra tanto forte questo qua».
Ma Gualtieri, che conosce meglio di lui l’autorità criminale, lo zittisce: «Morè, ascolta, lui è quella persona che comanda la Calabria… Senti a me, a un tuo fratello, che io ti voglio bene veramente … Morè, lui comanda».
Dialoghi che secondo il giudice per le indagini preliminari che ha confermato i gravi indizi di colpevolezza e concesso gli arresti domiciliari all’incensurato Nicolis, dimostrano «il forte legame con l’associazione mafiosa, di fatto non ricollegato a comuni origini regionali nè a vincoli parentali».
Come dire, un rapporto allacciato per un proprio tornaconto personale. Insomma, questione di business. E di conoscenze politiche.
Giovanni Tizian
(da “L’Espresso“)
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Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
OTTOBRE 2012: L’ALLORA SINDACO DI REGGIO EMILIA VENNE SENTITO DALLA DDA DI BOLOGNA NELLA MAXI-INCHIESTA SULLE INFILTRAZIONI MAFIOSE
Il viaggio a Cutro nel 2009 nella cittadina del boss Nicolino Grande Aracri, e soprattutto l’incontro con il prefetto antimafia insieme ai rappresentanti della comunità cutrese.
Era il 17 ottobre 2012 quando i pm della Dda di Bologna sentivano, come persona informata sui fatti, Graziano Delrio, allora sindaco di Reggio Emilia, nell’ambito della maxi-inchiesta della procura di Bologna sulla ‘ndrangheta che ha portato all’arresto di 117 persone a fine gennaio.
L’attuale sottosegretario alla presidenza del consiglio, braccio destro del presidente del Consiglio Matteo Renzi era stato convocato perchè chiarisse i suoi rapporti con la vasta comunità calabrese trapiantata nel reggiano, originaria in prevalenza dal paese in provincia di Crotone, il ruolo dei cutresi nell’economia e nella politica cittadina e il loro atteggiamento rispetto alle pressioni della ‘ndrangheta sulle attività economiche.
Delrio, va sottolineato, non è indagato nell’inchiesta Aemilia.
Dai verbali emerge però alcuni tentennamenti da parte dell’attuale sottosegretario nell’affrontare il tema e — stando a quanto dichiara — una conoscenza approssimativa del fenomeno che cozza un po’ con la sua fama di sindaco consapevole e attivo sul fronte dell’antimafia.
Era stata proprio la sua amministrazione a commissionare a Enzo Ciconte, uno dei massimi esperti di criminalità organizzata, lo studio “Le dinamiche criminali a Reggio Emilia“, pubblicato nel 2008 e ancora oggi disponibile sul sito del Comune, dove lo studioso citava diversi elementi poi confermati dall’inchiesta Aemilia; l’ascesa criminale di Nicolino Grande Aracri e la penetrazione nell’economia e in particolare nell’edilizia: “Gli ‘ndranghetisti sono stati in grado di condizionare vita ed attività economica di altri imprenditori e commercianti”, scriveva Ciconte sette anni fa, “di costituire società edili in grado di raccogliere appalti da altri imprenditori e di mettere in piedi un sofisticato sistema di false fatturazioni”.
Durante l’audizione i pm vogliono sapere di più sull’incontro in Prefettura con esponenti della comunità cutrese, avvenuto, probabilmente nel 2011.
Da alcuni mesi il prefetto Antonella De Miro aveva iniziato a colpire con provvedimenti interdittivi le imprese considerate infiltrate dalla ‘ndrangheta, che quindi perdevano commesse.
Delrio racconta di avere raccolto i timori di alcuni esponenti della comunità cutrese su una criminalizzazione della loro gente.
“Li ho accompagnati perchè il prefetto potesse spiegare le ragioni…”, si legge nel verbale di quella audizione, “perchè avessero garanzie che in tutto questo non c’era una vena anti-meridionalista o discriminatoria nei confronti della comunità ”.
Poi aggiunge una curiosa precisazione sul fatto che tutto gli appariva “superfluo perchè il prefetto viene dalla Sicilia”.
Nell’inchiesta Aemilia, alcuni degli imprenditori calabresi arrestati sono stati accusati di aver organizzato una campagna di stampa contro lo spesso prefetto, basata proprio sulla presunta discriminazione dei calabresi, e per questo è finito in carcere un giornalista ritenuto compiacente, Marco Gibertini di Telereggio.
L’allora sindaco Pd di Reggio Emilia non ricorda con certezza chi erano gli esponenti della comunità con lui in quell’occasione.
Sicuramente c’era l’allora consigliere Pd Salvatore Scarpino. Poi, ma senza certezza, Delrio fa il nome di Antonio Olivo, altro consigliere comunale del Pd.
E ancora cita, ma anche in questo caso senza sicurezza, Rocco Gualtieri, consigliere comunale del Pdl.
Gualtieri era tra i presenti all’ormai famosa cena organizzata dalla comunità calabrese al ristorante “Antichi Sapori”, durante la quale i il capogruppo Pdl in Provincia Giuseppe Pagliani, poi arrestato nell’operazione Aemilia, incontrò personaggi indicati come capi della organizzazione mafiosa.
Altro argomento toccato dai magistrati, il viaggio di Delrio a Cutro, avvenuto poche settimane prima delle elezioni comunali 2009, quando il primo cittadino uscente si era ricandidato per un secondo mandato.
Già ai tempi tra gli oppositori politici ci fu chi vide in quella trasferta in terra di ‘ndrangheta un viaggio per influenzare i voti delle migliaia di cutresi emigrati da decenni a Reggio.
Delrio però fin da allora aveva sempre parlato solo di un viaggio istituzionale.
Così fa anche coi pm: “Sono andato a Cutro nel 2009 in occasione della festa del Santo Crocefisso che è una festa religiosa molto importante a Cutro. Noi abbiamo un gemellaggio”.
Per Delrio niente di strano, tanto che spiega ai magistrati che probabilmente ci sarebbe tornato anche l’anno successivo.
A questo punto però i pm fanno notare all’attuale numero due di Palazzo Chigi che Cutro è la città di Nicolino Grande Aracri.
“So che esiste Grande Aracri. Nicola non… non lo avevo realizzato”.
Poi Delrio prosegue: “Non sapevo che era originario di Cutro. Sapevo che era calabrese, ma non sapevo che fosse originario di Cutro. Perchè abita lì nel centro di Cutro? No, io non lo sapevo”.
Una più attenta lettura della relazione commissionata dal suo stesso Comune avrebbe colmato la lacuna su un personaggio considerato da anni incontrastato numero uno della ‘ndrangheta in Emilia.
Il sostituto procuratore della direzione nazionale antimafia Roberto Pennisi (che assieme, a procuratore di Bologna Roberto Alfonso e al sostituto Marco Mescolini, ha condotto le indagini) subito ribatte: “Che tutta diciamo così, la criminalità organizzata proveniente da Cutro oggi si ispiri a Nicola Grande Aracri, penso che lo sappia anche lei se ha letto i giornali relativi agli interventi del prefetto”.
All’osservazione del pm Pennisi, Delrio sembra tentennare: “Sì, no, però io ho risposto alla sua domanda. Se lei mi chiede: ‘Sa che Francesco Grande Aracri è nativo di Cutro?’ La mia risposta è non lo so, non ne sono sicuro, cioè non lo ricordo francamente. So che è collegato alla ‘ndrangheta legata … diciamo… anche a Cutro”.
Quando i pm chiedono se parlasse mai con la comunità cutrese del clima di omertà che c’era sui temi della criminalità organizzata, Graziano Delrio spiega di averlo detto ripetutamente e di avere spiegato ai cutresi che il rischio di non denunciare può portare a pericolose generalizzazioni.
Tuttavia, spiega Delrio, “c’è una specie di reticenza a denunciare e a esporsi, come le ho detto prima, io ne sono consapevole che c’è questa reticenza”.
I pm incalzano Delrio i diversi passaggi, ma agli atti gli riconoscono di avere reagito “in modo duro e molto chiaro” in occasione della pubblicazione di articoli che tendevano a sminuire il problema della ‘ndrangheta a Reggio.
Marceddu e Portanova
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
DOPO IL NAZARENO IL PREMIER CAMBIERA’ FORNITORE
Bisogna rifare un po’ i conti per le riforme, disegnare una nuova mappa dei numeri in Parlamento, anche
se da parecchie settimane Matteo Renzi e Luca Lotti ragionavano sui pericoli della spaccatura in Forza Italia, più insidiosa secondo loro delle richieste della minoranza del Pd.
Il premier oggi dice ai suoi amici che il partito azzurro «si sta spaccando in quattro. Toti che vuole prendere il posto di Verdini, Verdini che tiene sul patto, Brunetta contro tutti e Fitto che sogna di prendersi il centrodestra».
Perciò meglio che si faccia chiarezza, dice Renzi mostrandosi come al solito sicuro di far girare la ruota dalla sua parte. «Vogliamo far esplodere quelle contraddizioni. Come? Confermando l’accordo sull’Italicum punto per punto, senza accettare però condizioni o subire ricatti».
Dopo la rottura del patto del Nazareno, Lotti, il vicesegretario Lorenzo Guerini e l’ufficiale di collegamento con le Camere Ettore Rosato riscrivono le maggioranze possibili sapendo che potrebbero essere più ballerine, perchè finora Forza Italia è stata indispensabile per assorbire gli strappi dei dissidenti dem.
Con tutti i mezzi: voti, uscite strategiche dall’aula nei momenti di difficoltà , emendamenti studiati ad arte.
È ancora vivo questo feeling totale? Il patto del Nazareno che scalcava persino la fiducia del premiersegretario nel suo partito, questo patto di ferro, ora è davvero in crisi.
La rete di protezione insomma non esiste più.
A Palazzo Chigi ne prendono atto. «Io i voti li trovo comunque – spiega Renzi ai collaboratori – , ma rispetterò l’accordo con Berlusconi fino in fondo. Per esempio, garantisco che l’Italicum alla Camera non cambierà di una virgola e diventerà definitivamente legge».
Il messaggio è diretto ad Arcore. Il discorso con l’ex premier azzurro non si chiude qui.
L’ultima versione della norma elettorale approvata al Senato va più che bene a Forza Italia. Se il patto in qualche modo tiene, i forzisti avranno i capilista bloccati, vera ossessione di Berlusconi e Verdini.
Se vogliono scegliersi i deputati, questo è l’ultimo treno. Ci pensino e decidano. Ma presto. Fa capire Renzi che ci mette un attimo a non far stare sereno anche il suo alleato per le riforme.
«Quello che i girotondini non sono riusciti a fare in vent’anni – dice ai suoi interlocutori – io l’ho realizzato in uno: Forza Italia dilaniata e mai così debole».
In effetti, gli azzurri hanno tutto l’interesse di approvare l’Italicum così com’è. Semmai possono ostacolare la legge costituzionale che la prossima settimana ricomincia a correre a Montecitorio.
«Il loro obiettivo infatti – è il ragionamento del premier – è bloccare l’abolizione del Senato. Ma non ce la faranno. Perchè alla Camera abbiamo i numeri senza di loro e a Palazzo Madama troviamo i 20 voti che ci servono».
I sondaggi post Quirinale arrivati sulla scrivania del premier ieri mostrano un rafforzamento della fiducia personale e del Pd di fronte mentre Forza Italia registra un ulteriore crollo.
E Renzi punta a consolidare questo risultato portando a casa le riforme nei tempi più brevi.
La minoranza glielo consentirà ? Da giorni i bersaniani rivendicano un loro successo e ancora di più un “metodo”.
«Se Matteo riparte dall’unità del Pd come ha fatto con Mattarella – osserva Miguel Gotor, leader dei “ribelli” al Senato – non ci saranno problemi. Se invece ritorna la propaganda dei gufi e dei dissidenti cercheremo di migliorare i provvedimenti in Parlamento ».
Per questo, secondo l’altro bersaniano Alfredo D’Attorre, il segretario si scordi un’approvazione liscia dell’Italicum alla Camera.
«Andrà per forza cambiato e migliorato. Con le preferenze e con i nominati in percentuale inferiore».
E la fretta di Renzi? «Se facciamo i miglioramenti necessari rimanderemo la legge al Senato che potrà approvarla in fotocopia», risponde D’Attorre.
La minoranza alza il tiro anche sul Jobs Act (che scatta il 1 marzo), sul decreto fiscale (che torna in consiglio dei ministri il 20) e sulla riforma del Senato.
«Con o senza patto del Nazareno per noi non cambia nulla. Ci sono cose che vanno perfezionate », insiste D’Attorre.
Per Renzi e il suo pallottoliere invece cambierà qualcosa.
«È morto il patto? Ce ne faremo una ragione », attacca Nico Stumpo su Facebook ironizzando sul sarcasmo renziano
Adesso il premier si vuole mettere in finestra, vedere cosa succede in Forza Italia.
«Li lasciamo sfogare, poi però devono decidere». Sa che il patto del Nazareno è in realtà lo schermo di lotte intestine.
Berlusconi ha bisogno di fare la voce grossa contro Verdini perchè il suo cerchio magico glielo chiede. E contro Raffaele Fitto togliendogli il principale argomento di contrasto interno ovvero l’innamoramento verso il premier.
In questa fase dunque appare inevitabile che da Arcore partano minacce verso l’accordo sulle riforme: servono a regolare la faida, soprattutto nei confronti di Verdini considerato davvero troppo vicino a Renzi e al suo braccio destro Lotti.
Per testare l’affidabilità del senatore toscano di Fi, i fedelissimi di Berlusconi stanno anche cercando un proprio canale di comunicazione con Palazzo Chigi e lo hanno trovato.
Ma è solo un problema della delegazione che tratta con Renzi? Se è così lo strappo di un giorno o di una settimana rischia di essere un altro boomerang per gli azzurri.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
“C’E’ UNO SPAZIO ELETTORALE ENORME TRA SALVINI E RENZI”... MA NON ESCE DALL’EQUIVOCO ALLEANZE
“Siamo in 40, tra deputati e senatori di Forza Italia, a perseguire la nostra battaglia e ad aver votato contro la riforma elettorale e le riforme costituzionali”.
Lo afferma, durante la trasmissione ‘Effetto Notte le notizie in 60 minuti’ di Roberta Giordano su Radio 24, l’eurodeputato di Forza Italia, Raffaele Fitto, considerato il dissidente numero uno della linea di Silvio Berlusconi e del patto del Nazareno.
Fitto è tornato a farsi sentire, in una conferenza stampa, all’indomani della gestione della trattativa per il Quirinale che ha visto Forza Italia subire la candidatura di Sergio Mattarella da parte del premier Matteo Renzi, chiedendo le primarie e l’azzeramento di tutte le cariche.
“Il tema è la linea politica, è la battaglia per le idee nelle quali noi crediamo” spiega Fitto.
“La riforma elettorale è stata un suicidio politico in diretta per il merito e per il metodo con i quali è stata approvata. Abbiamo votato contro le riforme costituzionali non perchè siamo contro le riforme, ma perchè dentro quel provvedimento non c’è nulla che possa lontanamente apparire vicino alle tesi che noi per vent’anni abbiamo sostenuto”.
E alla domanda se la leadership di Berlusconi sia ancora vincente, visto che i “frondisti” chiedono le primarie, l’ex governatore della Puglia risponde: “Berlusconi è un’icona. E quindi non è che si mette in discussione l’icona. Si mette in discussione tutto ciò che si fa”.
Fitto è intervenuto anche alla trasmissione “Agorà ” su Rai3.
“Abbiamo uno spazio enorme tra Salvini e Renzi – afferma -, dobbiamo interrogarci su come rappresentarlo e poi costruire con Salvini e la Lega un’alternativa al governo discutendo nel merito delle questioni”.
L’europarlamentare azzurro continua: “Non dobbiamo parlare di come andare dietro a Renzi, ma di come fare opposizione in modo serio e credibile dobbiamo farlo aprendo un confronto netto e chiaro che porti all’azzeramento degli organismi del nostro partito. Da questa questione non arretro, e su questo c’è un confronto aperto anche e soprattutto con il presidente Berlusconi”.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 5th, 2015 Riccardo Fucile
UN DRAMMATICO CONSIGLIO DI PRESIDENZA RATIFICA LA ROTTURA
Passano nemmeno 24 ore dall’insediamento di Sergio Mattarella al Colle, che Forza Italia salta per aria.
E si spacca in tre blocchi.
C’è quello dei pretoriani del capo, intanto, che si strutturano e si organizzano in corrente per far fronte in battaglia alla squadra di Raffaele Fitto, la più agguerrita con i suoi 36, e al team ristretto ma potentissimo e Denis Verdini, in questi giorni nell’angolo.
Nella stanza di Maria Rosaria Rossi nella sede del partito in San Lorenzo in Lucina martedì sera si ritrovano una quarantina di big. «Qui bisogna stare insieme, perchè noi siamo Forza Italia, noi siamo dalla parte di Berlusconi» si dicono in quella stanza affollata.
Ci sono la Gelmini e Fiori, la Ravetto e Gasparri.
È ormai la resa dei conti – che ha tutta l’aria di essere brutale e finale – nel corpaccione del grande sconfitto nella partita per il Quirinale.
Brutale perchè attraversata da faide e odi personali, in quella sorta di corte medievale che Silvio Berlusconi fa ormai fatica a governare
Ne fa le spese il patto del Nazareno, che il documento illustrato ieri dal leader all’ufficio di presidenza adesso quasi disconosce.
Quasi, appunto, perchè nel discorso anti-Renzi dell’ex Cavaliere in realtà non si parla mai di rottura, di chiusura definitiva sul cammino delle riforme: «Noi restiamo un’opposizione responsabile, ma non approveremo più nulla che non ci convinca appieno » è la linea dettata da Berlusconi.
Che è tornato a prendersela col premier. «Per me Mattarella resta una figura di tutto rispetto, nulla da eccepire, è il metodo col quale Renzi ha provato a imporcelo che per noi era inaccettabile ».
Toccherebbe a Giovanni Toti fare il duro davanti alle telecamere: «Per noi il patto è rotto, congelato, finito», salvo aggiungere che «certo noi non faremo i kamikaze ».
E quel «meglio così», «mani libere», «ci interessa l’Italia e non Forza Italia» di Serracchiani, Lotti, Boschi dal quartier generale pd non hanno rasserenato gli animi. Ma ci saranno cinque giorni per ricostruire, prima che martedì si torni nel vivo della riforma costituzionale a Montecitorio.
«La verità – come racconta un dirigente della cerchia più ristretta – è che ormai le riforme sono andate, noi quel che potevamo dare e fare lo abbiamo fatto: ora Renzi può anche fare a meno di noi e Forza Italia può smarcarsi e fare il muso duro».
Dalla ripresa dei lavori d’aula si capirà qualcosa in più sulle reali intenzioni di Berlusconi
Certo è che ieri mattina, nel giro di un paio d’ore, Forza Italia è andata in frantumi.
Il leader decide per il colpo di mano. Convoca a Palazzo Grazioli l’ufficio di presidenza ristretto, al quale posso-prendere parte solo gli aventi diritto al voto, una trentina, presenti poco più di venti.
Chi non viene ammesso protesta («Basta con riunioni furtive», la Biancofiore fuoriosa).
Il capo vuole chiudere lì l’analisi della disfatta sul Colle e sulle riforme. Si fa trovare anche Denis Verdini, additato con Gianni Letta come il responsabile principale, il «duo tragico» come l’ha battezzato la Rossi.
Sta seduto da solo in un banco. A sentire i suoi, Verdini è la prima persona che Berlusconi è andato a salutare appena arrivato, gli altri diranno l’esatto opposto: «Isolato, mai avvicinato, silenzioso, andato via senza un saluto».
L’ex premier illustra il documento di una paginetta messo a punto con i fedelissimi la sera prima a cena, con cui si smarca sulle riforme senza alcun cenno alla spaccatuliara del partito.
Renato Brunetta prende tutti in contropiede e ne approfitta per rassegnare le dimissioni (e farsele respingere seduta stante mettendo in difficoltà il Cavaliere).
«Un errore, così si rischia di fare un favore a Fitto che invoca l’azzeramento», fa notare Mariastella Gelmini.
Detto questo, fanno altrettanto i vicecapogruppo Anna Maria Bernini (Senato) e la stessa Gelmini (Camera).
Non lo farà affatto il capo a Palazzo Madama, Paolo Romani, non ritenendosi responsabile di alcunchè, a differenza del collega.
Il documento verrà discusso e approvato dall’assemblea dei gruppi, prima sconvocata per ieri pomeriggio e rinviata a mercoledì prossimo.
Ma negli istanti in cui Berlusconi riunisce l’ufficio ristretto, Raffaele Fitto convoca seduta stante una conferenza stampa a Montecitorio.
Spara ad alzo zero. L’ex Cavaliere viene informato e si lamenta: «Ma come, ieri sera (martedì, ndr) ho parlato a lungo con Fitto, ci siamo lasciati con un abbraccio e la promessa di risentirci l’indomani e poi lui non viene al comitato di presidenza e mi fa una conferenza stampa contro?»
L’eurodeputato pugliese è furente. Pronto ormai a rispondere colpo su colpo.
«Non c’è stato alcun abbraccio e ormai sarà guerra totale, giorno dopo giorno» spiega ai suoi. Vero è invece che in quella sera a cena gli ha offerto una carica di coordinatore non prevista nello statuto.
Lui e la sua corrente sono già pronti. Da fine febbraio parte in giro per l’Italia. Comizi e interviste tv locali, campagna a tappeto quasi fosse il leader di un altro partito.
Ma, dettaglio, sotto il simbolo di Forza Italia. È quel che più fa impazzire Berlusconi. Il timore diffuso, al quartier generale, è che nel giro di qualche settimana si possa chiudere l’asse tra i due big, Verdini (coi suoi Abrignani, D’Alessandro, Fontana e altri) e Fitto (con Saverio Romano, Capezzone, Sisto e tanti altri).
Magari per sovvertire gli equilibri dentro i gruppi parlamentari. Per adesso Fitto alza il tiro. «Sono stati commessi errori clamorosi sulle riforme e sul Colle. Resto nel partito e porto avanti la battaglia, vanno azzerati tutti i vertici, basta con i nominati dall’alto», attacca davanti ai giornalisti.
E rincara: «Non possiamo più partecipare a organismi di partito come l’ufficio di presidenza che per quanto ci riguarda non hanno alcuna valenza nè legittimazione statutaria e politica».
Quanto al patto del Nazareno stracciato non è disposto a scommettere: «Finchè non vedo non credo, vorrei vedere concretamente che le parole si trasformassero in fatti». Parte in tour ma si terrà lontano dalle aree delle regionali, «perchè anche di quell’altra disfatta dovrà farsi carico Berlusconi» dice in privato ai colleghi.
Verdini per adesso tace. Attende. Assai amareggiato, lo definiscono i fedelissimi. Anche con Renzi. Ma soprattutto contro la Rossi, Toti e chi sta provando a neutralizzarlo: «Ma ti rendi conto di quel che ha detto quella nell’intervista rilasciata?» è sbottato nel colloquio di due ore con Berlusconi martedì pomeriggio a Grazioli, Gianni Letta al suo fianco. «Prima di fare i conti meglio attendere il 20 febbraio – dice uno dei più vicini al toscano – Se Denis porta a casa il 3 per cento sull’evasione nella delega fiscale del governo, allora tutto tornerà a ruotare».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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