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LIBERTA’ DI STAMPA, L’ITALIA PERDE 24 POSIZIONI

Febbraio 12th, 2015 Riccardo Fucile

SIAMO 73° TRA MOLDAVIA E NICARAGUA…. GIORNALISTI MINACCIATI DALLA MAFIA E DALLA POLITICA… 129 CAUSE INGIUSTIFICATE PER DIFFAMAZIONE

L’Italia crolla nella classifica mondiale della libertà  di stampa, realizzata come ogni anno da Reporter senza frontiere.
Nel 2014 scendiamo al 73esimo posto, tra la Moldavia e il Nicaragua, perdendo ben 24 posizioni dall’anno precedente.
La ragione, secondo il rapporto di Rsf pubblicato oggi, sono le sempre più frequenti intimidazioni che i giornalisti subiscono, da parte da parte di organizzazioni criminali e non solo.
“La situazione dei giornalisti è peggiorata nettamente nel 2014″, si legge nel report, “con un grande incremento di attacchi alle loro proprietà , specie le automobili”.
Rsf conta 43 casi di aggressione fisica e 7 casi di incendi ad abitazioni e vetture solo nei primi dieci mesi dell’anno.
Ma non è solo la violenza fisica a limitare la libertà  d’informazione nel nostro Paese. Il rapporto conta 129 cause di diffamazione “ingiustificate” contro i cronisti, sempre nei primi 10 mesi del 2014, mentre nel 2013 il dato si era fermato a 84.
La maggior parte delle cause di questo tipo sono intentate da personaggi politici, e “costrituiscono una forma di censura“.
I ricercatori citano la mafia italiana tra gli “agenti non statali” che soffocano l’informazione, insieme all’Isis, Boko Haram e ai cartelli della droga latinoamericani.
In generale, il World Press Freedom Index segna un peggioramento globale nel 2014: “Sotto attacco dalle guerre, dalle crescenti minacce di agenti non statali, da violenze durante manifestazioni e dalla crisi economica, la libertà  dei media è in ritirata in tutti e cinque i continenti”, si legge nel report.
In cima alla classifica della libertà  d’informazione si accomodano, come di consueto, i paesi nordici: prima la Finlandia, seguita da Norvegia e Svezia.
In fondo, anche qui senza sorprese, Turkmenistan, Corea del Nord e, fanalino di coda, l’Eritrea.
La Francia guadagna una posizione fino al 38° posto, gli Usa ne perdono tre e vanno al 49°, il Giappone ne perde due e scende al 61°.
Da segnalare il balzo in avanti del Brasile, che guadagna 12 posizioni e sale al 99° posto.
Tra le altre nuove potenze, la Russia perde ulteriori 4 posizioni e scende al 152° posto, cioè nella fascia bassissima della classifica che contempla 180 posizioni in totale.
Ma sempre meglio della Cina, che riesce a perdere una posizione sprofondando al posto numero 176. Stabile l’Iran al 176° posto.
Il peggioramento globale è “incontestabile”, scrivono i ricercatori di Rsf, che dal 2002 elaborano la classifica in base a una griglia di criteri che vanno dal pluralismo al numero di abusi e aggressioni ai danni della stampa registrati in un determinato Paese. “Nel 2014 c’è stata una drastica caduta della libertà  d’informazione. Due terzi dei 180 Paesi censiti hanno avuto un risultato peggiore rispetto all’anno scorso”.
Tornando all’Italia, Rsf cita l’organizzazione Ossigeno per l’Informazione, che nel 2014 ha conteggiato 421 minacce a giornalisti, con un aumento del 10% rispetto al 2013.
“Le   minacce di morte sono comuni e sono di solito recapitate sotto forma di lettere o simboli, come croci dipinte sulle automobili dei cronisti o proiettili inviati via posta”. Tra i casi citati, quello di Guido Scarpino del Garantista, la cui auto è stata data alle fiamme in provincia di Cosenz, “una roccaforte della ‘ndrangheta”.
L’organizzazione criminale calabrese è annoverata da Reporter senza forntiere tra i “predatori della libertà  di stampa”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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LA PENSIONE ALLA MOGLIE DEL DEPUTATO MAI ENTRATO IN AULA

Febbraio 12th, 2015 Riccardo Fucile

FRANCO BISIGNANO FU DICHIARATO “ELETTO” 15 ANNI DOPO LA FINE DELLA LEGISLATURA… L’ARS GLI VERSO’ LIQUIDAZIONE E VITALIZIO, ORA PASSATO ALLA VEDOVA

Anche la vedova dell’onorevole fantasma ha diritto a una pensione.
L’incredibile storia di Franco Bisignano si arrichisce in questi giorni dell’ultimo capitolo. Il quasi deputato missino, che non mise mai piede all’Assemblea regionale siciliana e malgrado ciò prese liquidazione e vitalizio, è da poco defunto.
Ma la più munifica delle amministrazioni pubbliche continua a “premiare” la famiglia. Con un assegno mensile da oltre mille euro per Franca Rosa Baglione, la moglie del candidato messinese scomparso.
Bisogna fare un salto indietro nel tempo, lungo diversi lustri, per raccontare la paradossale vicenda di Bisignano.
Bisogna arrivare esattamente al 1976. Quell’anno, nel collegio di Messina, l’esponente del Movimento sociale corre e sfiora il seggio.
Arriva secondo dietro tal Antonino Fede, “laureato in giurisprudenza e docente di storia e filosofia nei licei”, che con 14.500 voti si iscrive a pieno titolo fra i deputati dell’ottava legislatura.
Resta regolarmente all’Ars cinque anni, Fede, ma con una spada di Damocle sulla testa: i ricorsi fatti da Bisignano, che contesta all’avversario di non avere la residenza in Sicilia. La stessa causa di ineleggibilità  che, per inciso, precluderà  quasi 35 anni dopo a Claudio Fava la corsa alla presidenza della Regione.
La battaglia di Bisignano si conclude nel ’96.
Quando l’ultimo dei tribunali aditi dal mancato parlamentare si pronuncia a suo favore: scranno conquistato, ma solo virtualmente, perchè intanto la legislatura da lui inseguita si è conclusa da 15 anni.
E l’amministrazione ha pagato in quell’arco di tempo l’onorevole Fede, che teoricamente sui banchi del parlamento non si sarebbe mai dovuto sedere.
L’Ars non si scompone. E per Bisignano, nel 1996, arriva comunque la liquidazione e persino il vitalizio: con un assegno mensile da tre milioni di lire (poi diventati 1.800 euro) preso in anticipo rispetto all’età  pensionabile, in virtù di una “inabilità  al lavoro” che gli viene prontamente riconosciuta.
E tante scuse per il ritardo.
Voi direte: finisce qui. Macchè.
L’onorevole fantasma, per anni, percepisce a casa – perchè così prevede il regolamento – il vitalizio e tutti i benefit collegati alla gloriosa militanza a Sala d’Ercole, in realtà  mai avvenuta.
Bisignano non entrerà  mai in aula, farà  il sindaco di Furnari facendosi chiamare orgogliosamente “onorevole” e non smetterà  di avere un collegamento solido con il parlamento di Sicilia, non disdegnando visite saltuarie agli uffici di un Palazzo che un torto accertato dalla giustizia gli ha impedito di frequentare a pieno titolo.
La morte di Bisignano, avvenuta di recente, non ha interrotto quel legame.
Perchè, sempre in base al regolamento dell’Ars, alla scomparsa di un ex deputato – per quanto solo virtuale – il diritto al vitalizio passa al coniuge.
È la reversibilità , istituto mutuato dal Senato che in Assemblea premia attualmente 113 congiunti di onorevoli passati a miglior vita.
Così, la signora Franca Rosa Baglione ha fatto legittimamente un passo avanti e ha inviato agli uffici di Palazzo dei Normanni la richiesta di avere il contributo.
Ridotto, per carità , a un migliaio di euro al mese. Ma perchè rinunciarvi?
L’istanza è giunta da poco ma sarà  certamente accolta, perchè non c’è alcuna norma che possa essere opposta.
Almeno finchè esisterà  questo regolamento. Non tocca certo ai funzionari dell’Assemblea porsi un problema di opportunità .
La storia infinita di Franco Antonio Bisignano proseguirà , insomma, sulle spalle degli eredi. Con il suo carico di grottesco.
Un beneficio, all’Assemblea regionale, è come un diamante: è per sempre.
Anzi, per più di una vita. Anche se quel diamante, in realtà , ha brillato solo in seguito alla sentenza di un giudice.

Emanuele Lauria

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UBER, QUEGLI INSULTI DELLA TEPPAGLIA ALLA MANAGER

Febbraio 12th, 2015 Riccardo Fucile

NON E’ UNA BRAVATA, E’ UNA VERGOGNA

Una ragazza italiana è uscita per andare al lavoro e ha trovato appeso ai fili elettrici, a 15 metri d’altezza, visibile a tutta la strada, un lenzuolo con la scritta “[nome cognome] è una puttana e riceve in [indirizzo privato]. Per l’assessore [cognome] è gratis”.
Il fatto è accaduto in via Palermo, nel centro di Milano, tra martedì e mercoledì, mentre la gente guardava la prima serata di Sanremo e qualcuno tornava dal cinema
Non ho inserito subito i nomi perchè vorrei vi metteste nei panni di quella ragazza. Immaginate cos’ha provato, uscendo di casa.
Adesso i nomi li posso fare: l’interessata mi ha autorizzato.
Lei si chiama Benedetta Arese Lucini ed è general manager in Italia di Uber. L’assessore è Pierfrancesco Maran.
Qualche mese fa era apparso un suo pupazzo in città , con una foto della signorina all’altezza dell’inguine.
La società  californiana Uber offre trasporto urbano tramite una app ed è presente in 53 Paesi.
Spesso ci sono state incomprensioni, discussioni, negoziati. Ma in nessun posto al mondo è accaduto quello che sta accadendo in Italia.
Ci sono stati episodi di violenza in diverse città , tra cui Milano a Torino.
Benedetta Arese è stata derisa, insultata e minacciata. Fino al lenzuolo appeso, nel giorno delle assemblee dei taxisti.
Non è una bravata: è una vergogna.
Le preoccupazioni dei taxisti sono comprensibili,   le cautele delle amministrazioni ragionevoli, i desideri dei cittadini evidenti (avere trasporti privati efficienti).
Quello che è inaccettabile è aver portato lo scontro a questo punto.
Una città  che si comporta così non può ospitare Expo2015.
Al massimo, una convention internazionale di teppisti.
In quel lenzuolo non c’è, infatti, solo diffamazione e prepotenza. C’è un modo di intendere le donne.
Se Benedetta fosse stata un manager americano, un Ben o uno Stan con i baffi hipster, i toni sarebbero stati diversi.
Intimidire una giovane italiana per scoraggiare un concorrente.
I taxisti di Milano — con cui viaggio quotidianamente, discuto e scherzo –   devono intervenire. Tocca a loro fermare questa deriva. Dicano “Basta”.
Perchè se a Benedetta Arese succede qualcosa, non potranno cavarsela sussurrando “Le solite teste calde!”.
Nell’attesa, un’informazione personale. Non avevo, fino a ieri, un profilo Uber.
Oggi mi sono iscritto. Nei miei spostamenti per Milano sceglierò chi è più professionale, più efficiente, più civile.

Beppe Severgnini
(da “il Corriere della Sera”)

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ALDOVRANDI: CHIESTA AL SENATO AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE PER GIOVANARDI, INDAGATI ANCHE MACCARI DEL COISP E BALBONI DI FDI

Febbraio 12th, 2015 Riccardo Fucile

ACCUSATO DI DIFFAMAZIONE AGGRAVATA PER AVER DETTO CHE LA FOTO ESPOSTA DALLA MADRE DEL RAGAZZO UCCISO DALLA POLIZIA ERA FINTA

Sarà  la giunta per le immunità  parlamentari di Palazzo Madama a decidere se il senatore Carlo Giovanardi dovrà  essere processato per diffamazione aggravata nel caso Aldrovandi.
Dopo la chiusura delle indagini da parte del pm Stefano Longhi, il gip del tribunale di Ferrara Monica Bighetti ha chiesto al Senato l’autorizzazione a procedere in giudizio nei confronti di Carlo Giovanardi.
Il senatore Ncd è accusato di diffamazione aggravata per le frasi rilasciate durante un’intervista al programma radiofonico “La Zanzara” su Radio 24.
Era il giorno successivo al famoso sit-in del sindacato di polizia Coisp contro la carcerazione dei poliziotti condannati per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi.
La madre del ragazzo, Patrizia Moretti, scese in strada mostrando ai sindacalisti la foto del figlio morto, steso sul letto dell’obitorio. Sentito in diretta dal conduttore Giuseppe Cruciani, Giovanardi si lanciò in una uscita che fece scalpore: “Quella foto che ha fatto vedere la madre è una foto terribile, ma quella macchia rossa dietro è un cuscino. Gli avevano appoggiato la testa su un cuscino. Non è sangue”.
Quanto bastava per convincere la Moretti a querelarlo per diffamazione aggravata.
Quella foto, infatti, era vera, ed era entrata nel fascicolo del dibattimento tra gli atti processuali. E l’infelice affermazione del senatore secondo la procura lasciava intendere che la madre del ragazzo avesse distorto la realtà  per “indurre artatamente nell’opinione pubblica un falso convincimento in ordine alle condizioni del cadavere del ragazzo”.
Tutte frasi che secondo la magistratura estense integrano il reato di diffamazione aggravata.
Insieme a Giovanardi sono indagati anche il segretario nazionale del Coisp, sindacato di Polizia, Franco Maccari, e l’ex senatore ferrarese di FdI Alberto Balboni.
Nel corso del congresso regionale del Coisp, tenutosi a Ferrara dopo il sit-in Maccari affermò di fronte alla platea dei sindacalisti “in maniera consapevole e volontaria o comunque senza verificare la fondatezza delle proprie affermazioni” — scrive il pubblico ministero — che “quella foto non è stata ammessa in tribunale perchè non veritiera”.
Rincarò la dose Balboni, senatore ferrarese ex Pdl ora Fdi: “La foto non corrisponde alla verità , è stata usata dal Manifesto (in realtà  era Liberazione, ndr) per una campagna di disinformazione ma è una falsificazione della realtà ”.

Marco Zavagli
(da “il Fatto Quotidiano”)

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SEI MESI DI CONDANNA A UN CLOCHARD PER UN FURTO DA 4 EURO

Febbraio 12th, 2015 Riccardo Fucile

AVEVA RUBATO PER FAME UNA CONFEZIONE DI WURSTEL E UN PEZZO DI FORMAGGIO

Sei mesi per il furto di un pezzo di formaggio e una confezione di wurstel che costavano 4 euro, 4 euro e 7 centesimi per la precisione.
Giudici inflessibili contro un senzatetto che 4 anni fa rubò qualcosa da mangiare in un supermercato genovese.
L’accusa aveva chiesto di ‘attenuare’ il reato, derubricarlo in tentativo di furto spinto dalla necessità  e condannare l’uomo, un ucraino di 30 anni, ad una multa di 100 euro.
Ma i giudici della Corte d’appello hanno confermato la pena, già  inflitta in primo grado, a sei mesi di reclusione, con la condizionale, e una multa di 160 euro.
Lo scorso gennaio, per un fatto analogo, il gip aveva disposto l’imputazione coatta per un genovese di 28 anni accusato di avere rubato una scatola di cioccolatini in un supermercato per un valore di 8 euro.
Anche in questo caso il procuratore avrebbe “graziato” il ladruncolo valutando la lieve entità  del danno e chiedendo l’archiviazione, ma il giudice aveva accolto l’opposizione dei legali del supermercato.

(da “il Secolo XIX”)

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PAPA FRANCESCO CANCELLA LA MESSA DI PASQUA PER I POLITICI

Febbraio 12th, 2015 Riccardo Fucile

DOPO LA SFERZATA DELL’ANNO SCORSO, QUEST’ANNO VENGONO IGNORATI

Quest’anno, nella Quaresima che sta per cominciare, non ci sarà  – a differenza dell’anno scorso – la messa di Papa Francesco per i parlamentari italiani.
L’anno passato il Papa celebrò la messa il 27 marzo con un massiccio afflusso di deputati e senatori, oltre 500, affollatisi in San Pietro nonostante la convocazione all’alba: per la liturgia prevista per le 7 bisognava presentarsi in Vaticano già  alle 6. Oltre a metà  del governo Renzi, a guidare le file dei parlamentari c’erano anche i presidenti di Senato e Camera, Pietro Grasso e Laura Boldrini.
Quest’anno invece, niente di tutto questo.
Il Papa ha rinunciato a convocare i rappresentanti della politica italiana per un’analoga celebrazione.
Lo conferma all’Ansa monsignor Lorenzo Leuzzi, ausiliare della diocesi di Roma e cappellano di Montecitorio che l’anno scorso era stato il tramite per fare arrivare ai politici l’invito del Pontefice.
La messa dell’anno scorso, tra l’altro, aveva in qualche modo spiazzato una parte del ceto politico presente, già  provato dall’alzataccia mattutina.
Il Papa infatti, nell’omelia, aveva puntato il dito contro la “classe dirigenziale” che si è “allontanata dal popolo” che si è “chiusa nel proprio gruppo, partito, nelle lotte interne” e aveva lanciato il suo anatema contro i “corrotti” per i quali “non c’è salvezza”.
Dopo la cerimonia non mancò anche qualche esponente politico che si lamentò dell’eccessiva severità , a suo giudizio, usata dal Papa nei loro confronti.
Va comunque ricordato che, sempre a proposito dei corrotti, in quell’omelia il Papa usò parole – “uomini di buone maniere ma di cattive abitudini” – che il nuovo presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha citato davanti alle Camere riunite, a un anno di distanza nel suo discorso di insediamento.

(da “Huffingtonpost”)

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IL “FOGLIO” DI FERRARA E’ COSTATO 50 MILIONI AGLI ITALIANI

Febbraio 12th, 2015 Riccardo Fucile

GRAZIE A 17 ANNI DI CONTRIBUTI E FINANZIAMENTI PUBBLICI A FAVORE DEI GIORNALI

“Certo, qualcosa al bilancio dello Stato è costato”:   ha detto un rilassato Giuliano Ferrara parlando del suo giornale “Il Foglio” davanti alla Commissione Cultura della Camera dei deputati   nell’ambito dell’esame della proposta di legge del Movimento 5 Stelle per l’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria.
Qualcosa? 50 milioni 899 mila 407 euro, ecco per l’esattezza quello che   “Il Foglio” di Ferrara è costato ai contribuenti a partire dal 1997, data in cui il giornale ha cominciato a riscuotere i contributi pubblici per l’editoria: 2 milioni 994 mila euro l’anno,   250 mila euro al mese, 8 mila euro al giorno. Per 17 anni.
Una bella sommetta.
GIUSTIZIA E’ SFATTA
Nato da un’idea dello stesso Ferrara,   “Il Foglio”, da poche settimane diretto da Claudio Cerasa, si è sempre contraddistinto per i suoi azionisti di gran calibro: oltre il finanziere Sergio Zuncheddu (editore dell’”Unione Sarda”) e lo stampatore Luca Colasanto, l’ex moglie di Silvio Berlusconi, Veronica Lario e l’onorevole azzurro Denis Verdini, tra gli altri.
Sin dalla prima ora si è attrezzato per accomodarsi al ricco banchetto dei contributi statali per l’editoria, partecipando alla spartizione della ricca torta.
All’epoca, lo Stato già  prevedeva, tramite la legge del 1990 sulla “Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l’editoria”, l’elargizione di sovvenzioni alle imprese editrici di quotidiani.
E, tra queste, ai giornali organi di partito.
E cosa ha fatto Ferrara? Ha creato un apposito movimento-partito di cui il suo quotidiano è diventato organo ufficiale: la “Convenzione per la Giustizia”,   fondata con gli allora amici-parlamentari Marcello Pera (Forza Italia) e Marco Boato (Verdi), con la quale si è garantito i requisiti   per accedere ai finanziamenti.
Così, già  nel 1997, al termine del primo anno di pubblicazioni, “Il Foglio” ha incassato la prima tranche di contributi statali:   222 milioni di lire, cioè 115mila euro circa.
SOLDI SOLDI
Dall’anno successivo il quotidiano ha iniziato a raccogliere somme più consistenti: secondo i dati forniti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel 1998 sale a 6,3 miliardi di lire (pari a 3,25 milioni di euro).
Stesso trend per il 1999 con 6,1 miliardi di lire (pari a 3,15 milioni di euro).
Al ritmo di oltre 3 milioni di euro, si calcola che la trovata del giornale di partito ha consentito a Ferrara e al Foglio di percepire nei primi 5 anni qualcosa come 13 milioni e 600mila euro.
RICCHI E COOPERATIVI
Dal 2001, poi, per potere continuare ad accedere al fondo speciale per l’editoria predisposto dalla Presidenza del Consiglio, “Il Foglio”, come molte altre testate, ha mutato la sua struttura giuridica, diventando una cooperativa.
All’interno della legge finanziaria per il 2001 si definiva infatti un nuovo soggetto destinatario delle provvidenze: “imprese editrici di quotidiani o periodici organi di movimenti politici, trasformatesi in cooperative entro e non oltre il 1 dicembre 2001”.
E “Il Foglio” si è puntualmente messo in linea con la nuova situazione.
GIULIANO IN MISERIA
Via perciò con un nuovo inizio: ai 13,6 milioni “raccolti” nei primi 5 anni di vita, il quotidiano ne aggiungerà  sfruttando le nuove regole oltre 37 in poco più di un decennio, a ritmo costante di oltre 3 milioni l’anno con l’eccezione dell’ultimo biennio, in cui si è assistito ad un taglio del fondo che non ha risparmiato neanche il giornale diretto dall’Elefantino Ferrara.
Che,   negli ultimi 3 anni,   ha visto comunque entrare nelle casse della sua creatura la “miseria” di 5 milioni di euro.
Bilancio finale per un giornale non ancora “maggiorenne”: 17 anni di vita, vendite anche molto al di sotto delle 10 mila, oltre 50 milioni di euro, circa 100 miliardi di vecchie lire di pubbliche sovvenzioni.
Eccolo il “qualcosa” che Giuliano Ferrara ha lasciato in eredità  a lettori e contribuenti.

Primo Di Nicola e Francesco Giurato
(da “il Fatto Quotidiano”)

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FATTI NON FOSTE A VIVER COME BRUTI

Febbraio 12th, 2015 Riccardo Fucile

IL CONFLITTO TRA BRUTI LIBERATI E ROBLEDO

A Milano c’è un procuratore aggiunto, Alfredo Robledo, che su incarico del suo capo, Edmondo Bruti Liberati, coordina il pool Reati contro la Pubblica amministrazione (già  Mani Pulite).
Poi il suo capo comincia a sottrargli una serie di fascicoli di sua competenza per assegnarli ad altri dipartimenti che devono occuparsi di tutt’altro (Ruby, Formigoni, Expo), mentre quello sulla Sea lo “dimentica” per mesi in cassaforte.
Robledo lo denuncia prima al Pg di Milano, poi al Csm.
Il primo si volta dall’altra parte. Il secondo apre una pratica su Bruti, ma quando sta per sanzionarlo arriva una lettera di Napolitano al suo vice Vietti, “non ostensibile” ai consiglieri, che intima di salvarlo perchè, essendo capo, può fare quel che gli pare: anche violare le regole dettate da lui.
I consiglieri obbediscono immantinente alla lettera fantasma, sbianchettano i rilievi che avevano mosso a Bruti in due relazioni d’accusa e lo “assolvono”.
Intanto Robledo indaga sui rimborsi pubblici per le spese private dei consiglieri regionali lombardi.
Il 29 gennaio 2014 le agenzie Agi e Asca riferiscono che le indagini riguardano tutti i gruppi consiliari. L’avvocato di alcuni leghisti, Domenico Aiello, si complimenta via sms per la sua imparzialità : “Uomo di parola! Poi grande magistrato”. Robledo risponde: “Caro avvocato, promissio boni viri est obligatio”.
Cos’ha “promesso” Robledo ad Aiello? Che avrebbe indagato a 360 gradi, senza risparmiare nessun partito, anche per non influenzare le elezioni regionali di primavera.
L’aveva detto anche ai due legali del Pd. E così ha fatto.
Indovinate com’è finita? Il Csm che aveva salvato Bruti ha punito Robledo: trasferito ipso facto a Torino con divieto di fare mai più il pm.
Com’era accaduto alla Forleo e poi sia a De Magistris sia ai tre pm di Salerno — Apicella, Nuzzi e Verasani — che osavano indagare sull’insabbiamento delle sue indagini a Catanzaro. Guardacaso, tutti magistrati finiti nel mirino di Napolitano.
Quindi Bruti resta al suo posto, anche se è scaduto a luglio e il Csm s’è scordato di rinnovargli il mandato.
Robledo invece deve traslocare, e alla svelta, perchè restando a Milano un istante di più comprometterebbe “il buon andamento dell’amministrazione dell’ufficio”.
L’ha fregato quello scambio di sms con l’avvocato Aiello (intercettato a Reggio Calabria), che dimostra la sua imparzialità , almeno agli occhi di un lettore sano di mente.
Per il Csm invece è “la plastica conferma del rapporto opaco con l’avvocato che fruiva di fonti informative privilegiate in Procura” (una: Robledo) e della sua “contiguità ” con esponenti politici “in vista di uno scambio di favori”.
Quali notizie segrete avrebbe fornito Robledo ad Aiello? Che avrebbe indagato su tutti i consiglieri sospettati (cioè che avrebbe fatto il suo dovere) e che aveva disposto intercettazioni (peccato che non le avesse disposte, infatti Aiello dice di non aver appreso la notizia falsa da lui, ma dai giornalisti nel corridoio della Procura).
Quali notizie segrete avrebbe fornito Aiello a Robledo? “atti riguardanti la richiesta di immunità  presentata al Parlamento europeo da Gabriele Albertini” che Robledo aveva denunciato. Peccato che le presunte rivelazioni risalgano al 18-19.12.2013 e che Albertini abbia chiesto l’immunità  a fine gennaio 2014.
Per questa e altre bufale, Robledo è stato degradato sul campo e trasferito con ignominia.
Il tutto grazie all’azione disciplinare avviata dal Pg della Cassazione Gianfranco Ciani, che nel 2012 convocò Piero Grasso su richiesta di Mancino & Napolitano (a proposito di rapporti contigui e opachi) per parlare di “avocare” da Palermo l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.
Il classico bue che dà  del cornuto all’asino.
Qualcuno dirà : chissenefrega, beghe fra toghe.
Errore: a furia di raffiche contro i non allineati, il Csm sta inoculando nella magistratura il virus di una mutazione antropologica che sostituisce i principi costituzionali di eguaglianza e di indipendenza con i vizi del conformismo e del servilismo.
Alla fine, a pagarne il conto, saremo noi cittadini.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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ADDIO ALLA ROBIN TAX, “E’ INCOSTITUZIONALE”: BUCO DA UN MILIARDO

Febbraio 12th, 2015 Riccardo Fucile

LA CONSULTA BOCCIA L’ADDIZIONALE IRES SULLE COMPAGNE ENERGETICHE, NO A EFFETTI RETROATTIVI

La Robin Tax non vale, non rispetta la Costituzione: varata nel 2008 dal governo Berlusconi per rimpolpare le casse dello Stato, la tassa romanticamente ribattezzata come l’eroe della foresta di Sherwood perchè penalizzava i “ricchi” (petrolieri e società  energetiche) per aiutare i “poveri”, d’ora in poi non potrà  più essere applicata.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, precisando che la sentenza non avrà  effetti retroattivi.
I bilanci dello Stato quindi, almeno per quanto riguarda gli incassi del passato, sono salvi.
Dopo sette anni di polemiche, il tributo fortemente voluto dall’allora ministro delle Finanze Giulio Tremonti cesserà  dunque di produrre effetti.
Società  petrolifere ed energetiche non dovranno più versare alcuna addizionale Ires. Lo stabilisce la sentenza redatta dal giudice Marta Cartabia, che puntualizza però due aspetti.
Lo scopo del legislatore «appare senz’altro legittimo» precisa; tanto più che quello energetico- petrolifero è un settore di «stampo oligopolistico, popolato da pochi soggetti», in cui «le ordinarie dinamiche di mercato faticano ad esplicarsi».
Un intervento fiscale ad hoc quindi, era giustificato; ciò che la Consulta ha bocciato è il modo in cui il tributo è stato applicato.
Tre i punti contestati: la Robin Tax, benchè interessi soggetti con ricavi superiori a una certa soglia (25 milioni scesi a 10 con le modifiche alla legge), grava su tutto il reddito prodotto, non solo sugli extra-profitti.
Inoltre l’addizionale, nata per fronteggiare una «congiuntura economica eccezionale», è diventata «strutturale».
E senza prevedere meccanismi in grado di garantire che gli oneri in più non si traducano in un aumento del prezzo al consumo. Sentenza che non lascia spazio ai dubbi, ma che non avrà  effetti retroattivi anche perchè, se così fosse stato, sarebbe stata necessaria «una manovra finanziaria aggiuntiva».
Certo è che, fatto salvo il gettito ottenuto dal 2008 ad oggi, per il futuro si apre un “buco”: mancherà  una quota alle entrate previste per il 2015.
Quanto? Secondo Autorità  per l’Energia nel 2014 la Robin Tax ha consentito di incassare circa un miliardo di euro dalle società  energetiche.
Quest’anno, la somma attesa era un po’ più bassa perchè sono calati consumi, prezzo del greggio e anche l’aliquota (dal 10,5 al 6,5%).
Enrico Morando, vice ministro dell’Economia, non esita a definire la sentenza «storica. Credo sia la prima volta che la Consulta si fa carico della possibile violazione dell’articolo 81 della Costituzione derivante da una sua decisione. In precedenza, le sentenze sono state sempre additive, senza alcuna preoccupazione per gli effetti sul bilancio».
«Come mai ora sì e prima no?
Semplice — aggiunge Morando — prima non era in Costituzione il principio dell’equilibrio di bilancio, nè quello della sostenibilità  del debito. Alla faccia di quelli che dicevano che il nuovo articolo 81 della Costituzione non cambiava niente».
Soddisfatte le aziende interessate (secondo stime del Politecnico di Milano nel 2014 sono circa 700 le società  del settore energetico cui è stata applicata la maggiorazione Ires), anche perchè nell’immediato si sono subito avvantaggiate in Borsa.
Terna ha guadagnato il 2,26 per cento, Snam il 2,96, Enel Green Power il 2,19, A2A l’1,19, Enel lo 0,36, Iren il 3,87 per cento ed Erg lo 0,92.
Assoelettrica, attraverso il presidente Chicco Testa, ritiene sia stata «risolta un’ingiustizia ma questo non cancella i danni del passato».
«E’ una buona notizia — ha aggiunto il numero uno dell’Unione petrolifera, Alessandro Gilotti — ora dovremo approfondire le ricadute sia sotto il profilo economico che amministrativo ».

Luisa Grion
(da “La Repubblica“)

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