Febbraio 21st, 2015 Riccardo Fucile
APPENA LO 0,6% DEI CARCERATI ITALIANI SONO COLLETTI BIANCHI, DIECI VOLTE MENO DELLA MEDIA UE
L’evasione fiscale e corruzione dilagano in Italia, il governo tratta ancora sul falso in bilancio per
una minima soglia di impunità implicita o esplicita, in commissione Giustizia del Senato si va a rilento sul ddl anticorruzione che giace in un cassetto dal 2013, Confindustria piange perchè non vuole il minimo inasprimento della legge sul falso in bilancio, la direttrice generale Marcella Panucci ha adombrato presunte fughe delle aziende straniere se non ci saranno soglie di impunità e se ci sarà la procedibilità d’ufficio senza alcuna distinzione, ma i dati italiani ed europei raccontano un’altra storia.
Il nostro Paese rispetto ad altri dell’Unione è il fanalino di coda della lotta all’evasione ed altri reati del genere: anche per questo le società estere non investono più nel nostro Paese
Come ha scritto Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, in Germania i criminali economici e finanziari in carcere sono 7.986, in Italia appena 230.
Sono dati contenuti nel rapporto del Consiglio d’Europa del 2014, a cura di Marcelo F. Aebi e Natalia Delgrande dell’Università di Losanna, e si rifanno alla realtà del 2013.
Rispetto al tipo di detenuti che ci sono in Italia, la maggioranza è in carcere per spaccio di droga: il 37,9%.
A seguire, il 16,3% per omicidio o tentato omicidio, il 14,7% per rapina, il 5,2% per furti, il 5,1 % per stupri e solo lo 0,6% per reati economici.
Cioè ogni 65 detenuti per spaccio c’è un colletto bianco in carcere.
Ben diverse le cifre di altri paesi europei. In Francia, Croazia e Finlandia 1ogni 2 spacciatori. In Olanda e Svezia 1 ogni 4. In Danimarca 1 ogni 6. In Inghilterra 1 ogni 7. In Spagna 1 ogni 9, in Irlanda 1 ogni 23.
Questi e altri dati ancora pongono l’Italia all’ultimo posto in Europa per repressione dei reati economici.
La media europea è del 5,9% della popolazione carceraria rispetto allo 0,6% dell’Italia. Cioè un decimo.
Antonella Mascali
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 21st, 2015 Riccardo Fucile
ACCERTATA UNA “DIFFUSA ILLEGALITà€ DEL VERTICE DEL PARTITO”
L’ indagine sul Mose è chiusa. La Procura ha depositato gli ultimi atti d’inchiesta, con nove indagati, per i quali è imminente la richiesta di rinvio a giudizio, e due richieste di archiviazione per i parlamentari Pd Davide Zoggia e Michele Mognato.
Le accuse — formulate dai pm Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini — variano dalla corruzione al finanziamento illecito dei partiti e in una dozzina di pagine viene descritto il sistema Mose, la più ingegnosa opera pubblica pensata in Italia, che con il suo sistema di paratie dovrebbe proteggere Venezia dall’acqua alta.
Non l’ha protetta di certo da un giro di mazzette che, tra tangenti, finanziamenti elettorali e contratti fasulli, è costato di certo 22 milioni di euro ma, in realtà , potrebbe aver toccato il miliardo.
A capo del sistema c’era Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, aveva incaricato Luciano Neri e Federico Sutto di costituire un fondo, incassando denaro contante da alcuni consorziati, tra i quali Piergiorgio Baita per l’impresa Mantovani e Alessandro Mazzi per conto della Grandi lavori Fincosit, per eludere i controlli corrompendo funzionari pubblici.
Esemplare il caso di Patrizio Cuccioletta, accusato di aver ricevuto, attraverso il “fondo Neri”, nella sua qualità di presidente del magistrato alle Acque di Venezia, uno stipendio annuale di 400mila euro, bonifici da 500mila euro su un conto in Svizzera, contratti di collaborazione per i suoi parenti, voli con aerei privati, alloggi e pranzi in alberghi di lusso a Venezia e Cortina d’Ampezzo.
Allo stesso scopo, un altro presidente dell Magistrato delle Acque, Maria Giovanna Piva, tra il 2001 e il 2008, aveva ricevuto un altro stipendio annuo da 400mila euro più un incarico da collaudatore del Mose per ben 327mila euro.
Il sistema Mose funzionava così, si oliava ogni passaggio destinato al controllo, e per la Corte dei Conti, secondo l’accusa, il “fondo Neri” foraggiava il magistrato Vittorio Giuseppone, che nel frattempo era passato dalla sezione di Venezia a quella di Roma, e incassava dai corruttori, con cadenza semestrale, uno stipendio annuo tra i 300 e i 400mila euro dal 2000 al 2008.
Ma il Mose era anche una vacca da mungere e, in questo caso, a guadagnare erano i politici.
Giancarlo Galan incassava finanziamenti per le sue campagne elettorali e “faceva ristrutturare” la sua “villa Rodella”, a Cinto Euganeo, per un costo che l’accusa indica in 1,1 milioni di euro.
A ottobre Galan ha patteggiato una pena di 2 anni e 10 mesi e ha subìto una confisca per 2,6 milioni di euro.
Restando nel centrodestra, l’indagine si chiude per l’ex europarlamentare di Forza Italia, Lia Sartori, accusata di aver incassato dal Consorzio Venezia Nuova, fuori bilancio, finanziamenti elettorali che, per se stessa e il partito, ammontano a 200mila euro.
Archiviate invece le posizioni dei parlamentari veneti del Pd Davide Zoggia e Michele Mognato.
Il primo, fedelissimo di Pier Luigi Bersani, compariva anche in un “pizzino” sequestrato dalla Gdf, che lo vedeva destinatario di un finanziamento da 40mila euro per una campagna elettorale e altri 15mila euro come consulente dal Coveco: soldi che lo stesso Zoggia, al Fatto Quotidiano, aveva ammesso d’aver incassato, ma registrandoli regolarmente.
E infatti non è per questo che viene indagato, ma per le dichiarazioni dell’ex sindaco del Pd Giorgio Orsoni, che ha già patteggiato la condanna per i soldi, intascati in nero dal Consorzio, durante la sua campagna elettorale.
Dichiarazioni che, però, non hanno trovato un sufficiente riscontro probatorio. L’accusa, archiviando la posizione di Zoggia e Mognato, descrive però un “sistema di perniciosa dissipazione di risorse pubbliche a beneficio delle forze politiche”.
Tra le forze politiche anche il Pd e i tre pm descrivono un “quadro di diffusa illegalità ” nel quale “gli esponenti di vertice dei locali partiti politici erano soliti farsi finanziare le campagne elettorali con contributi illecitamente corrisposti dal Consorzio Venezia Nuova e dalle società aderenti al Consorzio”.
Il sistema non funzionava soltanto per il Pd e non soltanto a livello locale: “Il quadro — continuano i pm — è aggravato dalla circostanza che la scelta del presidente del consorzio, di finanziare sistematicamente tutti i partiti, indifferentemente dalla loro collocazione politica — sia che occupassero posizioni di maggioranza che di opposizione, sia a livello locale che nazionale — fosse strategica e finalizzata all’acquisizione e al consolidamento di un consenso politico trasversale”.
Ma i pm devono fermarsi a Orsoni, perchè è stato “difficile” individuare gli “ulteriori percettori finali delle somme illecitamente corrisposte”.
“Una difficoltà — continuano — che comporta l’impossibilità di iniziare un’azione penale”, verso Zoggia e Mognato, per i quali non “sussistono — rispetto a Orsoni — eguali elementi” d’accusa e si rifiutano di applicare il “principio del non poteva non sapere”.
Per i due viene quindi richiesta l’archiviazione.
Ma resta che il Mose rappresenta “l’affresco allarmante, sintomatico di una sprezzante indifferenza non solo per la legalità , ma anche per la corretta destinazione di beni comuni, dirottati arbitrariamente e interessatamente verso utilizzazioni clientelari e di favore”.
Un affresco, concludono i pm, che “è solo in parte vulnerato dalla difficoltà di individuare con precisione (al di là della chiara posizione del sindaco Orsoni) gli ulteriori percettori finali delle somme illecitamente corrisposte”.
Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 21st, 2015 Riccardo Fucile
L’EX MINISTRO LANZETTA ERA IL SIMBOLO DELL’ANTIMAFIA, ORA IL PD L’ATTACCA: “STAI ZITTA, SEI UNA STALKING”
Parla Maria Carmela Lanzetta, ex sindaca antimafia di Monasterace e ministro del governo Renzi
per una breve stagione, e dice quella verità che tutti in Calabria sussurrano.
Non siamo ancora al “ridatece il puzzone”, nel senso dell’ultimo governatore assurto a simbolo della malapolitica alla ‘nduja, Peppe Scopelliti, ma poco ci manca.
Il sole dell’avvenire promesso da Mario Oliverio, l’ex comunista duro e puro vincitore col 61 per cento alle Regionali, non è mai spuntato.
Dalla Sila all’Aspromonte, dalle Serre alle spiagge bianche di Africo, tutto è avvolto dal nero della notte degli inciuci, del trasformismo, degli accordicchi e degli “accurduni” fatti dai soliti, antichi e bipartisan gruppi di potere
Rassegnata alla farmacia
La Lanzetta ha smesso il tailluer con stivali da ministro della Repubblica — che imbarazzò i duri e puri del nuovo look renziano — per indossare nuovamente il camice bianco da farmacista.
Nella sua Monasterace ora è alle prese con antibiotici e lassativi, ma non dimentica. Renzi le aveva chiesto di tornare nella sua Calabria da assessore, lei aveva accettato, ma subito si era scontrata con “l’affaire De Gaetano”.
Nel senso di Nino, ex rivoluzionario di Rifondazione comunista folgorato sulla via del Nazareno.
Non candidato come consigliere regionale, Oliverio lo ha ripagato con una poltrona da assessore regionale ai trasporti e alle infrastrutture.
Tutti antimafiosi nel Pd, pronti ad approvare codici etici e proclamare impegni solenni per la legalità . A parole, però.
Perchè la memoria è corta e tutti, Oliverio in testa, dimenticano quei passaggi di una inchiesta giudiziaria non a caso chiamata Il padrino.
Non c’è Marlon Brando, assente pure Michael Corleone, ma gli affari e le relazioni della famiglia mafiosa dei Tegano, una delle più antiche e potenti di Reggio.
Uomini di panza che muovono voti e distribuiscono santini elettorali. Quelli di De Gaetano furono trovati nel covo del boss Giovanni Tegano.
Nessun reato, per carità , nessuna colpa, per l’amor di Dio, anzi, i magistrati all’epoca non tennero in alcun conto il suggerimento della Squadra Mobile di Reggio che proponeva l’arresto per De Gaetano.
L’opportunità politica — necessaria nella Calabria dove nel consiglio regionale precedente furono ben tre i consiglieri arrestati — viene buttata nel cestino e De Gaetano diventa assessore.
Con la Lanzetta che avrebbe dovuto affiancarlo.
Tutti insieme, chi aveva i santini a casa del boss e chi dai boss era stata minacciata: la Calabria politica non finisce mai di stupire.
Il resto della storia è nota, Maria Carmela Lanzetta, sostenuta dal braccio destro di Renzi, Graziano Delrio, sbatte la porta e non accetta. “Il caso De Gaetano — fanno sapere da Palazzo Chigi — non è sufficientemente chiarito”.
Nel Pd calabrese semplicemente “se ne fottono”.
Tacciono tutti, parla solo l’ex ministra. “Il silenzio del segretario regionale, sia sulle dimissioni del ministro Lanzetta, sia sulla nomina di De Gaetano, la dice lunga sul disagio di un partito in cui sembra che sia prevalsa la restaurazione”.
Una lunga lettera nella quale viene reso esplicito “il disagio a parlare di regole e legalità come esponente del Pd”.
La Calabria è una repubblica democratica fondata sull’inciucio.
Dovrebbe essere questo l’articolo 1 di un nuovo ipotetico statuto regionale. Ernesto Magorno, segretario del partito di strettissima fede renziana, è la fotografia vivente dell’inciucio come via calabrese alla rottamazione desiderata.
C’è un video che lo immortala e che racconta più di mille analisi sociologiche la politica in queste latitudini.
Anni passati, l’onorevole Magorno è sindaco di Diamante, il nuovo potere è targato centrodestra e Peppe Scopelliti, il governatore costretto alle dimissioni dopo una condanna a sei anni per i bilanci del Comune di Reggio, il padrone della Calabria. “Cambiare insieme”, è il tema di una iniziativa pubblica. Scopelliti ascolta, Magorno parla: “Non si preoccupi, la politica non può essere insulto, demagogia, la politica è una cosa alta. Vada avanti, presidente, lei avrà il consenso, l’affetto, il sostegno, anche di quelle parti che in questo momento guardano alla Calabria e vogliono che i calabresi diventino a pieno titolo cittadini italiani ed europei”.
Applausi e commossa stretta di mano di Scopelliti.
All’assalto della cassa
Inciucio, differenze e contrapposizioni politiche annullate, anche nella gestione del pozzo senza fondo delle società partecipate e delle fondazioni.
Una mammella gonfia che allatta clientele e politici trombati.
La Corte dei Conti ha censito 12 enti strumentali, 5 fondazioni e 21 partecipate, costo per il contribuente calabrese 230 milioni l’anno. Nomi e obiettivi fantasiosi.
Film Commission, affidata dal centrodestra a un fedelissimo, Ivano Nasso, uno che candidamente ammise di “non vedere film in tv, solo fiction”. In Calabria non si gira neppure uno spot, eppure la Film Commission nel 2013 ha speso 18mila euro in cococo e consulenze.
Sempre meno dei 350 mila euro stanziati dalla Fondazione Mediterranea Terina (41 dipendenti) per un progetto di 18 mesi finalizzato a un “machting continuo” (“cu minchia è? ”, si chiedono da queste parti) “tra produttori calabresi e i principali attori del mercato cinese”.
Il penultimo scandalo si chiama “Calabria etica”, la fondazione presieduta da Pasqualino Ruberto.
Lui è del centrodestra e alla vigilia delle elezioni regionali fa assumere 700 persone, elettori grati e fedelissimi. Pasqualino, però, pensa anche alla famiglia, e trova un posto alla fidanzata. L’etica va a donne di facili costumi, la Calabria pure, e la magistratura apre fascicoli. E Ruberto? Sottolinea, smentisce, chiarisce e intanto si candida a sindaco di Lamezia.
Parola d’ordine: la legalità prima di tutto.
L’ultimo scandalo, ma solo al momento in cui scriviamo, è targato “Calabresi nel mondo”. Altra società della Regione.
Solito festival delle buone intenzioni nello statuto (“crescita e competitività del sistema economico”), soliti soldi buttati al vento e una caterva di assunzioni. Bipartisan, però. Presidente dei calabresi sparsi sul globo, è Pino Galati, deputato di Forza Italia noto alle cronache mondane per il suo ex riportino ai capelli e per aver unito il nord e il sud dell’Italia con un matrimonio.
Lui calabrese ha sposato la leghista bergamasca Carolina Lussana. È buono di cuore, l’onorevole presidente, e nel distribuire posti non ha guardato all’appartenenza politica: tra i cento assunti figurano un ex vicesindaco e un assessore in carica della giunta di centrosinistra di Lamezia, un rappresentante dell’Arci ed esponenti delle coop.
La legge elettorale scritta in calabro
Inciucio anche quando si tratta di riformare la legge elettorale. La questione è complessa e rasenta Bisanzio.
In soldoni: prima dello scioglimento, il vecchio consiglio regionale approva la nuova legge. Tanti articoli e un giallo. Perchè è solo dopo le elezioni del novembre scorso, che Wanda Ferro, candidata voluta da Berlusconi per arginare la disfatta, si accorge che, pur avendo perso col 23,1 per cento, per lei non c’è posto in Consiglio.
Insomma, la legge non prevede l’elezione del miglior perdente come negli anni passati. Lei fa ricorso, Oliverio e la Regione oppongono controricorsi, mentre si affaccia un dubbio atroce: la legge mandata a Roma forse non è quella approvata alla Regione.
“Ho il sospetto — dice l’ex consigliere regionale Giuseppe Caputo — che il testo sia stato modificato ad hoc da qualche manina esperta”.
Lo sfogo della farmacista Lanzetta si apre con una frase di Pasolini: “La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza”.
La “solitudine” in Calabria è una brutta bestia. Soprattutto quando ti batti per una politica pulita e hai il tuo partito contro.
“La Lanzetta la smetta con lo stalking politico e umano nei confronti dell’assessore De Gaetano. Da lei non prendiamo lezioni di moralità ”.
Hanno scritto così i cinque segretari provinciali del Pd calabrese.
Enrico Fierro
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 21st, 2015 Riccardo Fucile
VIENE A GALLA UFFICIALMENTE LA FRATTURA TRA FORZE DELL’ORDINE E IL MINISTRO SFIDUCIATO DA TEMPO
L’offesa a Roma sorprende Alfano dall’altra parte dell’Atlantico, a Washington, e gli consiglia il silenzio. Che prosegue nella trasvolata di ritorno.
E nelle ore immediatamente successive al suo arrivo a Roma, ieri mattina alle 9.
Come sempre quando tira brutta aria, il ministro lascia infatti che a metterci la faccia – a giustificare se stessi e le scelte di ordine pubblico – siano il prefetto della città , Giuseppe Pecoraro, e il questore, Nicolò D’Angelo, il quale, nel pomeriggio, pretende e ottiene al telefono con l’altrettanto silente capo della Polizia, Alessandro Pansa, di essere autorizzato a rispondere pubblicamente a chi ne chiede la testa.
Per lunghe ore, il ministero dell’Interno è una sedia vuota, al contrario di quelle affollate al primo piano della Questura, dove D’Angelo, affiancato da ufficiali dell’Arma, rivendica in una conferenza stampa le decisioni prese di fronte alla scelta tanto diabolica, quanto inaccettabile, cui lo costringe l’assenza di qualsiasi direttiva certa che l’autorità politica di pubblica sicurezza – il ministro, appunto – avrebbe da tempo dovuto dare in materia di ordine pubblico.
“Tra il morto e la Barcaccia – dice il questore – scelgo e continuerei a scegliere la Barcaccia”. Ed è chiaro – aggiunge – che il problema sono le ragioni per cui si finisce per trovarsi di fronte a quella scelta. Che però non sono affar suo. Fa di più, D’Angelo. Spiega che, in piazza di Spagna, “si è perso tutti insieme “.
Quindi, a favore di telecamere, scandisce: “Se mi ritengono inadeguato, sono qui”.
È una mossa che, in un Paese normale, metterebbe il ministro dell’Interno di fronte a una scelta obbligata.
Rimuovere il questore o presentare le proprie dimissioni riconoscendo che la “verità ” inaccettabile pronunciata in quella conferenza stampa – “O il morto o la Barcaccia” – nel proporre l’immagine impietosa dell’impotenza di un Paese e dei suoi apparati di sicurezza, interpella l’assenza di direzione politica dell’ordine pubblico.
Peggio, la sua ipocrisia, generalmente consigliata dalle circostanze (correva il lontanissimo 1997 quando, per dire, l’allora questore di Roma Rino Monaco venne crocifisso per aver usato la mano pesante con 15 mila hooligan inglesi a Roma).
A maggior ragione se nelle stesse ore il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, viene convinto dal suo staff ad una presa di posizione pubblica in sostegno dei 1.800 tra poliziotti, carabinieri, finanzieri che hanno fronteggiato l’orda alcoolica olandese.
Alfano, al contrario, si fa ” junco che si cala ” in attesa che passi la china .
E quando è sera, fa sapere – inconsapevole dell’effetto grottesco della velina – di essere “al lavoro sul piano di impiego di 500 militari in più a Roma previsti dall’operazione “strade sicure”; sul progetto di legge per la sicurezza delle città e decoro urbano per il quale intende incontrare nei prossimi giorni il presidente dell’Anci Fassino; su una proposta da avanzare in sede Ue per l’introduzione di un “daspo” continentale per i tifosi violenti”.
La verità è che il ministro sa che il questore di Roma conta, in questo momento, più di lui.
E non solo e non tanto perchè ha la fiducia del presidente del Consiglio e del suo partito, nonchè del capo della Polizia.
Ma perchè in poche ore, dietro il flusso di coscienza di una conferenza stampa che mostra come il Re sia nudo, si stringono tutte le sigle sindacali di Polizia. Da destra a sinistra.
Come se in quella sincera denuncia di una resa al principio inaccettabile della “riduzione del danno” ci fosse finalmente la denuncia dell’ipocrisia della politica.
Della logica del capro espiatorio, normalmente cercato in uno degli anelli dell’apparato. Un metodo battezzato da Alfano nell’estate del caso Shalabayeva.
Del resto, appena tre mesi e mezzo fa, D’Angelo era stato chiamato a rispondere – e con lui Pecoraro – dei manganelli alzati con troppa solerzia ed energia sulle teste degli operai della Thyssen in piazza dei Cinquecento.
E allora – per ragioni opposte a quelle di queste ore – sempre nel silenzio del capo della Polizia, Alfano era andato in Parlamento per provare a tenere insieme l’impossibile.
Per distribuire solidarietà a manganellati e manganellatori, evitando di spiegare cosa fosse andato storto in piazza e soprattutto a quali direttive di ordine pubblico prefetti, questori, e con loro polizia, carabinieri, finanza avrebbero dovuto e dovrebbero attenersi.
Una domanda cui il ministro dell’Interno non ha mai trovato il tempo di rispondere. E che, non a caso, il questore di Roma torna a sollevare con estrema concretezza.
“Il prossimo 28 febbraio – dice riferendosi alla manifestazione organizzata a Roma da Matteo Salvini e dalla Lega e all’annuncio di contro-cortei degli antagonisti per “negargli la piazza” – avremo una giornata in cui i segnali che arrivano non sono tranquillizzanti. Ma se interveniamo massivamente su cortei del genere che facciamo?”.
Già , che si farà ? Si negherà a Salvini quello spicchio di Roma che è stato concesso all’incontinenza olandese?
Si useranno con gli antagonisti le maniere sconsigliate per 500 hooligan?
Dove verrà tracciato il confine invalicabile della “tolleranza”?
E chi se ne assumerà la responsabilità politica?
Un ministro dell’Interno o, ancora una volta, un Questore o un Prefetto della Repubblica, che sulla carta restano autorità “tecniche” di pubblica sicurezza?
Carlo Bonini
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 21st, 2015 Riccardo Fucile
FA SCALPORE IN OLANDA L’EDITORIALE DEL CORRISPONDENTE DEL “DE TELEGRAAF”
Gli italiani non capiscono. Non solo sono molto arrabbiati con i tifosi del Feyenoord, ma sono
soprattutto delusi.
Ma l’Olanda non era un paese così civile? Allora com’è possibile quello che è successo?
Con chiunque si parli in Italia tutti sono veramente allibiti.
I tifosi del Feyenoord non solo hanno procurato danni ingenti a Roma, ma anche all’immagine dell’Olanda. Eppure fino a questa settimana l’immagine dell’Olanda in Italia era buona.
In genere, noi olandesi veniamo associati in Italia a cose positive.
Secondo gli italiani saremmo un paese ben organizzato, dove tutto si svolge in modo efficiente, dove non c’è corruzione, dove le persone sono gentili, eccetera.
A volta sono costretto a moderare l’entusiasmo degli italiani. L’Olanda non è l’Eden. Esagerano.
Ma spiegare ai media italiani, che dalla mattina presto fino alla sera tardi mi hanno telefonato per commentare quello che è successo a Roma giovedì scorso, che cosa hanno combinato questi teppisti ubriaconi olandesi, non è per niente facile.
Provate un po’ a spiegare che cosa passa per la testa a qualcuno che scatena il finimondo in una delle città più belle del mondo.
“Che strano, non me lo sarei mai aspettato dagli olandesi. Come si può giustificare un comportamento del genere?”, mi chiede la simpatica giovane tassista che la mattina presto mi accompagna al primo studio televisivo dove inizierà la mia convulsa giornata.
“Giustificare? Ma siamo pazzi? Io non giustifico proprio niente! Ancora di più, io non posso e neppure voglio chiarire quello che è successo”, rispondo io.
Provare anche solo una volta a comprendere questi vandali o anche solo cercare di spiegare che cosa hanno fatto è la cosa più stupida che si possa fare.
Bisogna solo condannarli e basta.
Vivo ormai da quasi la metà della mia vita in Italia.
Mi vergogno dei nostri connazionali che si sono comportati in modo così idiota.
E sono orgoglioso di vivere in una città così splendida come Roma, un museo a cielo aperto. Chi tocca Roma, tocca me.
Questa meravigliosa città merita tutto il rispetto.
Maarten van Aalderen
(da “De Telegraaf”)
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Febbraio 21st, 2015 Riccardo Fucile
PER 19 CONDANNATI PER DIRETTISSIMA VALE LA CONDIZIONALE E SONO GIA’ A CASA… E LE SANZIONI DA 30 A 45MILA EURO NON LE PAGHERANNO MAI
“Quelli che abbiamo individuato, li puniremo con grande severità e durezza” ha dichiarato all’istante il premier Matteo Renzi, dopo le violenze dei tifosi olandesi del Feyenoord nella Capitale.
La severità e la durezza, però, come vedremo non sono affatto certe.
Roma per due giorni s’è trasformata in un campo da guerra. Le ore di guerriglia, con fumogeni e bombe carta in piazza di Spagna e con la Barcaccia del Bernini danneggiata, finiscono con le prime 19 condanne per direttissima nei confronti degli hooligans del Feyenoord.
Partiamo dai loro reati: resistenza, lesioni e oltraggio a pubblico ufficiale. Otto ultras hanno patteggiato una pena di sei mesi di reclusione, commutata dal giudice monocratico in 45mila euro ciascuno, unito al divieto di dimora nella Capitale.
È certo che pagheranno questa cifra?
“Dobbiamo augurarci che i condannati posseggano dei beni per ottenere la riscossione della pena”, dice una fonte investigativa a ilfattoquotidiano.it.
“Anche se arrivano rassicurazioni dall’ambasciatore olandese sulla massima collaborazione per punire i colpevoli, per aggredire eventuali patrimoni dei condannati — continua la nostra fonte — è comunque necessaria una collaborazione tra Italia e Olanda che funzioni alla perfezione”.
Collaborazione che sarà necessaria anche per due condannati che, invece, non hanno patteggiato e dovranno pagare rispettivamente 30mila e 40mila euro ciascuno.
C’è poi il caso di chi, invece, è stato condannato alla reclusione: per sei hooligans è stata disposta la pena di 8 mesi, per altri tre, invece a 1 anno e 4 mesi di reclusione, oltre il Daspo e il divieto di dimora a Roma, che è stato inflitto a tutti.
Sconteranno la pena? E dove? Per tutti loro, c’è la sospensione condizionale, perchè la loro condanna non è superiore ai due anni. Quindi niente carcere.
A meno che non dovessero commettere un altro reato, perchè, nell’ipotesi, sconterebbero anche la pena che per ora è sospesa, ma questo è ovviamente un altro discorso.
“Sono reati minori — continua la nostra fonte — e punirli pesantemente non è possibile”.
E arriviamo a i fatti di Piazza di Spagna, per i quali sono stati convalidati gli arresti di altri quattro tifosi.
I reati sono sempre lesioni e resistenza a pubblico ufficiale ma, per loro non c’è ancora alcuna condanna: il processo è stato fissato per il 24 febbraio.
Se la lista delle accuse dovesse allungarsi, se si dovessero superare i tre anni di pena, il discorso potrebbe cambiare.
Ci sarebbero altre ipotesi di reato — oltre a quelle già contestate anche agli altri hooligan — tra cui il danneggiamento di opere d’arte — per il quale la pena può arrivare a 15 anni di carcere.
In questo caso niente pena sospesa e si potrebbe chiedere l’estradizione perchè non c’è più il limite che impedisce di pretendere l’applicazione delle misure cautelari. Ovviamente con l’accordo delle autorità dell’Aia.
Ma siamo nel campo delle ipotesi, perchè il reato di danneggiamento a opere d’arte non è ancora stato contestato.
“Li puniremo con severità e durezza”, ha detto Renzi, ma gli otto che hanno patteggiato sono già andati via dall’Italia, con un volo per Rotterdam dall’aeroporto di Fiumicino.
Ed è concreta la possibillità che non vedremo neanche un centesimo dei 360mila euro che devono pagare.
Restano i danni, con la Barcaccia del Bernini scheggiata, i suoi frammenti ritrovati sul fondo della vasca, nel frattempo trasformata in discarica da 28 hooligans olandesi.
Loredana Di Cesare
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 21st, 2015 Riccardo Fucile
ALTROVE PUGNO DURO E TECNICHE DISSAUSIVE… “C’E’ L’IDEA CHE QUA SI POSSA FARE CIO’ CHE SI VUOLE”
Un porto franco, una terra di nessuno dove tutto è permesso. Persino sfregiare monumenti
patrimonio dell’umanità come la Barcaccia del Bernini in Piazza di Spagna o la statua di Giordano Bruno a Campo de’ Fiori.
Perchè in Italia l’ordine pubblico, specie in occasione delle manifestazioni sportive, non è garantito.
Chi ci viene lo sa e ne approfitta, mentre all’estero le cose vanno molto diversamente. Il match di Europa League fra Roma e Feyenoord si è trasformato in una “guerriglia” urbana. Lesioni personali, violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento (aggravato nel caso di monumenti): sono solo alcuni dei reati penali di cui gli hooligan olandesi si sono resi colpevoli nel centro della Capitale.
Le forze dell’ordine, però, sono intervenute tardi e con indecisione: e alla fine della due giorni di follia il bilancio è di appena 28 arrestati, di cui 19 condannati per direttissima ma già su un aereo per fare ritorno a casa, a fronte di danni ingenti alla città .
Certo, c’è ancora la possibilità di un arresto in flagranza differita (per le 48 ore successive), ma nessuno di loro dovrebbe vedere le galere italiane.
La controprova non esiste, ma probabilmente se un nugolo di tifosi ubriachi si fosse scagliato a Londra contro il Big Ben, o a Parigi contro l’Arco di trionfo, la reazione delle forze dell’ordine sarebbe stata ben più dura.
In Inghilterra è molto diffusa in casi di manifestazioni che sfociano nella violenza la pratica del “kettling”: alla prima avvisaglia di pericolo i poliziotti pressano i manifestanti verso un’area circoscritta, e li chiudono con delle sbarre di ferro. ‘Transennati vivi’, i violenti vengono lasciati lì per ore, senza cibo, acqua e servizi igienici, fino a quando non si calmano (o, in casi estremi, non arrivano in massa le forze dell’ordine in grado di contenerli in maniera definitiva).
Una pratica aspramente criticata dalle associazioni di difesa dei diritti umani, a volte usata in maniera indiscriminata. Ma di sicura efficacia.
Anche in Francia la polizia non va molto per il sottile: lo scorso ottobre a Lille, in occasione di un incontro di Europa League fra la squadra di casa e l’Everton, decine di tifosi inglesi protagonisti di incidenti furono duramente attaccati dalla polizia.
Per sedare gli scontri, gli agenti francesi utilizzarono lacrimogeni, proiettili di gomma e persino una granata stordente sulla folla, scatenando le proteste del sindaco di Liverpool.
Ma il questore di Lille ebbe modo di dire dopo poche ore: “La situazione era velocemente degenerata in episodi di violenza, ma altrettanto velocemente è stata ricondotta alla normalità ”.
C’è un precedente che meglio di tutti esemplifica la differenza fra l’Italia e l’estero: la partita, sempre di Europa League, fra Lazio e Legia Varsavia del 2013.
All’andata oltre 2mila ultrà polacchi misero a soqquadro la capitale: un po’ come successo ieri, furono tenuti (più o meno) sotto controllo a distanza dalla polizia inerme, poi accompagnati all’entrata e all’uscita dallo stadio, fino al termine della loro turbolenta trasferta.
Al ritorno, invece, in seguito a degli incidenti simili 120 tifosi della Lazio vennero arrestati, con tanto di irruzione delle forze dell’ordine in albergo.
Furono portati in carcere e ci rimasero anche abbastanza a lungo (alcuni per quasi un mese, nonostante l’intervento del governo italiano).
Difficile individuare le ragioni di un trattamento così diverso.
Secondo Massimo Rossetti, avvocato di Federsupporter (associazione che tutela e rappresenta i tifosi) non è tanto un problema di leggi quanto di atteggiamento. “Rispetto al resto d’Europa l’Italia non è seconda a nessuno sul piano normativo: il problema è che le norme rimangono solo sulla carta”.
L’Italia fatica ad applicare le sue leggi, anche ieri le istituzioni non sono state all’altezza della situazione: se per impreparazione, disorganizzazione o indecisione dovranno stabilirlo le autorità competenti che stanno valutando l’accaduto.
La caccia alle responsabilità e alle falle del sistema è già cominciata.
Ma il risultato è chiaro: “È come se da noi ci fosse una sorta di impunità per le manifestazioni sportive”, conclude Rossetti.
“La domanda da porsi non è tanto cosa sarebbe successo se questi tifosi si fossero comportati così in un altro Paese, ma se si sarebbero mai comportati così all’estero. L’idea ormai diffusa è che in Italia si possa fare un po’ ciò che si vuole”.
Lorenzo Vendemiale
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Febbraio 21st, 2015 Riccardo Fucile
OVAZIONI E 1.500 PRESENTI ALLA CONVENTION DI FITTO A ROMA: “OCCORRE FARE OPPOSIZIONE AL GOVERNO, GUARDIAMO AVANTI”… POI ILLUSTRA I CONTENUTI PER DARE FORZA AL PARTITO
Accolto da applausi e abbracci, Raffaele Fitto ha dato il via alla convention dei ‘Ricostruttori’ di Forza Italia, lanciando ufficialmente la sua corrente: “Oggi siamo qui grazie al coraggio, alla determinazione e alla convinzione di un gruppo di colleghi: li voglio ringraziare uno ad uno. È grazie a loro che oggi siamo qui, per svolgere una manifestazione che non è contro nessuno, è per qualcosa, è per guardare avanti”, ha detto Fitto, sottolineando più volte la volontà di porsi con un atteggiamento positivo per ricostruire il Paese e Forza Italia.
Il partito, ha spiegato Fitto agli oltre 1.500 presenti all’Auditoriu Massimo dell’Eur, negli ultimi tempi ha commesso l’errore di non porsi, come invece avrebbe dovuto, come forza di opposizione al governo, andando ‘a braccetto’ con Renzi.
Ma, ha insistito, è necessario essere leali con gli elettori e avere chiarezza di posizioni. Poi l’ammonimento a Silvio Berlusconi: lasciare il Paese nelle mani di Salvini sarebbe “un clamoroso errore”.
Inno in coro.
Dopo le note dell’inno del partito, Fitto ha lanciato l’Inno nazionale, senza il quale, ha detto “non si può partire”. Dato che la regia aveva qualche problema a mandare la musica, la platea (e Fitto dal palco) ha intonato l’inno di Mameli.
Poi, con una foto dei marò trattenuti in India sullo sfondo, Fitto ha detto di voler “cominciare questa manifestazione ricordando una ferita aperta ormai da troppo tempo”.
Il rischio del partito unico.
“Il nostro è stato un lungo cammino fatto di coerenza e rivendicazione della linea politica. Noi, Forza Italia, un partito di opposizione, ha iniziato un suo percorso andando a braccetto con questo governo, non facendo opposizione. Qualche mese fa si è teorizzato addirittura il partito unico, che dovevamo stare con Renzi tutti insieme allegramente”.
C’era, ha proseguito “chi sosteneva il patto del Nazareno senza se e senza ma… In tutto questo c’è stato un gruppo di persone che ha tentato di far emergere i rischi che correvamo. A un certo punto Renzi ci ha mollato: noi lo avevamo detto che dovevamo andare avanti con una battaglia”, ha detto Fitto, riassumendo gli ultimi mesi che hanno portato alle contrapposizioni all’interno di Fi.
Le critiche.
“Non ho letto tante dichiarazioni contro Renzi quanto quelle che hanno fatto contro di noi che stavamo dicendo quello che stava accadendo”, ha detto Fitto attaccando i vertici di Forza Italia che hanno iniziato un percorso di non opposizione all’esecutivo. “Quale unico atto messo in campo dal partito – ha proseguito – dopo che non si è discusso di nulla, che si è accettata una posizione passiva del governo, l’atto messo in campo è stato il commissariamento della Puglia in Forza Italia. Questo non può passare sotto silenzio, è evidente che noi siamo qui per rivendicare con forza le nostre posizioni politiche, la nostra storia e mettere in campo un’azione politica con contenuti. Serve un centrodestra forte, di governo”.
“Bisogna tornare a parlare di contenuti ha insistito Fitto, soffermandosi anche sulla ‘contromanifestazione’ organizzata in Lombardia dai dirigenti azzurri: “È un fatto positivo, vuol dire che abbiamo centrato il risultato”, ha sostenuto.
Contenuti.
“La prima cosa di cui vogliamo parlare sono i contenuti del nostro impegno politico. Siamo all’interno del Partito popolare europeo. Se la linea è quella dell’austerity, noi abbiamo l’obbligo di aprire una riflessione profonda. Il semestre di presidenza italiano è stato imbarazzante. Dobbiamo sforare il 3%, dando una boccata di ossigeno alla nostra economia. Nella campagna elettorale il presidente del Consiglio aveva sottolineato la necessità di puntare sulla flessibilità nei conti pubblici – ha proseguito Fitto -. Mi chiedo – ha aggiunto – quali siano stati i risultati. Abbiamo rinunciato ad ottenere altri portafogli in Europa e ci siamo accontentati dell’Alto rappresentante della politica estera”.
Sicurezza.
Il tema della sicurezza, ha detto Fitto, è uno dei contenuti a cui è necessario dare maggiore rilevanza, ricordando gli ultimi eventi di Roma: “Poco interessa se un terrorista è arrivato con l’aereo o con il barcone, ma dobbiamo ripartire dalla sicurezza, da una maggiore sicurezza. Roma è stata messa a ferro e fuoco per una semplice partita di calcio. Mi chiedo: se esistono rischi così evidenti è possibile che davanti al terrorismo internazionale ci possa essere un livello di sicurezza così discutibile?”.
Dentro Fi.
“Noi saremo all’interno del nostro partito, staremo all’interno di Forza Italia”, ha detto Fitto suscitando un grande applauso.
“Vogliamo ricostruire il centrodestra, dare un contributo alla ricostruzione del nostro partito e del nostro Paese”, ha detto ancora.
Il torto di avere ragione.
Fitto ha insistito, come già aveva detto durante in videoforum a Repubblica tv, sul fatto che il torto suo e di chi è delle sue stesse idee è stato quello di avere ragione.”Noi abbiamo avuto il grande torto di avere ragione. Noi non siamo contro le riforme, ma le riforme devono essere un punto di incontro, vedo qui i senatori che votarono contro e ribadisco che se le riforme avessero avuto dei contenuti veri ci saremmo stati, ma non era così – ha detto -. Forza Italia ha sbagliato a non entrare nel merito delle riforme – ha aggiunto – e ha sbagliato a votare delle riforme che significano distruggere il centrodestra in Italia: è stato un suicidio. Non siamo contro nessuno, ma rivendichiamo con forza coerenza al nostro mandato elettorale”.
Il messaggio a Berlusconi.
Non è mancato un messaggio al leader del partito e la delusione per l’ultimatum ricevuto: “A Berlusconi voglio mandare un messaggio molto chiaro: questa non è una manifestazione di insulti. Sono rimasto deluso e dispiaciuto nel leggere alcune cose. Non si danno 15 giorni di tempo per decidere se uscire dal partito, non si danno a nessuno”.
Poi ha aggiunto: “Voglio dire a Berlusconi che le vittorie di questi vent’anni sono fondamentali per noi, non vogliamo distruggere, ma essere d’aiuto. Ma c’è una differenza tra fedeltà e lealtà e quest’ultima richiede chiarezza nelle posizioni: i grandi risultati ottenuti non devono nascondere i grandi errori. Una riflessione critica del passato recente è ineludibile. Ora siamo di fronte a un bivio: distruggere il partito o seguire l’evoluzione e il percorso in atto nel nostro Paese, senza lasciare questo lavoro a Matteo Salvini. Sarebbe un errore clamoroso. Berlusconi può accompagnare questo percorso verso la terza Repubblica”, ha spiegato ancora.
Gioco di squadra.
“Giungere a questa manifestazione non è stato per niente facile. Ma stiamo cercando di fare un gioco di squadra che possa rilanciare il nostro percorso perchè siamo sicuri che questo dibattito possa rilanciare il partito. Nella convinzione che la forza delle nostre idee ci proietterà nel futuro del Paese. Non vogliamo rompere con nessuno, ma il nostro percorso lo porteremo avanti”, ha concluso Fitto.
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Febbraio 21st, 2015 Riccardo Fucile
IL LEADER DELLA MINORANZA DEM BOCCIA SENZA APPELLO IL DECRETO SULLO JOBS ACT: “RENZI AL SERVIZIO DEI POTERI FORTI”
«Con questo decreto il Pd di Renzi diventa il partito degli interessi forti. Dopo essere arrivato sulle
posizioni di Ichino ora ha raggiunto Sacconi che, a questo punto, può entrare nel Pd di Renzi».
Stefano Fassina, deputato della minoranza del Pd, non votò il Jobs Act, e oggi boccia senza appello il decreto delegato varato dal governo.
Eppure, Renzi annunciò che il secondo decreto sul lavoro sarebbe stato più di sinistra rispetto al precedente. C’è stata la cancellazione dei finti collaboratori, l’estensione di alcune tutele. Non le pare un tentativo di fare un po’ di pulizia nella giungla dei contratti precari?
«È una straordinaria operazione propagandistica. Restano tutte le forme di contratti precari. Con questo decreto il diritto del lavoro italiano torna agli anni Cinquanta. Renzi attua l’agenda della Troika economica con una fedeltà che – sono certo – il professor Monti invidierà ».
Il presidente Renzi ha detto di aver rottamato i collaboratori. D’ora in poi ci sarà o il lavoro autonomo o quello subordinato. Non le pare un miglioramento?
«Propaganda. La rottamazione dei co. co. co c’è già stata, rimangono solo nella pubblica amministrazione dove, per il blocco delle assunzioni, non ci sarà alcuna trasformazione».
Sì, ma i collaboratori a progetto ci sono nel settore privato.
«Già , ma con le eccezioni che sono state previste non cambierà nulla. Per esempio resterà tutto come adesso per i professionisti senza partita Iva. Rimangono anche i contratti a tempo determinato senza causalità ; restano il lavoro intermittente, il lavoro accessorio e pure l’apprendistato senza requisiti di stabilizzazione. Il carnet di contratti precari non cambia. È una foglia di fico per coprire l’unico vero obiettivo di questo governo sul lavoro: cancellare la possibilità del reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato, cioè cancellare l’articolo 18».
Sempre il premier, però, sostiene che per un’intera generazione di giovani lavoratori ci saranno diritti e tutele.
«Altra operazione di propaganda. Non c’è nulla di più di quanto era già previsto dalla legge Fornero».
C’è la maternità per le partite Iva.
«C’è già . L’ha introdotta Livia Turco per tutte le donne lavoratrici».
Il governo punta sull’estensione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Non è meglio di un contratto di collaborazione o a tempo determinato?
«Il previsto aumento dei contratti a tempo indeterminato ci sarà non grazie alla cancellazione dell’articolo 18 bensì per effetto del taglio dei contributi per tre anni per i neoassunti nel 2015. Una misura che costa tantissimo e che, date le condizioni della nostra finanza pubblica, non sarà ripetibile».
Il governo non ha tenuto conto dei pareri, non vincolanti, delle Commissioni parlamentari. Cosa pensa?
«Che è un fatto molto grave. Il governo non solo ha ignorato il parere del Parlamento ma anche l’ordine del giorno della Direzione del Pd che chiedeva il reintegro per i licenziamenti disciplinari e per quelli collettivi. Si dimostra che chi, come me, scelse di non partecipare al voto sul Jobs Act aveva ragione mentre si illudeva chi pensava che il Parlamento avrebbe potuto modificare i decreti. Ma penso anche che il nostro capogruppo debba fare una valutazione su quel che è accaduto».
Roberto Mania
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