Febbraio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
“LA MAGGIORANZA DEL PAESE, QUELLA CHE PER VIVERE DEVE LAVORARE, NON E’ RAPPRESENTATA”
“È cambiato tutto, siamo alla fine di un’epoca. È venuto il momento di sfidare democraticamente
Renzi”.
Le parole di Maurizio Landini, il giorno dopo il varo del Jobs Act, sono molto chiare.
Qualcosa sta per avvenire a sinistra e soprattutto nel rapporto tra il sindacato e la rappresentanza politica.
Perchè il segretario della Fiom ritiene che un limite storico sia stato valicato e ora occorra costruire una risposta adeguata.
Siamo dunque a un cambio d’epoca?
Non c’è dubbio. Non solo Renzi applica tutto quello che gli ha chiesto Confindustria, ma afferma il principio che pur di lavorare si debba accettare qualsiasi condizione. Non c’è più il concetto che il lavoro è un diritto e la persona deve avere tutti i diritti di cittadinanza. Inoltre, viene messo in discussione un diritto fondamentale: quello di potersi coalizzare e agire collettivamente per contrattare la prestazione lavorativa.
Lei vede in atto lo smantellamento dello Statuto dei lavoratori?
Siamo a uno scardinamento sostanziale. Lo Statuto non solo tutelava le singole persone ma riconosceva la contrattazione collettiva e quindi la mediazione sociale come uno dei pilastri delle relazioni sindacali. Oggi questa logica viene messa in discussione. Non a caso Confindustria rilancia chiedendo di realizzare quanto fatto alla Fiat, oggi Fca: cancellare il contratto nazionale. E infatti alla Fca il salario minimo è più basso di quello nazionale.
Renzi, però, sostiene che la sua legge rottamerà la precarietà .
È una grossa bugia, perchè il nuovo contratto non è a tutele progressive. Se si pensa che ogni anno circa il 9% dei lavoratori cambia lavoro, si capisce che nel giro di poco tempo la tutela contro il licenziamento illegittimo non esistera più.
Eppure, si dice, sono stati aboliti i contratti precari.
Le forme fondamentali sono rimaste tutte, così come non sono state riviste le partite Iva. E gli ammortizzatori sociali non vengono realmente estesi. La cassa integrazione non lo è e la Naspi, che copre solo chi ha lavorato, sostituisce anche la mobilità . Solo che questa durava fino a tre anni mentre quella sarà portata a 18 mesi. Il demansionamento colpisce il lavoro così come eliminare il reintegro anche nei licenziamenti collettivi rappresenta un regalo alle imprese in un periodo in cui, nonostante si parli molto di ripresa, la crisi non è finita.
Sembra che non stia parlando di un governo di sinistra.
Renzi dice di essere il nuovo, ma non siamo di fronte alle idee geniali di un giovane rampante. Si tratta, invece, delle direttive impartite dalla Bce con la famosa lettera del 2011 e che il governo sta applicando fedelmente. Bisogna aver chiaro quello che sta succedendo. Su questo terreno la Cgil si è mobilitata e, visto che parliamo di temi europei, abbiamo visto la vittoria di Tsipras in Grecia.
Le risposte, finora, non sono state efficaci.
La situazione è complicata e difficile, questo è sotto gli occhi di tutti. Credo che ci sia bisogno di un coinvolgimento straordinario di tutti anche fuori dai luoghi di lavoro e una grande consapevolezza di quello che sta avvenendo. Non era mai avvenuto nella storia d’Italia che con leggi si cancellasse il diritto del lavoro. Cambiano radicalmente i rapporti di forza e le relazioni sindacali.
Serve dunque una risposta politica?
Occorre avere consapevolezza della situazione. Noi abbiamo innanzitutto bisogno di riconquistare un vero Statuto dei lavoratori di tutti, davvero tutti, i lavoratori. Per questo la Cgil ha avviato una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare senza escludere la possibilità di un referendum.
Si farà ?
Io penso di sì. Il direttivo ha indicato un percorso scegliendo una consultazione di tutti gli iscritti, che sono oltre 5 milioni. Ma la definizione del nuovo Statuto è un percorso che deve coinvolgere anche i non iscritti, perchè parliamo della dignità delle persone. Renzi ha preso il programma di Confindustria e lo sta applicando senza che nessun italiano abbia potuto votarlo. Ma su questi temi non ha il consenso della maggioranza della popolazione. Vorrei sfidare Renzi a una verifica democratica.
Sta dicendo che è pronto a una sfida politica?
Il problema è che la maggior parte del Paese, quella che per vivere deve lavorare, non è rappresentata. C’è un fatto nuovo nel rapporto tra politica e organizzazione sindacale.
Sta quindi pensando a un partito?
No, sarebbe una semplificazione.
A cosa, allora?
Occorre la rappresentanza di quegli interessi. Apriamo questa discussione esplicitamente. Per quello che riguarda la Fiom dobbiamo rivolgerci a tutto ciò che è rappresentanza sociale, non solo i lavoratori. C’è tutto un mondo che si deve porre il problema di come affrontare questo nuovo quadro.
È l’idea della coalizione sociale?
Sì. È un tema che come Fiom abbiamo già posto a settembre nella nostra assemblea dei delegati. Il sindacato si deve porre il problema di una coalizione sociale più larga e aprirsi a una rappresentanza anche politica. Quando un Parlamento cancella lo Statuto dei lavoratori con un colpo di spugna a essere rappresentato è solo l’interesse di uno, del più forte.
La sfida democratica a Renzi passa anche da qui?
Penso assolutamente di sì.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
PER BERLUSCONI “E’ ROBA DA VECCHI DC”
La partenza non è proprio quella di una corazzata.
L’inno nazionale che si inceppa un paio di volte, i video che non partono, l’audio è quello che è, Raffaele Fitto parla a braccio, il tono non proprio di chi sta dichiarando una guerra.
Ma l’armata dei “Ricostruttori”, forse un po’ artigianale, parte comunque, a modo suo, all’arrembaggio del partito e di Silvio Berlusconi.
La folla accorsa plaude quando il suo nuovo leader affonda il coltello: «L’ultimo anno di Forza Italia è sinceramente imbarazzante», votare le riforme «è stato un suicidio e noi abbiamo avuto il grande torto di avere ragione».
L’aria è cambiata, è il sottinteso dell’intera manifestazione, dell’ex ministro pugliese, «inutile pensare che si possa fermare il cambiamento con un commissariamento regionale » e poi «sarebbe mortificante, un autogol lasciarci fuori dalle liste per le regionali».
Berlusconi tace, ufficialmente lo ignora, in privato è un vulcano.
La sala dell’auditorium Massimo, all’Eur, è gremita da più di 1.500 aficionados del leader pugliese e della sua quarantina di parlamentari.
I pullman intorno all’istituto religioso sono targati Puglia (ovvio) ma anche Campania, Toscana, alcuni vengono dalla Sicilia.
Non appena il capo del “partito nel partito” compare scendendo le scale, ecco l’inno di Forza Italia, e sa di beffa, mentre sventolano cinque bandiere cinque forziste.
È one man show , il protagonista, camicia bianca senza cravatta, auricolare con cuffia che fa molto Leopolda, cammina su e giù per il palco, la sua immagine proiettata sul maxi schermo che fa da quinta, sarà solo lui a parlare per un’ora tonda.
La giovane moglie Adriana che se lo guarda dalla prima fila, seduta al centro della platea, tra Maurizio Bianconi e Daniele Capezzone, Cinzia Bonfrisco e Saverio Romano, il toscano Roberto Tortolioltre a uno stuolo di parlamentari pugliesi.
Poco più in là siede anche il leader della Destra Francesco Storace, la battuta sempre pronta: «Qui perchè so che non incontro Renzi».
C’è pure l’ex presidente della Regione siciliana Giuseppe Drago.
Se qualcuno si attende l’annuncio dello strappo, della scissione da Forza Italia, del “colpo di grazia” contro l’anziano leader da rottamare dietro il sinonimo della «ricostruzione», resterà deluso.
«Siamo qui per rivendicare la nostra storia. Noi stavamo e stiamo dentro Forza Italia, sia chiaro a tutti», è il messaggio chiaro all’indirizzo di Arcore. L’ex governatore pugliese, tra un applauso e l’altro, scherza sulla diffida. «I quindici giorni sono quasi passati e non è arrivata la lettera di licenziamento ».
Poi si fa serio, «nessuno può cacciarci».
Fa un lungo excursus di questo anno in cui «Forza Italia non ha fatto opposizione, andava a braccetto con Renzi, stava finendo nel partito unico».
Ma il suo conto in sospeso è con Berlusconi.
«Lui può scegliere di chiudersi in atti imbarazzanti come il commissariamento della Puglia e commettere l’errore di lasciare campo a Salvini o guidare il partito dentro la Terza Repubblica».
Lasciare campo al capo leghista «sarebbe un grave errore». Si dice «deluso e dispiaciuto» per il repulisti nella sua regione che «non passerà sotto silenzio».
Invoca democrazia, a questo punto, e soprattutto primarie. Lo va facendo da quasi un anno ormai e continuerà a farlo adesso in giro per l’Italia.
La settimana prossima in Veneto, poi in Campania, in Sicilia. «Non ci fermano, andiamo avanti, non siamo contro nessuno, ma vogliamo ricostruire Fi dal basso».
Il capo è avvertito. Berlusconi osserva da Arcore, mentre i fedelissimi Toti, Gelmini, Romani tengono una contromanifestazione a Bergamo.
Nessuna dichiarazione ufficiale, solo commenti privati, serali coi dirigenti. E lì il leader forzista è sferzante.
La sortita di Fitto diventa «inutile, dannosa, autodistruttiva per il partito e il centrodestra in questo momento», la considera frutto della «cultura del correntismo post democristiano », roba per lui da l’orticaria.
«Non si rende conto che così fa solo danni?»
Berlusconi parla dell’ex pupillo pugliese ormai come di un fuoriuscito, ma non vuole fargli il «regalo» di metterlo fuori, anche perchè ritiene di averlo ormai «neutralizzato assieme ai suoi uomini in Puglia ».
La testa per adesso è rivolta ad altri pensieri, a Salvini che non molla in Veneto, soprattutto alle olgettine esplose come palloncini a rovinare la festa dell’imminente «liberazione».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE PER IL RIPRISTINO DELL’ART.18 CON REINTEGRO IN CASO DI LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO
La sfida della Cgil al governo Renzi si chiama Nuovo Statuto dei lavoratori. 
«Si deve fare ogni sforzo – dice Susanna Camusso, segretario generale del sindacato più grande d’Italia – per ricostruire un diritto del lavoro dopo i danni determinati dalle scelte del governo. Vanno affermati diritti universali di tutti coloro che lavorano indipendentemente dal contratto».
È quel che dice il senatore del centrodestra Maurizio Sacconi secondo cui lo Statuto dei lavoratori è caduto ora va scritto uno Statuto dei lavori
«No, assolutamente no. Il problema non sono i lavori – come sostiene il vero autore delle politiche del governo sul lavoro – il problema sono i diritti di coloro che lavorano. Nel decreto del governo non c’è alcuna estensione dei diritti e delle tutele. Non cambierà nulla ed è l’ennesima dimostrazione del baratro che c’è tra gli annunci e la realtà ».
Parleremo del Nuovo Statuto. Renzi, intanto, ha detto che quella di venerdì è stata una “giornata storica” con l’abolizione dell’articolo 18 e la cancellazione delle false collaborazioni. Lei condivide?
«Ahimè sì. È stata una giornata molto negativa per le decisioni prese, per la filosofia che si è affermata, per il rapporto che si è stabilito con il Parlamento. Per i diritti, per i lavoratori, per i giovani è una giornata da segnare in nero, mi auguro che sarà al più presto cancellata».
Eppure, nel decreto c’è scritto che “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.
Non è la richiesta della Cgil?
«Certo, ma quello che hanno realizzato non è un contratto a tempo indeterminato. Per noi il rapporto di lavoro porta in sè le tutele e il riconoscimento delle libertà dei lavoratori. La monetizzazione crescente non è un rapporto di lavoro nel quale si realizza la libertà del lavoratore. C’è piuttosto lo stato di perenne condizionamento, la costituzione di uno stato servile e non paritario».
Lei parla di uno stato “servile” del lavoratore perchè è stato abolito il diritto al reintegro. Ma l’articolo 18 si applicava e si applica ai lavoratori già assunti solo nelle aziende con più di quindici dipendenti. Tutti gli altri sarebbero già oggi in condizioni di servilismo?
«La questione, come abbiamo sempre detto e come ha sempre affermato la giurisprudenza, è l’effetto deterrente che l’articolo 18 dispiegava: non mi puoi licenziare ingiustamente perchè mi posso difendere. Ora, con la stessa filosofia della soglia del 3 per cento sull’evasione fiscale, si stabilisce che è accettabile un comportamento anche se illegittimo. Questa sì è davvero una rivoluzione o meglio una contro-rivoluzione. Ed è contro i soggetti più deboli»
La tesi del governo è che il superamento dell’articolo 18 toglie ogni alibi alle imprese e dunque offre più opportunità di lavoro ai giovani. Non vale la pena accettare meno diritti e più lavoro?
«Ci sarebbero più opportunità di lavoro se qualcuno si occupasse di creare lavoro. È che nessuno lo fa. Rimane sempre lo stesso bacino di tre milioni di disoccupati e del 40 per cento di giovani senza lavoro. Se solo si sbloccasse quella follia della legge sull’età pensionabile si determinerebbero 400 mila assunzioni senza bisogno di falcidiare i diritti, demansionare i lavoratori e creare precariatomascherato. Renzi sbandiera il vessillo del primato della politica e poi delega tutto alle imprese»
E se fosse vero che con il decreto 200 mila finti collaboratori saranno assunti, come ha detto Renzi, con un contratto a tempo indeterminato?
«Ecco: questo è il tipico modo di costruire una notizia. Tutti danno per scontato questa operazione ma nessuno andrà a verificare cosa, come e se si realizzerà . Ad esempio, dove sono i vincoli che permettono a un giovane collaboratore di chiedere la trasformazione del suo contratto? Non c’è niente. E in più tutti i contratti precari escono indenni dal decreto»
La Cgil proclamerà un nuovo sciopero generale?
Continueremo la mobilitazione, con tutte le forme necessarie. Le ho detto: va ricostruito un diritto del lavoro. Dobbiamo mettere in campo una campagna che parli a tutto il Paese»
Per difendere il vecchio Statuto del 1970?
«A parte che, per fortuna, non è stato ancora del tutto smantellato, pensiamo che ci voglia una legge universale che riconosca a tutti gli stessi diritti perchè non è vero che per riconoscere la modernità si debbano cancellare i diritti. Raccoglieremo le firme su questo per una legge di iniziativa popolare»
Quando sarà pronta ?
«Ci stiamo lavorando e coinvolgeremo il maggior numero di lavoratori, persone, associazioni, studiosi possibile».
Pensate anche di raccogliere le firme per un referendum abrogativo del Jobs Act?
«Non abbiamo escluso nulla. Valuteremo tutto ciò che è utile a sostenere la nostra proposta di legge».
Ma se la riforma dovesse funzionare non sarebbe una bella notizia anche per voi?
«Mi chiede se saremmo contenti di una ripresa dell’occupazione? Ne saremmo entusiasti. Vorrebbe dire che l’Italia, con il lavoro di tanti, è uscita dalla crisi. La realtà è però un’altra. Se la Fiat decide di assumere a Melfi lo fa non perchè i diritti dell’articolo 18 sono stati cancellati ma perchè, cambiando strategia, ha scelto di produrre un nuovo modello in Basilicata. La realtà dice anche che a maggio scadrà la cassa integrazione in deroga. Quelle persone saranno licenziate?».
Roberto Mania
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
L’ADDIO AI “CO.CO.PRO” RISCHIA DI RIVELARSI SOLO UNA BUFALA: MOLTE DEROGHE, NESSUN OBBLIGO DI STABILIZZARE I CONTRATTI E UN BEL PROBLEMA DI COSTI
L’ottimismo di Matteo Renzi è quello di un illusionista.
Il “giorno atteso da un’intera generazione”, modo con cui il premier ha salutato il varo del Jobs Act, potrebbe essere solo un giorno come tanti vista la scarsa efficacia delle norme approvate venerdì scorso dal Consiglio dei ministri.
La “rottamazione” dei Cocopro, la sintesi mediatica del provvedimento, potrebbe essere una parola vuota con scarsi se non nulli effetti sulla precarietà del lavoro.
E anche la stima di “200 mila lavoratori che passeranno da contratti precari alla stabilità ” rischia di trasformarsi in un mito.
Se non in una bufala.
La generazione legata al tempo determinato
Appare anche molto forzata la pretesa del ministro Giuliano Poletti di aver introdotto l’assunzione a tempo indeterminato come la forma “normale” dei rapporti di lavoro. Questa idea aveva animato anche la ministra Elsa Fornero che per prima aveva cercato di rimettere mano alle decine di tipologie che regolano i contratti di lavoro.
La sua legge del 2012, infatti, stabilisce, come il Jobs Act varato l’altro ieri, che il rapporto subordinato a tempo indeterminato è la forma “comune”.
Ma scrivere questo auspicio sulla carta di un testo di legge non basta.
La precarietà del lavoro, infatti, non è questione legata principalmente ai contratti a progetto o ai famigerati co.co.co.
Gli iscritti alla Gestione separata dell’Inps, ad esempio, superano il milione; ci sono le partite Iva e Poletti si è ben guardato dal cancellare altre forme di lavoro come quello intermittente, quello accessorio, l’apprendistato, etc.
A essere fondamentali, però, sono i contratti a tempo determinato: 2,3 milioni contro le 500 mila collaborazioni circa.
Se si prende il numero dei contratti attivati nel terzo trimestre del 2014, a fronte di 1.728.662 contratti a tempo determinato, il 69,8% del totale, sono state attivate 155 mila collaborazioni, il 6,2%.
I dati, inoltre, indicano che la durata media dei contratti a tempo si è accorciata, specialmente nel periodo di crisi.
Il numero delle esenzioni e i vincoli inesistenti
Renzi promette ora che i co.co.pro. si tradurranno in rapporti di lavoro stabili grazie al nuovo contratto a tutele crescenti.
Leggendo il testo, però, si capisce quanto la cosa sia difficile. L’articolo 47, con il quale si stabilisce la “riconduzione al lavoro subordinato” stabilisce che “a far data dal 1 gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
Il primo ostacolo è dato dalle deroghe previste dal comma 2: non rientreranno in quella ipotesi, infatti, le collaborazioni disciplinate dai contratti collettivi nazionali come ad esempio il settore dei call center (circa 80 mila addetti per lo più a progetto). Restano fuori dal lavoro subordinato anche le collaborazioni relative all’obbligo di iscrizione ad appositi albi: ad esempio i giornalisti, dove ci sono circa 20 mila situazioni di questo tipo.
Fuori anche gli amministratori di società e i sindaci di controllo che, complessivamente, ammontano a oltre 500 mila unità (per lo più partite Iva o altre figure).
Infine, oltre alle prestazioni di lavoro in favore di associazioni sportive dilettantistiche, sono fuori anche i circa 50 mila collaboratori della Pubblica amministrazione.
Una fetta cospicua dei collaboratori, dunque, non rientra nella nuova disciplina e si vedrà applicato ancora il contratto di collaborazione.
In secondo luogo, la legge non prevede alcun vincolo al passaggio limitandosi ad affermare che a gennaio 2016 “si applica” la disciplina.
La sanatoria per le imprese, e il basso reddito dei cocopro
Nulla si dice sui contratti che saranno cessati nel corso del 2015 tranne prevedere una bella sanatoria per quelle aziende che attiveranno un rapporto subordinato e potranno, così, cancellare tutte le “possibili pretese” dei lavoratori.
Che il passaggio da contratto a progetto a lavoro subordinato non sia così automatico è dimostrabile anche con altri due dati.
Il primo: anche la legge Fornero, irrigidendo la normativa, si proponeva di farne emergere la natura di rapporto subordinato.
Il risultato è stato che nel 2013 il numero dei contratti a progetto si è ridotto di 150 mila unità senza nessun beneficio per i rapporti a tempo indeterminato.
Il secondo dato è più sottile ma molto rilevante: secondo l’Osservatorio dei lavori, infatti, il reddito medio dei co.co.pro. è di 10 mila euro l’anno.
Una cifra che corrisponde, quando va bene, a un normale contratto di lavoro a tempo parziale.
Come è possibile pensare che questi importi possano dare vita a lavori stabili? Abolendo il contratto a progetto, in realtà , a crescere, come già avvenuto negli ultimi anni, sarà il contratto a tempo determinato.
Non è un caso che tra il 2011 e il 2014, confrontando le attivazioni trimestre su trimestre, la crescita sia stata del 15%.
Ma potranno crescere anche le partite Iva, false o vere che siano, e per le quali il decreto appena inviato alle Camera non prevede alcuna definizione.
Quello che sposta il ragionamento a favore di Renzi è che il contratto a tempo indeterminato, per i prossimi tre anni, godrà di una decontribuzione che può arrivare fino a 8.600 euro per ogni lavoratore.
Una bella occasione per le imprese che, dove possibile, ne approfitteranno senz’altro. Ma quando i soldi pubblici saranno finiti, i nodi verranno al pettine.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
QUANDO LE PROPONEVA LETTA PER RENZI ERANO MARCHETTE, ORA CHE LE FA LUI SONO LIBERALIZZAZIONI
Cerchiamo di guardare al lato positivo delle cose. 
Mario Chiesa che minaccia causa a Sky perchè la serie tv 1992 mostra la scena — da lui stesso raccontata a verbale nel 1992 — della tangente da 37 milioni di lire gettata nel water con rigurgito di sciacquone, sostenendo che potrebbe guastargli l’immagine, è un buon segno: vuol dire che il concetto di reputazione non è ancora morto, neanche per un tizio che è stato condannato a 5 anni e 4 mesi per corruzione in Tangentopoli, che ha restituito un maltolto di 7,2 miliardi di lire, che è stato riarrestato nel 2009 per presunte mazzette su un traffico illecito di rifiuti e per giunta lavora per la Compagnia delle Opere di Cielle.
E che dire di B., pregiudicato e detenuto ai servizi sociali per frode fiscale, già indagato o imputato per una collezione di reati che abbraccia quasi l’intero Codice penale, che continua a svenarsi per pagare plotoni di squinzie in cambio del loro silenzio sulle notti di Arcore, convinto che sia umanamente possibile sputtanarlo più di quanto già non lo sia di suo?
È un altro indice incoraggiante, un insperato segnale di speranza: se teme che una o più olgettine possano fargli perdere la faccia vuol dire, intanto, che suppone di averne almeno una e, soprattutto, che gl’italiani non sono ancora abbastanza mitridatizzati al peggio.
Chi, come noi, pensava che al peggio non ci fosse mai fine e che per suscitare un filino di indignazione occorresse, che so, un filmato che lo ritrae in un asilo nido mentre si apre l’impermeabile, deve dunque riporre il cinismo e rallegrarsi: se un rabdomante della pancia degl’italiani come B. teme ancora la reazione degli elettori dinanzi a uno scandalo, non tutto è perduto.
Ora però bisogna avvertire, nell’ordine: i vertici Rai (che da tre giorni non proferiscono verbo sulla lettera di Verro a B. contro i programmi dell’azienda che dovrebbe amministrare); il prefetto Pecoraro (che non ne azzecca una nemmeno per sbaglio e ora, anzichè levare il disturbo per la gestione ridicola degli hooligans olandesi che ha messo di buonumore il califfo al-Baghdadi, si permette pure di querelarci perchè ricordiamo le sue memorabili gesta, dalla scorta levata a Biagi alle telefonate con Bisi & Buzzi, dal sequestro Shalabayeva all’idea geniale di trasformare Villa Adriana in una mega-discarica); e naturalmente la cosiddetta informazione, che da anni si comporta come se nulla potesse scalfire l’olimpica indifferenza dell’opinione pubblica.
Altrimenti il Giornale e Libero, che han sempre difeso padron Silvio condannato per frode, farebbero altrettanto con i vip accusati di evasione, invece scoprono all’improvviso la bruttezza anche estetica del gesto.
E Panorama si vergognerebbe di intervistare il condannato Geronzi, omettendone i precedenti penali e titolandone la requisitoria “Su Montepaschi io accuso”, manco fosse Emile Zola.
E poi: avete mai sentito uno dei cronisti da riporto ammessi al cospetto di Matteo Renzi da lui medesimo pigolare qualcosa sullo scandalo di Banca Etruria? Nemmeno un plissè, caso chiuso e morta lì.
Qualcuno osa sollevare il problema della straordinaria somiglianza fra il Jobs Act ultima versione e il documento sul lavoro di Confindustria del maggio 2014, e fra le ultime norme governative sull’Rc Auto e le pressanti richieste dell’Ania, l’associazione assicuratori?
Il nostro Palombi documenta da due giorni come il Ddl-ossimoro “Concorrenza”, che taglia fino al 50% i risarcimenti per i morti e i feriti sulla strada, sia un regalo alla nota lobby da far impallidire quelli dell’Ufficio Omaggi Rai.
Ci aveva già provato Letta jr., ma i renziani l’avevano stoppato con l’accusa di fare “marchette”.
Ora che le fanno loro, le chiamano “liberalizzazioni”.
Senza nemmeno preoccuparsi di salvare la faccia. Forse perchè, così giovani, l’hanno già persa.
O forse perchè non ne hanno mai avuta una.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
I SUOI CONTATTI CON LA PROCURA…E BERLUSCONI TEME LA “SCOSSA” DA MILANO, MENTRE PARTE L’INTIMIDAZIONE CONTRO I MAGISTRATI, MA APPENA DIECI DEPUTATI DI SECONDA FILA SI PRESTANO
Per tutto il giorno chiede ai suoi l’Ok Corral contro i giudici.
Con l’obiettivo di indimidirli e fermare la “valanga” di olgettine che vogliono “pentirsi”. Perchè il nesso tra quel che sta accadendo in procura a Milano e la decisione della Cassazione sul Ruby 1 terrorizza Silvio Berlusconi.
Alla fine escono una decina di parlamentari, tra verdiniani e quelli fedeli al cerchio magico, con una nota congiunta durissima, in cui si chiede l’intervento del ministro della Giustizia per fermare i giudici.
Eccolo, il passaggio chiave, in cui i parlamentari della Repubblica si ergono a difensori delle olgettine: “Si compiono assurde perquisizioni e si tenta, propalando notizie infondate, di convincere ad una collaborazione forzata e menzognera le partecipanti alle serate”.
Frasi di rabbia, ispirate e scritte direttamente dai legali di Berlusconi, ma soprattutto di grande paura.
Ad Arcore si aggirano gli spettri del crollo giudiziario.
Perchè attorno al “pentimento” della Polanco si sta verificando un “effetto valanga”. Ansia, tensione.
Proprio “l’entità della valanga” è la questione che Berlusconi sta cercando di misurare in queste ore nella mai dismessa war room. Perchè la Polanco potrebbe essere non l’unica olgettina a pentirsi. E a presentarsi dai magistrati per negoziare la sua “salvezza” in cambio di una “confessione” su Berlusconi.
Chi ha parlato con Arcore sussurra: “Le ragazze sono davvero fuori controllo, spaventate. Psicologicamente non reggono la pressione. La Polanco è solo la prima”.
È qualcosa di diverso dal solito gioco a rialzo per “bussare a soldi”.
Lo snodo è il pentimento della Polanco. Della lettera alla Boccassini gli avvocati di Berlusconi sapevano da giorni. E da giorni sanno che quella lettera non è il primo contatto con la procura.
Nel senso che, stando a quel che risulta a fonti azzurre che seguono il dossier, ci sarebbe già una sorta di “deposizione”. Che attesterebbe il pentimento “sincero” della ragazza e la confessione sulle notti del bunga bunga.
È uno dei tasselli che mancava ai giudici: “Finora — spiegano fonti vicine al dossier — i giudici hanno seguito la pista dei soldi, provando a dimostrare che Berlusconi paga le ragazze. Ma la traccia dei soldi non basta. Devi comunque provare il nesso tra pagamento e falsa testimonianza per il Ruby ter”.
È questo nesso affidato alle deposizioni della Polanco: la confessione che le ragazze erano pagate per “mentire”.
Il che renderebbe praticamente certo il rinvio a giudizio sul Ruby ter, dove Berlusconi è indagato per corruzione in atti giudiziari e dove, secondo l’ipotesi dell’accusa, avrebbe cercato di falsare gli esiti processuali addomesticando le testimonianze di molti degli invitati alle feste.
Ma il “pagamento” rischia di impattare pure sul Ruby 1, su cui la Cassazione si pronuncerà il 10 marzo. Nel senso che, visto che la sentenza di Appello si fonda su false testimonianze, sarebbe possibile per la Cassazione rimandarlo in Appello.
È per questo che ad Arcore aleggia una paura enorme per quella chiamano “la scossa”, all’inizio della prossima settimana.
Tanto che gli avvocati di Berlusconi hanno provato a capire se la “scossa” riguarda proprio l’ex premier. Se cioè la procura ha intenzione di spiccare una misura cautelare, al fine di evitare la reiterazione del reato, ovvero il pagamento di testimoni: “Non arresteranno Berlusconi sul Ruby ter” è il responso.
Ma l’arresto non è l’unica, possibile, “scossa” di un sisma in arrivo. C’è già un primo effetto del “pentimento” della Polanco.
E riguarda le ragazze: “Non reggono più, sono spaventate, sono sotto pressione”. Pressione destinata ad aumentare nelle prossime ore considerando che un bel po’ di giornalisti cominceranno a stazionare sotto le case delle olgettine e, soprattutto, della pentita principe.
Impossibile che parli, dopo i contatti con la procura, ma questo è elemento che allarma Arcore, non che rassicura, perchè è chiaro, spiegano gli esperti, che una che prende contatti con la procura potrebbe avere il telefono sotto controllo. Quindi tace perchè è nelle mani dei giudici. Da oggi cioè il teste chiave, se davvero ha aperto lo scambio tra “confessione e salvezza”, ha tutto l’interesse a parlare solo coi giudici.
Ed è proprio attorno al primo pentimento che si sta verificando la valanga. Perchè le olgettine non sono tutte uguali.
Le olgettine sono divise in “clan”, in competizione tra loro.
Tra chi ha avuto di più e chi ha avuto di meno. Tra chi vuole stare coperta e chi ha voglia di farla pagare al suo ex benefattore.
Ecco, pare che il “clan” della Polanco sia particolarmente sotto stress. E non è un caso che la lettera che la Polanco ha scritto alla Boccassini aveva come mittente l’indirizzo di Aris Espinoza, un’altra che sa.
Così come sanno le sorelle De Vivo.
È attorno a questo quartetto che si concentrano ad Arcore il timori della valanga.
Ma ormai è l’intero quadro ad essere fuori controllo. E per la prima volta Berlusconi sente di stare davanti ai giudici con un esercito sbrindellato alle spalle o quasi ammutinato.
Dopo giorni di sollecitazioni, sono usciti solo dieci parlamentari. Il fatto che tutti i big siano rimasti silenti ha molto colpito l’ex premier. Non sarà ancora l’ammutinamento di un esercito che vede la fine.
Ma la sensazione della scossa in arrivo aleggia ovunque.
(da “Huffingtonpost”)
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