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LA PADANIA HA CHIUSO, MA E’ COSTATA 61 MILIONI ALLO STATO ITALIANO PER INSULTARE IL TRICOLORE

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

PER 17 ANNI IL QUOTIDIANO DELLA LEGA HA INCASSATO I FONDI RISERVATI AGLI ORGANI DEI PARTITI: 300.000 EURO AL MESE A UN GIORNALE “STRANIERO” CHE INNEGGIAVA ALLA SECESSIONE

Ha chiuso i battenti per problemi finanziari lo scorso novembre.
Eppure in 17 anni, da quando è stata mandata in edicola dalla Editoriale Nord scarl per volontà  dell’allora padre padrone della Lega Umberto Bossi.
“La Padania”, organo politico del Carroccio, ha incassato dallo Stato italiano oltre 60 milioni di euro.
Niente male per un giornale che sotto la testata, tra i tanti motti che ha portato stampati, ne ha avuto uno che recitava “La Voce del Nord”. Voce del Nord, ma con i soldi di “Roma ladrona”.
Soldi erogati ogni anno, a partire dal 1997, in base alla legge sul finanziamento pubblico dei giornali organi di forze politiche e commisurati alle tirature e ai costi dichiarati.
E con puntualità  svizzera versati dal dipartimento per l’Editoria della presidenza del Consiglio dei ministri.
Che, comprendendo gli ultimi dati disponibili per il 2013, risulta avere per la precisione versato al quotidiano leghista la bellezza di 61 milioni 226 mila 442 euro.
Come dire, 3 milioni 600 mila euro all’anno, cioè 300 mila euro al mese, 10 mila euro al giorno.
Performance davvero ragguardevole quella del quotidiano leghista, la cui tiratura media ufficiale nel periodo d’oro del leghismo si aggirava intorno alla 60mila copie.
Quanto alle vendite, difficile fare cifre precise, anche per le incertezze che hanno sempre avvolto i dati reali di tutti gli organi di partito.
Correva l’anno 1997 quando, l’8 gennaio, la “Padania” sbarcò nelle edicole sotto la direzione di Gianluca Marchi e, con titoli in prima pagina che erano già  tutto un programma (“Ministeri a delinquere”), cominciò a gettare le premesse per il primo, ricco contributo pubblico: 3 milioni 398 mila euro.
Da allora, guidata da direttori come Giuseppe Baiocchi, Gigi Moncalvo, Gianluigi Paragone e Aurora Lussana, il giornale ha puntualmente incassato contributi che, nell’arco di un decennio e fino al 2007, hanno superato anche i 4 milioni di euro l’anno. Un bottino ricchissimo che ha consentito al giornale di seguire e sostenere l’intera parabola della politica leghista.
Chi non ricorda i tempi in cui sparava bordate contro Berlusconi accusandolo, senza mezzi termini, di essere mafioso?
Salvo poi tornare ad incensarlo quando Lega e Forza Italia decisero di tornare insieme al governo.
E come dimenticare le campagne condotte all’insegna di titoli come “La favola di Finocchio”, dedicato alla svolta del premier spagnolo Zapatero sulle unioni omosessuali; oppure “Crolla Prodi Hussein”, con tanto di immagine in stile statua del rais, per salutare la caduta del governo ulivista?
Per non parlare dei più prosaici e non meno inquietanti “Il Nord s’incazza” o “Facciamo presepi, non moschee”, pensati allo scopo di segnare il territorio contro l’arrivo degli immigrati.
Solo che i tempi delle vacche grasse elettorali hanno cominciato a sbiadire.
E insieme al declino politico si sono assottigliati anche i contributi pubblici, passati dai 3 milioni 900 mila euro del 2008 al milione 300 mila del 2013.
E i bilanci hanno cominciato presto a risentirne con perdite annuali di svariati milioni. Fino alla crisi finale dello scorso anno quando, stretta tra la scarsa redditività  aziendale, gli scandali legati alla gestione economica del partito e il progressivo prosciugamento dei finanziamenti pubblici, anche “La Padania” ha chiuso i battenti.
Accorato il requiem intonato dal segretario del Carroccio Matteo Salvini: “La Lega è al risparmio su tutto e quindi non ha rinnovato il proprio contributo all’editoriale”, ha spiegato: “Ma in questo caso si tratta anche dell’ennesimo bavaglio calato dal governo Renzi che riduce i contributi per l’editoria che esistevano da anni”.
Vero, forse troppi anni.

Primo Di Nicola e Francesco Giurato
(da “il Fatto Quotidiano”)

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IL NAZARENO DELL’IMPERO: SILVIO LANCIA L’OPA SU RAI NEW PER BLINDARE IL DUOPOLIO

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

IL GOVERNO DICE NO, MA LASCIA UNA PORTA APERTA: E’ SOLO L’INIZIO DI PARTITA

È la mossa. Aggressiva. Per destabilizzare.
E rilanciare il Nazareno sull’Impero, dopo che è entrato in “sonno” quello politico. E per blindare il duopolio in vista della riforma della Rai.
Per questo Mediaset si lancia alla conquista delle torri della Rai, appena tre mesi dopo il loro sbarco a piazza affari.
E lo fa con un’Opa lanciata attraverso la sua omologa società , Ei Towers, subordinata al raggiungimento del 66,67 per cento del capitale.
Per capire l’impatto, ecco le parole di uno degli sherpa di Renzi sulla riforma della Rai: “È un atto di schermaglia, di intimidazione. Renzi fa una battuta sulla Gasparri in un talk e Mediaset ti fa un’Opa ostile. Berlusconi si è messo a giocare pesante”.
Il titolo Mediaset vola in borsa. E gli azzurri martellano sulla necessità  di un polo nazionale dell’infrastruttura televisiva, sul modello europeo presente in Spagna, Regno Unito e Francia: “La Rai — spiega Maurizio Gasparri — ci guadagna, quindi deve valutare che cosa deve fare”.
Rai way è solo un fronte, all’interno di quella che Berlusconi vive come la madre di tutte le battaglie la riforma del sistema televisivo.
Non è un caso che tutto lo stato maggiore da giorni picchia duro a difesa della legge Gasparri che assicura il duopolio.
Perchè la questione Ray way non è chiusa con la risposta del governo che arriva a Borse chiuse: “Il governo ricorda che, anche considerata l’importanza strategica delle infrastrutture di rete, un decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2 settembre 2014 ha stabilito di mantenere in capo a Rai una quota nel capitale non inferiore al 51 per cento”.
Fonti berlusconiane spiegano che la risposta non è certo uno schiaffo di quelli pesanti. Il diavolo è nei dettagli.
Ecco perchè: “L’offerta di Ei Tower è rivolta al cento per cento delle azioni ed è valida se raccoglie i due terzi, il 66,67 del capitale; il governo risponde: mi tengo il 51, quindi, di fatto, posso darti il 15, dal 66 al 51”.
L’aspetto cruciale è che, in tal modo, si crea una situazione curiosa perchè il controllo dell’assemblea straordinaria sono i due terzi.
Ed è curioso che, essendo Rai way quotata in borsa, abbiano taciuto i consigli di amministrazione. E la risposta sia stata lasciata solo alla precisazione del Mise.
Insomma, siamo ancora all’inizio di una battaglia complicatissima. Su cui la sinistra del Pd ha lanciato segnali di allarme.
A partire da Pier Luigi Bersani che da giorni sente un’aria strana attorno al Nazareno. Prima Rcs stringe i tempi sulla vendita dei suoi Libri, per i quali è stato manifestato un interesse da parte di Mondadori, e convoca un consiglio di amministrazione straordinario per il prossimo 2 marzo.
Poi l’Opa su Rai way: “Immaginiamo che il Milan compri il 49 per cento dell’Inter e poi mi interrogo su qual è il pronostico del derby, vediamo come va”.
A mettere in fila i fatti, il clima attorno al Nazareno non segna tempesta per quel che riguarda le aziende di Berlusconi.
Anzi, in parecchi nel palazzo notano come mai l’ex premier ha sentito una libertà  di azione tale da giustificare operazioni così aggressive.
Proprio attorno alla questione Rai way si è consumato uno strappo profondo di palazzo Chigi sia con la sinistra politica sia col “partito Rai”.
Fu il premier ha spingere per la privatizzazione agli albori del Nazareno.
Ora i segnali che arrivano sono ambigui. Come sul tema complessivo della riforma della Rai, messa sul tavolo come una pistola dopo la vicenda del capo dello Stato.
In parecchi ricordano l’intervista al Tg1 di due settimane fa in cui Renzi, dopo aver annunciato che avrebbe messo mano alla Rai, di fatto invitò Berlusconi a tornare al tavolo delle riforme: “Se cambia idea, come ha fatto tante volte, noi siamo qui”.
Ora la vicenda Rai way. Come andrà  l’Opa è difficile prevederlo.
La grande libertà  di movimento di Berlusconi (e la grande aggressività ) è facile registrarla.

(da “Huffingtonpost”)

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MATTEO SALVINI IN RAI DALL’ALBA AL TRAMONTO: E’ VERO PLURALISMO?

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

IN 30 GIORNI HA AVUTO 4.723 SECONDI DI PAROLA DIRETTA, CONTRO I 2.561 DI RENZI, I 1.221 DI VENDOLA, I 667 DI TOTI: CHI HA DATO QUESTE DIRETTIVE PER FAVORIRE UN PICCOLO PARTITO?

La sera vai a dormire con Salvini a Ballarò su Raitre, il mattino ti svegli e trovi ancora Salvini ad Agorà  e sempre su Raitre.
Si sarà  fermato anche a dormire negli studi?
La continua presenza del leader della Lega nelle trasmissioni tv, in particolare in alcune del servizio pubblico, è stata notata da più parti.
Verifichiamo i dati ufficiali che l’Osservatorio di Pavia fornisce settimanalmente alla Rai e alla commissione parlamentare di Vigilanza.
Esaminando le rilevazioni dell’ultimo mese monitorato, dal 17 gennaio al 13 febbraio, emerge un dato che appare decisamente sconvolgente: Salvini ha avuto da Raitre un spazio incomparabilmente più alto rispetto ad altri leader dell’opposizione e addirittura doppio rispetto al premier e segretario del Pd, Matteo Renzi.
I tempi di parola (Tdg, tempo gestito direttamente), ovvero gli spazi tv in cui l’esponente politico parla direttamente ai telespettatori, dicono che nel periodo considerato Salvini ha avuto su Raitre 4.723 secondi di spazio.
Per Renzi, che assomma la responsabilità  di governo a quella di leader del partito di maggioranza relativa, lo spazio è stato circa la metà : 2.561 secondi.
Se si considerano alcuni leader colleghi di Salvini all’opposizione, il divario con il segretario leghista è abissale: Giovanni Toti, consigliere politico di Forza Italia, ha avuto 667 secondi, mentre Nichi Vendola, leader di Sel, 1.221 secondi.
Un trattamento di favore, quello riservato da Raitre a Salvini, che si fatica a comprendere.
La Lega, sebbene sia accreditata con numeri positivi nei sondaggi, ha preso il 4,09% alle elezioni Politiche del 2013 e il 6,2% alle elezioni Europee del 2014.
In parlamento i gruppi leghisti contano su un numero molto ridotto di componenti: 20 deputati (il minimo per un gruppo) e 15 senatori, pari rispettivamente al 3% e al 4,5% dell’assemblea.
Non si comprende come sia possibile che un partito con questo peso elettorale e parlamentare possa avere il doppio dello spazio riservato al presidente del Consiglio, leader del partito che alle elezioni europee ha preso il 40,8% dei consensi.
Di fronte a questi numeri, imbarazzanti, viene da chiedersi chi, a Raitre, abbia la responsabilità  di controllare che non si creino squilibri del genere e perchè non abbia controllato.
In Rai esistono molteplici figure – direttori, vicedirettori, capistruttura, capiredattori, capiservizio – preposte al controllo, il tutto finanziato da quasi 2 miliardi di euro del canone dei cittadini.
In questa maniera viene tutelato il pluralismo dal servizio pubblico?

Michele Anzaldi

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ATAC, I SOLDI BUTTATI DA AMICI E MANAGER SCELTI DA ALEMANNO

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

I RICOSTRUTTORI DELLA DESTRA: CINQUE ANNI DI CONTABILITA’ FOLLE, BEN 28 IRREGOLARITA’ DENUNCIATE DALLA RAGIONERIA DI STATO ALLA CORTE DEI CONTI

Il caso più eclatante è quello di Adalberto Bertucci, nominato amministratore delegato dell’Atac il 19 gennaio 2010 e, tre mesi dopo, anche consulente.
È solo una delle 28 irregolarità  che gli ispettori della Ragioneria generale dello Stato hanno rilevato nell’azienda tranviaria romana.
Le hanno segnalate in una relazione inviata nei giorni scorsi al sindaco Ignazio Marino e alla Procura della Corte dei Conti.
Per due mesi, l’anno scorso, gli uomini della Ragioneria hanno spulciato le carte contabili dal 2009 al 2013, gli anni del sindaco Gianni Alemanno, oggi indagato per associazione a delinquere di stampo mafioso nell’inchiesta Mafia Capitale.
Il risultato è il ritratto a tinte forti di un’azienda diventata simbolo della gestione di cricche politiche locali: sprechi, ruberie, inefficienze, assurdità  incomprensibili, spese insensate, assunzioni come capita, nella migliore delle ipotesi.
Al centro dell’azione degli amministratori sembra esserci tutto fuorchè il buon funzionamento di autobus, tram e metropolitane
Bertucci, assunto con una retribuzione di 210 mila euro all’anno, l’ha corroborata con una consulenza da 219 mila.
“Oggetto della consulenza è il controllo dell’esatta quantificazione e versamento delle quote di fondi di previdenza complementare”.
Ma il bengodi retributivo è durato poco. Nei cinque anni di mandato, Alemanno ha nominato cinque amministratori delegati: Massimo Tabacchiera è durato quattro mesi, da settembre 2009 a gennaio 2010, Bertucci ha retto per nove mesi, fino a ottobre quando è arrivato Maurizio Basile.
A quest’ultimo è stato dato un emolumento di 85 mila euro, però tre mesi dopo, il 18 gennaio, è stato nominato direttore generale con uno stipendio di 350 mila euro.
Ad aprile è intervenuta la Corte dei Conti dicendo che non si poteva fare. Basile è stato retrocesso agli 85 mila euro, però non la deve aver presa bene e pochi giorni dopo si è dimesso.
Al suo posto è arrivato Carlo Tosti, al quale è stata data anche la direzione generale con i 350 mila euro di stipendio.
Notano gli ispettori della Ragioneria che il cda dell’Atac “pur richiamando il parere della Corte dei Conti 18/2011, giunge, però, alla conclusione che l’amministratore delegato possa, comunque, ricoprire anche la funzione dirigenziale a tempo determinato”.
Questa rimarrà  come pagina memorabile nella storia della legalità : alla Corte dei Conti, che dice “non lo potete fare”, il cda dell’Atac risponde con una nebulosa traduzione in giuridichese del romanissimo “sticazzi” che più direttamente esprimerebbe le coordinate culturali di riferimento degli amici di Alemanno
Chi revisiona lo stipendio del controllore revisore?
A proposito di legalità  e trasparenza, è notevole anche la storia del sindaco revisore Renato Castaldo.
Nominato nel collegio sindacale il 29 luglio 2010, ha incassato per quell’anno un emolumento di 39 mila euro.
Nel 2011 però sono entrate in vigore le nuove tariffe professionali dei commercialisti e degli esperti contabili. Il Comune, azionista di Atac, ha subito comunicato alla controllata che per i sindaci già  nominati la tariffa rimaneva quella pattuita inizialmente per tre anni. Puntualmente Atac ha opposto l’elegante formula di diritto romanesco di cui sopra e nel 2011 ha dato a Castaldo 184 mila euro, una cifra che in Italia non prendono neppure i sindaci revisori della maggiori società  quotate in Borsa.
Il Comune ha provato nuovamente a intervenire, Castaldo ha fatto causa, alla fine c’è stata una transazione con cui il sindaco revisore ha portato a casa 360 mila euro.
Nel 2013 Castaldo, nonostante causa e transazione, è stato rinominato nel collegio dei sindaci che, ricordiamolo, è lì per controllare che i soldi siano spesi correttamente e in conformità  con le leggi.
Il compenso di Castaldo è retrocesso a 79 mila euro l’anno.
Notano gli ispettori: “Sotto l’aspetto giuscontabile sarebbe mancato ogni reale controllo sulla legittimità  della spesa (attesa la profonda divergenza tra le parti), per cui si pone, anche in questo caso, la necessità  di operare approfondita verifica in ordine alla effettiva esistenza di ragioni giuridiche e sostanziali che possano aver giustificato gli esborsi effettuati. In ogni caso la problematica verrà  rimessa alla valutazione della Corte dei Conti”.
Viene maliziosamente sottintesa la domanda delle domande: quale controllo ha dispiegato il collegio dei sindaci sull’intricata materia dei propri compensi?
Nel linguaggio trattenuto e burocratico della relazione si intravedono i segni dell’incredulità  e dell’impazienza degli ispettori della Ragioneria.
L’Atac è un carrozzone che nel 2013 ha incassato 851 milioni di euro, di cui solo 317 milioni provenienti dalla vendita di biglietti e abbonamenti.
Il resto è tutto a carico dei contribuenti.
Nonostante il generoso contributo pubblico, l’azienda perde mediamente oltre 200 milioni all’anno, e ha accumulato al 31 dicembre 2013 debiti per 1,7 miliardi di euro. Eppure, quando Alemanno si insedia, fa assumere in un colpo solo 844 persone nel solo 2009, portando la forza lavoro a 12.957 unità .
Il risultato è che l’Atac si trova a dover stipendiare 372 unità  di personale eccedenti, pari a un costo annuo di 18 milioni di euro, denaro sottratto al pagamento dei debiti e dei fornitori.
La voragine dei conti Atac ingoia tutto: gli ispettori notano che parecchi milioni di euro dati dal governo, dal Comune e della Regione per finanziare gli investimenti sono stati usati per coprire i buchi di bilancio della spesa corrente o gli interessi sui pagamenti ritardati.
Tra i nuovi assunti della felice infornata 2009 ci sono 7 dirigenti che nessuno è in grado di dire come siano stati selezionati, visto che il capo del personale, con nota del 29 aprile 2013, scrive che “è stato possibile reperire solo documentazione che non consente di attestare l’intero processo di selezione interna”.
“In altre parole — specificano gli ispettori a beneficio dell’incredulo lettore — la società  non è stata sempre in grado di esibire gli atti aziendali relativi alle assunzioni avvenute mediante selezioni interne, per irreperibilità  della stessa documentazione”.
Insomma, si sono persi le carte, ammesso che siano mai esistite. Pare che si siano anche persi una serie di computer portatili. Anche in questo caso la prosa originale risulta impagabile.
Scrivono gli ispettori: “Riguardo alla corrispondenza tra la quantità  fisica e contabile dei cespiti, chi scrive ha richiesto al Responsabile della Direzione strategie e sistemi di riscontrare le quantità  fisiche dei notebook indicati nell’inventario societario. Orbene, dall’indagine è emerso che ‘non vi sono elementi tangibili per la referenziazione del singolo notebook e non è stato possibile risalire al razionale perseguito in tale ambito’. Peraltro, tra l’elenco dei possessori dei notebook (periodo 1 gennaio 2010 e 30 giugno 2013) vi sono dirigenti non più in servizio”.
Gli stipendi, non bassi, portano via metà  dei ricavi dell’Atac anche perchè gli amministratori, poco severi con se stessi, non sono certo draconiani con i dipendenti, oltre la metà  dei quali passano le giornate seduti negli uffici.
Per avere il premio di produttività , notano gli ispettori governativi, è sufficiente presentarsi al lavoro, anche solo a guardare il soffitto.
Lo stipendio al dirigente, il lavoro al consulente
Se c’è del lavoro da fare ci pensano i consulenti. Nel 2012, nota la relazione, la spesa per consulenze è risultata tripla rispetto al tetto fissato dalla giunta capitolina, azionista dell’Atac al 100 per cento.
La parte del leone la fanno alcuni studi legali, beneficiari di ingenti contratti affidati in modo diretto, senza gara e senza “procedura comparativa”.
In sostanza, dicono gli ispettori, l’Atac affida consulenze legali per milioni di euro senza avere un’idea della congruità  dei compensi pagati.
Non solo: “Si vuole sottolineare come alcune attività  affidate all’esterno, a parere di chi scrive, rientrino proprio nella competenza professionale del dirigente della Direzione legale”.
A quanto emerge dalla relazione della Ragioneria sembra che nell’era Alemanno la principale occupazione di manager e dirigenti fosse buttare via i soldi dei contribuenti. Come ormai le cronache degli ultimi anni ci hanno insegnato, il fenomeno più insidioso non è quello delle grandi ruberie o dei grandi affari, come la costruzione della nuova linea Metro C, ma quello dei mille rivoli in cui si perdono, a pochi euro per volta, somme ingenti. Il capitolo delle spese di rappresentanza è il più colorito.
Gli ispettori della Ragioneria hanno rilevato numerose fatture di ristoranti senza alcuna indicazione, cosicchè il contribuente è messo a conoscenza di aver pagato pranzi e cene offerti da non si sa chi a non si sa chi, non si sa perchè.
Così come Atac distribuisce abbonamenti e biglietti omaggio non si sa a chi e perchè. Andando a spulciare le fatture, gli ispettori hanno scoperto che manager e dirigenti hanno intitolato alle spese di rappresentanza e addebitato all’indebitatissima azienda scontrini di lavanderie, pasticcerie, pizzerie e panifici.
Hanno comprato, con i soldi dell’Atac, caramelle, tovaglioli Scottex e fazzolettini Kleenex Balsam. Ed è nel piccolo dettaglio che si vede la grandezza di un uomo.
C’è un manager, che la relazione non nomina forse per pietà  umana, che ha messo a rimborso uno scontrino di euro 3,90: ha offerto, naturalmente per rappresentanza, un caffè, un cappuccino e un ginseng.
Per il festival del cinema i fondi non mancavano mai
Dove lo sperpero e la spesa ingiustificata raggiungono il loro apice è nel capitolo delle sponsorizzazioni.
Un’azienda che non ha neppure i soldi per il gasolio degli autobus si comporta come un munifico mecenate, e distribuisce contributi a ogni sussulto socio-culturale della Capitale. Per esempio nel 2009 ottiene una sponsorizzazione da 5 mila euro l’associazione Nuovo Giorno, nota alle cronache per essere emanazione proprio di Bertucci, il sodale di Alemanno che nel 2010 diventerà  amministratore delegato (e consulente) dell’Atac.
Si deve invece accontentare di 2 mila euro di sponsorizzazione il Comitato delle contrade di Sacrofano, paese che dista 30 chilometri da Roma e che dunque non risulta affollato di clienti dell’Atac.
La Arteventi srl ottiene euro 22 mila per la manifestazione “Parole in corsa”. In tutto 261 mila euro a pioggia per amici, amici degli amici e meritevoli.
Nel 2010 la cifra totale delle sponsorizzazioni resta la stessa ma i beneficiari cambiano tutti, a dimostrazione che forse non di strategia di comunicazione si occupano i vertici dell’Atac, ma di distribuzione di prebende.
Notano infatti gli ispettori: “È importante precisare che in questa sede non si vuol mettere in discussione la legittimità  giuridica dell’operato dell’azienda. Quello che si vuole rilevare, invece, è la criticità  sostanziale di un sistema che utilizza rilevanti risorse non per le finalità  sue proprie e in presenza di importanti squilibri economico-finanziari”. Certo, a proposito di “finalità  sue proprie”, l’Atac, nelle persone dei suoi vertici di allora, dovrebbero spiegare il significato della sponsorizzazione della Fondazione Cinema per Roma, che organizza il noto Festival cinematografico della Capitale, e ottiene 95 mila euro nel solo 2009.
Forse l’obiettivo era di convincere le star di Hollywood ospiti a rinunciare alla limousine per viaggiare sugli autobus dell’Atac, qualora ne passasse uno, e comunque non su quelli della concorrenza.
Che ovviamente non c’è.

Giorgio Meletti
(da “il Fatto Quotidiano“)

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COSÌ RENZI HA ASFALTATO LE POLITICHE AMBIENTALI

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

TRIVELLAZIONI, LIVELLI DI SCARICHI IN MARE, NUOVI INCENERITORI:   IL GOVERNO HA FATTO CARTA STRACCIA DI 20 ANNI DI BATTAGLIE

Il 2014 è stato un anno nero durante il quale ambiente, salute ed economia verde sono state piegate alle esigenze di lobby” e “industria inquinante.
Il Governo ha “messo in ginocchio ambiente, economia verde e salute in Italia”, come hanno più volte denunciato negli ultimi mesi i Verdi e i movimenti ambientalisti.
All’indomani della sentenza Eternit che ha dichiarato prescritto il reato di disastro ambientale e annullato i risarcimenti per le vittime dell’amianto, nonostante i proclami del Governo non ci sono interventi legislativi in grado di colpire realmente quanti hanno danneggiato territori, lavoratori e cittadini.
Anzi il nuovo decreto varato dall’esecutivo di Matteo Renzi ha persino depenalizzato i reati ambientali dall’abuso edilizio all’avvelenamento del suolo e del sottosuolo, dall’incendio di rifiuti agli scarichi industriali non autorizzati.
INQUINAMENTO LEGALE
Con il decreto Ambiente il ministro Gian Luca Galletti ha innalzato i limiti di emissione per gli scarichi a mare di gradi industrie inquinanti proporzionandoli ai livelli di produzione.
Più sarà  alta la produzione meno restrittivi saranno i limiti.
E anche nelle aree militari, come i depositi di carburante o i poligoni di tiro come quello di Quirra dove i terreni sono altamente inquinati da Ipa, benzene, metalli pesanti o anche da sostanze radioattive, il decreto Ambiente prevede valori limite fino a 500 volte meno restrittivi rispetto alle normative finora in vigore e facendo risparmiare così al ministero della difesa le spese per la bonifica e il risanamento ambientale.
SILENZIO ASSENSO
Le agenzie di protezione ambientale avranno 45 giorni per verificare l’avvenuta bonifica dei siti da parte degli inquinatori, altrimenti il silenzio assenso garatntirà  il salvacondotto legale.     ENERGIA PULITA CAMBIA VERSO
Sotto la presidenza del ministro dell’Ambiente Galletti, l’accordo raggiunto al termine dal vertice sui cambiamenti climatici ha previsto la riduzione del 30 percento di anidride carbonica fino al 2030: per l’ufficio europeo del Wwf “gli sforzi iniziali dell’Europa per combattere i cambiamenti climatici e far avanzare l’energia pulita, sono stati gettati via”.
A questo si aggiunge anche il calo degli investimenti nella green economy che, secondo quanto riportano i Verdi riportando i dati diffusi da Bloomberg New Energy Finance, nel 2013 gli investimenti sulle rinnovabili in Italia sono scesi da 15,2 a 4,3 miliardi di dollari perdendo 50 mila posti di lavoro.
Il decreto Ambiente ha inoltre messo in discussione anche grandi installazioni fotovoltaiche che avrebbero consentito di ridurre le spese di importazione di combustibili fossili di diversi miliardi di euro all’anno e salvare migliaia di vite umane.
CORSA A ORO NERO, CEMENTO E RIFIUTI
Con il decreto Sblocca Italia, il Governo ha autorizzato le trivellazioni in Basilicata, nel mar di Sicilia e nello Ionio prevedendo procedure semplificate per raddoppiare la produzione di petrolio in Italia lasciando intere regioni nei tentacoli delle lobby petrolifere.
Inoltre quasi la metà  dei circa 4 miliardi destinati alle grandi opere servirà  per costruire strade e autostrade nonostante il consumo di suolo sia di 70 ettari al giorno: il terreno ricoperto dall’asfalto e reso fragile dal disboscamento e dall’erosione al primo acquazzone finisce per mandarci sott’acqua o franarci sotto i piedi.
Ancora. La norma inserita nel decreto prevede un piano nazionale per la costruzione di inceneritori e nessun piano per la raccolta differenziata, recupero e riciclo dei rifiuti che avrebbe garantito oltre 10 mila nuovi posti di lavoro.
DEPENALIZZATI I REATI AMBIENTALI E CRESCITA SMOG
Nessun inasprimento delle pene per colpire chi attenta all’ambiente e alla salute dato che il decreto legislativo approvato qualche settimana fa dispone la non punibilità  per i reati con pene fino a cinque anni per “le modalità  della condotta o per l’esiguità  del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità  e il comportamento risulta non abituale”.
Una norma che violerebbe il dettato europeo che al contrario impone di rafforzare la tutela penale dell’ambiente, ignorata dall’Italia che detiene già  il record europeo dell’illegalità  ambientale. Infine nessun provvedimento per la lotta allo smog che provoca una danno ambientale enorme all’economia pari a 43 miliardi di euro ovvero 2,5 punti del Pil.
Per i Verdi, come denunciano Angelo Bonelli e Luana Zanella, coportavoci nazionali e firmatari di un circostanziato dossier, nel 2014 la crisi economica è stata utilizzata per emanare provvedimenti “pericolosi e aggressivi nei confronti dell’ambiente, dell’economia verde e della salute dei cittadini.
Sollecitiamo al governo — dicono Bonelli e Zanella — un radicale cambio di rotta sulle politiche ambientali così non si aiuta l’economia e tanto meno il futuro delle generazioni presenti e future del nostro paese”.

Francesco Casula
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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OGNI FAMIGLIA SPENDE 4200 EURO DI TRIBUTI LOCALI L’ANNO: DAL 2,9% AL 6,5% IN VENTI ANNI

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA DI CONFCOMMERCIO: TASSE SULLA CASA: + 114% IN QUATTRO ANNI… IN CAMPANIA E CALABRIA LE ALIQUOTE PIU’ ALTE

In media ogni famiglia italiana «spende 4200 euro per tasse locali».
Questi i dati diffusi da Confcommercio, «siamo lontani da un processo di riduzione sostenibile della pressione fiscale» ha aggiunto il direttore dell’ufficio studi Mariano Bella, sottolineando anche l’iniquità  generata da questo tipo di tributi.
«I soggetti che spendono di più e male sono costretti dal patto di stabilità  anche ad aumentare le imposte», ha continuato Bella citando l’esempio di Calabria e Campania dove un contribuente con imponibile Irap e Irpef pari a 50 mila euro paga 850 euro di tasse annuali in più rispetto alla Lombardia.
Il peso delle tasse locali sul Pil è più che raddoppiato in Italia negli ultimi 20 anni, passando dal 2,9% del 1995 al 6,5% del 2014.
È quanto si evince dal rapporto dell’ufficio studi di Confcommercio su finanza pubblica e tasse locali.
Nello stesso arco di tempo i tributi centrali sono passati dal 22,7% del Pil a 23,6% del Pil, generando un aumento della pressione fiscale complessiva che è salita dal 42,2% del 1995 al 43,8% nel 2014 (quest’ultimo dato – sottolinea Confcommercio – è una stima preliminare che potrebbe essere rivista).
Mentre l’insieme delle tasse sugli immobili negli ultimi quattro anni è aumentato del 115%.
L’ufficio studi segnala che solo nel 2014 l’aumento della tassazione ha raggiunto il 14,7% rispetto al 2013, arrivando a 31,88 miliardi di euro.
Quota che secondo l’ufficio studi, «non dovrebbe scendere nel 2015».
L’ufficio studi di Confcommercio ha segnalato il rischio di un ulteriore aumento delle tasse qualora scattassero le clausole di salvaguardia contenute nella legge di stabilità  2015: gli italiani dovrebbero pagare più imposte per 72,7 miliardi di euro nel triennio 2015-2018.
Si tratta di «un pericolo assolutamente da scongiurare, perchè i presupposti per la ripresa ci sono, ma va messa mano alla pressione fiscale», ha commentato Mariano Bella.

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GIUDICI, LE INSIDIE DELLA NUOVA COLPA: UNA NORMA CHE CONDIZIONERA’ I MAGISTRATI

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

IN NESSUN PAESE EUROPEO LA RESPONSABILITA’ CIVILE DEL GIUDICE E’ STATA AMPLIATA COME DA RENZI: NELL’INTERESSE DI CHI? NON DELLA GIUSTIZIA

Proprio quando è ormai diffusa la consapevolezza di quanto costi ai cittadini la «medicina difensiva» indotta nei medici dal rischio di vedersi trascinare continuamente in giudizio, la nuova legge sulla responsabilità  civile dei magistrati rischia di sospingere le toghe ad assumere una mentalità  burocratico-impiegatizia e a praticare una «giustizia difensiva» potenzialmente non meno perniciosa per i cittadini.
L’indipendenza del giudice, infatti, prima e più che tutelare il singolo magistrato da ritorsioni e intimidazioni, tutela il cittadino quando la controparte sia dotata di preponderante forza economica o politica: e infatti non è un caso che, pur di preservare l’indipendenza dei propri giudici, nazioni come gli Stati Uniti, Israele o la Gran Bretagna arrivino ad assicurargli una totale immunità  rispetto alle decisioni assunte, mentre altri come la Francia ammettano risarcimenti solo in caso di dolo, e altri ancora (come l’Olanda) contemplino casistiche più ampie ma solo a carico dello Stato e mai dei singoli magistrati.
L’iter di modifica della vigente legge Vassalli è partito male, viziato dalla leggenda metropolitana secondo la quale l’Europa chiedeva all’Italia che fosse il singolo giudice a dover rispondere direttamente con il proprio patrimonio: in realtà  la Corte di Giustizia dell’Unione Europea per due volte aveva invece richiamato l’Italia a prevedere che lo Stato dovesse risarcire anche gli errori commessi dalla Cassazione con violazioni manifeste del diritto dell’Unione Europea.
Sull’onda però di questo strumentale equivoco, il Parlamento ha comunque ritenuto di modificare la legge del 1988.
I magistrati italiani – già  «processabili» dalla ordinaria giustizia penale quando si macchiano di delitti, dalla Corte dei conti quando causano danni all’Erario, e dal Csm quando commettono violazioni disciplinari – fino a ieri erano esposti a una azione di responsabilità  civile che il cittadino poteva promuovere soltanto contro lo Stato (che poteva poi rivalersi sul magistrato per un terzo del suo stipendio annuo); e soltanto per casi di dolo, colpa grave e denegata giustizia, dai quali erano espressamente escluse l’interpretazione di norme o la valutazione del fatto e delle prove.
La nuova legge mantiene lo schermo dello Stato (alzando la rivalsa a metà  dello stipendio), ma tra i casi di colpa grave introduce «il travisamento del fatto o della prove».
Questo è un aspetto molto insidioso. Sia perchè potrebbe incentivare giudici-burocrati al quieto vivere di scelte interpretative più accomodanti e di decisioni meno rischiose per le proprie tasche, quando in gioco vi siano grossi interessi e forti protagonisti.
Sia perchè confina/sconfina pericolosamente con ciò che non è consentito dal sistema, e cioè con il sindacare l’attività  di interpretazione che, argomentata dal giudice nella motivazione dei provvedimenti impugnabili nei gradi successivi, è il cuore della giurisdizione.
Al punto che, per restare entro la Costituzione, si dovrebbe ricondurre la nozione di «travisamento» solo a quello abnorme, accecante, macroscopico, che per essere rilevato non abbia bisogno di alcuna valutazione: così però ricadendo di fatto nella vecchia legge, che già  faceva discendere la responsabilità  dall’«affermazione» o «negazione» di «un fatto» di cui la rispettiva esistenza o assenza risultasse «incontrastabilmente dagli atti».
E se fino a ieri l’azione di risarcimento era subordinata a un vaglio del Tribunale sulla non manifesta infondatezza, la nuova legge abolisce invece questo filtro di ammissibilità , ritenendolo responsabile del fallimento statistico della legge (7 condanne su 400 ricorsi in 25 anni); ma nello stesso tempo non mette alcuna sanzione a carico di chi risulti aver instaurato azioni di responsabilità  palesemente campate per aria, ritorsive, intimidatorie.
Così, però, il pericolo di condizionare il giudice arriverà  non tanto dal timore dell’esito, ma già  dall’azione in sè, giacchè egli – che da qualunque pur balzana denuncia potrà  temere conseguenze disciplinari dirette oltre che patrimoniali indirette – dovrà  ogni volta ingaggiare (e pagare) un avvocato: in una catena di «processi al processo» precedente, tendenti a ridiscutere all’infinito il verdetto (non più) finale.

Luigi Ferrarella

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ACCATTONAGGIO MOLESTO: ESPONENTI DELLA DESTRA ROMANA RISCHIANO L’ARRESTO, IL RACKET GUIDATO DA SALVINI

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

LI RICONOSCETE AGLI ANGOLI DELLE STRADE CON LA CIOTOLA PADANA: ELEMOSINANO UNA POLTRONCINA E SI VENDONO I CIMELI DEL DUCE PER UNA FOTO DELLE CHIAPPE DI SALVINI

Il titolo della manifestazione è “Renzi a casa, la nostra ce la siamo venduta da tempo”.
Il 28 febbraio le truppe autotrasportate della “padagna del magna magna” varcheranno i sacri confini delle nebbiose osterie del nord per portare a “Roma ladrona”, con 250 pulmann autoripulenti, le quadrate legioni che hanno giurato sul pitale della fonte del Monviso e sguazzato nelle acque inquinate del Po.
Prenotati anche molti treni piombati in funzione anti-fetore per permettere rutti identitari in libertà .
Di certo in piazza del Popolo ci saranno non solo gli elettori auto-trasportati del “sistemamogli”, ma anche da quella miriade di accattoni molesti che da settimane stazionano agli angoli della città  con un piattino verde in mano: sono i senza tetto della destra romana, meglio i senza patria e senza ideali, i “traditori dell’Idea” si sarebbe detto in altri tempi.
Molti di quelli che, dopo aver fatto il giro delle Cento parrocchie, oggi si ritrovano alla mensa della Caritas padana, invocando una verginità  persa da tempo, causa frequentazione dei peggiori bordelli capitolini.
Fascistelli da operetta che si si vendono i cimeli del duce per una maglietta “padania is not italy”, ex parolai della destra sociale che ora vogliono affogare i poveri, mitici identitari rimasti senza documenti sulla loro origine (gli avranno fregato il portafoglio a Termini?), boss di quartiere convertiti dai lingotti di Belsito, poltronisti e commedianti alla ricerca di un posto al sole a misura della chiappe di Salvini.
Rimasti in brache di tela per la loro incapacità  di interpretare i cambiamenti della società , sono i nuovi rom della destra italiana: per questo vogliono chiudere gli accampamenti sinti, per prenderne il posto, non per razzismo.
Si danno del traditore da anni tra di loro, rivendicando “la terza via” da decenni, ma inboccando alla fine prima quella di palazzo Grazioli e ora quella di via Bellerio.
Senza disdegnare soste ben remunerate al Campidoglio, ai tempi della moltiplicazione dei pani, dei pesci e dei parenti.
Da giovani idealisti avrebbero assaltato a spranghate la feccia di Piazza del Popolo, oggi da vecchi rottami si accontentano di vendere i santini del sale della Alpi (il sole è una cosa seria) e i barattoli dell’aria di Bergamo confezionati dai cinesi a Prato.
In attesa di una gita sociale nel canale di Sicilia per prendere a pagaiate i veri profughi, quelli che scappano da guerre vere, non dalle commedie dell’arte messe in scena da compagnie di (presa in) giro.
“Venghino signori, venghino, lo spettacolo sta per cominciare, posti quasi esauriti”: affrettatevi ex camerati, il domani appartiene a noi (per Salvini).
Per perdere, come sempre, faccia ed elezioni.
In attesa di un altro giro, altro regalo, continuate pure a prendere per il culo i giovani e a fare favori al sistema.

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TESI ORIGINALE: “RENZI ASSOLTO PERCHE’ IGNORANTE”

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

ASSUNZIONI IRREGOLARI A FIRENZE, MOTIVAZIONE IMBARAZZANTE: “ASSOLTO PERCHE’ NON ERA ADDETTO AI LAVORI”… COSI’ L’IGNORANZA, MAI AMMESSA PER LEGGE, VIENE SDOGANATA PER SENTENZA

Quando è stato assolto ha esultato su Twitter: “La Corte mi aveva condannato a pagare 14mila euro per un atto amministrativo della Provincia di Firenze. Oggi condivido una piccola soddisfazione: l’appello ha annullato la condanna e la verità  viene finalmente ristabilita”.
Per Matteo Renzi sembrava chiusa così la vicenda dei portaborse senza laurea che aveva assunto nella sua segreteria personale con contratti e retribuzione da dirigenti negli anni dal 2004 al 2009.
Per quella storia aveva subito due condanne da parte della Corte dei Conti della Toscana e tre anni dopo è arrivata l’assoluzione in appello nel Lazio.
L’unico ad essere sollevato però, a quanto pare, è il diretto interessato.
Le motivazioni della sentenza emessa dai giudici della I Sezione centrale di appello di Roma il 4 febbraio 2015 tolgono al premier l’imbarazzo della condanna ma non altri. A pagina 11 del dispositivo si legge infatti: “Pur non ricorrendo gli estremi della cosiddetta “esimente politica”, questo Collegio ritiene di poter rilevare l’assenza dell’elemento psicologico sufficiente a incardinare la responsabilità  amministrativa, in un procedimento amministrativo assistito da garanzie i cui eventuali vizi appaiono di difficile percezione da parte di un ‘non addetto ai lavori’”.
In poche parole, Renzi viene assolto perchè non in grado di percepire le illegittimità  del proprio operato.
E forse, già  che oggi è Presidente del Consiglio, non è proprio motivo di festa.
Piaccia o non piaccia, è questa la motivazione che ha seppellito le due sentenze della sezione giurisdizionale della Toscana che il 4 agosto 2011 (n. 282) e il 9 maggio 2012 (n. 227) avevano condannato Renzi e altre venti persone, tra colleghi di giunta e funzionari, per danno erariale con colpa grave.
E che cosa aveva mai combinato, l’allora presidente della Provincia e oggi premier d’Italia?
Secondo il procuratore contabile aveva inquadrato nel suo staff quattro persone esterne all’amministrazione come funzionari, qualifica che richiede la laurea, pur non possedendola.
L’indagine era nata da una denuncia anonima sull’assunzione di Marco Carrai, “uomo-ombra” del renzismo, all’epoca ventinovenne, sistemato nella segreteria del presidente nonostante fosse privo del diploma di laurea.
Così per cinque anni, i quattro avrebbero beneficiato di uno stipendio maggiorato e non dovuto.
Una violazione delle disposizioni sulla contrattazione collettiva del comparto previste dall’art. 90 del Testo Unico degli Enti Locali (TUEL, d.lgs 267/2000) che avrebbe prodotto un danno per l’amministrazione stimato in 2.1 milioni di euro, ridotto dai giudici di primo grado a un risarcimento di 50mila.
Di questa somma, circa 14mila euro sono stati posti a carico del rottamatore. La cifra è modesta, il significato politico del giudizio di prima grandezza.
Alla fine resta una sentenza di assoluzione dalle motivazioni sorprendenti, per certi versi preoccupanti.
Il direttore di Lex Italia, rivista di diritto pubblico, Giovanni Virga la spiega così: “Il collegio ha ritenuto che l’attuale Presidente del Consiglio, pur essendo in possesso di una laurea in giurisprudenza, è un “non addetto ai lavori” che si fida ciecamente degli apparati burocratici (che quindi sono stati giustamente condannati in primo grado) e che non è in grado nemmeno di rilevare che al personale privo di laurea da lui assunto in via fiduciaria non può essere corrisposto il trattamento economico previsto per i laureati”.
Il principio rischia di spalancare le porte a un sistema diffuso di elusione della responsabilità  erariale.
“Serve anche a mandare assolti nei giudizi di responsabilità  i politici di vertice i quali, essendo “non addetti ai lavori” non possono essere ritenuti responsabili degli atti da loro adottati”.
I giudici, a onor del vero,   avevano anche un’altra strada per assolvere Renzi.
Era ben nascosta nei meandri della riforma della Pa del suo ministro Madia presentata il 13 giugno e convertita l’11 agosto 2014 come legge n. 114.
Lì è spuntato un comma 3-bis che modifica il Testo Unico degli Enti Locali proprio nella parte che riguarda l’inquadramento del personale di staff esterno alla PA. Dispone che “resta fermo il divieto di effettuazione di attività  gestionale anche nel caso in cui nel contratto individuale di lavoro il trattamento economico, prescindendo dal possesso del titolo di studio, è parametrato a quello dirigenziale”.
Con un lessico un po’ oscuro e bizantino, il comma sembra acclarare la possibilità  di parametrare il trattamento economico dei “portaborse”   sprovvisti di laurea a quello dei dirigenti; proprio l’inciampo oggetto dell’appello di Renzi nel Lazio.
Da qui, il sospetto che non fosse entrato nella riforma per caso ma ad “usum delfini”, perchè venisse applicato retroattivamente dalla Corte dei conti in base al principio di retroattività  della legge favorevole al reo.
Non è stato necessario usufruire della legge ad personam.
E’ bastato che la persona ignorasse la legge.
Così, l’ignoranza mai ammessa per legge viene sdoganata per sentenza.

Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)

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