Destra di Popolo.net

LA MORETTI, LADYLIKE PENTITA, PROVA A SCALARE IL VENETO

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

GIRA DA UN PAESE ALL’ALTRO, ATTACCA GALAN (STIPENDIATO AI DOMICILIARI), E SPERA NELLE DIVISIONI DEL CARROCCIO

Sfoggia il dialetto, abbraccia le istanze autonomiste e giura di essere “la prima politica della storia a impegnarsi davvero per il territorio”.
Garantisce: “Io non faccio promesse che non posso mantenere, piuttosto sto zitta”. Alessandra Moretti sta battendo il Veneto. E lo fa con tale piglio e coraggio che sembra credere davvero di poter espugnare un feudo da vent’anni in mano al centrodestra.
Quel Veneto simbolo di Giancarlo Galan, che l’ha guidato per ben tre mandati consecutivi per poi cederlo al suo vice: il leghista Luca Zaia, che ha a sua volta lasciato il ministero dell’Agricoltura a Galan.
Sinistra mai pervenuta
Da queste parti la sinistra è poco più di un’indicazione stradale. Conquistare questa terra è uno dei sogni di Matteo Renzi che ha chiesto alla Moretti di immolarsi nell’impresa.
Lei ha risposto mettendosi sull’attenti. Quando le venne contestato il nuovo impegno che l’avrebbe portata lontano dal Parlamento europeo, dove era stata appena eletta, lei spiegò: “Se ti chiama Matteo non puoi non accettare”.
E per essere ancora più credibile, Moretti ha deciso anche di dimettersi da eurodeputata. “Nessuno può dire che io ho qualche paracadute”, è una delle frasi che ripete ai suoi incontri pubblici.
Sei, otto anche dieci appuntamenti al giorno. Gira paese per paese con l’intenzione di coprirli tutti e 579 prima del voto.
Trattorie, locande, piazze, mercati. Ambienti spesso decisamente ostici o, comunque, poco accoglienti.
Ieri pomeriggio, per dire, al bar centrale di Albettone, nella profonda provincia vicentina, ha trovato una bella bandiera degli indipendentisti veneti ad attenderla. E volti mica proprio concilianti.
Albettone è uno dei paesi che si è schierato da subito con Graziano Stacchio, il benzinaio che ha sparato a un rapinatore poche settimane fa. Il sindaco di Albettone, Joe Formaggio, ha stampato e venduto le magliette a favore del benzinaio.
Di 1400 elettori , qui in 200 hanno votato il Movimento 5 Stelle, qualche decina il Pd. Quando la Moretti entra nel bar, attorno alle 15:30, trova una manciata di pensionati pronti ad ascoltare e tanti altri inizialmente diffidenti.
“Sto facendo un viaggio dell’ascolto e vorrei che mi esponeste le vostre opinioni e richieste”, esordisce. “La mia è una campagna per i cittadini con onestà  e umiltà , cosa che solitamente la politica non ha”.
Estetista clandestino, lo stile è Rosy Bindi
Il piglio da ladylike rimane, del resto si era battezzata così da sola, durante un’intervista rilasciata a Nino Luca di Corriere Tv lo scorso novembre. “Noi siamo politiche ladylike: brave, belle e intelligenti”.
Per aggiungere pure “sono una bravissima cantante, peraltro, insieme a tutte le altre cose che faccio splendidamente, cucino anche benissimo”.
Ma erano altri tempi. Va ancora dall’estetista ma non lo dice, si veste con tailleur alla Rosy Bindi e tenta di conquistare con le parole.
Quindi, in questi bar di provincia, di fronte a poche decine di elettori, si dice pronta ad abbracciare le istanze autonomiste.
“La Lega per venti anni ha detto padroni a casa nostra e siamo invece più poveri”, attacca. “Il governo Renzi sta decentrando molto alle regioni”, dice Moretti. Poi immigrazione. “Quando ci fu da distribuire i profughi il Veneto di Zaia ha votato sì con il governo, io avrei alzato la mano e chiesto come sono identificati questi profughi?”.
Conquista la benevolenza di qualche ascoltatore quando spara su Galan che sconta la sua condanna patteggiata a due anni in una villa a pochi chilometri da qui, a Cinto Euganeo. “E prende il vitalizio lo stesso”.
Tenta di legare Galan a Zaia. “È finito un ventennio, ora dobbiamo iniziarne un altro”, si lascia scappare. Ma vabbè. Ciascuno indossa i panni che può e in queste terre è comprensibile, indispensabile forse provare i vestiti che furono dei leghisti.
Loro poi aiutano non poco la corsa morettiana.
Il movimento fondato da Umberto Bossi rischia di schiantarsi e morire proprio qui in Veneto. Con il sindaco di Verona e segretario della Liga Veneta, Flavio Tosi, che minaccia di candidarsi contro Luca Zaia, e Roberto Maroni con Matteo Salvini che rispondono dichiarando guerra: “Chi critica Zaia si consideri fuori dalla Lega”.
In tutto questo Moretti guadagna spazio. Certo per i sondaggi la distanza è ancora abissale, si parla di venti punti percentuali in meno.
Ma ha l’entusiasmo di chi conosce le sue alternative, l’unica: perdere.
Ha già  visitato 180 paesi. Lei scende dal suo pulmino scortata da quattro persone del suo staff, sorride, si presenta e stringe la mano a tutti. Poi parte col breve comizio.
Il lungo tour della provincia
Ieri ha toccato Campiglia, Noventa Vicentina, Agugliaro, Albettone, Sossano e Bar-barano. Domani altri sette paesi.
Ogni tanto però le capita di incontrare volti amici. Come ieri alla trattoria da Amilcare. Per carità , al pranzo hanno partecipato in appena otto persone, di cui quattro del suo staff, ma il titolare, Marco Borghettini, è “uno di sinistra: siamo l’unico punto rosso in questa valle verde di lacrime”.
L’importante, confida Borghettini, “è che poi Moretti si decida a stare in un posto finalmente”.
Lei garantisce: “Se perdo la sfida a guidare la Regione rimango qui in Veneto, certo”. Sempre che non arrivi una nuova telefonata da Matteo.
E allora, come poter dire di no?

Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano“)

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TOSI: “A ROMA CI SARO’, NON PRESTO IL FIANCO AI MISERABILI”

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

IL SINDACO NON MOLLA: “SE CALPESTANO IL VENETO REAGIRO'”

Ancora a pesci in faccia, nonostante la promessa (condita al veleno) di Flavio Tosi.
Il leghista in guerra con il leader Salvini e il governatore del Veneto Zaia dice che sabato sarà  in piazza del Popolo, alla marcia su Roma targata Lega: «Farò l’impossibile per andarci, nonostante i miei impegni da sindaco, e lo farò per non prestare il fianco a dei miserabili che, e non parlo di Salvini, fanno polemiche strumentali e penose».
Ma il segretario è netto: siccome resta in piedi la minaccia di Tosi di candidarsi contro il governatore uscente (ipotesi «abominevole», la definisce Zaia), ecco l’avvertimento di Salvini: «Chi si mette contro Zaia è fuori dalla Lega, io non espello nessuno, ma c’è qualcuno che si autosclude».
«La scelta – replica il sindaco di Verona — spetta al consiglio federale, in ogni caso ognuno si assume le proprie responsabilità ».
E se il “milanocentrico” Salvini decidesse di non fargli mettere becco sulla composizione delle liste elettorali, e dunque di «passare sopra l’autonomia del Veneto, io valuterò il da farsi».
Poi su Repubblica.it attacca l’alleanza con Casa Pound: «Contrasta con la storia del Carroccio».
Questo il clima. E a peggiorarlo ci sono gli incontri con il “nemico” tenuti ieri a Roma da Tosi.
Prima ha visto, a Palazzo Chigi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti, fedelissimo di Renzi; poi, nella sede del Ncd, Gaetano Quagliariello.
Il “federale” del Carroccio è convocato per lunedì, due giorni dopo la manifestazione di Roma.
E tra gli amici di Zaia qualcuno sta meditando di chiedere il commissariamento della Liga veneta guidata da Tosi.
A meno di un accordo in extremis che al momento quasi nessuno prevede.

(da “La Repubblica”)

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SALVINI ATTACCA TOSI PER INTERPOSTA ELISA: TROVATE UNA SISTEMAZIONE ANCHE ALLA FUTURA TERZA MOGLIE

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

FARSA PADANA: LA COMPAGNA DI SALVINI IN RAI COSTRUISCE UN SERVIZIO CONTRO TOSI E POI LITIGA CON IL SUO PORTAVOCE

Pioggia di critiche sulla conduttrice Rai e compagna di Salvini, Elisa Isoardi, per gli attacchi fatti in trasmissione al portavoce di Tosi.
Una vicenda legata al mondo della tv che però si intreccia con la politica: la conduttrice costruisce un servizio televisivo ad arte per attaccare l’avversario numero uno di Salvini in questo momento: quel Flavio Tosi che da giorni “minaccia” di presentarsi con una lista alle prossime elezioni regionali in Veneto.
Sono le 11 di lunedì quando la Isoardi, ex Miss cinema e conduttrice di una trasmissione che si occupa di consumi, ospita la protesta di un gruppo di pensionati coltivatori di orti urbani a Verona, che lamentano una tassa da 15 euro introdotta dal sindaco Tosi.
Un servizio a cui è seguita la telefonata di protesta del capo ufficio stampa del Comune, Roberto Bolis, con il quale la conduttrice “polemizza pesantemente”.
Un l’episodio che non è sfuggito ad alcuni parlamentari che sollevano il sospetto di un “conflitto d’interessi” della Isoardi nello svolgere il suo lavoro sugli schermi della tv pubblica.
E il caso finisce in Parlamento.

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“QUEI 100 MILIONI DI EXPO ALLE COSCHE”

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

LA RELAZIONE DELLA DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA: “‘NDRANGHETA PREMINENTE AL NORD E MAGISTRATI SPIATI”

È l’Expo 2015 il nuovo Eldorado della mafia spa.
Una sola cifra è sufficiente per capire il livello di penetrazione delle maggiori organizzazioni criminali italiane tra i padiglioni dell’esposizione: 100 milioni, questo è il valore di appalti e commesse conquistato da imprese in odor di mafia.
Cento milioni, quelli venuti alla luce dopo le indagini della procura di Milano. Degli altri non si sa.
Il dato è contenuto nella Relazione annuale della Direzione nazionale antimafia presentata ieri a Roma dal procuratore Franco Roberti e da Rosi Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia.
Commesse fatte ad hoc dalla cupola
“Diverse commesse correlate ad Expo — si legge — sono state confezionate da una cupola, composta anche da personaggi già  protagonisti della tangentopoli degli anni Novanta”.
Non siamo più al “pizzo” di antica memoria. Cose da pezzenti, oggi le mafie si fanno impresa, entrano nei circuiti corruttivi consolidati e puntano in alto: agli appalti grossi.
“Alla data del 3 dicembre 2014 — si legge ancora     — la Prefettura di Milano ha emesso 46 interdittive nei confronti di imprese risultate affidatarie di contratti e subcontratti riguardanti e connessi all’Expo, per un valore complessivo di 100 milioni”.
Una bella cifra rastrellata da un sistema di imprese fortemente sospettate di avere legami con le mafie, spalmate su tutto il territorio nazionale, da Nord al Sud.
“Undici le ditte provenienti dal Meridione (1 dalla Campania, 6 dalla Calabria e 4 dalla Sicilia), le restanti 35 imprese fino ad ora interdette” hanno tutte la sede legale nell’Italia settentrionale”.
Un dato eclatante, per questo Rosy Bindi invita a “non parlare più di infiltrazioni al Nord, perchè qui le mafie sono radicate da anni”.
Ma è la corruzione il mare dentro il quale nuota il pesce mafioso.
Lo dice senza mezzi termini Franco Roberti: “La verità  è che la corruzione è un fenomeno mai efficacemente contrastato, perchè mai considerato grave, come se si ritenesse fisiologica una certa quota di malaffare. Mentre il mafioso e il corruttore hanno una visione comune”.
Le ‘ndrine ormai insediate dagli Usa all’Oceania
Tornando all’Expo, la Relazione della Dna sottolinea “l’assoluta prevalenza delle imprese infiltrate dalla ‘ndrangheta. La mafia più forte, radicata in tutto il territorio nazionale, in Europa nel mondo, dagli Usa all’Oceania. Una organizzazione unitaria, “un sistema organico unito e compatto”.
Una potenza economica, “l’unico soggetto finanziariamente apprezzabile in una terra depressa come la Calabria”.
Da dove nasce tanto potere? Dal traffico di cocaina.
Gli specialisti della Dna fanno un esempio netto per farsi capire: se anche nel campo del narcotraffico , come in quello petrolifero, esistessero le Sette Sorelle, la ‘ndrangheta occuperebbe il primo posto grazie ai rapporti con i clan colombiani, e oggi con i cartelli messicani, i Las Zetas in primo luogo.
Ma a darle forza è il totale controllo del Porto di Gioia Tauro, “diventato ormai una vera e propria pertinenza di casa della cosca Pesce e dei suoi principali alleati”. Stiamo parlando di uno dei maggiori porti commerciali del Mediterraneo, uno snodo importante per lo sviluppo dell’intero Paese.
Qui i boss sono padroni e trafficano quantità  impressionante di droga.
“Dal 1 luglio 2013 al 30 giugno 2014 sono stati sequestrati nel Porto di Gioia Tauro kg 1406,065 di cocaina”.
Il “controllo totalizzante sul Porto” le cosche lo hanno costruito grazie “ad inesauribili appoggi interni”.
Cosa Nostra non è morta, “altro che balcanizzazione”, in Sicilia “siamo di fronte ad una transizione e alla ricerca di nuovi equilibri dopo gli arresti”.
E Palermo è ancora terra di corvi e manovre, e di rapporti tra mafia e pezzi infedeli dello Stato. Nella relazione si fa riferimento a “appartenenti alle forze dell’ordine che avrebbero per conto di una non meglio precisata entità , spiato alcuni magistrati”.
Il silenzio del Vaticano
Franco Roberti parla della Chiesa: “Avrebbe dovuto fare di più, in passato si è portata dietro moltissime responsabilità  per decenni di silenzio. Ricordo Giovanni Paolo II e la sua denuncia alla Valle dei Tempi, quel discorso non era preparato, il Papa lo fece dopo la visita ai genitori di Rosario Livatino, il giudice ragazzino. Da allora troppo silenzio, fino a Papa Francesco che parla apertamente di scomunica dei mafiosi”.

Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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EXPO: “MACCHE’ VOLONTARI, SONO SFRUTTATI”

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

INTERVIENE UN FORUM DI AVVOCATI E SINDACALISTI: “È L’ULTIMA SPALLATA AI DIRITTI, PRONTO UN ESPOSTO”

Dopo il rapper Frankie Hi-Nrg e i movimenti no expo, in molti si iniziano a chiedere se si può considerare un “volontario”, alla stregua di chi assiste i bisognosi per spirito di solidarietà , chi lavora al più grosso evento commerciale avviato in Italia negli ultimi anni.
Se lo sono chiesto ad esempio i responsabili del Forum diritti-lavoro, associazione di giuslavoristi e sindacalisti di cui è un membro di spicco l’ex leader della Fiom Giorgio Cremaschi. La risposta è no.
L’associazione ha infatti annunciato un esposto all’ispettorato del lavoro di Milano, contro l’accordo che ha aperto le porte dell’Expo al lavoro gratuito, firmato nel luglio 2013 dai sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil ed Expo spa.
All’esposto seguiranno ulteriori iniziative quando i cosiddetti volontari inizieranno a lavorare, dal primo maggio prossimo.
È così si aggiunge un nuovo capitolo alla polemica che da mesi imperversa attorno al volontariato di Expo, che i movimenti No Expo e la sinistra sindacale considerano l’ultima spallata nel processo di demolizione dei diritti dei lavoratori.
I 10.000 volontari reclutati con l’aiuto del Csv, Centro servizi per il volontariato, di Milano (per un costo di 1,2 milioni di euro) sono per ora l’unico dato certo sul lavoro generato dall’evento.
L’iniziativa del Forum sembra avere solide basi.
Innanzitutto la legge quadro del 1991 sul volontariato, che all’articolo due sancisce che “per attività  di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro, anche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà ”.
Così i giuristi del Forum spiegano che “Expo non può ricorrere alle associazioni di volontariato vista l’assoluta assenza dei fini di solidarietà  imposti dalla legge, in un evento che è esclusivamente orientato a fini di lucro”.
Una visione questa non lontana da quella sostenuta pubblicamente a inizio febbraio dal rapper italiano Frankie Hi-Nrg, che ha rinunciato al ruolo di Ambassador di Expo: “Ho sbagliato e chiedo scusa”, ha detto alla stampa, “la direzione che ha preso Expo è diversa da quella che avrei sperato.     “Il fatto che migliaia di ragazzi vengano fatti lavorare gratuitamente (ricevendo in cambio il privilegio di aver fatto un’esperienza…) a fronte del muro di miliardi che l’operazione genera è una cosa indegna per un Paese che parla di impulso alla crescita”.
E, a quanto pare, il rapper non è il solo a pensarla in questo modo.

Marco Maroni
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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MIGLIORI ATTORI NON PROTAGONISTI

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

PREFERIAMO MATTARELLA QUANDO STA ZITTO

E pensare che cominciava a starci simpatico, Sergio Mattarella.
La scena delle delegazioni dei partiti che salgono al Quirinale per consultarlo sulle riforme “condivise” votate nottetempo dal Pd e basta, e della sua sfinge che le osserva impassibile, marmorea, senza tradire la minima emozione, come priva di circolazione sanguigna, costringendole a compulsare eventuali, impercettibili vibrazioni sopraccigliari per arguirne un eventuale pensiero, è davvero avvincente dopo nove anni di logorrea monitoria.
Il silenzio tombale sull’Aventinuccio delle opposizioni contro la riforma costituzionale è uno splendido contrappasso ai moniti di Re Giorgio, che per molto meno avrebbe già  intimato loro di smettere immantinente di opporsi.
E che dire delle acrobazie imposte ai quirinalisti corazzieri, ieri spalmati sul Napolitano giocatore per sostenere che faceva benissimo a impicciarsi sempre di tutto, e ora sdraiati sul Mattarella arbitro per argomentare che fa benissimo a non interferire. Anche la scelta dei mezzi di locomozione, dai voli di linea ai pedibus calcantibus, dal Frecciargento alla tramvia fiorentina con bandiera tricolore appiccicata alle spalle, è la messa in mora di questa casta imparruccata che considera le usanze dei cittadini comuni una diminutio, ai limiti della lesa maestà .
Poi purtroppo ieri, dopo tre settimane di letargo, Mattarella ha parlato.
Gli è scappato un monito. E ha subito fatto rimpiangere quando taceva.
“Il magistrato — ha detto alla scuola delle toghe a Scandicci — non dev’essere nè protagonista assoluto nel processo nè burocratico amministratore di giustizia”.
E così, invece di ricordare al governo che la legge sulla responsabilità  civile dei giudici è incostituzionale perchè cancella l’udienza-filtro sui ricorsi dei cittadini (l’ha detto la Consulta di cui fino al mese scorso lui stesso faceva parte), anche lui ha reso omaggio a un totem che ci portiamo appresso da vent’anni: la lagna sul “protagonismo” che chiunque passi per la strada (specie se ha la coda di paglia) si sente in dovere di lanciare ai magistrati che finiscono sui giornali per parole, processi o indagini.
Una giaculatoria così stantia, tediosa e distante dalla realtà  di un Paese fondato sull’illegalità  di massa (soprattutto dei colletti bianchi), che persino Piero Grasso s’è sentito in dovere di replicare: “A volte il protagonismo viene da sè, per le cose importanti che fai. La gente deve sapere quando fai cose utili e importanti per la società ”.
Siccome Mattarella è uomo riflessivo — i turiferari che l’hanno scoperto un mese fa ci hanno rivelato che “pensa prima di parlare”, anzi addirittura “parla solo quando vuole lui” — forse risponderà  a questa domanda: ma che senso ha dire che i “magistrati non devono essere protagonisti assoluti nel processo”?
Persino Monsieur de La Palisse, che un quarto d’ora prima di morire era ancora vivo, troverebbe la frase troppo ovvia o troppo inquietante.
Se vuol dire che nel processo ci sono anche gli avvocati, gli imputati, i testimoni, le parti civili e i cancellieri, grazie tante: ma non s’è mai visto un processo senza queste figure, anche perchè sarebbe nullo (a parte l’udienza al Quirinale dove fu sentito Napolitano senza gli imputati perchè il teste non li gradiva).
Se invece intende che i magistrati non devono parlare, è una violazione dell’art. 21 della Costituzione (salvo che rivelino segreti d’indagine o anticipino sentenze, ma lì i codici e il Csm li sanzionano).
Se infine la frase significa che i magistrati non devono far parlare di sè, è insensata (se uno parla di me o no, dipende da lui, non da me).
Oppure è incoerente con l’invito a non diventare burocrati. È dei burocrati, che fanno il proprio compitino (se lo fanno) senza disturbare nessuno, che non si parla mai.
Si parla invece dei magistrati che si occupano dei potenti, e meno male: è proprio nell’anonimato che si nascondono le toghe corrotte, colluse, conniventi e nullafacenti. Qualcuno aveva mai sentito parlare del giudice Vittorio Metta, che alla fine degli anni 80 si vendeva le sentenze a Previti & B. senza mai parlare nè far parlare di sè?
No, negli stessi anni si parlava molto di Falcone e Borsellino, che per le loro inchieste o interviste erano spesso in tv e in prima pagina.
Giudici protagonisti anche loro?

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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LA FAMIGLIA CAMBIA, LA POLITICA DORME: PIU’ SEPARAZIONI E BASTA MATRIMONI IN CHIESA

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

QUASI UN MATRIMONIO SU DUE NON E’ RELIGIOSO, CRESCONO LE CONVIVENZE MENTRE CALANO I DIVORZI A CAUSA DELLA CRISI

Matrimoni in calo costante da cinquanta anni. Un divorzio ogni quattro coppie sposate. Quasi metà  delle nozze celebrata con rito civile e una coppia ogni dieci composta da conviventi.
La famiglia italiana raccontata con i dati dell’Istat lascia pochi dubbi su quanto sia cambiata la scala di valori nel Belpaese, sempre meno legato all’idea tradizionale di famiglia e allergico ai legami «per sempre».
L’Italia di oggi è molto diversa non solo da quella di cinquanta, ma anche di venti o dieci anni fa. Differente anche da quella rappresentata dalla televisione pubblica.
E, per quanto la politica provi a ignorare o rimandare le riforme in tema di famiglia e diritti riproduttivi, sui temi etici gli italiani hanno già  fatto quel salto che i loro legislatori non sembrano voler accompagnare.
Molto si è detto sulla costante diminuzione del numero di matrimoni, ma per avere un quadro dai contorni più definiti sulla realtà  del paese, abbiamo rapportato una serie di dati sulle unioni alla popolazione residente.
Dalla legge sul divorzio alla società  liquida.
Se nel 2013 si sono sposati 32 italiani ogni diecimila abitanti, nel 1961 erano più del doppio: 79 ogni diecimila (un calo del 59 per cento).
Confrontando il dato più recente con quello di cinque o dieci anni prima, la voglia di sposarsi risulta in forte diminuzione: il 22 per cento meno del 2008, e meno 30 per cento rispetto al 2003.
Il fenomeno è anche in parte dovuto, come spiega l’Istat , a un «effetto struttura», ovvero il calo delle nascite che ha interessato il nostro paese dalla metà  degli anni 70, ha prodotto oggi un calo fisiologico della popolazione in età  da prime nozze.
Guardando l’andamento nazionale dei matrimoni salta immediatamente all’occhio, inoltre, il crollo verticale tra il 1971 e il 1981.
Sono gli anni delle battaglie civili, alle quali partecipa attivamente anche il nostro settimanale. Nel dicembre del 1970 il divorzio diventa legge, e per quanto ciò non abbia influenza sulla regolamentazione del matrimonio, quel che accade dà  il senso del cambiamento culturale in atto nel paese.
Per la prima volta viene cioè ridimensionata l’idea del matrimonio come evento centrale, persino inevitabile, dell’età  adulta. In quel decennio i matrimoni caleranno infatti del 25 per cento.
Passiamo ad esplorare il dato regionale compreso tra il 1999 e il 2013.
Anche qui le sorprese non mancano.
È il Friuli Venezia Giulia a registrare il calo più significativo tra 2000 e 2011, in undici anni matrimoni quasi dimezzati: meno 46 per cento.
Seguono Umbria (meno 43), e Campania (meno 36,5 per cento).
Tiene invece la Calabria, che vanta oggi il numero più alto di matrimoni per abitante, quarantuno per diecimila, con un calo di «soli» undici punti rispetto al 1999.
Maglia nera per numero di matrimoni invece, insieme alla «rossa» Emilia Romagna c’è la Lombardia targata Formigoni, che detiene il minor numero di matrimoni per abitante, 27 ogni diecimila. Segno che la politica non cambia i costumi.
Sì, lo voglio. Ma non in chiesa
E se il calo dei matrimoni poteva non rappresentare una novità  assoluta per i più informati, a sorprendere è certamente il fatto che in molte regioni sono ormai oltre la metà  gli italiani che preferiscono sposarsi davanti a un ufficiale di stato civile piuttosto che a un prete.
Nel 2013 il 43 per cento dei cittadini ha messo da parte la religione per il suo «giorno più bello».
È una società  irriconoscibile se confrontata con quella di venti anni prima.
Qui le differenze tra Nord e Sud sono piuttosto grandi, ed emerge un paese diviso in due.
Con le regioni settentrionali altamente secolarizzate, dove i matrimoni concordatari – cioè cattolici – sono in minoranza, oscillando tra il 46 per cento del Piemonte e il 39 della Valle d’Aosta, e il meridione, dove il matrimonio davanti all’altare è ancora prevalente, con valori che oscillano tra l’86 per cento della Basilicata e il 53 della Sardegna.
Ancora più interessanti sono i dati delle città .
La vista che segue mostra le graduatorie dei comuni capoluogo, in base alla percentuale di matrimoni civili e cattolici.
Nelle città  del nord e del centro i matrimoni civili sono ormai in netta maggioranza, raggiungendo punte superiore all’83 per cento a Siena e Bolzano e con altre tredici grandi città  oltre il 70 per cento, compresi capoluoghi di regione come Milano, Firenze, Bologna, Trieste e Aosta. Numericamente, in ben più della metà  dei capoluoghi italiani, prevalgono i «sì» laici. In questa parte della graduatoria non è presente nessuna città  del Mezzogiorno, fatta eccezione per qualche comune sardo e abruzzese.
Le grandi città  del meridione che compaiono per prime sono Catania, con il 43,3 per cento di matrimoni non religiosi, e Napoli, con il 35,4.
Tutte le altre sono ben al di sotto di questi valori. È da notare anche che, di norma, la percentuale di matrimoni civili nelle città  è sempre più alta rispetto al corrispondente dato regionale.
Ciò significa che, senza distinzioni tra nord e sud, il matrimonio religioso è sempre più radicato nelle campagne e nei piccoli centri rispetto alla città .
Per sempre. Forse
Anche le convivenze sono in crescita.
Nel nord Italia rappresentano ormai il 10 per cento delle coppie, mentre si attestano al 7 per cento nelle regioni centrali.
Valori decisamente più bassi al sud, dove resiste il concetto di famiglia tradizionale: sposata e in chiesa. Qui infatti convivono solo tre coppie su cento.
In tutti i casi occorre tenere presente che le convivenze formatesi per ragioni affettive, cioè quelle rappresentate da questi dati, sono composte sia da quanti intendono la scelta come alternativa al matrimonio, sia da coloro che la considerano solo un passaggio intermedio.
In ogni caso, con l’eccezione del centro Italia che passa dal 5 al 7 per cento, tanto al nord quanto al sud tutti i valori sono più che raddoppiati rispetto a dieci anni prima.
Insieme a te non ci sto più. Il sud scopre il divorzio
L’annus horribilis per le unioni matrimoniali è il 2011: secondo i dati Istat, a cento coppie che si sono sposate, hanno fatto da contraltare 43,4 separazioni e 26,3 divorzi.
Valori che l’anno successivo, il 2012, hanno visto una diminuzione, lieve per quanto riguarda le separazioni e più marcata per i divorzi: meno 6,5 per cento. È il primo calo significativo dai tempi dell’introduzione di questo istituto nel nostro ordinamento.
Ciò indurrebbe a pensare che stia tornando l’armonia tra le coppie italiane.
Tuttavia confrontando questo andamento con quello sulle separazioni si svela una storia più prosaica. In crescita dal dopoguerra e dopo una temporanea flessione alla metà  degli anni duemila, le separazioni hanno continuato a crescere fino a raggiungere, nel 2011, il record di 15 per diecimila abitanti.
I divorzi diminuiscono, ma le separazioni aumentano.
Cosa accade? La ragione di questa controtendenza la si può trovare nei soldi, tanti, che le coppie devono spendere per sciogliere la loro unione.
Dal momento che questa flessione coincide con l’inizio della crisi economica italiana, e tenendo conto dei tre anni canonici che occorrono per un divorzio (se tutto va bene), è piuttosto probabile che un numero crescente di famiglie desista da questa scelta, optando per una più semplice separazione.
Scendendo nel dettaglio regionale emergono però i dati più interessanti.
Il nord est è da sempre l’area con il maggior numero di divorzi pro capite: nel 2012 in Valle D’Aosta se ne registravano 14,8 per diecimila abitanti, in Liguria 13,4, e in Piemonte 12,1, contro una media italiana di 8,6.
Al di sotto di questa soglia solamente il Veneto, in ossequio al suo appellativo di «bianco», con 8 divorzi per diecimila abitanti.
Nel centro Italia la situazione rispecchia la media del paese sia per le separazioni che per i divorzi, con l’eccezione del Lazio.
È proprio intorno alla capitale della cristianità  che divorzi e separazioni decollano: rispettivamente 18,4 e 9,4 contro medie nazionali di 14,9 e 8,6.
Ma è al sud che si riscontra la crescita maggiore negli ultimi anni.
Mentre molte regioni del nord seguono un andamento contrastante, e in calo per qualcuna, al sud aumentano i divorzi e soprattutto le separazioni, che in Campania e Sardegna impennano, portando queste due ai livelli del nord Italia.
Nonostante il leggero calo generalizzato di separazioni e divorzi nell’ultimo anno considerato, il 2012, siamo di fronte a un fenomeno nuovo.
Nel nord non cessa il processo di secolarizzazione in atto dal dopoguerra, mentre il sud con il drastico calo dei matrimoni e il repentino aumento di divorzi e separazioni sembra voler salire sul treno in corsa.
Con uno Stato che non riesce a essere pienamente laico, una politica sorda ai richiami dei cittadini che reclamano riforme in senso moderno e inclusivo degli istituti giuridici in tema di famiglia e diritti riproduttivi, gli italiani sono comunque determinati a smarcarsi da quel modello culturale che impone loro regole di vita dettate da sensibilità  e precetti religiosi sempre più marginali nella società  italiana.

Lorenzo Di Pietro
(da “L’Espresso”)

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ALTRO CHE TRASPARENZA LE CENE DI RENZI RESTANO TOP SECRET

Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile

SONO ANCORA 1485 SU 1500 I COMMENSALI “SENZA VOLTO”, TRA CUI SALVATORE BUZZI,   IL CAPO DELLE COOPERATIVE DI ROMA POI ARRESTATO PER MAFIA CAPITALE E OGGI DETENUTO AL 41 BIS

Il 6 novembre a Milano e il giorno dopo a Roma, il Partito democratico ha organizzato due cene per una raccolta fondi al prezzo di minimo 1.000 euro a coperto.
I tavoli erano stracolmi, 1500 i partecipanti.
Matteo Renzi ha sbrigato presto la moltiplicazione: “Abbiamo incassato 1,5 milioni di euro”, disse entusiasta.
Sono passati tre mesi e 18 giorni, svariate rivendicazioni di assoluta limpidezza, ma la lista dei commensali non l’hanno mai diffusa.
Al Nazareno lavorano indefessi per produrre un elenco, per squarciare la fastidiosa patina di opacità .
Quando domandi: a che punto è giunta la compilazione? Ti rispondono piccati: “Un primo gruppo di nomi li abbiamo comunicati”.
Più che un gruppo, si tratta di una sparuta rappresentanza: 15 donatori su 1500, circa 100 mila euro su 1,5 milioni.
I 15 hanno versato quote da 5.000 a 8.000 euro. Il documento consiste in un’autocertificazione che il Nazareno ha inviato agli uffici di Montecitorio; il foglietto vaga fra la Camera e la Commissione, non ancora insediata, che deve rendicontare i bilanci dei partiti. In sintesi: il documento non esiste.
Nessuno l’ha registrato perchè, fin quando non diventa operativa la Commissione composta da quattro magistrati contabili, le autocertificazioni non sono valide.
E ancora: otto su quindici del “primo gruppo” hanno chiesto l’anonimato.
All’appello mancano 1485 donatori.
Conviene, allora, rileggere le sferzate di Renzi ai gufi considerati troppo insolenti sul tema. Il 18 novembre celebrava l’evento: “Trovo naturale che si organizzino cene in modo trasparente con persone che accettano di dichiarare il proprio contributo. Ho potuto verificare la demagogia delle accuse di chi dice: ah, lui va a cena per mille euro. Sono gli stessi che magari un anno fa dicevano: ah, il Pd non ha ancora tolto il finanziamento pubblico. Delle due l’una, amici: o si accetta il finanziamento pubblico o si organizzano iniziative trasparenti e chiari di raccolta fondi. Tutto il resto è demagogia”.
Siccome poi il resto non era demagogia e molte persone non hanno accettato di dichiarare la propria identità , il 3 dicembre, Renzi è tornato sull’argomento con la sicumera di chi garantisce qualcosa che gli sta per sfuggire di mano: “Il Pd non si fa finanziare di nascosto, pubblica i suoi finanziatori”.
Per il momento, non li ha pubblicati. E quelli trasmessi ai burocrati sono quindici.
Poi ci sono le indiscrezioni non smentite, uscite a dicembre con la retata di Mafia Capitale e l’incarico a Matteo Orfini, commissario del partito a Roma.
S’è saputo soltanto che, oltre agli imprenditori e ai boiardi che sfilavano in passerella col sorriso rivolto ai fotografi, al Salone delle Tre Fontane al quartiere Eur c’erano Salvatore Buzzi, ora al 41-bis, e una delegazione della Cooperativa 29 giugno, propaggini a sinistra di Massimo Carminati er Cecato.
Il banchetto per rastrellare denaro da imbucati, opportunisti e fedelissimi — o impresentabili — è uno strumento che, a parole, ha infastidito la minoranza dem. Ultimo in ordine di tempo, anche il sindaco Ignazio Marino ha criticato il modello renziano che, in inglese, si chiama fundraising: “Preferisco il partito delle Frattocchie a quello delle cena da mille euro”.
E Maurizio Landini, punzecchiato da Renzi sui problemi all’interno del sindacato Fiom, ha provocato: “Gli vorrei ricordare che abbiamo 350 mila iscritti, più del Pd. E che non facciamo cene da mille euro”.
Adesso che la trasparenza è scaduta, Renzi ha deciso di sospendere le cene.
Per le elezioni regionali saranno tassati i parlamentari e il Nazareno staccherà  un obolo.
Ma non devono smettere di ricomporre la mappa dei finanziatori romani e milanesi. Non sarà  tanto complicato. Ne restano 1.485 da annunciare.
Renzi è così bravo con gli annunci.

Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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