Destra di Popolo.net

MEDIASET PREMIER, IL NAZARENZI

Febbraio 26th, 2015 Riccardo Fucile

GRAZIE ALLA LEGGE GASPARRI BERLUSCONI PUO’ PRENDERSI RAI WAY E RCS

Bella la battuta di Bersani: “Ora il Milan si comprerà  l’Inter”. Ma un po’ riduttiva: l’Opa di Mediaset su Rai Way è come se il Milan si comprasse tutte le altre squadre, la Lega Calcio, la Federcalcio e anche tutti gli stadi, le bandiere, le bandierine e naturalmente gli arbitri.
Con la differenza che B. la Rai la controlla già , avendo la maggioranza in Cda (do you remember Verro?), e anche in Agcom. Mediaset è sua.
E ora, se va in porto l’assalto concordato alle antenne di Ray Way, messe sul mercato dall’apposito Nazarenzi, diventa sua anche la rete degl’impianti di trasmissione.
Come se uno solo possedesse Trenitalia, Italo e anche i binari.
Completa il quadro l’annunciato acquisto di Rcs Libri, nell’ormai celebre operazione Mondazzoli.
Qualcuno si domanderà : ma B. può prendersi Rai Way e Rcs legalmente o no? E, se sì, perchè? La risposta è sì: può.
Grazie alla legge Gasparri, la posizione dominante sul mercato mediatico-editoriale è sopra il 20% del Sic (Sistema integrato delle comunicazioni), un contenitore che tiene dentro tutto: radio, tv, siti, audiovisivi, libri, cinema, pubblicità , sponsor, televendite, produzioni, abbonamenti ecc.
Così è impossibile arrivare al 20%. Infatti Fininvest è al 15 e rotti e Rizzoli sotto il 4: totale, meno del 20.
Tutto lecito, grazie all’antitrust burletta della Gasparri.
Idem per Rai Way: se Renzi mette sul mercato il 35% di un bene comune come le antenne Rai con la scusa di fare cassa, sa benissimo che l’unico soggetto che può comprarselo è Mediaset. Il sito del Fatto l’aveva scritto l’estate scorsa e Fico, presidente grillino della Vigilanza, l’aveva paventato a settembre.
Ora Renzi finge di cascare dal pero e precisa che il 51% deve restare in mano pubblica.
Ma non può comunque impedire che B. diventi socio della Rai, cioè del Tesoro, cioè dello Stato, almeno fino al 14% (anche se Mediaset punta al 66,7% per avere la maggioranza).
Che è comunque una quota enorme e un conflitto d’interessi spaventoso: sia perchè B. è un leader politico, sia perchè Mediaset è il principale concorrente della Rai.
Ma anche qui è tutto lecito, grazie alla legge-barzelletta Frattini sul conflitto d’interessi.
E chi ha lasciato in vigore la Gasparri e la Frattini, pur avendo giurato di raderle al suolo una volta al governo? Il centrosinistra fra il 2006 e il 2008 e dal 2013 a oggi.
E chi ha regalato a B. la maggioranza nel Cda Rai, preferendo infilarci un casiniano (De Laurentiis, subito convertito alla causa) anzichè un dipietrista? Il Pd nel 2012.
E allora che vanno cianciando i Bersani e altre vergini violate?
Quando contavano qualcosa, non hanno combinato nulla, a parte inciuciare.
Ora che non contano più nulla, fanno gli splendidi, i fini dicitori, con brillanti battute su Mondazzoli e Raiset.
Si oppongono con fiero cipiglio alle renzate, ma solo nelle interviste ai giornali, nei talk e nei tweet. Poi, quando potrebbero votare contro in Parlamento, si sciolgono come neve al sole.
A furia di dare per morto B., sono morti loro.
L’altroieri in Senato hanno deposto la pietra tombale sull’indipendenza della magistratura: la legge vergogna sulla responsabilità  civile.
Una schifezza incostituzionale che neppure B. aveva osato perpetrare.
Profittando del tema incomprensibile, troppo tecnico per “bucare” l’opinione pubblica, questa maggioranza senza pudore dà  i magistrati in pasto ai loro imputati e regala ai grandi gruppi inquinatori, evasori, corruttori, mafiosi un’arma letale per intimidire qualunque giudice si occupi di loro e dei loro soldi sporchi, a colpi di cause civili senz’alcun freno (è abolito il filtro di ammissibilità  dei tribunali), così da dissuaderli e comunque ricusarli per liberarsene.
Se la porcata fosse già  stata in vigore negli anni 80, Falcone e Borsellino avrebbero dovuto difendersi non solo dal tritolo di Riina&C., ma anche da 475 cause civili, quanti erano gl’imputati del maxi-processo alla Cupola.
Vien quasi da rimpiangere l’attacco frontale di B. ai magistrati: almeno lo vedevano tutti.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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AMNESTY INTERNATIONAL: “ITALIA MENO DIRITTI, PIU’ DISCRIMINAZIONE E MALTRATTAMENTI”

Febbraio 26th, 2015 Riccardo Fucile

NON E’ UN PAESE PER MIGRANTI, RIFIUGIATI E ROM… LA TORTURA NON E’ UN REATO E NON APPLICA I TRATTATI

Oggi Amnesty International ha presentato il suo Rapporto 2014-2015 che definisce «Vergognosa e inefficace la risposta globale alle atrocità  degli Stati e dei gruppi armati» e dal quale emerge che il 2014 è stato « un anno devastante per coloro che cercavano di difendere i diritti umani e per quanti si sono trovati intrappolati nella sofferenza delle zone di guerra. I governi a parole sostengono l’importanza di proteggere i civili ma i politici di tutto il mondo hanno miseramente fallito nel compito di tutelare coloro che più avevano più bisogno d’aiuto».
Un giudizio durissimo che riguarda anche il nostro Paese ed il nostro governo.
Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia sottolinea: «Durante il semestre di presidenza dell’Unione europea, l’Italia ha sprecato l’opportunità  di dare all’Europa un indirizzo diverso, basato sul rispetto dei diritti umani, sul contrasto alla discriminazione e soprattutto su politiche in tema d’immigrazione che dessero priorità  a salvare vite umane, attraverso l’apertura di canali sicuri di accesso alla protezione internazionale, piuttosto che a controllare le frontiere».
Vi proponiamo la scheda dell’Italia contenuta nel rapporto:
Oltre 170.000 rifugiati e migranti che cercavano di raggiungere l’Italia dall’Africa del Nord su imbarcazioni inadatte alla navigazione sono stati salvati in mare dalle autorità  italiane.
La decisione del governo, giunta a fine ottobre, di mettere fine all’Operazione Mare Nostrum (Omn) di salvataggio in mare, ha sollevato timori che il bilancio dei morti potesse significativamente aumentare.
Le autorità  non hanno garantito adeguate condizioni di accoglienza all’elevato numero di rifugiati e migranti giunti via mare.
La discriminazione contro i rom è continuata e migliaia di loro sono rimasti segregati nei campi.
L’Italia non ha introdotto il reato di tortura nella legislazione nazionale nè ha creato un’istituzione nazionale indipendente per i diritti umani.
DIRITTI DI RIFUGIATI E MIGRANTI
Oltre 170.000 rifugiati e migranti, tra cui più di 10.000 minori non accompagnati, sono giunti in Italia via mare, in maggioranza partiti dalla Libia.
A fine ottobre erano più di 156.362 i migranti salvati grazie all’Operazione Mare Nostrum. Altre 13.668 persone sono state portate in salvo dalle autorità  italiane tra novembre e dicembre.
Nonostante questi sforzi unilaterali, si ritiene che oltre 3400 rifugiati e migranti siano annegati nel tentativo di attraversare il Mediterraneo.
Il 31 ottobre, il governo ha annunciato la fine dell’Omn, in concomitanza con l’avvio, il 1° novembre, dell’Operazione Triton, più limitata e maggiormente incentrata sul controllo dei confini, coordinata da Frontex, l’agenzia dell’Eu per la gestione delle frontiere.
La chiusura dell’Omn era prevista per la fine dell’anno. Varie Ngo hanno espresso il timore che ciò avrebbe messo a rischio la vita delle persone.
Le autorità  hanno avuto difficoltà  a garantire adeguate condizioni di accoglienza per le decine di migliaia di rifugiati e migranti arrivati in Sicilia e in altri porti del sud, compresi i sopravvissuti ai naufragi con traumi, e a proteggere adeguatamente migliaia di minori non accompagnati.
Non ci sono stati progressi nelle indagini sulle circostanze della morte di circa 200 persone annegate l’11 ottobre 2013, quando affondò un peschereccio che trasportava oltre 400 persone, per lo più rifugiati siriani e migranti.
È stato espresso il timore che le mancanze delle autorità  maltesi e italiane abbiano ritardato il loro salvataggio.
A ottobre, nel caso Sharifi e altri vs. Italia e Grecia, la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che l’Italia aveva violato il divieto di effettuare espulsioni di massa e che, rimandandoli in Grecia, aveva esposto quattro cittadini afgani, giunti nel paese irregolarmente, al rischio di maltrattamenti e altre violazioni, oltre all’ulteriore rischio di tortura e di morte nel caso di espulsione verso l’Afghanistan.
Rifugiati e richiedenti asilo, compresi i minori, sono rimasti a rischio d’indigenza.
Ad aprile, il parlamento ha approvato una legge che richiedeva al governo di abolire entro 18 mesi il reato di “ingresso e soggiorno irregolare”.
I migranti irregolari che fossero rientrati nel paese dopo l’espulsione avrebbero comunque affrontato sanzioni penali.
Tuttavia, “l’ingresso e il soggiorno irre golare” a fine anno era ancora reato. A settembre, il ministero dell’Interno ha autorizzato la polizia a usare la forza per assicurare la raccolta delle impronte digitali durante l’identificazione di rifugiati e migranti.
Questa misura ha immediatamente determinato segnalazioni di uso eccessivo della forza nel corso delle procedure d’identificazione.
A ottobre è stata adottata una norma che ha ridotto da 18 mesi a 90 giorni il periodo massimo di detenzione per migranti irregolari in attesa di espulsione.
Le condizioni nei centri di detenzione per migranti irregolari sono rimaste inadeguate. I lavoratori migranti hanno continuato a essere sfruttati e sono rimasti esposti a violazioni, spesso senza poter accedere alla giustizia.
DISCRIMINAZIONE — ROM
Migliaia di famiglie rom hanno continuato a vivere in condizioni precarie in campi e centri segregati, tra cui più di 4000 persone solo a Roma.
Il governo non è stato in grado di attuare la strategia nazionale per l’inclusione dei rom, soprattutto per quanto riguarda l’accesso a un alloggio adeguato. In tutto il paese sono stati segnalati diversi sgomberi forzati di rom.
La Commissione europea stava conducendo un’inchiesta su possibili violazioni da parte dell’Italia della Direttiva Eu sull’uguaglianza razziale, in relazione all’accesso dei rom a un alloggio adeguato.
Le famiglie rom trasferite nel dicembre 2013 dal campo autorizzato di Cesarina a Roma, per consentirne la ristrutturazione, hanno continuato a vivere in condizioni inadeguate in una struttura di accoglienza per soli rom.
Le autorità  comunali di Roma hanno dichiarato che avrebbero rimandato le famiglie nel campo al termine dei lavori di ristrutturazione.
Non sono state messe a disposizione opzioni di alloggio alternative adeguate. I rom sono rimasti esclusi dall’accesso agli alloggi di edilizia popolare.
Le autorità  romane competenti non hanno ritirato una circolare del gennaio 2013 che discriminava le famiglie rom residenti in campi autorizzati nell’assegnazione di alloggi popolari.
Tuttavia, a giugno, nel contesto dell’inchiesta sulla Direttiva sull’uguaglianza razziale, hanno espresso l’intenzione di applicare la circolare in modo non discriminatorio.
CONTROTERRORISMO E SICUREZZA
La Corte costituzionale italiana ha dichiarato a febbraio che il governo aveva piena discrezionalità  nel- l’invocare il principio del “segreto di stato” su casi legati alla sicurezza nazionale.
La Corte di cassazione, il massimo grado giudiziario italiano, ha confermato la sentenza della Corte costituzionale e ha annullato le condanne di funzionari di alto livello dell’intelligence italiana, condannati per il rapimento di Usama Mostafa Hassan Nasr (conosciuto come Abu Omar), avvenuto in una strada di Milano nel 2003.
Dopo il suo rapimento, Abu Omar fu consegnato alla Cia e portato in Egitto, dove fu torturato.
A marzo, la Corte di cassazione ha confermato le condanne di tre funzionari della Cia, tra cui l’ex capo della Cia a Roma, Jeff Castelli, e l’ex capo della Cia a Milano, Robert Seldon Lady, per il rapimento di Abu Omar.
La Corte ha stabilito che gli agenti della Cia non erano coperti da immunità  diplomatica. In totale, 26 cittadini statunitensi sono stati condannati in contumacia per il caso Abu Omar.
TORTURA E ALTRI MALTRATTAMENTI
Ancora una volta, i tentativi d’inserire il reato di tortura nella legislazione nazionale non sono andati a buon fine, perpetuando così una violazione degli obblighi dell’Italia ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura che dura da 25 anni.
A novembre, la Corte di cassazione ha annullato la condanna per falsa testimonianza di Francesco Colucci, questore di Genova all’epoca del vertice del G8 del 2001, quando decine di manifestanti furono torturati e maltrattati. Francesco Colucci era stato condannato per falsa testimonianza per aver cercato di proteggere l’allora capo nazionale della polizia, Gianni De Gennaro, e un alto funzionario del dipartimento operazioni speciali della polizia di Genova.
I termini di prescrizione per il reato sono scaduti a dicembre, rendendo quindi impossibile un nuovo processo.
Il sovraffollamento e le cattive condizioni sono rimasti problemi comuni in tutto il sistema penitenziario. Ad agosto 2013 e febbraio 2014 sono state adottate norme per ridurre la durata delle pene carcerarie per determinati reati e per aumentare il ricorso alle pene non detentive, allo scopo di ridurre il sovraffollamento.
È stata anche istituita la figura del garante nazionale dei diritti dei detenuti. Le misure sono state introdotte a seguito di una sentenza della Corte europea del 2013, secondo la quale l’Italia aveva violato il divieto di tortura e trattamenti disumani o degradanti, sottoponendo i detenuti a condizioni eccessivamente dure a causa del sovraffollamento delle celle e dello spazio vitale insufficiente.
Nonostante i progressi compiuti su qualche caso, sono perdurate le preoccupazioni circa il mancato accertamento delle responsabilità  per le morti in custodia, a seguito d’indagini lacunose e carenze nei procedimenti giudiziari.
Ad aprile, la corte d’appello di Perugia ha confermato la condanna di un agente di custodia per falsificazione di atti d’ufficio e omissione di soccorso nel caso di Aldo Bianzino, morto in un carcere di Perugia due giorni dopo il suo arresto nel 2007.
La sentenza ha confermato le carenze delle indagini iniziali.
A luglio, è iniziato il processo per il caso di Giuseppe Uva, morto in un ospedale di Varese poco dopo essere stato fermato dalla polizia nel 2008. Sette agenti di polizia sono stati incriminati per omicidio colposo, arresto illegale e abuso di autorità . Nell’ottobre 2013, un giudice aveva rifiutato la richiesta del pubblico ministero di archiviare il caso e aveva ordinato una nuova indagine.
A dicembre 2011, esami forensi effettuati avevano rilevato che Giuseppe Uva avrebbe potuto essere stato stuprato e altrimenti maltrattato.
A ottobre, la corte d’appello di Roma ha assolto i medici, gli infermieri e gli agenti di polizia accusati di omicidio colposo nel caso di Stefano Cucchi, morto una settimana dopo l’arresto nell’area detenuti di un ospedale di Roma nel 2009.
Le prove forensi non sono risultate risolutive. La famiglia di Stefano Cucchi ha espresso il timore che i segni di maltrattamenti non fossero stati tenuti in dovuta considerazione.
SVILUPPI LEGISLATIVI, COSTITUZIONALI O ISTITUZIONALI
Pur essendosi ripetutamente impegnata a farlo, ancora una volta l’Italia non è stata in grado di creare un’istituzione nazionale per i diritti umani, in conformità  ai Principi relativi allo status delle istituzioni nazionali (Principi di Parigi).

(da “greenreport.it”)

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IL GIUDICE PRIMA ASSOLVE RENZI E POI VIENE PROMOSSO: MA CHE STRANO…

Febbraio 26th, 2015 Riccardo Fucile

IL PREMIER RATIFICA LA NOMINA ALLA CORTE DEI CONTI DEL MAGISTRATO CHE LO HA GIUDICATO SUI PORTABORSE

Il giudice firma la sua assoluzione in appello, Renzi la sua nomina a capo della Corte dei conti. In estrema sintesi, è andata così.
Sei giorni dopo la pubblicazione della sentenza che ha definitivamente assolto il presidente del Consiglio per la vicenda dei portaborse assunti in Provincia, il governo, su proposta dello stesso Renzi e per decreto, ha ratificato la nomina del magistrato che presiedeva il collegio giudicante a Procuratore generale della Corte dei conti.
Si tratta di Martino Colella, classe 1945, magistrato napoletano di lungo corso a un passo dalla pensione.
La sua promozione è arrivata neanche una settimana dopo il deposito della sentenza della I Sezione centrale d’appello di Roma, avvenuto il 4 febbraio, che sollevava il premier da ogni responsabilità  sulla vicenda degli incarichi dirigenziali conferiti, senza concorso nè laurea, al personale di staff della sua segreteria che era costata a Renzi due condanne per danno erariale.
Non è un dettaglio. Proprio Colella ha firmato, insieme a quattro magistrati, l’assoluzione che il 7 febbraio ha provocato l’esultanza del diretto interessato (“La verità  è ristabilita”) e non poche perplessità  nel mondo del diritto, giacchè le motivazioni sono ricondotte al fatto che era un “non addetto ai lavori” e quindi poteva non percepire l’illegittimità  degli atti che autorizzava.
Di singolare non c’è solo una pronuncia che, come rilevato da più parti, rischia di spalancare le porte a un sistema diffuso di elusione della responsabilità  erariale, mandando assolti i tanti politici “non addetti ai lavori”.
Il punto è che il giudice che presiedeva il collegio che a metà  dicembre, in camera di consiglio, ha deciso il proscioglimento dell’imputato Renzi, è lo stesso che un mese e mezzo dopo il presidente Renzi ha nominato Pg della Corte, cioè capo di coloro che debbono indagare se sussistono ipotesi di danno erariale.
La sentenza è stata depositata il 4 febbraio e la nomina è stata ratificata il 10, a margine del Cdm numero 49.
“Su proposta del presidente del Consiglio Matteo Renzi”, si legge nei documenti della riunione, vengono nominati un presidente aggiunto e il capo della Procura generale della Corte dei conti, con decorrenza a partire dal 25 marzo 2015.
Il primo è Arturo Martucci di Scarfizzi. Il secondo è, appunto, Martino Colella.
L’indicazione, a onor del vero, era stata avanzata il 13 gennaio dal Consiglio di presidenza della Corte dei conti che ha deliberato all’unanimità  e trasmesso i nominativi a Palazzo Chigi. L’interessato, contattato dal Fatto, si dice certo che le due vicende siano distinte.
“La Presidenza del Consiglio riceve la delibera e la formalizza”, spiega Colella, che rivendica un cv di prima grandezza sugli altri sei presidenti di sezione in corsa: “Sono stato il più giovane vincitore del concorso per l’Avvocatura di Stato, ho vinto quello d’ingresso alla Corte a soli 26 anni . Dopo il terremoto de L’Aquila ho ricostruito e riorganizzato la sezione, sono presidente d’appello da oltre due anni e nel 2014 ho redatto e sottoscritto 115 sentenze. Renzi non l’ho mai visto nè sentito”.
Di più, Colella giura di non aver ricevuto affatto regali dall’attuale governo, anzi: “L’incarico che mi danno, grazie a questo governo, non comporta alcun guadagno aggiuntivo perchè il mio stipendio è già  al tetto dei 240 mila euro lordi l’anno. Dovrò anzi restituirne 20 mila. Sempre grazie a questo governo, poi, andrò in pensione il 31 dicembre prossimo rinunciando ai migliori anni della carriera”.
Proprio così, l’altro aspetto curioso della vicenda è che il nuovo incarico durerà  soltanto nove mesi e mezzo.
Sia come sia, le domande restano tutte: tra 600 magistrati contabili, possibile che sia stato scelto proprio quello che ha presieduto il collegio che un mese e mezzo prima ha mandato assolto il premier?
Potevano ignorarlo i consiglieri della Corte?
Proviamo dall’altra parte: poteva non sapere Renzi che stava ratificando la nomina del suo giudice a Berlino?
Proprio alla luce delle motivazioni della sentenza vergate dal collegio di Colella si direbbe che sì, tutto è possibile.
Così come non si era accorto di aver firmato delle nomine illegittime di portaborse, perchè in fondo non era un addetto ai lavori, è possibile che non si sia accorto di aver promosso il giudice che lo ha assolto.
Renzi, presidente di Provincia e del Consiglio.
Ma sempre a sua insaputa.

Thomas Mackinson
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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L’ULTIMA TENTAZIONE DI BERLUSCONI: “MOLLO TUTTO, HO QUELLA VILLA AD ANTIGUA”

Febbraio 26th, 2015 Riccardo Fucile

MA GHEDINI GLI RICORDA CHE NON E’ SCONTATO CHE GLI VENGA RESTITUITO IL PASSAPORTO

«Sono stanco, sfiduciato, tutti tramano contro di me. Ho voglia di mollare, di andare via…».
Silvio Berlusconi appare un leader sfiancato dai suoi troppi problemi, ai tanti che tra martedì pomeriggio e ieri sera sono stati a trovarlo a Palazzo Grazioli.
Una processione di dirigenti locali, candidati governatori, parlamentari.
L’apice dello scoramento fa capolino durante la cena di martedì sera, con i soliti capigruppo e la cerchia più ristretta. Voglia di abbandonare tutto e tutti, con una destinazione in mente. «Ho quella villa meravigliosa ad Antigua, dove sono stato una sola volta», si è lasciato andare.
È la ciclica minaccia ai suoi, di lasciarli al loro destino in un partito che non riconosce più.
È risuonata nei salotti di Villa San Martino ad Arcore e di Palazzo Grazioli a Roma, ma che in queste ore si è fatta più insistente.
E motivata con il caos interno al partito, una leadership declinate, i sondaggi scoraggianti, le regionali che lasciano preludere a una disfatta (tranne in Campania, forse), ma sullo sfondo restano soprattutto i guai personali.
E la sensazione di essere senza via d’uscita. L’ex Cavaliere confessa ai suoi che l’inchiesta Ruby ter per corruzione in atti giudiziari e il conseguente ritorno mediatico sulle “cene eleganti” e la giostra delle olgettine, lo sta prostrando.
Una escalation che a suo dire «non lascia presagire nulla di buono», giusto alla vigilia del suo ritorno in campo e della campagna elettorale: «Non posso nemmeno programmare gli appuntamenti in vista delle regionali», si lamenta.
Ieri pomeriggio ha trascorso diverse ore con gli avvocati, come già  aveva fatto lunedì ad Arcore.
L’ex premier racconta ai dirigenti forzisti che non ha alcuna voglia di festeggiare la “liberazione” dai servizi sociali, già  prevista per l’8 marzo: il 10 la Cassazione si pronuncerà  sul primo processo Ruby (nel quale è stato assolto), mentre si va verso una proroga delle indagini per il Ruby ter, a questo punto nulla è più scontato.
Ecco allora che il sogno di Antigua si riaffaccia. Un sogno, appunto.
Perchè come gli avrebbe fatto notare l’avvocato Niccolò Ghedini, non è neanche tanto scontato in questo contesto che gli venga subito restituito il passaporto, ritirato dai carabinieri nell’agosto 2013.
In tutto questo, si affastellano i problemi finanziari del partito.
Non passa giorno senza che la tesoriera Maria Rosaria Rossi li faccia presente al capo. Il più urgente ora è legato al rischio disdetta per la sede di San Lorenzo in Lucina, se è vero che da cinque mesi non viene pagato l’affitto.
Solo la scorsa settimana sarebbero piovuti sei decreti ingiuntivi da parte di altrettanti fornitori non pagati.
Per non dire degli 81 dipendenti per i quali da lunedì parte la cassa integrazione.
Il puzzle delle alleanze per le regionali allora per un giorno resta in stand-by.
Tutto è appeso alle scelte di Salvini e della Lega in Veneto. Ieri a Roma il governatore lombardo Roberto Maroni ha visto a pranzo proprio il leader del Carroccio.
La minaccia di Forza Italia di ritiro del sostegno alla giunta del Pirellone, in caso di rottura a Venezia, viene presa molto sul serio dall’ex ministro, che indossa i panni del mediatore.
«Una soluzione c’è, ed è il tuo annuncio nel nostro consiglio federale di lunedì di delegare la scelta sulle alleanze ai territori, lasciando a Zaia il via libera a Forza Italia e Ncd, tu te ne terresti fuori», è la proposta avanzata da Maroni.
Salvini ci penserà  su, ma intanto già  le sue dichiarazioni più concilianti di ieri, assieme a quelle di Zaia, hanno fatto scendere la temperatura.
Nel Carroccio restano comunque convinti che Flavio Tosi vada verso una scissione, nonostante ieri il sindaco di Verona abbia frenato («Io dal partito non esco»).
Qualunque sia la sua scelta, Forza Italia fa sapere che non sosterrebbe la sua eventuale candidatura in rotta con la Lega.
«Strada non percorribile», dichiara la portavoce Deborah Bergamini. Berlusconi ordina di evitare ogni polemica e ha cancellato il vertice di ieri sulle regionali, meglio attendere la manifestazione di Salvini di sabato e il loro consiglio di lunedì.
«Salvini deve alzare i toni per la sua piazza – ha spiegato ai suoi – ma sa che senza di noi in Veneto rischia grosso».

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)

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