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IN TRENT’ANNI DI CONDONI EDILIZI SPESO IL TRIPLO DI QUANTO LO STATO HA INCASSATO

Febbraio 27th, 2015 Riccardo Fucile

PER INCASSARE 15 MILIARDI NE HA DOVUTI SPENDERE 45 IN ONERI DI URBANIZZAZIONE

Un bidone. Nel trentesimo anniversario del primo dei condoni edilizi, varato nel febbraio ’85, i numeri dicono tutto: per incassare in totale poco più di 15 miliardi di euro d’oggi, lo Stato ha poi dovuto spenderne 45 in oneri d’urbanizzazione.
Il triplo. Un suicidio economico, urbanistico, morale.
Segnato da impegni solennemente ridicoli: «È la fine dell’abusivismo edilizio». Sì, ciao…
Va riletta, l’Ansa del 21 febbraio 1985. Entusiasta per l’approvazione del Parlamento, Bettino Craxi dettava da Palazzo Chigi una nota esprimendo soddisfazione per la sanatoria e spiegando che avrebbe portato nelle casse statali «circa cinquemila miliardi di lire» e che le misure avrebbero concorso «con efficacia a porre fine al fenomeno dell’abusivismo edilizio, che era divenuto dilagante».
Che fosse ormai dilagante è vero: secondo il Cresme (Centro Ricerche Economiche Sociali Mercato Edilizia) l’effetto annuncio di quel primo condono «avrebbe provocato l’insorgere, nel solo biennio 1983/4, di 230.000 manufatti abusivi».
Ovvio: i primi proclami furono fatti dal ministro dei Lavori Pubblici Franco Nicolazzi, con la comica minaccia che chi non avesse sanato avrebbe visto apparire le ruspe, nell’ottobre dell’83. «Perchè non approfittarne per tirar su una casa nuova da spacciare per già  esistente?», si chiesero decine di migliaia di furbi.
E cominciarono a costruire.
Nel ’94, dopo l’annuncio del nuovo condono, di Silvio Berlusconi, replay. Al punto che il sindaco Enzo Bianco, a Catania, ordinò che chi voleva la sanatoria portasse la foto dell’abuso commesso. Molti non l’avevano: la casa abusiva da sanare non esisteva ancora.
Del resto, quale rischio correvano gli imbroglioni?
Tre anni dopo, avrebbe certificato Legambiente, dei 18.402 casi di abusivismo dichiarati «non sanabili» e quindi da abbattere (3.309 in parchi e riserve, 12.899 in aree protette, 2.194 in territorio demaniale), gli edifici effettivamente abbattuti erano stati 446.
Dei quali solo 66 in Campania, Sicilia, Calabria e Puglia, le «regioni canaglia» dell’abusivismo. Sintesi: chi avesse costruito un condominio davanti ai faraglioni di Capri o sulle rovine di Selinunte aveva, dopo l’ordinanza di demolizione (e già  quella, campa cavallo!), lo 0,97% di probabilità  che arrivasse davvero la ruspa.
E così sarebbe andata anche col terzo condono, quello berlusconiano del 2003.
Quando ad esempio, contando sull’ormai accertata e cronica incapacità  dello Stato di abbattere le case abusive, Annapia Greco tirò su in poche notti di febbrile lavoro in piena estate, pensando di spacciarla per un vecchio abuso, una villa intera sull’Appia Antica a pochi passi dalla tomba di Cecilia Metella.
Finita la villa in prima pagina sul Corriere, la signora parve non capacitarsi di tanto scandalo. Era abusiva? E vabbè… L’avevano già  diffidata? E vabbè… Aveva fatto la furba in una delle aree archeologiche più protette del mondo? E vabbè… «Tutta questa pubblicità ! Queste cattiverie! Ce l’avete coi ricchi? E che ho fatto mai? Ci ho provato, d’accordo, è andata male, pazienza. Che, me volete crocifigge?».
A farla corta: non solo tutti ma proprio tutti i condoni criminogeni hanno incassato molto meno di quanto pomposamente annunciato, ma hanno contribuito, storicamente, a spingere centinaia di migliaia di imbroglioni a compiere abusi non ancora commessi.
Col risultato che nel solo periodo 1982/1997 furono costruite (dati Cresme) 970.000 abitazioni totalmente abusive.
E l’andazzo è andato avanti, nella prospettiva che «un giorno o l’altro un altro condono arriverà », al ritmo di almeno 26.000 case abusive l’anno. Con una percentuale di demolizioni (alla fine di un calvario giudiziario) del 10,2%.
Un esempio? Ne scrive nel suo libro appena uscito Le città  fallite, l’urbanista Paolo Berdini: «Il 20 ottobre 2009 a Giugliano, comune del Napoletano, la Guardia di Finanza ha sequestrato 98 case e un albergo completamente abusivo localizzato in via Ripuaria, a due passi dalla via Domiziana che conserva ancora basoli romani, in un’area sottoposta a vincoli di natura archeologica.
La Finanza scopre foto aeree ritoccate, bollettini postali con date falsate, documenti di pratiche di condono aperti prima della costruzione degli immobili.
Un affare da 20 milioni di euro in mano alla camorra legata ai clan Rea, Mallardo e Nuvoletta. Malavita organizzata che usufruirà  del provvidenziale quarto condono edilizio. Che, naturalmente, sarà  l’ultimo. Come sempre».
Quale «quarto condono»?
Quello che sarà  varato dopo mille tentativi dalla Regione Campania con la legge 16 del 2014 (impugnata dal governo) per consentire ai furbi di riaprire le antiche pratiche rimaste bloccate dei condoni dell’85 e del ’94, allargando la sanatoria ad aree ad alto rischio come la zona rossa del Vesuvio.
Valeva la pena di avallare la distruzione di tanta parte del nostro territorio o addirittura di spingere a nuovi abusi tanti italiani sottoposti alla tentazione di violare la legge con la promessa di folli «premi»?
E per quale paradossale coincidenza, quel 1985 che vide la prima delle scellerate sanatorie fu anche l’anno del battesimo della legge Galasso, la prima a introdurre una serie di tutele sui beni paesaggistici e ambientali?
Sono i temi sul tavolo, stamattina, di un convegno alla Camera, nell’Auletta dei Gruppi, con alcuni dei massimi esperti di ambiente, territorio, difesa del patrimonio storico e artistico.
Da Paolo Maddalena a Salvatore Settis, da Vezio De Lucia a Tomaso Montanari, dagli urbanisti Paolo Pileri e Paolo Berdini a parlamentari impegnati su questi temi come Mario Catania, Ermete Realacci, Claudia Mannino, Massimo De Rosa…
Un dato, comunque, pare ormai assodato.
I condoni, finanziariamente, sono stati un harakiri.
Basti dire che, grazie alle leggi che generalmente spinsero i furbi a pagare troppo spesso solo i primi acconti (per bloccare le inchieste giudiziarie e gli appiattimenti) gli 8 milioni di italiani che vivono negli oltre due milioni di case interamente abusive hanno pagato di sanzione una pipa di tabacco.
Per capirci, se è vero che l’incasso ufficiale complessivo è stato, secondo Legambiente, di 15 miliardi e 334 milioni di euro attuali, ogni furbetto ha pagato mediamente meno di 2.000 euro. Niente, rispetto ai costi caricati sui Comuni.
«Il territorio urbanizzato dall’abusivismo (la cui densità  è più bassa delle aree di normale lottizzazione) è pari a circa 50 mila ettari», spiega Berdini.
«Per urbanizzare ogni ettaro con le opere indispensabili (fognature, acquedotti, strade, reti elettriche e telefoniche) ci vogliono in media 600 mila euro. Più le spese per le opere di urbanizzazione “sociali”, cioè scuole, sanità  e così via, che costano altri 300 mila euro ad ettaro».
Totale: 900 mila euro ad ettaro completamente urbanizzato a spese dello Stato.
Insomma, per sistemare il territorio agli abusivi abbiamo speso 45 miliardi di euro.
Caricati sulle spalle di quella grande maggioranza di cittadini che quegli abusi non li hanno mai fatti.

Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)

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LE TORRI GEMELLE

Febbraio 27th, 2015 Riccardo Fucile

IL PATTO DEL NAZARENO PROSEGUE CON ALTRI MEZZI

Signori, mi voglio rovinare.
Continuo a pensare che il Patto del Nazareno non sia mai morto: semplicemente — come scriveva ieri Daniela Ranieri e come dimostra l’affare delle torri Rai che finiranno tutte o in parte a Mediaset — prosegue con altri mezzi.
I mezzi di B. che, dopo aver incassato l’esclusione di Prodi dal Quirinale, pensa giustamente agli affari suoi, molto più interessanti dell’Italicum e del nuovo Senato (che peraltro, anche dopo la morte presunta del Patto, restano identiche a quelle dettate da lui): le tv, le antenne, l’editoria e naturalmente i processi (che peraltro saranno ancor più difficili dopo la porcata della responsabilità  civile dei giudici, che corona un altro punto-cardine del Piano di rinascita democratica di Gelli).
Però sono disposto a rimangiarmi tutto, col capo cosparso di cenere: addirittura ad affermare pubblicamente non solo che il Patto del Nazareno è morto e sepolto, ma non è proprio mai esistito, ce lo siamo inventato noi, come pure i nove successivi incontri fra Renzi & B. a Palazzo Chigi.
E pure a metterci sopra un bell’applauso alla riforma renziana della Rai per decreto. Ma a una condizione: che il decreto contenga un paio di regolette semplici semplici per risolvere, dopo vent’anni di inciuci, una serie di problemucci rimasti inevasi nel Far West dell’etere.
Dire, come fa Renzi, “fuori i partiti dalla Rai”, è una figata pazzesca.
Ma troppo ambigua (di che partito è Antonio Campo Dall’Orto, renziano leopoldino della prima ora, che sta raccogliendo pareri e proposte per conto del premier?).
E anche poco originale: l’avevano già  detta, prima di lui, Craxi, Andreotti, Forlani, De Mita, Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, ri-Berlusconi (con Gasparri incorporato), ri-Prodi, ri-Berlusconi, Monti e Letta, col contorno di Quirinale, Consulta, Agcom, Antitrust, forse anche Arcicaccia ed Esercito della Salvezza. Risultato: i partiti sempre padroni della Rai.
Come si fa a farli uscire una volta per tutte da Viale Mazzini con le mani alzate e a non farli tornare mai più?
1) Nel 2005 un gruppo di artisti, intellettuali e giornalisti riuniti da Tana De Zulueta e Sabina Guzzanti proposero una legge di iniziativa popolare “Per un’altra tv”, che coglieva il meglio dalle esperienze delle emittenti pubbliche europee e raccolse le firme di 60 mila cittadini, consegnate nel 2006 al ministro Paolo Gentiloni.
In sintesi, proponeva: una Fondazione a cui conferire le azioni della     Rai; un Consiglio per le comunicazioni audiovisive di 21 membri, di cui 11 nominati dalla società  civile (artisti, produttori, giornalisti, autori, imprenditori, utenti e sindacalisti del ramo, più esponenti delle accademie e delle università ), 3 dagli enti locali e 7 dal Parlamento; un Cda da esso nominato con figure esperte scelte in un pubblico concorso aperto a chiunque esibisca il curriculum online, perchè ciascuno possa verificarne la competenza e l’indipendenza; abolita la commissione parlamentare di Vigilanza, che è un ossimoro, essendo la Rai (come la Bbc) che deve vigilare sui politici e non viceversa.
Gentiloni manifestò grande interesse per l’iniziativa, poi naturalmente fece come tutti gli altri: affidò ai partiti il compito di liberare la Rai dai partiti.
E il Parlamento si guardò bene dal discutere la legge popolare.
Ora chi ha proposte migliori le presenti, possibilmente in un dibattito pubblico e trasparente, non nelle segrete stanze di Palazzo Chigi, del Nazareno e anfratti limitrofi 2) Il decreto Renzi deve contenere rigorosi divieti contro i conflitti d’interessi nel mondo dei media (chi fa politica non può possedere neppure un’azione di concessionarie dello Stato, neppure tramite parenti o prestanome) e le concentrazioni sui relativi mercati (tetti antitrust calcolati sulle singole voci e non sul gran calderone del Sic: quote azionarie, affollamenti pubblicitari ecc.).
Se è questo che vuol fare Renzi (si spera non da solo), merita tutto l’appoggio che gli serve e nessuno — a parte i partitocrati che vogliono tenere le zampe sulla tv, pubblica e privata — potrà  contestare i requisiti di necessità  e di urgenza al suo eventuale decreto.
Se invece, come con tutte le nomine fatte sin qui, la sua rottamazione consiste nel sostituire gli amici di chi c’era prima con gli amici suoi e nel comprarsi il silenzio di B. lasciandolo ingrassare senza regole, vorrà  dire che il Patto del Nazareno è sempre vivo.
E la battaglia delle torri, narrata ieri dai quotidiani di regime come un’epica lotta fra San Matteo defensor Rai e il rapace Caimano, è l’ennesima finta.
Perchè sono due torri gemelle.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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L’ASCENSORE

Febbraio 27th, 2015 Riccardo Fucile

COME SI SPIEGA LA PATOLOGIA DI CHI ODIA IL DIVERSO E VIVE SOLO DI MISERABILI EGOISMI

A ottobre ricevetti una mail da Stefano Martoccia, ingegnere torinese di trentatrè anni colpito da un tumore alle ossa che gli era costato l’amputazione della gamba destra.
Stefano abitava all’ultimo piano di una casa senza ascensore e aveva informato i coinquilini dell’intenzione di installarne uno a sue spese.
L’assemblea di condominio — luogo tra i più ottusi ed efferati dell’umanità , al cui confronto il Parlamento è un covo di idealisti — aveva negato l’assenso.
La legge consentiva a Stefano di procedere.
Ma il dominus dell’assemblea, titolare della maggioranza dei millesimi, aveva opposto ostacoli ed eccezioni, arrivando a insinuare che il giovane volesse costruire l’ascensore con gli incentivi concessi ai disabili per aumentare il valore del suo appartamento e poi rivenderlo.
Aveva preteso che Stefano sottoscrivesse un documento in cui si impegnava a rimuovere l’impianto, in caso di cessione della casa, e a utilizzarlo in esclusiva, negando le chiavi dell’ascensore a parenti e infermieri.
Stefano si era rifiutato di firmare e mi aveva manifestato il suo dolore stupefatto per le soglie di cattiveria a cui può giungere un essere umano.
I suoi condomini, scriveva, erano frequentatori assidui della parrocchia.
Devoti al prossimo, purchè non abitasse a casa loro.
Girai la mail alla collega Maria Teresa Martinengo, che scrisse un articolo sul giornale nella speranza che qualcuno si vergognasse.
Ma nessuno si vergognò.
Per non perdere energie che gli servivano altrove, Stefano accantonò il progetto dell’ascensore e si trasferì nell’appartamento del cugino al pianterreno, dove una morte più misericordiosa degli uomini è venuto a prenderlo ieri mattina.

Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)

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IL TUFFO DI DEBORA PER SALVARE LA BALENA: “AMO IL MARE, NON POTEVO LASCIARLA MORIRE”

Febbraio 27th, 2015 Riccardo Fucile

INTERVISTA ALLA DONNA 36ENNE CHE SI E’ LANCIATA NELLE ACQUE DEI CAMPI FLEGREI E HA AIUTATO IL CETACEO FERITO A TORNARE AL LARGO: “MI HA GUIDATO L’ISTINTO”

Sulle rive della Spiaggia Romana di Bacoli il mare grigio-celeste dei Campi Flegrei è un mare di eroi.
Quelli della mitologia greca, come Miseno che sfidò le divinità  marine suonando una conchiglia. E quelli come Debora Di Meo, 36 anni, che ha messo a repentaglio la propria vita per salvare un cetaceo da morte sicura
Imprenditrice con un ristorante a picco su quella spiaggia, Debora è una giovane donna che ci viene incontro con il figlio di nove mesi tra le braccia. La balena spiaggiata era rimasta incastrata tra gli scogli sotto un’antica villa romana, sulla spiaggia che dista una ventina di chilometri da Napoli.
Qualcuno ha notato quello che sembrava un delfino ma molto più grande dibattersi in una rientranza fra le rocce di tufo a pochi metri dalla riva. Hanno capito che sarebbe morta, come tanti cetacei disorientati dai sonar delle barche o impigliati nelle reti. E hanno chiamato Debora Di Meo, che pesca in apnea ma soprattutto ama il mare e lo rispetta.
Un gesto d’amore e di coraggio verso un piccolo di balenottera comune, la Balaenoptera physalus, più di 8 metri di lunghezza e due tonnellate di peso. In pratica, il secondo animale per dimensioni mai esistito sulla terra, che da adulto arriva a 80 tonnellate per 24 metri.
Il video del salvataggio è diventato virale sui social network e Debora si è ritrovata famosa come la ragazzina Maori che nel film “La ragazza delle balene” guida verso la libertà  un gruppo di cetacei spiaggiati.
Di fronte a quale scena si è trovata?
“Una balena, che mi è sembrata un cucciolo, si era fatta strada tra gli scogli entrando da una secca, ed era rimasta bloccata in venti centimetri d’acqua proprio sotto le rovine della villa romana di Servilio Vatia descritta da Seneca, davanti all’antro di Cerbero. Era poggiata sul fianco sinistro e su quello destro aveva una profonda ferita. Soffiava e sbatteva e nel tentativo di liberarsi si stava procurando altre lacerazioni sulla pin- na. Tutti guardavano ma nessuno si muoveva. Così mi sono decisa. Indossavo jeans, maglione e scarpe da ginnastica. C’erano 7 o 8 gradi, per fortuna non pioveva, ma l’acqua era gelata. Mi sono tolta solo la giacca e mi sono tuffata”.
Perchè hanno chiamato lei?
“Forse perchè abito qui vicino. Di mestiere faccio la ristoratrice, ho casa e locale su questo sperone di roccia e il mio compagno è proprietario di un locale proprio su questa spiaggia dove sono in corso lavori di ristrutturazione in vista dell’estate. Sono stati gli operai e la mia famiglia ad allertarmi. Mi sono precipitata. Sono un’amante del mare, non si può lasciar morire un animale così”.
Che cosa ha fatto allora?
“Ho raggiunto a nuoto lo specchio d’acqua dove la balenottera stava combattendo per salvarsi. Non sapevo che cosa avrei fatto. Mi sono affidata all’istinto. La mia esperienza in salvataggi era zero, ma quell’animale era davvero in difficoltà : sono genovese ma di genitori flegrei, e vivo da 14 anni su questa costa. Mio padre era armatore navale e a noi figli ha insegnato prima a nuotare e poi a camminare. L’unica esperienza che posso paragonare a questa è uno squalo che trovammo sulla spiaggia a Shark River Hills, nel New Jersey, dove ho vissuto due anni. Ma era già  morto. Un animale grande come questa balena non l’avevo mai visto prima”.
Avere paura in una situazione come questa sarebbe umano…
“Non ne ho avuta. Non c’era tempo. la balenottera sbatteva così forte, c’era il rischio che si incastrasse di più. Quando mi sono avvicinata però forse ha capito che volevo aiutarla e ha smesso di dimenarsi. È stato un bell’incontro ravvicinato: aveva la pelle molto liscia, ma durissima, ma soprattutto ricorderò sempre i suoi occhi, i nostri sguardi si sono incrociati. Ho spostato la sua testa verso l’uscita dalla “gabbia” di scogli e ho cominciato a spingere. Per fortuna ha trovato una sorta di canale nel quale è riuscita a infilarsi e con qualche altro colpo di coda ce l’ha fatta a tirarsi fuori”.
C’è stato anche un saluto?
“Quello che io credo sia stato tale. Uscita dalla secca, nei pressi dei resti archeologici della peschiera della villa romana, la balena è tornata indietro venendo verso di me. Mi è sembrato quasi che volesse dirmi grazie. Poi si è rigirata ed è andata via. Lungo questo tratto di costa capita spesso di avvistare delfini, ma non sapevo che ci fosse un canyon verso Cuma dove le balene come quella che ho incontrato io vengono a riprodursi. Me lo ha spiegato una ricercatrice che segue i cetacei nel Golfo di Napoli. Hanno anche tentato di riconoscerla dalle foto, ma non è stato possibile”.
Dieci minuti per salvare un animale mettendo in pericolo la propria vita. Ci sarà  stata quale immancabile critica
“Chi conosce i cetacei dice che ho rischiato grosso. I miei familiari mi hanno rimproverato: una madre di un bambino piccolo, certe cose non dovrebbe farle. Ma io ho agito d’istinto, non ho riflettuto molto. Mentre gli altri cercavano di contattare la Capitaneria di Porto o la Protezione animali, ho voluto tentare. La trovo una cosa normale. E non ho dubbi: lo rifarei anche adesso”.

Stella Cervasio
(da “La Repubblica“)

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BERSANI: “SE IL DECRETO BOSCHI NON CAMBIA NON VOTO L’ITALICUM, NON SIAMO FIGURANTI DI UN FILM”

Febbraio 26th, 2015 Riccardo Fucile

“JOBS ACT RIPORTA AGLI ANNI ’70″… LA MINORANZA DEM DISERTERA’ L’INCONTRO CON I PARLAMENTARI

Non andrà  all’incontro con Matteo Renzi e se nulla cambia nelle riforme costituzionali, Pier Luigi Bersani non voterà  la riforma della legge elettorale.
L’ex segretario Pd, in un’intervista che uscirà  su Avvenire, dà  il suo aut aut al governo.
“Polemiche ingiustificate”, lo liquida il presidente del Consiglio. “Noi siamo per il dialogo”.
Nuovo scontro, ma la scena è sempre la stessa. La pax tra Renzi e la minoranza Pd nata con l’elezione compatta di Sergio Mattarella è solo un ricordo.
E nella routine di riforme e decreti, si riaprono i vecchi fronti.
L’ultimatum viene questa volta da Bersani.
“Il combinato disposto”, dice, “tra ddl Boschi e Italicum rompe l’equilibrio democratico. Se la riforma della Costituzione va avanti così io non accetterò mai di votare la legge elettorale“.
La ferita che più fa soffrire l’esponente della minoranza Pd è la riforma del mercato del lavoro, approvata nei giorni scorsi nonostante le perplessità  di parte del partito: “Mette il lavoratore in un rapporto di forze pre-anni ’70 e perciò si pone fuori dall’ordinamento costituzionale”.
Ma questa volta il motivo della lite con il presidente del Consiglio è stata la convocazione di un incontro con i parlamentari Pd, a cui l’ex segretario e altri membri della minoranza non parteciperanno.
“Non ci penso proprio”, dice Bersani. “Perchè io m’inchino alle esigenze della comunicazione, ma che gli organismi dirigenti debbano diventare figuranti di un film non ci sto”.
Il presidente del Consiglio risponde poco dopo e dice di essere “stupito” per le “polemiche ingiustificate”.
Bersani, punto di riferimento della minoranza Pd, aveva parlato di una mediazione possibile con Renzi dopo la prova dell’elezione del presidente della Repubblica.
Il partito si era ricompattato intorno al nome di Sergio Mattarella. A quello si era aggiunta la fine del patto del Nazareno che aveva fatto sperare la sinistra democratica di poter aprire un nuovo tavolo di trattative con il presidente del Consiglio.
Niente di tutto questo. Renzi è andato avanti per la sua strada e le ultime settimane hanno fatto tornare lo scontro ai vecchi tempi.
Prima l’approvazione del ddl Boschi davanti a un parlamento con le opposizioni in Aventino (il voto finale a Montecitorio è atteso a marzo) e poi il dibattito sul Jobs act.
Che la situazione fosse arrivata ad uno dei punti più tesi degli ultimi mesi si era già  capito nelle scorse ore.
“Siamo al limite, è ora di fare le cose seriamente”, aveva commentato Bersani dopo l’annuncio della riunione tra i gruppi Pd e Renzi.
“I gruppi li convocano i capogruppo, stabiliscono gli odg e invitano il segretario. Non c’entra il Pd, non c’entrano i bersaniani o i renziani”.
L’ex segretario è stato anche tra i primi del Pd a criticare l’offerta di Mediaset per Rai Way: “Ora il Milan”, ha scritto su Twitter, “si comprerà  l’Inter”.
In tanti nella minoranza però non si presenteranno all’incontro: “Non vado”, commenta l’ex presidente Pd Gianni Cuperlo, “perchè aspetto ancora di capire perchè il governo non abbia tenuto in nessun conto il parere unanime del Pd in commissione sulla delega lavoro e moltissime altre proposte avanzate in questi mesi. Massimo rispetto per l’iniziativa di Renzi ma è bene prima chiarire che tipo di rapporto c’è tra governo e Parlamento”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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IMPRESE, IL 64,1% DI QUELLE ISPEZIONATE E’ RISULTATA IRREGOLARE, MA RENZI PENSA AL JOBS ACT

Febbraio 26th, 2015 Riccardo Fucile

VISITATE 10.000 AZIENDE IN MENO DEL 2013 (-5,8%)… BEN 77.387 LAVORATORI IN NERO, 1,5 MILIARDI DI CONTRIBUTI EVASI… E CON L’AGENZIA UNICA IL GOVERNO SMANTELLERA’ LE FUNZIONI ISPETTIVE

Il rispetto delle norme rimane uno degli aspetti critici del mondo del lavoro.
Il 64,1% delle 221mila aziende ispezionate nel 2014 è infatti risultato irregolare.
Con oltre 77.387 lavoratori trovati totalmente in nero (il 42,61% dei 181.629 lavoratori irregolari) e 1,5 miliardi di contributi evasi accertati.
I dati sono contenuti nel Rapporto annuale dell’attività  di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale, che riassume i risultati dei controlli condotti dagli ispettori del ministero, dell’Inps e dell’Inail.
“Non si può però dire che il 64% delle aziende italiane siano   irregolari — ha però precisato il ministro Giuliano Poletti nel corso della presentazione del report .
Ha ragione, potrebbero essera anche di più.
E il dato sulle aziende irregolari, in linea con quello del 2013 (64,78% di quelle ispezionate), è destinato a fare discutere, soprattutto in un momento in cui il dibattito politico si concentra sulle modifiche alle tutele dei lavoratori portate avanti dal governo Renzi con il Jobs Act.
A dimostrarlo sono arrivate subito le parole del presidente della commissione Lavoro della Camera, il democratico Cesare Damiano, che parla di “percentuale altissima” di irregolarità .
Senza voler “demonizzare il sistema delle imprese”, Damiano sostiene che “le buone leggi non sono dei lacciuoli   da evitare” e si dice preoccupato “di fronte alle nuove regole del Jobs Act che consentono di licenziare adducendo come giustificazione un motivo economico inesistente o un’infrazione disciplinare che può anche essere ricondotta a un ritardo di 10 minuti”.
C’è un altro dato poi, tra quelli contenuti nel rapporto, che incrocia la strada delle riforme.
Quello sul numero totale di aziende ispezionate: 221.476 (140.173 dal ministero, 58.043 dall’Inps, 23.260 dall’Inail), in calo del 5,80% rispetto alle 235.122 aziende ispezionate nel 2013.
Viene così confermato il trend negativo che la Corte dei conti ha giudicato come uno dei punti critici di un sistema di controllo caratterizzato da una “perdurante inadeguatezza”.
Un sistema che ora il governo vuole rinnovare attraverso la creazione dell’Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, finalizzata a integrare in una sola struttura le verifiche di ministero, Inps e Inail.
I sindacati, però, temono l’insorgere di problemi di coordinamento tra gli enti e hanno denunciato il rischio di smantellamento delle funzioni ispettive, soprattutto in conseguenza di un’agenzia che l’esecutivo vuole creare a costo zero.
Critiche sono arrivate anche dall’interno del Pd: è di settimana scorsa un’interrogazione urgente a firma dei senatori Roberto Ruta e Lucrezia Ricchiuti, i quali rilevano che “l’istituzione di un’agenzia ex novo non consentirebbe un’immediata concentrazione sui temi dell’intelligence, dilatando significativamente nel tempo il potenziamento dell’attività  ispettiva e l’incremento del recupero contributivo”, con la conseguenza di causare “un costo ulteriore per il sistema pubblico”.
Per ora i malumori hanno ottenuto il risultato di non fare arrivare al Consiglio dei ministri di venerdì scorso il decreto attuativo sull’agenzia unica.

Luigi Franco
(da “il Fatto Quotidiano”)

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LA METAMORFOSI DI DEBORA, DA AGITPROP A FEDELISSIMA

Febbraio 26th, 2015 Riccardo Fucile

SEMBRAVA AMORE, INVECE ERA UN CALESSE

La sua sembrava una di quelle rare storie che riconciliano con la politica: la giovane sconosciuta del Pd di Udine che prende la parola all’Associazione dei Circoli, conquista la platea cantandole al segretario Franceschini e da lì vola sulla scena nazionale. Sembrava una fiaba.
Sembrava, perchè a vederla oggi, vicesegretario del Pd renziano, la sensazione è quella di un gigantesco abbaglio.
In quell’ormai lontano 2009 scandiva: “Non ci possiamo riconoscere in un Paese che non tassa i ricchi solo perchè pensa che siano troppo pochi”. Applausi.
“Il problema è aver fatto fare a Di Pietro opposizione da solo su temi che ci appartengono, come il conflitto d’interessi e la questione morale”. Ovazione.
Ma ora che guida il partito di governo, che fine hanno fatto quei temi e quei provvedimenti?
La distanza — abissale — tra le sue parole di ieri e l’oggi non si ferma qui.
Nel 2011 scriveva: “Il dibattito sul mercato del lavoro si sta riducendo a un referendum sull’art. 18, e questo è quanto di più sbagliato e lontano dagli interessi dei lavoratori possa fare la politica”; nel 2012 se la prendeva con la Confindustria e il Pdl, che volevano modificare ulteriormente quell’articolo rispetto alla legge Fornero: “Il campo del licenziamento soggettivo e disciplinare per definizione non ha alcun collegamento con la crisi economica e la necessità  di fronteggiarla”.
Oggi, invece, va bene farsi dettare il Jobs Act dalla Confindustria anche sui licenziamenti soggettivi, l’art. 18 si può rottamare e la riforma con Renzi diventa — parole ancora sue — “di sinistra”.
Nel 2013 era addirittura “incazzata”: “Quando ho sentito il nome di Marini ho ripensato alla Bicamerale. Poi ho visto la foto di Bersani che abbracciava Alfano e ho pensato: abbiamo toccato il fondo” — disse alla Stampa quando si doveva decidere il capo dello Stato — “Berlusconi è una malattia da cui non guarisco. Come quei fastidi che ti fanno dire: sono 20 anni che ho la psoriasi. L’Italia merita qualcosa di diverso”.
E invece, col suo segretario-premier, avete prolungato l’infiammazione a tutti gli italiani stringendo un patto con un condannato e decaduto dal Parlamento (almeno durante la Bicamerale non lo era), che — l’ha detto ancora lei a luglio — “è sempre il benvenuto, ci dà  più garanzie del M5S”, e con Alfano siete passati dall’abbraccio al bacio di governo, scavando sul fondo.
L’Italia — lo dico io a lei — si meritava qualcosa di diverso.
La sua metamorfosi è innegabile: la colorata Amèlie della politica, che incarnava “Il favoloso mondo” combattendo l’apparato, ha lasciato il posto a una grigia dirigente di partito che guai ad attaccare il segretario, lui è perfetto e fa solo cose perfette, se no ve le suono.
Ma al di là  della delusione (penso ai molti giovani che si sono identificati in lei e l’hanno sostenuta, portandola dov’è adesso) di scoprire che in politica, con le poltrone di mezzo, non ci possono essere fiabe, resta un dubbio atroce, sul tipo di quello generato dai saldi: non si sa se ci prendevano in giro prima, vendendoci abiti a prezzo esorbitante, o lo fanno dopo rifilandoci avanzi di magazzino.
Nel suo caso, era in buona fede prima o lo è oggi?
Almeno allora erano solo parole, oggi invece — ahimè — sono fatti concreti.

Luisella Costamagna

argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »

“NON MI HA PAGATO”: GIOIELLIERE DI BUSTO DENUNCIA RICCARDO BOSSI

Febbraio 26th, 2015 Riccardo Fucile

STILE PADANO: “CI HA DETTO CHE SAREBBE ARRIVATO UN BONIFICO E ANCHE CHE AVREBBE RESTITUITO L’OROLOGIO, MA NON ABBIAMO VISTO NULLA”… IL VALORE SAREBBE DI ALCUNE DECINE DI MIGLIAIA DI EURO

I guai per la famiglia Bossi non finiscono mai.
Tra richieste di rinvio a giudizio per Renzo e Umberto, rispettivamente per le spese pazze in Regione e per la truffa sui rimborsi elettorali, la family annovera un altro piccolo guaio.
Riccardo Bossi, il primogenito del fondatore della Lega Nord, è stato denunciato dal titolare di una catena di gioiellerie, che lo accusa di non aver pagato un orologio e alcuni preziosi acquistati in un negozio a Varese.
Ricky Bossi era finito nei guai per la storia della gestione dei fondi insieme al padre e al fratello e gli era stato bloccato per poi essere restituito un yacht ormeggiato in Tunisia.
Il valore degli articoli, come riporta oggi il quotidiano La Prealpina, sarebbe di alcune decine di migliaia di euro.
“Riccardo Bossi ha acquistato orologio e gioielli dopo Natale e glieli abbiamo consegnati sulla fiducia anche se non è un nostro cliente abituale, convinti che un personaggio così noto li avrebbe pagati in tempi brevi”, ha raccontato all’Ansa Bruno Ceccuzzi, titolare della gioielleria Dino Ceccuzzi, con negozi a Busto Arsizio, Como e Varese.
“È trascorso del tempo e i soldi non sono arrivati — ha proseguito — lo abbiamo contattato diverse volte e lui ci ha detto che sarebbe arrivato un bonifico dalla banca e anche che avrebbe restituito l’orologio. Nonostante le promesse, non abbiamo ottenuto risultati”. Bruno Ceccuzzi, quindi, nei giorni scorsi ha deciso di sporgere denuncia alla polizia di Varese, consegnando anche i filmati delle telecamere installate all’interno del negozio, che avrebbero ripreso l’acquisto dei preziosi.
“Non avrei immaginato che sarebbe finita così — ha aggiunto — adesso spero che qualcuno intervenga a paghi il debito”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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RICICLATI: DA “PRIMA FINI” A “PRIMA L’ITALIA”. TRE ANNI FA VOLEVA ACCOGLIERE GLI IMMIGRATI, ORA VUOLE CHIUDERE PURE LE MOSCHEE NON APERTE

Febbraio 26th, 2015 Riccardo Fucile

LA COERENZA DEL DIRIGENTE REGIONALE DI FUTURO E LIBERTA’ CONVERTITO SULLA VIA DEI COGNATI D’ITALIA E SALVINIZZATO.. E’ SOLO UNO DEI TANTI ESEMPI DI SALTAFOSSI

Che l’Italia sia   un Paese dove lo sport preferito è quello di saltare sul carro del vincitore è cosa nota.
Si è visto a sinistra quanti imprenditori sgomitino per pagare 1000 euro e potersi sedere a un tavolo imbandito con vista sulla bocca aperta di Renzi.
A destra va di moda poter entrare nelle grazie del noto grossista di carta igienica tricolore, il raffinato identitario “sistemamogli” Matteo Salvini, l’uomo sponsorizzato dalla sinistra perchè rappresenta la migliore garanzia che il centrodestra non tornerà  al governo nel prossimo ventennio.
L’operazione avviene attraverso mediatori e procacciatori, noti per aver sfasciato la destra italiana, avendo sgovernato prima in An e poi nel Pdl, senza mai un sussulto di dignità  e spirito critico fino a quando sono stati ministri, sottosegretari e parlamentari a 13.000 eurini al mese.
La salvinizzazione della destra italiana si può peraltro ben notare anche nell’evoluzione di certi intellettuali di corte che da scrittori emarginati ora possono permettersi il vestito buono, le apparizioni Tv e le maggiori case editrici.
Ma è nelle iniziative sul territorio che emergono le tematiche della “nuova destra” nostrana con il menu fisso (da 40 anni) composto da immigrati e rom da cacciare.
Come i camionisti si fermano sempre alla trattoria Jolanda, loro oltre quei temi non sanno andare.
E anche chi si era affacciato a un self service con ampia scelta, alla fine si adatta per convenienza al menu della casa.
Non fosse altro perchè il posto a tavola è garantito e magari ci scappa anche il grappino (senza riferimento all’alito di Salvini, citato da Cecchi Paone).
Ci è capitato di leggere un virile comunicato stampa di “Prima l’Italia” (e “dopo la trippa”) in cui si denuncia, udite udite che “negli ultimi giorni sono apparsi sui muri del quartiere Monteverde dei volantini redatti in lingua straniera, precisamente in bengalese, nei quali si chiede un contributo per la ristrutturazione di un locale sito in Circonvallazione Gianicolense, 223 che viene proposto come luogo di culto islamico”.

Un fatto gravissimo, insomma: dei bengalesi che scrivono in bengalese e chiedono si presume a dei loro connazionali di contribuire a ristrutturare un locale come futuro luogo di culto.
Il tutto a loro spese, senza chiedere alcun contributo allo Stato italiano.
Il comunicato conclude che “per questo motivo venerdì 27 febbraio alle ore 11 il movimento Prima l’Italia presenterà  in conferenza stampa le iniziative contro l’apertura della nuova Moschea
“, come se fosse una questione di loro competenza.
Aspetto divertente: “insieme ad una delegazione di Prima l’Italia abbiamo effettuato un sopralluogo presso i locali di Circonvallazione Gianicolense 223, destinati al nuovo luogo di culto islamico e ci siamo trovati di fronte ad una struttura molto grande all’interno della quale sono già  partiti i lavori di ristrutturazione”.
Il che vuol dire che li hanno fatti entrare senza problemi e che non c’era nulla da nascondere, anche se i bengalesi avrebbero avuto diritto a rispondere come Razzi-Crozza: “ma fatevi i cazzi vostri”.
Anche perchè potrebbero aver già  chiesto i relativi permessi alle autorità  preposte e quindi essere perfettamente in regola.

In puro stile salviniano la conclusione è un bel presidio “per lanciare una petizione contro l’apertura della ‪#‎Moschea‬ a ‪#‎Monteverde‬”.
Una posizione quindi “a prescindere”, contro ogni forma di rispetto di altri culti e pure controproducente perchè è notorio che è meglio una moschea ufficiale che puoi controllare che costringere le persone a pregare nei sottoscala e incattivire gli animi.
Non ci avrebbe stupito se l’iniziativa fosse stata sponsorizzata da un politico alla Borghezio, sarebbe in sintonia con lo slogan “No N-euro”.

Invece chi abbiamo trovato ?
Un ex-finiano convertito sulla via del Monviso, un ex dirigente di Futuro e Libertà  con incarichi di un certo livello.
E dato che siamo notoriamente tosti nel fiutare la pista, ecco una chicca che il suddetto aveva scritto il 3 giugno 2011, alle ore 17:06 in un articolo a sua firma: “noi siamo per l’immigrazione responsabile, pronti ad accogliere chiunque venga in Italia per lavorare e rispettare le nostre leggi”.

Ma come, tre anni fa li volevi accogliere e ora gli vuoi pure impedire di pregare?
Capisco che hai cambiato compagnia di giro, ma un po’ di coerenza suvvia.
O devo anche ricordarti cosa scrivevi della tua ora tanto amata Giorgia Meloni il 29 gennaio 2011, alle 12:23 ?  

“La Meloni dovrebbe chiedersi perchè siano spariti dal suo vocabolario i termini moralità , legalità , esempio. Non avrei mai pensato che per mantenere la sua bella poltrona sarebbe arrivata al punto di camminare con i paraocchi. In alcuni casi si dovrebbe avere almeno il buon gusto di tacere”.
Ecco, perfetto: un bel tacer non fu mai scritto.

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