Marzo 7th, 2015 Riccardo Fucile
BERLATO PORTA 2.000 CACCIATORI E SALVA LA MELONI DAL FLOP, I LEGHISTI NON CI SONO, CI SI CONSOLA CON L’EX GRILLINO RIZZETTO… LA MELONI SI LAMENTA PER LE ASSENZE: “UN ERRORE ROMPERE IL FRONTE, COSI’ REGALIAMO IL VENETO ALLA MORETTI”…LA MANIFESTAZIONE NAZIONALE METTE ASSIEME APPENA 5.000 PERSONE
Sono arrivati da ogni parte d’Italia. Il ritrovo era davanti alla Stazione di Venezia Santa Lucia per la
manifestazioni di Fratelli D’Italia.
A sfilare, tra gli altri, oltre a Giorgia Meloni e Ignazio La Russa, anche l’ingegnere veneziano rapito in Libia Gianluca Salviato, Adriano Sabbadin figlio di Lino, colpito a morte da Cesare Battisti, e Walter Rizzetto, ex Cinquestelle.
Quasi 300 invece i poliziotti del servizio d’ordine per impedire che il corteo venisse a contatto con la manifestazione della sinistra antagonista in campo Santa Margherita.
Alla fine a San Geremia saranno circa cinquemila i partecipanti all’iniziativa della Meloni, ma il grosso, un gruppo compatto di circa 2.000 persone, è rappresentato dai cacciatori portati dall’ex europarlamentare forzista Sergio Berlato, passato con FdI dopo la “conversione animalista” di Silvio Berlusconi.
Sono ben visibili durante il corteo grazie alle centinaia di bandiere della loro associazione.
Ma il grande assente è Matteo Salvini che, dopo l’intervento della Meloni in piazza del Popolo a Roma, avrebbe dovuto contraccambiare la visita a Venezia.
Invece non solo le ha tirato il pacco, ma non ha neanche mobilitato le sue truppe per rimpiere la piazza veneta.
Uno sgarbo ribadito dal segretario provinciale del Carroccio, Alberto Semenzato, che si giustifica: «non mi trovo molto a mio agio tra le bandiere tricolori».
A dimostrazione che Salvini si serve strumentalmente della Meloni per tentare di farsi strada nel centrosud, ma la considera meno che niente: contenta lei….
Assente Casapound non si sa perchè non invitati (come sostiene la Meloni) o perchè ormai sono solo al servizio di Salvini a tempo pieno.
Un evidente malessere traspare dalla frase della Meloni contro non meglio precisate altre forze della destra veneta: “Un errore rompere il fronte”, ha detto, “così regaliamo la Regione alla Moretti”.
Al corteo veneziano si è invece visto Walter Rizzetto, esponente di Alternativa Libera, il gruppo di deputati fuoriusciti dal Movimento 5 stelle.
L’ex grillino non passava lì per caso. Rizzetto ha deciso di partecipare alla manifestazione, con tanto di selfie-ricordo con i due nuovi e improbabili alleati.
Se numericamente la manifestazione è stata salvata dai cacciatori, in molti si stanno interrogando, all’interno di FdI, se non si stia perseguendo una linea politica suicida che con la destra non ha nulla a che vedere.
Gli stessi concetti espressi dalla Meloni, nel corso del suo intervento, sembrano scimmiottare i temi cari ai leghisti e alla destra più becera, piuttosto che a delineare un vero rinnovamento.
Puro spirito conservativo di tesi e poltrone.
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Marzo 7th, 2015 Riccardo Fucile
24 ORE DAVANTI ALLE TELECAMERE, GRILLO E BERLUSCONI SCOMPAIONO
Non ci voleva molto a intuirlo, ma è Matteo Salvini il recordman delle presenze televisive tra tutti i
politici italiani.
Se si escludono gli spazi riservati all’azione del governo, il leader leghista supera tutti i rivali, compreso Matteo Renzi.
È la Stampa a mettere in fila un po’ di numeri. E sono davvero roboanti: settantatrè presenze televisive.
Oltre 18 ore di parola per un totale di 24 ore e 5 minuti davanti alle telecamere: tutti i giorni, a tutte le ore.
Sono i dati record di Matteo Salvini in Tv in meno di due mesi.
Dal 1 gennaio al 25 febbraio di quest’anno, infatti, non c’è stato talk show, rete televisiva o Tg di qualsiasi testata che non abbia ospitato il leader della Lega.
È il premier a svettare, con oltre 5 ore più numerose apparizioni ai tg. Un monte al quale va sottratta la comunicazione “istituzionale” dell’attività dell’esecutivo (interventi in aula, conferenze stampa ecc…).
Tempi di parola enormi rispetto a Beppe Grillo e a Silvio Berlusconi. Il leader del M5s ha avuto 3 ore e 12 minuti di tempo di parola, l’ex Cavaliere 7 ore e 45 minuti.
Ma l’aspetto fondamentale, secondo la Stampa, è lo spread tra il tempo di parola e il tempo di notizia riservato ai rispettivi leader: mentre, infatti, per gli altri esponenti politici i due dati sono pressochè coincidenti per l’esponente leghista il parlato è quasi quattro volte superiore rispetto ai tempi della notizia.
Un dato «clamoroso», che posizionano l’europarlamentare addirittura al quinto posto assoluto nei Tg.
Per capirci, Salvini è ai piedi del podio, superato solo da Papa Francesco, Paolo Gentiloni (per via della crisi ucraina) e Sergio Mattarella.
Una situazione che ha sollevato perplessità da più parti nel mondo della politica.
Primo fra tutti è stato Michele Anzaldi “esperto Rai” del Pd, a denunciare la sovraesposizione salviniana sui canali del servizio pubblico: “In Rai esistono molteplici figure – direttori, vicedirettori, capistruttura, capiredattori, capiservizio – preposte al controllo, il tutto finanziato da quasi 2 miliardi di euro del canone dei cittadini. Presenterò una interrogazione alla Rai per chiedere chiarimenti e risposte. In questa maniera viene tutelato il pluralismo dal servizio pubblico?”.
Resta da porsi l’interrogativo fondamnetale: chi permette tutto questo e chi ha interesse a far rappresentare il centrodestra da Salvini?
Qualcuno che sa benissimo che quel tipo di avversario non gli procura alcuna preoccupazione.
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Marzo 7th, 2015 Riccardo Fucile
LA RIVOLTA DEI MINISTRI E DEGLI ESPONENTI PD CONTRO IL PREMIER
Dopo la visita del presidente del Consiglio a Mosca, dove ha omaggiato Vladimir Putin, ha vietato le domande dei giornalisti in conferenza stampa, non ha detto una parola sui diritti civili e umani, anzi ha fatto il piazzista degli interessi privati di un gruppo di imprenditori italiani e ha criticato le sanzioni economiche alla Russia, beandosi infine della definizione putiniana sull’Italia “partner privilegiato”, esplode finalmente la rivolta dei ministri e degli altri leader del Pd e della maggioranza.
Durissima col capo del governo la vicesegretaria Debora Serracchiani: “Il legame privato tra lui e Putin ha caratteri tali da imbarazzare qualsiasi cancelleria europea. È lecito ritenere che gli interessi nazionali possano essere messi a rischio… Il nostro Paese non ha davvero bisogno di ingrossare i dossier dei Servizi russi con le stravaganze di questo presidente del Consiglio… E comunque, nonostante tutti gli sforzi che sta facendo per assomigliare al suo amico Putin, si tolga dalla testa di tappare la bocca alla stampa, italiana o estera”.
“Il governo italiano non può pensare che il suo ruolo si risolva nel coltivare un rapporto tra il premier e Putin”, rincara Piero Fassino.
Pier Ferdinando Casini invita il premier a lavorare con l’Europa “con maggiore intransigenza verso la Russia e maggiore sintonia nei confronti degli Stati Uniti” e conclude severo: “Mi piacerebbe un presidente del Consiglio che avesse la dignità di porre il problema delle minacce russe agli Stati vicini, come ha fatto il governo francese”.
“La frequenza dei suoi viaggi in Russia — insiste il capogruppo al Senato Luigi Zanda — e il confronto con le sue rarefatte visite negli Usa (mai nello stesso periodo) è inquietante… Solo una condizione di estrema ricattabilità personale e politica può spiegare gli ‘speciali’ rapporti con Putin”.
“Purtroppo — denuncia Pier Luigi Bersani — l’Italia è stata sorpresa con il governo nel punto più basso dal dopoguerra ad oggi del suo prestigio, privilegiando relazioni speciali solo con Putin… solo per far vedere il nostro premier nei principali tg”. L’intero gruppo del Pd al Senato lancia un accorato appello al capo del governo: “Renda trasparenti tutte le sue relazioni internazionali. C’è un impasto di ridicolo e di superficialità che peserà per molti anni sulla immagine internazionale del nostro Paese. Le relazioni tra l’Italia e la Russia sono molto importanti. Ma essere considerato il ‘portavoce di Putin’ è cosa diversa da ‘amico’ di Putin. Presuppone un rapporto di dipendenza. È una definizione grave che evoca il tradimento degli interessi dell’Italia e dell’Europa”.
“C’è — spiega Zanda — un continuo autoattribuirsi da parte sua il ruolo inesistente e sgradito di mediatore tra Stati Uniti e Russia, con posizioni personali volte a compiacere gli interessi russi. E poi, mai una protesta per i giornalisti russi e i loro avvocati uccisi o arrestati e per aver cercato la verità . Nessuna protesta per Anna Politkovskaja o per la deportazione politica in un carcere siberiano di Mikhail Khodorkovsky. Perchè non ha mai discusso in Parlamento queste sue posizioni? Per amicizia disinteressata con Putin? Gli Stati Uniti ritengono che sia in gioco l’interesse strategico della sicurezza europea e che il rapporto del nostro premier con Putin… sia funzionale a una politica energetica a favore di Gazprom. Il Pd gli chiede chiarezza sulle sue relazioni internazionali. È necessario escludere, senza che resti alcun dubbio, che la politica estera italiana sia stata forzata a favore di interessi personali del presidente del Consiglio”.
Tagliente il vicepresidente del Parlamento europeo David Sassoli: “L’agenda dei rapporti si riempie di inquietanti sospetti… Emerge la necessità di conoscere la ragnatela di interessi del premier, anche per tranquillizzare i nostri partner europei impegnati sulle questioni energetiche in un confronto anche aspro con il governo russo”.
Ma riecco Fassino, alzo zero: “Soltanto l’ossessiva e smisurata megalomania che lo accompagna può far credere al presidente del Consiglio di essere un attore della scena internazionale. Non ce n’è uno che lo pensi in Europa e nel mondo. La verità è che con lui l’Italia è purtroppo ai margini in Europa e nel mondo, con grave danno per l’immagine e gli interessi del Paese”.
“Non ci interessa sapere — argomenta lo scatenato Zanda — come il nostro capo del governo ha intenzione di festeggiare il suo amico Vladimir Putin. Ma se il presidente del Consiglio italiano va in visita dal primo ministro russo per trattare ‘temi seri’ ha il dovere, al suo ritorno, di riferire immediatamente al Parlamento il contenuto della sua visita e delle questioni affrontate. Perchè lo Stato italiano non è una sua proprietà privata. La nostra affidabilità è compromessa dalle modalità con cui gestisce i rapporti con Putin… Per questo gli abbiamo più volte chiesto di venire personalmente in Parlamento a spiegare quale sia oggi la sua politica estera del Paese e chi siano i suoi migliori amici. Solo così sarà possibile discuterla e valutarla”.
Tranchant il commento della ministra della Difesa, Roberta Pinotti: “La politica estera del premier è un mistero di fronte al quale non possiamo arrenderci per il bene dell’Italia”.
Le fa eco il ministro della Giustizia, Andrea Orlando: “Probabilmente il modello ispiratore del presidente del Consiglio è quello della Russia di Putin”.
Walter Veltroni, anche lui simpatizzante renziano, paventa il rischio di un “modello Putin” in Italia e ironizza sui trascorsi del presidente russo: “Putin sì che è comunista, era il capo del Kgb!”.
Ps. Matteo Renzi e i suoi cari stiano sereni. Queste dichiarazioni risalgono agli anni 2008-2011, quando in ginocchio da Putin c’era Berlusconi
Oggi non si usano più.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 7th, 2015 Riccardo Fucile
IL PENTITO GALATOLO RACCONTA IN 117 PAGINE DOVE AVREBBERO PIAZZATO IL TRITOLO: “FACEMMO I SOPRALLUOGHI ANCHE NEL PALAZZO DI GIUSTIZIA. ERA TUTTO PRONTO”
Per uccidere il pubblico ministero Nino Di Matteo, i killer di Cosa Nostra fecero un sopralluogo dentro il
Palazzo di Giustizia, a pochi metri dalla stanza del magistrato, alla ricerca di un posto dove piazzare il tritolo.
Ormai erano a un passo da quella che sarebbe stata una strage probabilmente senza precedenti.
“Ci siamo visti dentro il Tribunale di Palermo e se le telecamere funzionano ci hanno ripreso: siamo io e Vincenzo Graziano. Lui mi disse: io lo vorrei mettere là . Parlava della strada, dove appoggiare un furgone. Io risposi: ma come facciamo a metterlo là chè succede una catastrofe? Passano macchine, scendono bambini. È impensabile”.
È il racconto di Vito Galatolo: qualcosa come 117 pagine che ricostruiscono, sequenza dopo sequenza, il piano di morte per eliminare il magistrato della trattativa.
È il primo verbale del neo-pentito, riempito il 14 novembre scorso davanti ai pubblici ministeri di Caltanissetta e depositato durante l’ultima udienza del processo in corso nell’aula bunker dell’Ucciardone.
Agli atti del dibattimento anche l’interrogatorio del 10 febbraio scorso di Carmelo D’Amico, l’ex killer di Barcellona Pozzo di Gotto, che ha riferito agli inquirenti le confidenze ricevute nel carcere di Opera dal boss Nino Rotolo sul ruolo di “ambasciatore di Riina, Provenzano e Ciancimino” attribuito ad Antonino Cinà nel dialogo tra i capimafia e le istituzioni.
Con alcuni particolari del tutto inediti sull’elenco delle richieste di Cosa nostra, il cosiddetto “papello”, che D’Amico invece definisce “bigliettino”: “Rotolo mi disse che Riina non si fidava di Ciancimino, perchè era sbirro, però il bigliettino scritto da Bernardo Provenzano, sotto dettatura di Riina, alla fine è stato portato a don Vito”.
Il racconto di Galatolo, che dice di essersi pentito per “dare un futuro” ai suoi figli, parte dalle lettere di Matteo Messina Denaro a Girolamo Biondino: nella prima, spedita nel settembre 2012, il latitante suggerisce che Vito “assuma il ruolo di capo-mandamento di Resuttana”, in sostituzione del padre Vincenzo.
Nella seconda, recapitata a dicembre, il boss scrive al gruppo dei fedelissimi composto da Galatolo, Graziano, Biondino e Alessandro D’Ambrogio: “Carissimi fratelli, mi auguro di vero cuore che stiate bene, spero che un giorno vi possa incontrare di persona… Oggi stiamo arrivando al dunque di una decisione, se ve la sentite di fare un attentato, perchè si sta andando oltre e non è giusto”.
Dopo il preambolo, il riferimento al bersaglio della strage: “C’e’ questo signore, Di Matteo, sta andando oltre e si deve fermare. Se volete qualche uomo, ve lo posso dare. Ma non posso venire personalmente perchè non mi trovo in Sicilia”.
Da quel momento, racconta il pentito, parte la raccolta dei fondi necessari all’acquisto del tritolo: “Ci volevano — dice Galatolo — qualcosa come cinquecento mila euro, io ne misi 360 mila e gli altri 70 mila ciascuno”.
L’esplosivo, 200 chili, arrivò dalla Calabria: ma 100 chili vennero rispediti indietro perchè contenuti in un cilindro di acciaio che era “umido di salsedine”; il resto fu messo al sicuro da Graziano e ancora oggi non è stato localizzato. Poi si passò allo studio delle modalità dell’attentato.
“Ho pensato che poteva succedere in una traversa del Tribunale — dice ai pm — dove voi entrate con la macchina”.
Ma Galatolo non vuole fare una strage che coinvolga passanti e bambini. Cosi’ i killer ipotizzano un secondo scenario, la borgata di Santa Flavia, dove il pm trascorre le vacanze.
Poi la conclusione: ”La vita di Di Matteo è ancora in pericolo, perchè c’e’ il tritolo a Palermo”.
Nei verbali di D’Amico, invece, il racconto della prima fase della trattativa conosciuto per bocca di Rotolo.
Si scopre così che Riina non si fida di Ciancimino ed è restio ad avviare il canale di dialogo con lo Stato e che Provenzano si adopera per convincerlo. Binnu alla fine “lo convince e gli dice: dato che vogliono trattare con noi, sistemiamo queste cose: revocare il 41 bis, e alleggerire la legge sul sequestro dei beni”.
Rotolo, infine, racconta a D’Amico i suoi sospetti sul ruolo di Provenzano “nella cattura di Salvatore Riina” e sulla latitanza di Binnu, coperta “da forze armate dello Stato”.
Giuseppe Pipitone e Sandra Rizza
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 7th, 2015 Riccardo Fucile
PER IL MANAGER DI FIAT-CHRYSLER CIRCA 66 MILIONI L’ANNO: 6,6 DI STIPENDIO E 60 DI PREMI E INCENTIVI
Sessantasei milioni di euro. In un anno.
Questa è la “busta paga” di Sergio Marchionne come emerge dal rapporto annuale di Fca (Fiat Chrysler Automobile) depositata presso la Sec statunitense, l’autorità di controllo delle società quotate.
La somma è il prodotto di diverse voci.
La prima è il compenso fisso del manager che ha avuto un emolumento annuo di 6.611.518 euro sopravanzando di circa quattro volte il suo presidente, John Elkann, che ha ricevuto uno “stipendio” di 1.685.853 euro.
Quello che però ha fatto schizzare verso l’alto la retribuzione di Marchionne sono gli “incentivi straordinari” deciso dal Comitato Compensi, la struttura interna che ha determinato “specifiche transazioni ritenute eccezionali in termini di importanza strategica e di effetto sui risultati aziendali”.
Per il 2014, il Comitato ha approvato un pagamento “cash” di 24,7 milioni di euro per Marchionne il quale “è stato determinante in importanti realizzazioni strategiche e finanziarie del Gruppo”.
Più in particolare, si legge nel rapporto, “attraverso la visione e la guida del Ceo, la Fca ha visto creare “un enorme valore per la Società , i suoi azionisti e dipendenti”.
A riprova di questo giudizio riverente nei confronti del manager, il Comitato ha poi stabilito (ma la decisione dovrà essere approvata dall’assemblea degli azionisti) di assegnare 1,62 milioni di azioni che, ai valori di ieri, ammontano a 22,6 milioni di euro e, ciliegina sulla torta, un assegno da 12 milioni di euro come buonuscita quando lascerà la compagnia. Totale, 66 milioni.
L’amministratore delegato della Fca possiede anche l’1,12% delle azioni Fca dal valore di poco inferiore ai 200 milioni.
La motivazione è data dalla fusione tra Fiat e Chrysler che, nonostante la crisi, ha prodotto anche nel 2014 un margine positivo di 3 miliardi di euro.
La “paga” di Marchionne, in ogni caso, equivale alla busta paga di circa duemila operai della Fiat in Italia, tanti quanti i cassaintegrati di Pomigliano.
Mai si era visto un rapporto tra lo stipendio di un lavoratore e il manager della stessa azienda pari a uno a mille.
Salvatore Cannavò
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 7th, 2015 Riccardo Fucile
PIU’ MANIFESTI CHE PERSONE IN SALA: LA LEGA SCEGLIE UN TEATRINO STRIMINZITO PER LANCIARE LA CANDIDATURA DI RIXI, INDAGATO DALLA PROCURA INSIEME AGLI ALTRI DUE CONSIGLIERI REGIONALI DEL CARROCCIO… STAVOLTA NIENTE CROSTACEI PAGATI DAI CONTRIBUENTI AL CAFE’ DE TURIN DI NIZZA
Salvini sbarca a Genova in una mattinata di sole, mare calmo come quello preferito dai clandestini a lui
cari, e subito viene messo in protezione dalla polizia italiana, come si addice a un esponente del governo straniero della padagna del magna magna.
Caso vuole che la presa in carico da parte di uno spiegamento inusitato di forze delll’ordine avvenga a pochi metri dalla Questura, proprio dove Belsito era abituato a parcheggiare a scrocco la sua Porsche Cayenne, suscitando le ire dei sindacati di polizia.
La location scelta non è una piazza (il flop di Piazza del Popolo ha fatto scuola) ma un piccolo teatro da 368 posti, una miseria per i passati fasti bossiani che riempiva le piazze della provincia anche con 1000 persone nei tempi migliori.
Qua, nonostante la mobilitazione regionale, si arriva a malapena a 400 presenze.
Fuori i soliti contestatori dei centri sociali che non trovano di meglio che spaccare la targa che ricorda l’operaio missino Ugo Venturini, assassinato nel 1970 durante un comizio di Giorgio Almirante.
Incapaci di analisi politiche, macchiette come Salvini: i missini erano gente seria, qua siamo dinanzi a una corte di miracolati.
A proposito della quale, spiccano in prima fila molti politici trombati e trombabili, ex Forza Italia, ex An, ex di tutto: non si sa mai che esca fuori una poltroncina anche in similpelle adatta alle loro chiappe adipose.
Salvini cambia felpa e ostenta quella “Liguria”, pronto al cambio appena finito il comizio: si lamenta della mancanza di democrazia di chi lo contesta ovunque, dimenticando che è grazie alla democrazia se è ancora a piede libero.
Poi perora la causa del candidato presidente leghista, Edoardo Rixi, solito aspetto di fighetto, inquisito per peculato dalla procura di Genova.
Qualcuno obietterà : ma proprio un inquisito dovevano proporre?
Scelta obbligata: su tre consiglieri in Regione, sono tutti inquisiti per peculato.
Dalle indagini della Guardia di Finanza sono emersi pranzi a base di ostriche a Nizza, soggiori in hotel nei fine settimana, viaggi in località turistiche non giustificate da impegni politici, oltre 60 ricevute dello stesso ristorante, compreso menu per bambini, regalie natalizie e altro ancora.
Salvini parla contro la casta romana e la corruzione del ceto politico, accanto Rixi applaude, mentre qualche fintofascio dimentica che sovranità fa rima con legalità .
Tutti rimangono delusi: non è previsto alcun assaggio di ostriche del cafè de Turin, Nizza è troppo lontana.
E pare che neanche Belsito, proprietario della più rinomata gelateria di Genova a poche decine di metri dal teatro, abbia pensato a fornire una coppa mista alla platea.
Forse negli accordi perchè Salvini ritirasse la costituzione di parte civile per i danni milonari causati alla Lega da Belsito, la fornitura di gelati non era contemplata.
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Marzo 7th, 2015 Riccardo Fucile
LA MOSSA CHE FA TREMARE SALVINI PERCHE’ SAREBBE LA SUA FINE
Dopo aver detto che non era in previsione alcun incontro con Berlusconi, ieri pomeriggio Salvini è corso a Milano per incontrare il leader di Forza Italia.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali, il motivo della visita era quello di ricevere assicurazioni sull’appoggio al governatore uscente Zaia da parte di Forza Italia.
E, forte di queste, chiudere la vicenda Tosi con la sua cacciata.
Ma Salvini non ha affatto avuto le rassicurazioni che cercava, bensì la solita considerazione “disponibili ad un’alleanza con Lega e Ncd, anche in vista delle regionali in Campania”, rimettendo la palla in campo leghista.
Ora Salvini ha due possibilità : se cede all’alleanza con Alfano perde la faccia, se rimane nella sua posizione rischia di perdere il Veneto e di conseguenza la segreteria.
Il flop di Piazza del Popolo ha dimostrato che al centro-sud la Lega non attecchisce e perdere al nord sarebbe la mazzata finale.
Ma Zaia può perdere? Maroni che non è stupido dice di sì e cerca di ricomporre.
Perchè se anche fossero veri i sondaggi di Zaia al 45% e la Moretti al 30%, è evidente che nel 45% di Zaia c’è un 10% di Forza Italia e una percentuale imprevedibile di amici di Tosi.
Non solo: Tosi sta abilmente spostando la polemica dal personale a “in Veneto decidono liste e alleanze i veneti, non i milanesi”, argomento che in due mesi di campagna elettorale può attecchire.
E lo statuto art 37 gli dà ragione, cosa non da poco.
Un’alleanza Forza Italia, Tosi, Ncd e liste civiche a quanto può arrivare? E quale percentuale può togliere a Zaia?
E ancora: la Moretti è tutt’altro che rassegnata, combatte come una belva, visita otto comuni al giorno, 259 ad oggi su oltre 500. Dalla lotta interna alla Lega può solo trarre giovamento: e se toccasse quota 35-37%, siamo certi che Zaia ci arrivi?
Ecco perchè, arroganza a parte, Salvini sta rischiando grosso e molti leghisti neutrali sussurrano che “sta tirando troppo la corda”.
Nella sua presunzione non ha capito che per vincere le elezioni non basta sparare agli immigrati, ma saper conquistare il voto moderato che non a caso ha dato fiducia in passato al rassicurante Zaia.
Ma se domani questo tipo di elettore venisse “rassicurato” da Renzi e dalla Moretti?
Se Berlusconi vuole recuperare deve distinguersi da Salvini, andargli dietro non paga.
Riuscirà a capirlo? E’ certo che se la Lega perdesse il Veneto, alll’interno del partito si scatenerebbe l’inferno e Salvini finirebbe out.
E tutti quelli che oggi si contendono la felpa del “sistemamogli” domani direbbero che non gli è mai piaciuta.
Avrà Berlusconi il coraggio di far saltare il banco?
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Marzo 7th, 2015 Riccardo Fucile
E A DUE MESI DALL’INAUGURAZIONE SOLO IL 18% DEI LAVORI DELL’EXPO E’ CONCLUSO
Il vento gelido che attraversa l’Italia sta sferzando particolarmente (e metaforicamente) Milano. 
Il Corriere della Sera annuncia che con ogni probabilità Giuliano Pisapia non si ricandiderà alla poltrona di sindaco.
Alla base della scelta, spiega il quotidiano, “l’enorme fatica di reggere una città metropolitana pronta a inabissarsi a causa dei buchi di bilancio”.
Per il momento, però, Pisapia non intende far sapere quando annuncerà la sua decisione. Scrive il Corriere:
I segnali sembrano però convergere tutti su un punto. Pisapia nel 2016 non ci sarà .
Come leggere altrimenti, quello che lo stesso sindaco ha detto ai microfoni di Radio24 tracciando i confini entro cui dovrà essere individuato un nuovo candidato?
Due paletti: primarie e stesso perimetro dell’alleanza (senza però Rifondazione). Insomma, il modello arancione che ha portato Pisapia alla vittoria del 2011.
Aggiungendo non senza una punta di malignità : “Qualora non mi candidassi, mi batterei affinchè si facciano le primarie. E alle primarie non sempre il Pd vince”.
Al posto del sindaco potrebbe correre per le primarie Pierfrancesco Majorino, attuale assessore al Welfare, “uomo della sinistra Pd che avrebbe le caratteristiche per tenere insieme l’alleanza con Sel”.
Intanto il capoluogo lombardo è segnato dall’angoscioso countdown di Expo 2015.
Lo chiamano “Cruscotto dei lavori”, è lo strumento con il quale dovrebbe essere possibile seguire l’avanzamento dei cantieri.
E, secondo il cruscotto, a 57 giorni dall’apertura della esposizione internazionale di Milano il 74% dei lavori è ancora in corso e alcune opere – sempre stando alle date riportate dal governo – finiranno due mesi dopo l’inaugurazione.
Soltanto il 18%, invece, i lavori completati.
Per il resto il sito del dipartimento per la Funziona pubblica non spiega quasi nulla ed è di difficilissima interpretazione.
L’allarme sull’impossibilità di finire in tempo per il primo maggio è lanciato anche dal Fatto quotidiano: “una eventualità catastrofica ma a guardare lo stato del sito oggi vengono i brividi”, scrivono Gianni Barbacetto e Marco Maroni.
Per arrivare in tempo all’appuntamento del 1 maggio, nelle ultime settimane si è ingaggiata quella che i sindacati – presenti sul sito per vigilare sulla sicurezza di oltre 5mila addetti – definiscono “una guerra all’ultimo minuto”.
Per farsi un’idea della situazione, basti considerare che non è ancora stata completata neppure la “piastra”, la spianata di cemento con le infrastrutture di base su cui vanno edificati i padiglioni e tutto il resto.
Dei padiglioni esteri, solo due sono stati consegnati, sui 54 previsti
Peggio ancora: non è terminato nemmeno il lavoro di “rimozione delle interferenze”, il primissimo appalto di Expo, per togliere di mezzo edifici, vegetazione, tralicci e altri manufatti preesistenti che intralciano il cantiere.
Un documento riservato della Cmc, l’azienda delle coop che ha vinto la gara, comunica ad Expo spa che la data di fine lavori, inizialmente fissata a giugno 2013, sarà il 28 settembre 2015: a esposizione quasi finita!
Dopo pressioni, la data è stata cambiata: 26 giugno, comunque a evento già in corso.
La situazione più problematica, segnala il Fatto che cita il cronometro del governo, riguarda il Palazzo Italia e il Future food district.
Ma anche i padiglioni esteri non sembrano pronti a essere completati. Il rischio insomma che all’inaugurazione una quota consistente di lavori non sia finita è altissimo.
Roberto Formigoni, ex governatore della Lombardia, intervistato dal giornale di Marco Travaglio addossa la colpa alla ex sindaca Letizia Moratti: “Io e la Regione trovammo tutto deciso. C’erano altre aree più adatte”
(da “Huffingtonpost”)
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