Marzo 13th, 2015 Riccardo Fucile
COME IN ITALIA IL CONSENSO NON STA CON CHI FA LE LEGGI MA CON CHI TROVA L’INGANNO
Franco Alfieri è il sindaco di Agropoli e desidera candidarsi alle elezioni regionali campane nelle liste del suo partito, il Pd.
Ma una legge locale impedisce ai sindaci di farlo, decretando in caso contrario il commissariamento del Comune.
Il sindaco non ha alcuna intenzione di cedere la poltrona a un funzionario statale su cui non eserciterebbe alcun controllo: vuole tenerla in caldo per il suo vice.
Perciò lascia l’auto in sosta vietata.
Il vigile gli fa la multa e lui si rifiuta di pagarla, impugnandola davanti all’amministrazione comunale, cioè a se stesso.
Si realizza così la fattispecie prevista dal D.Lgs.18-8-2000 n.267, in base al quale l’amministratore che apre un contenzioso con il proprio ente decade dall’incarico e viene sostituito dal suo vice.
Può darsi che la legge proibizionista disinnescata dalla furbata del sindaco di Agropoli sia una schifezza.
Ma è comunque una legge e come tale andrebbe rispettata almeno da chi è tenuto a dare il buon esempio.
Mentre il sindaco non solo se ne è infischiato, della norma. Si è vantato in pubblico di avere trovato un sistema per fregarla.
Altrove questa operazione alla Totò gli sarebbe costata l’isolamento politico e il disprezzo degli elettori.
Invece qui gli è valsa il plauso di maggioranza e opposizione, e un balzo ulteriore nei sondaggi.
Non saprei trovare aneddoto migliore per illustrare l’eterno e insolubile «caso italiano».
A determinare il carattere di un Paese non sono le regole, ma il consenso sociale che le circonda.
E da noi quel consenso non sta certo con chi fa la legge.
Semmai con chi trova l’inganno.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Marzo 13th, 2015 Riccardo Fucile
IL VIDEO FINISCE SU FACEBOOK, RAGAZZINI DENUNCIATI: MA QUANDO LI VEDREMO A ZAPPARE LA TERRA 12 ORE AL GIORNO PER RADDRIZZARGLI LA SCHIENA?
Una ragazzina disabile picchiata e ricoperta di sputi da tre compagni di classe: due ragazze e un ragazzo,
tutti minorenni.
Mentre una terza ragazza filma il tutto per poi diffondere il video su Whatsapp e Facebook.
È successo all’istituto alberghiero «Giulio Pastore» di Varallo, una delle scuole superiori più blasonate della provincia di Vercelli.
La scena, un misto di violenza, bullismo e umiliazione, è stata ripresa all’interno di un’aula, durante una lezione.
Nel filmato si vede chiaramente anche l’insegnante, che non però non interviene per difendere la ragazzina disabile e non fa nulla per porre fine alla prevaricazione degli alunni sulla coetanea.
Il video è stato rimosso da internet e si stanno occupando del caso i carabinieri della Compagnia di Borgosesia.
I volti dei protagonisti del video sono chiaramente riconoscibili e i responsabili sono già stati individuati; gli inquirenti tengono il massimo riserbo sulle indagini.
Oltre ai quattro ragazzini coinvolti bisognerà accertare la responsabilità della docente presente in classe durante la registrazione e che ha assistito senza intervenire alle scene di violenza.
Questo ennesimo schifoso atto di bullismo dimostra che occorre da tempo un adeguato intervento normativo per ripristinare il concetto di legalità in troppi cervelli malati, prima che ci scappi il morto.
O ad Alfano interessano solo i furti negli appartamenti perchè raddoppiare le pene in quel caso porta voti?
E Renzi che parla (a sproposito) di tutto, perchè non dedica una slide a questo fenomeno con relative statistiche sulla “buona scuola” dei teppisti?
Una prima regola dovrebbe essere quella di dare indicazione al tribunali dei minori di togliere immediatamente questi soggetti minorenni alla famiglia e domiciliarli per un po’ in strutture per i minori.
In secondo luogo condannarli a lavori socialmente utili e, solo al termine del percorso, reintegrarli tra le persone civili.
Nel frattempo le loro famiglie dovrebbero essere condannate a risarcire i danni materiali e morali, aumentati del costo per seguire i loro figli in strutture pubbliche a spese della comunità .
Forse gli viene voglia di seguirli non solo quando li mandano alla settimana bianca.
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Marzo 13th, 2015 Riccardo Fucile
DIETRO LA VITTORIA DELLA PAITA ALLE PRIMARIE AD ALBENGA IL SUPPORTO DEL SUO COMITATO LOCALE: E IL RESPONSABILE ERA PAOLO CASSANI, INDICATO DALLA DDIA COME PRESTANOME DEL BOSS DELLA ‘NDRANGHETA
E’ sufficiente leggere l’Ordinanza di Custodia Cautelare di GULLACE “Ninetto” Carmelo per notare quante volte compaia il nome di tale CASSANI Paolo, indicato da Carabinieri, D.I.A., Procura di Savona e GIP come “prestanome” del boss GULLACE. Se ad Albenga, poi, non vi è una colonia di “Cassani Paolo”, che farebbe cadere in un caso di spiacevole omonimia, lo stesso nome e cognome lo si ritrova sul sito di Raffaella Paita alla voce “sostenitori”.
Nella foto la Lella Paita è con i tre responsabili dei Comitati di Albenga, di cui uno è proprio il Cassani Paolo, a sostegno della sua candidatura in occasione delle Primarie (quelle taroccate su cui la Casa della Legalità ha documentato alla virgola, per cui Cofferati ha sbattuto la porta e su cui indagano Procura ed Antimafia)…
“Comitati per Raffaella Paita di Albenga” che se hanno pesato in modo decisivo con il voto alle Primarie per la vittoria della prediletta di Claudio, non venivano nemmeno indicati (come fossero dei fantasmi) nella lista sul sito della Paita.
Per facilitare il riscontro riportiamo qui alcuni passaggi (i nomi delle vittime sono ovviamente omissati):
“[GULLACE Carmelo] perchè essendo stato condannato per reati di criminalità organizzata e già sottoposto a misura di prevenzione, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, attribuiva fittiziamente a CASSANI Paolo la disponibilità di denaro e di rapporti giuridici, ed in particolare: nell’anno 2007 consegnava la somma di € 40 mila a CASSANI Paolo che lo versava con bonifico o assegno a (…omissis…), mutuataria della somma, la quale sottoscriveva contratto preliminare per la cessione di immobili di sua proprietà con CASSANI Paolo, al quale veniva attribuita fittiziamente la veste di promissario acquirente, essendo il vero titolare del rapporto giuridico lo stesso GULLACE
– nell’anno 2007, avendo effettuato il prestito della somma di € 80 mila euro a favore di (…omissis…), faceva sottoscrivere al predetto debitore un contratto preliminare con cui il primo si impegnava a vendere a CASSANI Paolo un immobile in Calizzano, attribuendo fittiziamente a CASSANI la veste di promissario acquirente, essendo il vero titolare del rapporto giuridico lo stesso GULLACE; nella provincia di Savona nel corso del 2007.
A fronte di tali evidenze (…omissis…) viene sentito in data 9.1. e 16.1.2015. Il secondo verbale ha ad oggetto i rapporti di debito/credito con il GULLACE.
Riferisce che negli anni 2006-2007 aveva avuto una grave crisi di liquidità e, su consiglio di Paolo CASSANI, si era rivolto al GULLACE domandandogli un prestito di € 80.000,00 da restituire in due mesi. Questi gli aveva detto di non avere la disponibilità della somma ma di poterla ottenere da terzi che avrebbero preteso l’interesse del 10% mensile. Successivamente aveva avuto bisogno di altro denaro ed il GULLACE gli aveva prestato altri 40.000,00 euro, a garanzia dei quali aveva preteso la sottoscrizione con il CASSANI, quale prestanome, di un preliminare di vendita di un alloggio a Calizzano. Sempre nel 2007 aveva chiesto ed ottenuto altri 30.000 e 10.000 euro, versati dal GULLACE in contanti come precedenza.
Nel periodo successivo aveva iniziato a pagare i debiti così contratti, corrispondendo al GULLACE una somma “non inferiore ad € 100.000” ma comunque insufficiente a coprire gli interessi e ad impedire che il debito complessivo continuasse a lievitare.
3. Al capo 6) si contesta il delitto di cui all’art. 12 quinquies commesso nel 2007 in relazione a due specifiche operazioni immobiliari.
La prima è consistita nell’erogazione un prestito pari ad € 40.000 in favore di (…omissis…) che versava in difficoltà economiche, a garanzia del quale il GULLACE fece sottoscrivere alla donna un contratto preliminare con il suo prestanome Paolo CASSANI.
Ulteriore conferma è emersa dagli accertamenti bancari che hanno fornito prova del rilascio, da parte della filiale di Albenga del Banco di San Giorgio, in data 20.12.2007, di assegni circolari a favore di (…omissis…) per l’importo complessivo di € 35.000,00 richiesti da CASSANI Paolo.
Del tutto analoga l’operazione conclusa dal GULLACE con il (…omissis…) – sempre nell’anno 2007 — allorchè l’indagato, prima di erogare uno dei prestiti di cui si è detto in precedenza, pretese ed ottenne la sottoscrizione di una promessa di vendita relativa ad un alloggio in comune di Calizzano tra il (…omissis…) ed il CASSANI.
Ma la storia non finisce mica qui.
Così come quella del rapporto ACCAME Fabrizio con il centrosinistra (dai tempi di TABO’ a quelli di CANGIANO), o quella di TESTA Mauro uomo di Teardo, delle case popolari, dei tempi d’oro dei NUCERA, approdato nel vertice del PD di Albenga, anche quella di CASSANI (pure lui nel vertice del PD di Albenga capeggiato dall’On. Franco Vazio) apre porte inaspettate (per alcuni)…
Cassani Paolo lo troviamo nella società “GLI ULIVI DI CASSANI PAOLO E C. S.A.S.” dove emerge essere socio e con la qualifica di “Procuratore”, unica nomina possibile dopo che, nel 2012, è scattata la misura interdittiva per una Sentenza nei suoi confronti divenuta definitiva.
Accanto a lui nella società , come socio e Procuratore, troviamo SASSO Gianfranco (cognato?) il cui nome già si ritrovava nelle inchieste su massoneria e sistema teardiano della Procura di Savona, i cui Atti sono stati pubblicati recentemente sul sito del Parlamento, visto che erano stati acquisiti dalla nota Commissione d’inchiesta sulla P2 [vedi qui l’estratto sulla Liguria].
E SASSO Gianfranco non è certo uno qualunque.
L’alassino, classe 1946, oltre che comparire in diverse imprese è stato nominato alla guida della società “A.V.A. Spa”, ovvero l’AEROPORTO DI VILLANOVA D’ALBENGA SPA.
In quello conosciuto in tutta Italia come l’Aeroporto di Scajola, il SASSO è Consigliere e Presidente del Consiglio di Amministrazione.
Ufficio di Presidenza
Casa della Legalità
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Marzo 13th, 2015 Riccardo Fucile
LA STIMA DELLA UIL SUI VANTAGGI DELLA RIFORMA DEL LAVORO È MATERIA DI STUDIO DEGLI IMPRENDITORI ANCHE AI CONVEGNI DI CONFARTIGIANATO
Che il mix tra sgravi contributivi per le nuove assunzioni e nuovo contratto “a tutele crescenti” fosse
vantaggioso per le aziende, lo aveva già segnalato la Uil.
Che questo beneficio venga orgogliosamente sponsorizzato da un’associazione come Confartigianato, è però il sintomo del tempo.
Il segnale, cioè, che il mondo delle imprese, delle professioni, si sta preparando alla grande occasione avendo colto al volo il vantaggio dato dalla combinazione tra incentivi e possibilità di licenziare.
Il cartellone che reca la “simulazione dei costi” di una nuova assunzione fa bella mostra di sè sul sito di informazione finanziaria Professionefinan  za.com  .
Ed è inequivocabile.
Si prende a modello l’ipotesi di una nuova assunzione dal reddito annuo di 25 mila euro. Divisa per 13 mensilità se ne ricava un costo mensile, per l’impresa, di 1.923 euro.
Grazie alla legge di Stabilità del 2015, però, che “per un periodo massimo di trentasei mesi riconosce l’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro”, quella stessa assunzione, dal primo gennaio, produce un risparmio di 7.875 euro.
Il cartello di simulazione conteggia poi lo sgravio del contributo Irap, anch’esso deciso nella legge di Stabilità , che permette un ulteriore risparmio di 1.278 euro con un totale di beneficio a favore dell’azienda pari a 9.153 euro.
Veniamo così ai costi.
La simulazione presume che il licenziamento avvenga dopo un anno e così si conteggiano due mensilità per un totale di 3.846 euro.
In realtà , la simulazione compie un errore perchè la legge prevede un indennizzo in ragione di due mensilità l’anno ma comunque “non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità ”.
La somma indicata nello schema, quindi, che alla fine produrrà un beneficio stimato per l’azienda di 4.817 euro va sostituita producendo così un beneficio di “soli” 971 euro.
Al di là dell’errore, però, la sostanza non cambia.
E proiettato sui 36 mesi, cumulando così il risparmio in termini di decontribuzione e Irap, si raggiungono cifre che vanno dai 9 ai 18 mila euro a seconda del reddito.
I vantaggi sono evidenti e non è un caso se tutti i siti di consulenza alle imprese in questi giorni siano occupati da proiezioni che offrono la giusta valutazione delle nuove possibili assunzioni.
Tutti hanno capito il vantaggio e tutti si stanno adeguando alle nuove opportunità .
Da qui, la previsione che l’occupazione possa davvero aumentare — Renzi ha parlato di almeno 200 mila posti aggiuntivi nell’anno — è realistica perchè finanziata.
“Il contratto a tutele crescente – dice Guglielmo Loy della Uil, autore dello studio sui benefici per le aziende — io lo definisco un ‘contratto a termine finanziato’”.
“Quello che sta avvenendo è tutto legale — aggiunge Loy — e, in fondo, questi consulenti li capisco, stanno facendo il loro lavoro anche se osserviamo il fenomeno con una certa amarezza. Il punto, conclude, è capire davvero cosa avverrà al termine dei 36 mesi previsti per la decontribuzione”.
La permanenza o meno del vantaggio fiscale sarà in effetti decisiva.
Lo sa il governo, lo sanno le imprese.
Ma la politica economica e del lavoro degli ultimi decenni non è mai sembrata guardare al lungo periodo.
Si preferisce prendere i soldi e scappare via e così sarà anche questa volta.
Va però detto che l’aspetto decisivo sarà l’andamento dell’economia nel suo complesso. Le migliori previsioni per il 2015 al momento si attestano a un più 0,8% e se non ci saranno segnali evidenti di ripresa è difficile che le aziende possano mettersi ad assumere nonostante gli incentivi.
Sembra accorgersi di queste contraddizioni uno dei migliori consiglieri di Matteo Renzi, quell’Andrea Guerra, già amministratore della Luxottica, additato dal presidente del Consiglio come uno dei migliori manager italiani e divenuto il consigliere strategico di Palazzo Chigi per la politica industriale.
Ieri, ai microfoni di Mix24 di Giovanni Minoli, ha detto: “Penso che dentro al Jobs act ci siano tante cose buone ma credo che manchi ancora qualcosa di fondamentale che è la protezione del lavoratore nel lungo periodo”.
“La flessibilità — prosegue Guerra — ce la chiede il mondo, ma è fondamentale la qualificazione e riqualificazione.” “La linea Marchionne sulle relazioni industriali non è la mia”.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 13th, 2015 Riccardo Fucile
PD 38,5%, M5S 19,3%, LEGA 13,5%, FORZA ITALIA 12,6%, SEL 4,2%, NCD+ UDC 3,6% FDI 3,1%
Il Pd si consolida primo partito italiano al 38,5% (+0,2%), il Movimento 5 Stelle cresce dello 0,8% (arrivando al 19,3%) mentre la Lega Nord, complici forse le divisioni interne in Veneto, scende dello 0,7%, attestandosi al 13,5%.
È quanto emerge dalle intenzioni di voto di Ixè, in esclusiva per Agorà (Raitre).
Forza Italia, invece, si ferma al 12,6%.
Il dato sull’affluenza alle urne, intanto, si attesta al 59,6%.
Nella disputa interna alla Lega Nord tra Salvini e Tosi, solo il 66% degli elettori del Carroccio si schiera con il segretario (e dunque con Luca Zaia, in corsa per la rielezione in Veneto).
Il 20%, invece, dà ragione al sindaco di Verona e il 14% non prende posizione.
“Non è trascurabile il 20 percento a Tosi — ha osservato Roberto Weber, presidente Ixè —, perchè il dato è nazionale, bisognerebbe vedere quanto questo dato pesi in Veneto, in quella Regione potrebbe essere molto di più”
Dopo l’assoluzione in via definitiva di Silvio Berlusconi sul caso Ruby, secondo il 56% degli italiani l’ex premier tornerà protagonista in politica.
Per il 57% degli elettori del Pd invece, dopo la rottura del patto del Nazareno, Matteo Renzi è più forte di prima.
Solo per il 18% è più debole.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 13th, 2015 Riccardo Fucile
“NON SONO RINCOGLIONITO COME VUOI FAR CREDERE”
Resa dei conti, atto primo. Palazzo Grazioli è un pozzo di veleni. E Forza Italia rischia il frontale. 
«Silvio — batte i pugni Denis Verdini, paonazzo — la signora Maria Rosaria Rossi pensa di potermi prendere per il c… . E neanche ti parlo di Giovanni Toti e Deborah Bergamini, perchè non spreco il mio tempo. Ecco, io te lo dico una sola volta: o noi, o loro».
Quando dice “noi”, l’ex coordinatore azzurro scaglia contro il capo i venti deputati pronti a seguirlo. È la miccia.
Volano parole grosse, l’ex Cavaliere quasi sbrana il compagno di mille battaglie: «Sei tu che metti in giro la voce che sono ostaggio del cerchio magico. Ma io non sono rincoglionito come volete far credere a tutti ».
Quando si tratta di Berlusconi, però, nulla è definitivo. Neanche le risse. E infatti i due si lasciano con la promessa di incontrarsi ancora.
Giusto il tempo di far depositare il polverone, evitando così che questo gelo si trasformi in scissione.
La vigilia è tesa.
«Mi ha ferito », confida Verdini. «Mi ha deluso », si lamenta l’ex Cavaliere.
Il progetto è semplice, preannunciato mercoledì dal senatore alla festa del capo: «Ci incontriamo, serve un chiarimento ». Sarà schietto, profetizzano da entrambi i fronti. «Io mi tengo alla larga da quella stanza…», scherza Giovanni Toti a metà pomeriggio, affacciandosi in via del Plebiscito per un’intervista tv.
L’ex premier convoca pure Gianni Letta, l’ambasciatore delle mediazioni impossibili. Un’ora e mezza di colloquio, però, non basta a smaltire le tossine.
Il clima è elettrico, le ferite dei reduci del Nazareno bruciano ancora. E basta poco per far saltare i nervi.
Succede quando il big toscano evoca il documento vergato dai suoi diciassette deputati: «Non me ne parlare — si infuria Berlusconi — non ve ne frega nulla di Forza Italia, nè del sottoscritto. Avete fatto uscire quella lettera indegna nel giorno della Cassazione!».
Peggio, se possibile: «Denis, mi parli di lealtà ma hai fatto firmare quei deputati con l’inganno. Li hai fregati dicendo loro che era una lettera privata che avresti spedito solo a Berlusconi. E invece l’avete passata alla stampa».
Botta e risposta, colpo su colpo. Copione inevitabile, quando litigano due vecchi amici legati da mille fili.
È lungo l’elenco dei bersagli portato da Verdini sulla scrivania del capo.
Al primo posto c’è Maria Rosaria Rossi, tesoriera con potere di firma sulle liste. Ha in mano il destino di centotrenta parlamentari uscenti: crollasse lei, il cerchio magico si affloscerebbe in un baleno.
«Chi attacca me — ripete da tempo la senatrice — attacca Berlusconi. Io faccio solo quello che decide lui. Io sono fedele solo al Presidente».
Il secondo target è Renato Brunetta. Già Raffaele Fitto ha reclamato un voto sul capogruppo, ora tocca a Verdini.
Propone al leader di sostituirlo con Daniela Santanchè, assomiglia molto a una provocazione. Di certo Berlusconi reagisce: «Ma come faccio? Già fatico a tenere Sallusti al “Giornale” perchè sta con lei, figurati se posso metterla al posto di Renato!».
A Grazioli è il tempo dello scontro. Nessuno si tira indietro, nessuno molla di un millimetro.
«Vorrei proprio vedere chi vi vota, se rompete con Forza Italia», argomenta l’ex premier. Litigano di brutto, anche se entrambi pensano di non poter rompere per davvero.
Berlusconi rinfaccia a Verdini anche il “debole” per Matteo Renzi — «tu lavori per chi ti ricatta sulle tue questioni personali » — e naturalmente i presunti danni dell’accordo del Nazareno: «Sei stato tu a infilarci in quel patto».
È proprio il rapporto con palazzo Chigi il nodo irrisolto dell’intera vicenda.
«Ti ha portato solo vantaggi », elenca il politico toscano, ribadendo che senza una “copertura” politica dell’esecutivo è impossibile ipotizzare una revisione della legge Severino, autentica ghigliottina sul futuro politico dell’uomo di Arcore.
«E poi — domanda — cosa ci guadagni ad appiattirti sulla Lega? Lo sai che in Veneto il partito è al 7%?».
Se Forza Italia dovesse reggere l’urto del duello, allora arriverà anche il tempo dell’ultima mediazione.
Dopo le Regionali, perchè prima non conviene a nessuno.
Toccherà al leader decidere se resuscitare il patto del Nazareno, facendo tornare in campo l’ambasciatore Verdini, oppure far prevalere il cerchio magico (è il copione degli ultimi tre anni).
In quest’ultimo caso la scissione delle colombe berlusconiane diventerebbe inevitabile.
Volerebbero verso la maggioranza di governo, rendendo irrilevanti le truppe berlusconiane anche al Senato.
E facendo avverare la profezia di Verdini: «Silvio, attento, perchè quando ti accorgerai che avevo ragione sarà troppo tardi».
Tommaso Ciriaco e Conchita Sannino
(da “La Repubblica”)
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Marzo 13th, 2015 Riccardo Fucile
I VERTICI SONO IL TRUST E L’EXECUTIVE BOARD: I MEMBRI DEL PRIMO SONO SELEZIONATI IN BASE A UN CODICE SULLE NOMINE E SORVEGLIANO IL SECONDO
Nomine tra candidati scelti con bando pubblico e selezione tramite colloquio, un’unica newsroom per tutte le reti aziendali e il Parlamento che svolge solo funzioni di controllo e non elettive.
Sono i tre principi su cui si basa la governance della British Broadcasting Corporation, modello dichiarato della riforma della Rai ipotizzata dal governo: caratteristiche studiate per rendere il sistema radiotelevisivo britannico il più indipendente possibile dalla politica.
Una contesto in cui i dirigenti vengono reclutati attraverso un colloquio pubblico che segue le stesse regole imposte dal Codice sulle nomine di tutte le cariche pubbliche britanniche.
Un esempio di indipendenza, ma ai britannici non basta: un report della Commissione Cultura, Media e Sport della Camera dei Comuni giudica insoddisfacente il livello di controllo cui sono sottoposte la gestione dell’azienda e la programmazione e chiede la creazione entro il 2017 di una una commissione esterna e indipendente che vigili sull’operato dei vertici.
La struttura: il Trust e l’Executive Board
I vertici della Bbc sono divisi in due organi con funzioni complementari: il Trust e l’Executive Board.
Il primo svolge tre funzioni, seguendo le disposizioni contenute nel contratto che regola i rapporti tra Stato e Bbc (Royal Charter): dettare le linee generali riguardo alle scelte strategiche dell’emittente, al bilancio interno e vigilare sull’operato dell’Executive Board.
Le nomine dei membri del Trust, che può essere paragonato per funzioni al Cda della Rai, non avvengono come in Italia per decisione del Parlamento, ma sono fatte “dalla Sovrana su designazione del Primo Ministro, previo parere del Dipartimento di Cultura, Media e Sport (Dcms)”, su un numero di candidati che hanno partecipato a un colloquio pubblico e a una selezione effettuata da una commissione esaminatrice della quale fanno parte il presidente della Bbc, un membro del Dcms e altri membri esterni.
La selezione avviene seguendo le disposizioni contenute nel Codice sulle nomine pubbliche dell’Ufficio del Commissioner for Public Appointments. In sostanza i vertici della Bbc non vengono nominati dalla politica, ma selezionati tramite colloquio come avviene per qualsiasi altro funzionario della Pubblica amministrazione.
Nel Codice sulle nomine “i dipartimenti, d’accordo con i ministeri di riferimento, sono responsabili della progettazione e dello svolgimento dei processi di nomina (…) con i principi di merito, correttezza e pubblicità che devono essere seguiti in ogni caso”.
Gli addetti alla selezione, si legge ancora, devono prendere in considerazione non solo il curriculum vitae del candidato, ma anche le sue attitudini professionali e caratteriali, da valutare durante il colloquio pubblico, che possono renderlo più o meno idoneo a ricoprire la carica.
Questi criteri devono essere analizzati e discussi preventivamente e approvati dal ministero di riferimento, “responsabile finale del processo di selezione candidati”. Non solo: al termine dei colloqui, “il presidente della commissione produrrà un report che descrive le fasi e la conclusione del processo di selezione, dimostrando che questo si è svolto secondo i criteri del Code of Practice“.
La prima selezione, quindi, non viene lasciata all’arbitrarietà dei membri della Commissione, ma segue le regole procedurali di qualsiasi altro bando pubblico, con tanto di valutazioni relative a eventuali conflitti d’interesse e di recenti attività politiche, anche se queste “non costituiscono un ostacolo alla nomina”.
Funzioni diverse, invece, sono svolte dall’Executive Board.
Questo è l’organo esecutivo della Bbc che recepisce le direttive generali e le linee guida stabilite dal Trust e le mette in pratica, sia in materia di strategie aziendali che di bilancio.
L’Executive Board è articolato in sotto-comitati, ognuno dei quali svolge una funzione specifica, ed è presieduto dal direttore generale, nominato dai membri del Trust.
I comitati possono essere di numero e composizione variabile, anche se per prassi troviamo sempre il comitato di controllo, formato solo da membri non esecutivi e con la funzione di controllo del rispetto degli standard; il comitato delle retribuzioni, formato da membri non esecutivi, che si occupa degli stipendi dei dipendenti; il comitato delle nomine.
Proprio quest’ultimo, composto da membri esecutivi e non esecutivi e istituito dal Royal Charter, ha il compito di selezionare e proporre i membri dell’Executive Board.
Verso una nuova commissione esterna di controllo
La Commissione per la Cultura, i Media e lo Sport della Camera dei Comuni svolge un ruolo di controllo sulle linee guida stabilite dal Trust, sull’amministrazione e i progetti di spesa.
Questa situazione, però, potrebbe subire dei cambiamenti se verrano prese in considerazione le proposte contenute in un report della stessa Commissione.
Nel documento si legge che il Trust, negli ultimi anni, ha abbassato il proprio livello di controllo sulla programmazione, permettendo l’acquisto di format che non rispettano i canoni del servizio pubblico.
“E’stato un errore — si legge — non affidare il controllo della Bbc a un soggetto esterno già nel 2007“.
Per migliorare la qualità del prodotto e garantire maggiore indipendenza “suggeriamo che il Trust venga abolito e (…) sostituito da un “consiglio unitario” che avrà “la completa responsabilità della governance e delle operazioni della Bbc, nei limiti imposti dal Royal Charter”.
Una Public Service Broadcasting Commission, una commissione esterna e indipendente, poi, avrà il ruolo di vigilare sull’operato del nuovo board e “approvare il piano strategico elaborato da quest’ultimo e supervisionare la sua esecuzione”. In sostanza, per i britannici la governance attuale non è strutturata in modo tale da garantire il grado di indipendenza dalla politica di cui la Bbc ha bisogno e la politica sta cercando il modo di rendere ancora più performante il servizio pubblico e la sua governance più indipendente dalla politica.
G. Rosini
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 13th, 2015 Riccardo Fucile
FUMO NEGLI OCCHI: LA RAI SARA’ SEMPRE PIU’ IN MANO ALLA CASTA
Stop alla “contiguità ” fra partiti e Rai, promette Matteo Renzi nella conferenza stampa seguita al
consiglio dei ministri di stasera.
Ma delinea un sistema in cui è il governo a scegliere l’amministratore delegato dell’emittente pubblica e il parlamento “in seduta congiunta” a nominare il consiglio d’amministrazione.
Nel cdm che si è occupato principalmente della riforma della scuola, la discussione sulla nuova governance della Rai non si è conclusa ma “abbiamo avviato l’esame del ddl, lo presenteremo nel prossimo cdm, con Guidi, Giacomelli e Padoan”, ha spiegato Renzi.
Il governo, ha chiarito, “crediamo abbia il dovere più che il diritto di individuare il capo azienda che deve passare dal voto di conferma del cda”.
Quanto al consiglio d’amministrazione, Renzi lo immagina “più ristretto, la cui maggioranza sia eletta dal Parlamento in seduta comune e con un membro espressione dei dipendenti Rai”.
Nessun sorteggio, come proposto dal Movimento 5 Stelle, perchè “devono essere i più bravi a gestire l’azienda”.
Ovviamente a decidere chi sono i più bravi è lui e i partiti di governo
Con l’attuale legge Gasparri, il cda è scelto dalla Commissione parlamentare di vigilanza dei servizi radiotelevisivi (sette membri) e altri due, tra cui il presidente, dal ministero del Tesoro.
Due espressioni dirette rispettivamente di governo e Parlamento, dunque.
In attesa che il ddl venga discusso, approvato e reso pubblico dal governo, è difficile capire dove sarebbe la riuvoluzione.
In che modo finirebbe la “contiguità ” con la politica che ha marchiato la storia dell’emittente pubblica italiana?
La politica sceglierà direttamente i vertici come sempre.
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Marzo 13th, 2015 Riccardo Fucile
L’INTERCETTAZIONE IN UN’INFORMATIVA DELLA POLIZIA: I DUE PRESUNTI AUTORI DI UN COLPO MILIONARIO IN UNA BANCA DI FOGGIA TIRANO IN BALLO IL DEPUTATO… IPOTESI ABBIA FATTO DA INTERMEDIARIO
“Dobbiamo portare i soldi a quello… all’onorevole. Ci sta aspettando”.
L’onorevole è Lello Di Gioia, deputato socialista eletto nelle fila del Pd e passato poi al Gruppo Misto, da settembre 2013 presidente della Commissione Parlamentare di Controllo sulle Attività degli Enti Gestori di Forme Obbligatorie di Previdenza e Assistenza Sociale e componente della Commissione Bilancio Tesoro e Programmazione.
A fare il suo nome, nel tragitto in auto che li conduce alla sua abitazione, sono secondo gli investigatori Olinto Bonalumi e Federico De Matteis, rispettivamente capo e componente della banda che nel 2012 aveva messo a segno un colpo da 15 milioni di euro nella filiale del Banco di Napoli di Foggia.
Di Gioia, secondo l’informativa della Polizia svelata da Repubblica, sarebbe il ponte di collegamento tra la banda e una delle vittime del furto.
Il sospetto è sorto a pochi giorni dal colpaccio, quando una volante della Polizia ha fermato sulla strada per Foggia Di Gioia in compagnia di Bonalumi.
Sospetto avvalorato la settimana successiva da quanto rilevato dalle cimici sistemate nelle auto dei malavitosi.
È il 4 maggio 2012 quando gli agenti — sempre secondo l’informativa — intercettano una conversazione tra Bonalumi e De Matteis.
“Ci sta aspettando” si dicono mentre procedono lungo la strada che li porterà a casa del deputato.
Il capo della banda, da tutti conosciuto come Arsenio Lupin, entra nel palazzo del politico. Ci rimane per 30 minuti.
Si rimette in auto, i due si allontanano per tornare dopo poco.
Il tempo necessario — secondo quanto ricostruito dagli agenti — per andare al loro covo, prendere la refurtiva, tornare da Di Gioia e consegnargliela.
A scambio finito, vanno via ripromettendosi che “quello lì bisogna assolutamente lasciarlo perdere”.
Nell’informativa — riporta il quotidiano — gli agenti scrivono di aver udito “il crepitio di un sacchetto” e contestualmente De Matteis “mandare baci con toni euforici”.
“Con questi dobbiamo fare metà a testa — dice il capo della banda — mi hanno tenuto tre ore per spiegarmi come le fanno. Vedi questa è di cinghiale. Questo è cotechino e lo devi mettere sul sugo”.
Il riferimento è al maiale che il deputato avrebbe offerto loro in cambio della parte di refurtiva restituita.
Tutti elementi che hanno portato la Polizia a descrivere Lello Di Gioia come l’intermediario tra le vittime dell’assalto e la banda.
Il politico non è indagato, al tempo dei fatti non ricopriva ruoli pubblici quindi non era tenuto a sporgere denuncia.
Fatto sta che la sua posizione, se dovesse essere confermata, non è affatto semplice.
Il colpo, come detto, risale al 2012 ma gli sviluppi si sono avuti ieri, quando con l’operazione “Goldfinger” la Polizia, coordinata dalla Procura di Foggia, ha sgominato due organizzazioni criminali, arrestando 14 persone e notificando due obblighi di dimora.
Una delle due bande è proprio quella che, con un colpo da maestri, era riuscita ad assaltare il caveau della filiale foggiana del Banco di Napoli. Il bottino fu da capogiro: 15 milioni di euro sottratti da 141 cassette di sicurezza violate.
Un lavoro che, al tempo, fu descritto come perfetto. I malviventi non lasciarono alcuna traccia del loro passaggio.
Nè segni di effrazione, nè fotogrammi ripresi dalle videocamere di sorveglianza giacchè portarono via anche l’hard disk sul quale erano state registrate le prove della loro presenza.
Ad oltre cento persone furono sottratti danaro e gioielli di famiglia.
Una di queste, per recuperare parte dei suoi averi, si rivolse al politico più influente della zona: Lello Di Gioia.
Mary Tota
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Giustizia | Commenta »