Marzo 20th, 2015 Riccardo Fucile
NUNZIA DE GIROLAMO TENTATA DA FORZA ITALIA, LA LORENZIN DA RENZI
Pare una barca affondata, il partito di Alfano, una barca che si è schiantata sugli scogli dell’inchiesta di Firenze, la capitale del paese nell’era Renzi. In un angolo del Transatlantico, Nunzia De Girolamo a telefono ha la voce alta: “Lo vuoi capire che siamo a un bivio? Il bivio è: o ricostruiamo il centrodestra o ci consegniamo al partito della Nazione. Ncd per come è stata è morta, mor-ta. E io voglio fare il centrodestra”.
Si capisce che è una telefonata delicata. Si allontana, ma la voce si sente ancora: “Io domani vado a Roccaraso (dove c’è un’iniziativa coi giovani, ndr) e vado a dire che io, e ripeto io, non andrò mai con Renzi pur di salvare la poltrona”
L’allusione, neanche tanto velata, è ad Angelino Alfano.
In parecchi hanno notato che neanche Lupi lo ha mai nominato nel corso della sua informativa. Sull’Innominato pesa il sospetto, neanche tanto velato, di “tradimento” perchè su Lupi non si può dire che abbia fatto le barricate.
Quando esce dall’Aula, Fabrizio Cicchitto incrocia Landolfi, ex parlamentare del Pdl: “Fabrì, che piglio fiero Alfano, che difesa con gli attributi…” gli dice scherzando. L’altro: “Mario, lascia perdere, è meglio che non parlo che già questa giornata… Guarda, lascia perdere”.
È un inferno. Nessuna assicurazione su chi andrà al posto di Lupi, veleni su chi a questo punto entrerà al governo che ha abbattuto il ministro delle Infrastrutture.
Faide sulle poltrone, col capogruppo Nunzia De Girolamo che viene data per sostituita nel suo ruolo di capogruppo proprio da Lupi, senza aver ricevuto una telefonata da Angelino Alfano. Contattata per telefono, dice: “Il problema non è il mio ruolo. Io sono disponibile a costruire il centrodestra, non a fare il capogruppo di una specie di nuova scelta Civica. Punto e arrivederci”.
“Tradimento” è la parola che rimbalza dai capannelli di Forza Italia, riferita ad Alfano.
In molti in queste ore sono stati raggiunti da una telefonata di Silvio Berlusconi, pronto a offrire ai naufraghi la sua scialuppa: “Quando uno tradisce una volta — è la frase scolpita nei cuori dei naufraghi – tradisce sempre”.
La ricostruzione che viene accredita è questa: nel corso degli ultimi incontri con Renzi c’è stato un momento in cui il Alfano ha scelto di schierarsi per il passo indietro di Lupi.
Ed è stato quando il premier ha sbattuto sul tavolo la sua difficoltà a reggere due situazione imbarazzanti: quella di Lupi e quella di Castiglione, sottosegretario all’agricoltura e fedelissimo di Alfano, indagato pochi giorni fa per abuso di ufficio e turbativa d’asta nell’ambito dell’inchiesta sul centro di accoglienza a Cara Mineo.
Dunque chi sacrificare: Lupi (che non è indagato) o Castiglione (che è indagato)?
Alla fine il caso Castiglione è rimasto sottotraccia — anche mediatica – e Lupi si è dimesso.
Castiglione è uno dei senatori che, ai tempi dell’elezione di Mattarella, scrisse una lettera assieme a una quindicina di senatori a favore del sì al nuovo capo dello Stato proposto da Renzi proprio mentre il suo partito si era posizionato sull’astensione assieme a Forza Italia.
Mentre Lupi interpretava la linea dura, pronta anche alla crisi di governo.
La posizione di Castiglione anticipò di poche ore quella di Alfano. Poi arriva l’inchiesta fiorentina e nelle carte compare anche il nome di Andrea Gemma, un giovane avvocato siciliano che ha costruito la sua carriera all’ombra di Alfano.
Gemma non è indagato ma è a lui che, su indicazioni di Lupi e Alfano, si affida Claudio de Eccher, titolare del Colosso delle costruzioni Rizzani de Eccher dopo una interdittiva anti-mafia firmata dal prefetto di Udine che minaccia di precludere la partecipazione dell’azienda a lavori e appalti.
E Gemma risolve la questione presentando un ricorso al Tar: “Te lo chiedo in modo molto deciso, serve un intervento del ministro degli Interni” scrive de Eccher in una mail inviata a Franco Cavallo, l’uomo di Lupi.
Morale, affidata a un ragionamento di uno dei big di Ncd: “Tutto torna. La cosa di Castiglione non molta, quella di Alfano nemmeno. Angelino scarica Lupi e resta al Viminale, che è l’unico punto fermo della sua azione politica”.
In Transatlantico è uno sfogo continuo.
Cicchitto chiede di valutare l’appoggio esterno, Giovanardi pure, Formigoni è nero.
L’ala dei critici si infittisce di ora in ora: Pizzolante, Sammarco, la Scopelliti, Tancredi, Vignali, Piso, per non parlare di Sacconi, Schifani ed Esposito.
Sono loro che dicono che ormai il vero segretario di Ncd è Renzi e “Angelino fa sempre quello che dice lui”. È accaduto su Mattarella. Ora su Lupi.
E già si sente il profumo del “tradimento” di domani. Che passa per la Campania.
Se fosse stato per Nunzia De Girolamo l’intesa con Berlusconi su Caldoro sarebbe già stata chiusa. Ma Alfano prende tempo. Mentre dal territorio i suoi invocano il dialogo col Pd in Campania.
Come Gioacchino Alfano, che oggi mentre parlava Lupi non sedeva sui banchi del governo.
La verità è che il vero motivo per cui Angelino non chiude su Caldoro è che Renzi gli ha spiegato che sta facendo di tutto per far saltare la candidatura di De Luca e arrivare a un altro candidato buono per tutto il Pd e su cui potrebbe convergere.
Il nome è quello del guardasigilli Andrea Orlando su cui il sondaggio è serissimo: “Renzi — dice una fonte autorevole — ha detto ad Alfano che deve fare come con Mattarella: all’ultimo, si schiera col governo”.
E ormai dentro Ncd c’è tutta un’ala che, capendo l’aria che tira, dialoga direttamente con Renzi e i renziani: Misuraca, Nino Bosco, Dorina Bianchi.
E soprattutto Beatrice Lorenzin. La quale, raccontano fonti degne di questo nome, è pronta a entrare nel partito di Renzi.
Ne ha parlato col premier, ma per ora l’operazione è prematura.
Nunzia De Girolamo è invece pronta a rientrare, in grande stile, in Forza Italia.
Sono le prime naufraghe che hanno trovato le scialuppe. Pd e Forza Italia. In mezzo, la barchetta di Alfano imbarca sempre più acqua.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 20th, 2015 Riccardo Fucile
MENO DEL 10% DENUNCIA
Non solo bustarelle. Ma posti di lavoro per figli e nipoti, agevolazioni, ristrutturazioni gratuite di
appartamenti privati.
Vale per i grandi appalti ma anche per le commesse delle piccole e medie imprese: secondo un’indagine dell’«Adnkronos», il 35% delle Pmi interpellate tramite diverse associazioni d’impresa, circa mille distribuite su tutto il territorio nazionale, ammette di aver pagato una tangente, sotto una qualsiasi forma.
E tra le imprese che ammettono di aver praticato la corruzione 3 su 4 indicano forme «alternative» al tradizionale pagamento in denaro.
Misure inevitabili per ottenere il timbro giusto o anche, semplicemente, per accedere a una commessa, visto che più della metà delle imprese interpellate (51%) sostiene di aver rifiutato almeno una richiesta di denaro per concludere un affare nel corso dell’ultimo anno.
Altrettanto allarmante il dato che riguarda le mancate denunce: delle imprese che hanno ricevuto richieste di denaro, meno del 10% si è rivolta alle forze dell’ordine.
Chiara, dunque, la rassegnazione degli imprenditori di fronte a quello che viene percepito come un «sistema consolidato»: il 55% delle imprese interpellate pensa che le proprie possibilità di chiudere affari sia influenzata da tangenti pagate da altri.
E l’evasione fiscale resta in Italia ancora a livelli «estremamente alti, troppo alti», secondo il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi; ma i continui sforzi nella lotta al sommerso starebbero dando qualche risultato.
Nel 2014, infatti, l’incasso recuperato dalle attività in nero è salito a 14,2 miliardi, oltre un miliardo in più rispetto al 2013.
«Un traguardo mai raggiunto prima», dice Orlandi, alle prese con la sentenza della Consulta che ha trasformato in illegittime le nomine di tantissimi dirigenti. Per ridurre l’evasione, Orlandi punta «sulla collaborazione tra fisco e contribuente», considerata parte essenziale della strategia fiscale del governo.
Lotta incisiva contro i fenomeni fraudolenti e cooperazione camminano di pari passo e a dimostrarlo sono i dati 2014: in un triennio i ricorsi fiscali sono stati quasi dimezzati grazie alla mediazione, passando dai 171 mila del 2011 ai 90 mila del 2014.
Lo scorso anno sono stati inoltre rimborsati 13 miliardi di euro a 3 milioni di cittadini e imprese.
E quest’anno parte il 730 precompilato.
Roberto Giovannini
(da “La Stampa”)
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Marzo 20th, 2015 Riccardo Fucile
UN SOLO BANDO SU 58 CONTRATTI STIPULATI NEI SEI MESI DI PRESIDENZA… PER IL RESTO SONO AFFIDAMENTI DIRETTI E CONSULENZE AI PENSIONATI
Cinquantotto contratti e una sola gara d’appalto, quella per l’unica fornitura gratuita. È questo il bilancio dei lavori commissionati dal ministero degli Esteri per il Semestre italiano di presidenza Ue, finito i il 31 dicembre scorso.
Ben 52 contratti su 58 sono stati concessi con affidamento diretto (i restanti con convenzione).
Il ministero decide chi invitare a presentare l’offerta e, sulla base di una ristretta rosa di partecipanti, affida la fornitura, senza gara di appalto.
Se dal punto di vista politico il bilancio della presidenza è stato piuttosto magro, quello relativo all’organizzazione è invece positivo, almeno per le aziende che sono state scelte, a totale discrezione del ministero, per le forniture.
Il catering a Roma, ad esempio, è stato monopolizzato da Triumph group: cinque appalti per un valore totale di 1 milione 7.692 euro.
Il nome della presidente Maria Criscuolo è balzato alle cronache nel settembre di due anni fa, quando decise di celebrare in modo speciale il suo compleanno.
Fece aprire il Mitreo all’interno delle Terme di Caracalla a Roma, uno spazio inaccessibile ai comuni mortali, per festeggiare il lieto evento insieme a una nutrita rappresentanza del governo Monti (Elsa Fornero, Filippo Patroni Griffi e la moglie dell’allora premier, Elsa Monti).
Ai sorrisi di Triumph corrisponde la delusione di Relais le Jardin, l’azienda del genero di Gianni Letta, altra sempre presente quando a decidere chi lavora è la politica.
Per loro un solo appalto da 52.853 euro.
Ma il Semestre italiano sarà ricordato soprattutto per le cravatte e i foulard di seta, di rigorosa “produzione italiana” precisa il ministero.
Per il dono ufficiale del Semestre sono stati spesi un milione 336 mila euro scaglionati in tre affidamenti diversi, anche se, specifica la Farnesina, uno dei tre lotti era comprensivo anche di “matite legno/grafite” e “penne biro in materiale plastico riciclato”.
Il più piccolo dei tre contratti, quello da 68.680 euro, è stato affidato alla Sve. ti. a. di Maurizio Talarico, lo stesso che vestiva Romano Prodi e Silvio Berlusconi.
Va dato merito alla Farnesina di non avere inseguito un evento faraonico: in totale per il Semestre sono stati spesi 30,24 milioni di euro, meno dei 34 stanziati dal governo Berlusconi nel 2003 e, soprattutto, una cifra considerevolmente inferiore ai 56 previsti dalla legge di Stabilità .
Le buone notizie però si fermano alla spending review, perchè organizzare un evento del genere utilizzando le gare d’appalto solo per selezionare lo sponsor (ha vinto Fiat, che ha messo a disposizione quaranta 500L, una Panda e nove Ducato), è quantomeno singolare.
Per evitare la procedura standard, quella che consentirebbe a tutti i soggetti interessati di concorrere alla fornitura, la legge (il decreto 163 del 2006) prevede tre fattispecie: si può realizzare un affidamento diretto quando in una precedente gara d’appalto non è stata presentata alcuna offerta, per ragioni artistiche o tecniche, quando vi è un’estrema urgenza.
Per il ministero degli Esteri il massiccio ricorso agli affidamenti diretti è stato giustificato proprio dall’urgenza dell’evento, che ha colto di sorpresa il governo nonostante fosse in programma da un decennio.
“Il tempo restante fra il momento dell’effettiva disponibilità dei fondi 2014 (fine gennaio) e l’inizio delle attività del Semestre rendeva difficile adottare procedure aperte o ristrette con previa pubblicazione di bando di gara. Il ricorso alla procedura negoziata ha consentito di rispettare i tempi imposti dal calendario”.
Tradotto dal burocratichese, i soldi sono arrivati tardi.
Non va meglio sul fronte delle consulenze.
Nonostante gli oltre 400 diplomatici in servizio a Roma, la Farnesina ha speso 213.935 euro per quattro consulenze, tutte assegnate ad ambasciatori in pensione.
La più corposa, 90.936 euro per il cerimoniale, è stata affidata a Leonardo Visconti di Modrone.
Un esperto che sulla materia ha pubblicato Consuetudini di Cerimoniale Diplomatico. E, a proposito di nomi che ritornano, il tomo è edito dalla Tipolitografia Vitaliano Calenne, che per il Semestre ha ricevuto un affidamento diretto da oltre 339 mila euro.
Un’altra consulenza da 41 mila euro è andata all’ambasciatore in pensione Gianpaolo Arpesella per coordinare i responsabili all’accoglienza: 75 contratti a termine costati oltre 969 mila euro.
E, anche loro, selezionati senza concorso pubblico.
Alessio Schiesari
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 20th, 2015 Riccardo Fucile
DALL’ACME POLITICO AL BARATRO: COSI’ SI DISPERDONO GLI ENFANTS TERRIBLES DI FORMIGONI
Agosto 2014. Matteo Renzi non c’è. Giri per i padiglioni della Fiera di Rimini, lo cerchi agli stand, alle
mostre, agli incontri. Niente da fare.
Il premier aveva ricevuto qualche settimana prima una lettera d’invito dagli organizzatori del Meeting. La risposta? A mezzo stampa: “Non vado, altri impegni”.
La prima volta che un presidente del Consiglio diserta il crocevia estivo della politica italiana. Dopo Mario Monti, dopo Enrico Letta, dopo, ma non servirebbe nemmeno dirlo, Silvio Berlusconi, Palazzo Chigi non traslocherà per un giorno in riviera.
Se ti giri e ti guardi bene intorno Maurizio Lupi lo incroci. Sorrisi, pacche sulla spalla, strette di mani.
È un vero padrone di casa. Un ospite afono però. Per la prima volta da anni, tanti che nemmeno val la pena contarli, non salirà sul palco.
Nessuno nell’area allestimenti è alacremente al lavoro per stampare sul tegolino in blu le lettere “M. Lupi”.
“Nel programma non c’erano incontri sulle Infrastrutture – spiegava l’organizzazione – abbiamo deciso di comune accordo così”.
A rileggere i fatti sette mesi dopo, l’aura di premonizione che sprigionano da ogni virgola è impressionante.
Da qualche ora Lupi non è più ministro. Ha lasciato, come lui giustamente sottolinea “72 ore e non 72 giorni dopo” lo scoppio dello scandalo.
Fa parte del suo pedigree, di uomo idealista ma insieme pragmatico, quel mix da “terrone del nord” come spesso ama definirsi.
È l’ultimo tassello di una mosaico trentennale che, una volta completato, restituisce un’immagine complessiva alla quale nessuno in partenza avrebbe dato credito.
Il mosaico che racconta la storia degli enfant terribles di Comunione e Liberazione in politica.
Per non risalire alla preistoria dei tempi della Democrazia Cristiana (i libri di Massimo Camisasca sono utilissimi per chi volesse a ricostruire quel periodo), il percorso dei ciellini nella Seconda Repubblica è quantomeno singolare.
Una vita dedicata al berlusconismo, una scelta di campo spesso difesa con “forse non ci aiuta, ma è l’unico che non ci avversa”, l’acme del potere lo hanno toccato quando l’ex Cavaliere è sostanzialmente uscito di scena.
E per di più quando l’aura del padre putativo di una generazione di fenomeni, Roberto Formigoni, aveva raggiunto il suo raggio minimo d’influenza.
Per vent’anni gli uomini di Cl sono rimasti fuori dalla stanza dei bottoni. Lupi ci era andato vicinissimo nel 2008.
Aveva ingaggiato un formidabile braccio di ferro con gli altri colonnelli del Pdl, il suo sembrava il nome perfetto per la casella della Salute, in quello che sarebbe stata una filiera perfetta con il comparto che era il fiore all’occhiello del Pirellone formigoniano. Alla fine desistette.
Qualcuno racconta che lo fece dopo essersi confrontato con Julian Carron, la guida ecclesiale di Cl dopo la scomparsa di don Luigi Giussani, e virò verso la vicepresidenza della Camera. Quattro anni dopo, è Mario Monti a chiamare la prima esponente di Cl al governo.
Una nomina secondaria, che in pochi ricordano. Ma il ruolo di Elena Ugolini, tra i responsabili scuola del Movimento, quale sottosegretario all’Istruzione segnò il primo passo di una strada di lì a poco trionfale.
Meno di due anni dopo, ben due di quei ragazzi cresciuti a pane, esercizi spirituali e politica, avrebbero fatto il loro ingresso dal portone principale del Consiglio dei ministri.
Lupi e Mario Mauro, amico di tante battaglie esauritesi qualche mese prima con la svolta montiana dell’ex europarlamentare, erano entrambi stati chiamati da Enrico Letta nella sua squadra.
Berlusconi aveva sempre amato e odiato i ciellini, per la loro eccezionale capacità di fare rete e raccogliere consenso e per la loro eterodossia nell’approcciarsi alla fede laica nell’infallibilità del leader.
Gli stessi elementi che spinsero Letta, primus inter pares, a ritenerli perfetti per lo strano governo del dopo febbraio 2013.
La storia di Mauro finì con l’ascesa di Renzi, e sulla scorta di scelte politiche che lo videro condividere il destino funereo del rassemblement montiano.
Quella di Lupi – quella del Lupi ai vertici del cuore pulsante della democrazia – è finita per qualche manata di schizzi di fango sulla giacca.
Vittima del frullatore delle intercettazioni, che ha raccontato di un ministro al momento non indagato che esercitava il potere in modo troppo disinvolto. Sicuramente più disinvolto di quanto non predicasse morigeratamente in pubblico.
Tutt’altra storia rispetto a quella del Celeste, lui sì finito nel vortice delle inchieste della sanità lombarda. Indagini che hanno di fatto sancito la fine del suo impero su Milano e dintorni e che sono arrivate a sfiorare il Meeting e mezza filiera ciellino-imprenditoriale del nord.
E reso non rifiutabile ingoiare la pillola del cedere un’amministrazione applaudita per anni in modo trasversale ai rivali della Lega.
Con Formigoni finì nel tritacarne anche Antonio Simone, altro ragazzo terribile cresciuto negli anni del Movimento popolare, la palestra politica dei ragazzi di Cl. Guidata, ovviamente, da Formigoni stesso.
Una generazione che ha sfornato personalità notevoli: da Giancarlo Cesana, per anni numero due del Movimento, a Giorgio Vittadini e Antonio Intiglietta.
Questi ultimi tre, come d’altra parte Simone, i salotti romani non li hanno mai frequentati. Il primo si è dedicato alla vita del Movimento, oltre che alla carriera da medico, Intiglietta ha sfondato nel mondo dell’imprenditoria.
Vittadini, oggi vero dominus di Cl, ha scelto il profilo alto, quello da professore.
Un professore che si è inventato prima la Compagnia delle opere (ad intermittenza coinvolta a sua volta, da Bergamo alla Puglia, nelle indagini di qualche procura), quindi la Fondazione per la Sussidiarietà .
Formigoni nella capitale è arrivato da cavallo zoppo, presidente dimissionario di un impero sul quale sembrava non dovesse mai tramontare il sole, una credibilità tutta da ricostruire.
Quando, settimane prima dello strappo, andava dicendo per i corridoi del Senato che era pronto a lasciare Berlusconi e con lui altri trenta colleghi, in molti gli davano del visionario: “Un modo come un altro per strappare un titolo di giornale”.
Aveva ragione, non perchè si sia reinventato dominus di quello che sarebbe diventato il partito di Angelino Alfano, ma semplicemente per il suo eccezionale fiuto.
Lo stesso che aveva avuto nel 2006. Eletto senatore (di minoranza) da presidente lombardo in carica, giunse a Roma giusto il tempo per un paio di interviste.
Annusò l’aria, e decise di dimettersi per ritornare nelle sue dorate province del nord.
Uno strano contrappasso, quello che vuole Cl passare in due anni dal suo punto più alto nell’organigramma dello stato a un’irrilevanza che, guardando alla storia del Movimento, raramente l’aveva toccata.
Un contrappasso simile e opposto a quello che ha voluto che a toccare l’apice non sia stato colui che ha gettato le fondamenta di tutto.
Ma è pur vero che Lupi da quindici anni è l’uomo di Comunione e Liberazione in Parlamento. Eletto nel 2001, la sua scalata è stata a poco a poco irresistibile.
Complice una semplicità e una capacità comunicativa che spingeva Berlusconi a inviarlo quasi ogni giorno in televisione: “Basta i soliti tromboni, ci servono ragazzi capaci, come Lupi”, disse dopo uno dei prime-time d’esordio del suo deputato.
Agli amici racconta che prima di arrivare a Roma andò a parlare con Giussani. “Da dove comincio?”, chiese alla guida carismatica, il padre putativo di una vita.
“Inizia dal fare la scuola di comunità lì dove sei”. Così fece, aggregando un gruppettino di amici che settimanalmente, per quindici anni, si sono incontrati per condividere le proprie esperienze a partire da un testo del fondatore.
E così fece, dando vita a quell’Intergruppo per la Sussidiarietà che è arrivato a contare oltre 200 onorevoli, e dove ha coltivato quelle che oggi rivendica come “amicizie” (il vicepresidente dell’Intergruppo? Enrico Letta, of course).
Negli anni sono arrivati Renato Farina, Raffaello Vignali, successore di Vittadini alla guida della Cdo prima di optare per un posto in Parlamento, e Gabriele Toccafondi, avversario per un’elezione proprio di Renzi per la poltrona di Palazzo Vecchio, e oggi ultimo superstite al governo nel ruolo che fu della Ugolini.
Ma l’uomo del Movimento a Roma è sempre stato Lupi. Prima da ufficiale di collegamento, poi, sempre più, come frontman dei suoi.
La sua caduta, sia pur consumatasi con dignità inusuale per la classe politica, segna il punto più basso della storia politica degli uomini del Giuss.
Appena due anni dopo aver toccato quello più alto. Un punto dal quale difficilmente ci si potrà risollevare in un batter d’occhi.
Sempre che ce ne sia la volontà . Ma questa è un’altra storia.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 20th, 2015 Riccardo Fucile
“HO RICEVUTO ISTRUZIONI IN MERITO ALLE RISPOSTE DA FORNIRE AL PROCESSO”…”PER TACERE RUBY HA RICEVUTO SEI MILIONI E UNA CASA IN MESSICO”
“L’ho vista andare a letto con lui due volte”. In aula aveva dichiarato di non sapere nulla di eventuali rapporti sessuali fra Silvio Berlusconi e Ruby. Ma oggi Marysthell Polanco, ex showgirl dominicana indagata nell’ambito dell’inchiesta per corruzione in atti giudiziari insieme a una parte delle Olgettine, ha rivelato al quotidiano inglese Daily Mail di avere visto due volte l’ex premier fare sesso con la giovane, che all’epoca era ancora minorenne.
Che per lasciare l’Italia, sottolinea la soubrette, ricevette da lui sei milioni di euro e una casa a Cancun in Messico.
Parole che vengono pubblicate a pochi giorni dalla sentenza della Cassazione dell’11 marzo che ha rigettato il ricorso contro l’assoluzione in Appello del leader di Forza Italia.
Per la Suprema Corte, quindi, non ci fu concussione per costrizione nè prostituzione minorile.
A fronte della decisione dei giudici l’ex premier si era anche detto pronto a tornare in campo, ma le dichiarazioni rilasciate da Polanco al giornale potrebbero farlo tornare in aula.
La ragazza, che “da Berlusconi riceveva uno stipendio e un appartamento” aveva già contattato la redazione britannica nel 2013, che però aveva deciso di “non pubblicare le sue dichiarazioni”.
Spiega che dopo i raid della polizia negli appartamenti delle ragazze nel 2011, Berlusconi volle convocarle per istruirle su cosa dire ai giudici.
“Chiamò Barbara Faggioli — dice ancora al giornale inglese — e le disse che doveva chiamare Marysthell, Aris, e ogni ragazza per raggiungerlo a casa. Noi andammo e lui stava lì con Ghedini e l’altro avvocato. Ci disse tutto quello che dovevamo dire al giudice”.
In tre occasioni prima dell’inizio del processo, che iniziò 18 mesi dopo, l’ex showgirl è stata “istruita”.
E lei, che ricevette anche una lista di domande che le avrebbero fatto in aula, e Iris Berardi sono state le due ragazze che hanno ricevuto maggiori indicazioni perchè, precisa, “Iris era minorenne e io sapevo tutto su Berlusconi“.
Polanco descrive anche le serate “bunga bunga” a cui partecipava — venerdì, sabato e domenica: “Tre volte a settimana, ogni settimana”, “troppi” incontri — e per le quali il compenso variava dai 3 ai 5mila euro e poteva comprendere anche gioielli.
Per lei, aveva ammesso nel 2013, anche 2500 euro mensili oltre a 5000 euro al mese da Mediaset da presentatrice, anche se non condusse mai alcun programma a causa dei contrasti tra l’ex premier e il figlio Pier Silvio.
La procura di Milano ha calcolato che dal 2010 al 2014 Berlusconi ha versato alle ospiti delle cene eleganti oltre 2 milioni di euro e il 29 dicembre 2013 il Cavaliere aveva inviato una lettera alle ospiti delle serate ad Arcore nella quale comunicava di essere “obbligato a sospendere da gennaio ogni mio contributo”, e cioè i 2.500 euro al mese che versava ad ognuna delle olgettine.
Le ragazze lo intrattenevano con spettacoli di burlesque fino alle 3 del mattino — lei stessa aveva ammesso di travestirsi da “Obama e da Boccassini per Silvio” – poi lui ne sceglieva alcune per trascorrere la notte e consumare rapporti sessuali.
“Altri uomini erano presenti alla cena — prosegue la soubrette — ma poi se ne andavano, altrimenti Berlusconi diventava geloso. Lui dorme solo poche ore a notte, a volte gli chiedevo se era Superman e lui rispondeva: ‘Sì, io sono Satana’”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 20th, 2015 Riccardo Fucile
NON C’E’ LIMITE ALL’INDECENZA: FINO A IERI NESSUN ACCORDO CON I MODERATI CENTRISTI, OGGI DISPOSTO AD ACCOGLIERLI
“Ci sono diversi esponenti in uscita da Ncd che credono nel nostro progetto. Se ci credono davvero e si
sono resi conto che Alfano è un nulla, sono pronto a ragionare con chiunque”.
E’ il giorno dello sciacallo per Matteo Salvini: la Lega sta perdendo consensi e lui cerca di rimediare facendo la corte non tanto all’elettorato del Nuovocentrodestra (il che sarebbe legittimo) ma direttamente ai notabili alfaniani che, essendo presenti più che altro al Sud, permetterebbero al “sistemamogli” di non fare la brutta figura che si sta prospettando con il flop delle liste “Si Salvi(ni) chi può”.
Quelli che fino a ieri erano “collusi con la mafia” oggi diventano interlocutori privilegiati soprattutto se possiedono pacchetti di voti anche di dubbia origine.
E’ la nuova etica della “Sovranità ” transnazionale, più trans che nazionale in verità , ma Salvini per un pugno di voti può fare questo e altro.
Oggi ha dichiarato che: “Da parte di Alfano c’è stato squallore politico e umano. Non è il primo caso per cui la sua poltrona viene prima di tutto il resto. Mi stupisco che una persona così guidi ancora il suo partito”
Beh non esageriamo: se uno come il “sistemamogli” è arrivato a guidare la Lega, perchè stupirsi ci sia riuscito Alfano?”.
Almeno Alfano ha avuto il coraggio di rompere a suo tempo con i vertici di Forza Italia, non ha fatto il lecchino bossiano a vita come lui (mantenuto dalla politica da 20 anni), salvo passare con Maroni quando ha sentito che il vento cambiava.
Salvini poi si lancia nella dietrologia e si dice “umanamente dispiaciuto per Lupi, per come l’ho conosciuto, non lo ritengo una persona corrotta. Il fatto che l’inchiesta parta dalla Procura di Firenze qualche dubbio me lo lascia”.
Fa nulla se le intercettazioni parlino chiaro, Salvini ama guardarsi dietro e correre in avanti: come a Bologna quando è scappato a gambe levate di fronte a quattro malprese “zecche rosse”, come ama definirle. Altra cosa affrontarle.
Ma qua si entrerebbe nel campo della destra di un tempo, nulla a che vedere con le comparse del teatrino di oggi.
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Marzo 20th, 2015 Riccardo Fucile
I VERTICI DI FORZA ITALIA ESCLUDONO I FITTIANI DALLA LISTA E LORO ACCUSANO: “VOGLIONO FAR VINCERE EMILIANO, A QUESTO GIOCO NON CI STIAMO”
Raffaele Fitto è pronto a candidarsi in Puglia: l’ex ministro salentino, europarlamentare di Fi e contestatore della leadership di Berlusconi, sta pensando seriamente alla corsa alla presidenza della Regione Puglia: il capo dei “frondisti” di Forza Italia scenderebbe in campo con due-tre liste anche contro il candidato ufficiale del centrodestra, l’oncologo Francesco Schittulli.
A dare il via ad una “riflessione” in questo senso, che – dicono i fedelissimi dell’ex governatore pugliese – è “ben più di una ipotesi”, l’esclusione dei fittiani dalle liste scelte e decise da Silvio Berlusconi e da Luigi Vitali.
Quest’ultimo, ex sottosegretario alla Giustizia, è stato nominato dal Cavaliere coordinatore regionale di Fi in Puglia proprio per dar battaglia a Fitto, che sta creando all’ex premier non pochi problemi a livello nazionale con la sua voglia di ricostruire il partito.
“Le liste – avrebbe detto proprio Berlusconi in un incontro che ha tenuto ieri sera a Roma con Vitali e Schittulli – le decidiamo io e Vitali”.
Tradotto, dicono i fittiani, “ci escludono dalle liste”.
Prova una mediazione in extremis il senatore Altero Matteoli, capo della task force di Forza Italia per le regionali: Matteoli chiede a Fitto di sostenere lealmente Schittuli, assicurando che “non ci saranno esclusioni preconcette dalle liste”.
Per tutta la giornata, i fittiani ripetono il loro refrain: “Noi dobbiamo fare una lista a sostegno di chi ci caccia, di chi fa le epurazioni? Non esiste. Se mai facciamo una lista, anche due o tre, e non saremo soli, ci sono altri soggetti politici pronti e sarebbe un’altra cosa, una fase nuova”.
E’ chiaro, dunque, che ‘il caso Puglia’ diventa il campo di battaglia di uno scontro ben più ampio.
Il clima di diffidenza che serpeggia nel centrodestra pugliese è ormai molto evidente: i fittiani giurano che Berlusconi è pronto a lasciar vincere il segretario regionale del Pd, Michele Emiliano, candidato del centrosinistra ritenuto il favorito di questa competizione elettorale, pur di distruggere Raffaele Fitto.
Vitali, invece, assicura che non è così e indica Fitto quale unico responsabile di una eventuale sconfitta, che sarebbe una “macchia indelebile” per l’europarlamentare azzurro.
“La sua candidatura – dice – sarebbe un fatto gravissimo. si vuole la rissa”.
Intanto il candidato ufficiale del centrodestra, Schittulli, malgrado il putiferio, ha deciso di non fare passi indietro, anzi: “Ero il candidato del centrodestra, sono il candidato del centrodestra e rimango il candidato del centrodestra. Ho lavorato per unire tutte le componenti, per ricompattare, con l’unità si vince”.
“La nostra posizione – insistono però i fittiani – è quella di restare in Fi ma se in modo immotivato veniamo lasciati fuori dalle liste, si apre una nuova fase, questo è certo”. Con Fitto è sceso in campo anche il capogruppo di Fi alla Regione Puglia, Ignazio Zullo: “Sarò candidato al suo fianco, con lui – assicura – sarebbe un successo”. Fitto – a quanto si è saputo – potrebbe tenere un incontro a Bari nei prossimi giorni.
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Marzo 20th, 2015 Riccardo Fucile
LA “LITE PENDENTE” CONSENTE DI NON ESSERE COMMISSARIATO E CANDIDARSI IN REGIONE… ECCO IL CATALOGO RAGIONATO DEGLI IDEATORI DEL CAVILLO COME TECNICA DI GOVERNO
Siamo ai derivati di Cetto La Qualunque. Al pacco e contropacco di Forcella. All’universo delle comiche. 
È un breve catalogo dei furbissimi, che purtroppo di mestiere fanno i sindaci, chiamati a far rispettare la legge e che invece la frodano, la deturpano, la irridono.
Sorridere prego
Il sindaco di San Sebastiano al Vesuvio, il signor Pino Capasso, esponente del Partito democratico, si è fatto togliere una multa di 41 euro per divieto di sosta direttamente dal capo dei vigili urbani della città , il signor Alfredo Baldisarra.
L’evento ha comportato un conflitto tra il sindaco e l’ente da lui rappresentato e il consiglio comunale — immediatamente convocato — ha promosso una questione di incompatibilità .
La seduta, iniziata alle 8:30 del mattino, è stata sospesa alcune ore dopo e aggiornata a nuova data.
C’è da dire che il capo dell’opposizione, secondo atto della commedia, è corso alle Poste e gli ha pagato la multa.
Ma la legge non ammette inganni! Essendo la lite già pendente e la burocrazia già in cammino, gli atti già firmati e vidimati a norma di legge, il sindaco non dovrà dimettersi per candidarsi alle prossime elezioni regionali in Campania.
Pertanto il consiglio non dovrà essere sciolto, e la sua attuale poltrona la terrà in caldo il vice sindaco.
Furbissimi si nasce o si diventa?
Meglio di lui solo il sindaco di Agropoli Franco Alfieri, che pochi giorni fa ha indicato la via della beatitudine.
Sostando in centro città con fare spavaldo ha trovato un suo sottoposto, vigile attentissimo e integgerrimo, a rovinargli la giornata: 41 euro pure a lui!
Alfieri, il cui volto illumina la raffinatezza della strategia politica, ha immediatamente offerto — forte del soprannome che si è conquistato, il Santissimo — la versione ufficiale della multa.
Da ritagliare e conservare: “Si tratta di un escamotage per evitare i danni che deriverebbero dal commissariamento. Non è solo una mia decisione, ma c’è una forte spinta popolare che vuole che io vada ad occupare un posto alla Regione per risolvere i tanti problemi che ci sono sul territorio e sono stati causati, o comunque aggravati, da cinque anni di amministrazione regionale del centrodestra”.
Una spinta fortissima per questo santissimo riformatore.
Alla Regione non aspettano che lui.
Per apprezzare la filosofia del Santissimo bisogna aggiungere che ha già inviato in Parlamento una sua devota, la signorina Sabrina Capozzolo.
Prima di divenire deputata (e ora addirittura nella segreteria nazionale del Pd, responsabile per le politiche agricole) ha svolto ad Agropoli, la ridente città cilentana, uno stage politico proprio come vigile urbana stagionale.
Nel resto dell’anno si dedicava con disciplina ed entusiasmo alla tammorra, tipico strumento musicale delle bande folk.
Alfieri — e qui la catena di comando non lascia scampo — è a sua volta devoto di Vincenzo De Luca, candidato governatore della Campania, ideatore del cavillo come regola di governo.
In virtù del cavillo è riuscito a non dimettersi da sindaco di Salerno quando era vice ministro alle Infrastrutture.
Ed oggi è candidato sebbene per legge non possa fare il presidente di Regione. De Luca nei mesi scorsi ha fatto in modo — tra ricorsi e controricorsi, pacchi e contro-pacchi — di allungare la vicenda giudiziaria e non dimettersi mai. Lui, il teorico del cafonismo come carattere territoriale, ha scelto la strada cafona al potere.
Ma si sa che al fondo non c’è mai fondo.
Perchè di queste ore è la missione che si è dato il sindaco di Giffoni Valle Piana, un altro del Pd che ambisce alla promozione in Regione.
Si chiama Paolo Russomando e, lavorando di fino, ha evitato di coinvolgere i vigili urbani. Ha opzionato una buca stradale.
Dunque: un giorno viaggiando con l’auto nel suo Comune è incappato in una buca. Assi e semiassi rotti? E allora pacco e contropacco.
Chi deve sorvegliare le strade? Il Comune.
Da qui una lite pendente, una fantastico ingaggio giudiziario: Paolo contro Paolo. L’automobilista Russomando diligente e affranto contro il sindaco Russomando, inoperoso e distratto.
Lite pendente anche qui? Sembra proprio di sì.
E sarà un piacere per il Pd proporre un terzetto niente male a sostegno di De Luca sulla poltrona di governatore che la legge Severino gli impedisce di occupare in ragione di una disgraziata condanna penale.
Al terzetto — già in cammino sulla via maestra della furbizia eletta a sistema di governo — si sta per unire un quarto campione della legalità .
Il sindaco di Fisciano , comune salernitano della Valle dell’Irno.
Qui niente vigili, niente buche. Il sindaco, Tommaso Amabile, ha solamente affidato alla banca di cui è membro del consiglio di amministrazione, l’incarico di tesoriere comunale.
Affidamento andato in porto ma lite assolutamente pendente. Perchè il controllore, in questo caso il sindaco, coincide anche con il controllato, essendo al comando della Banca
Solo il centrosinistra avanza nella furbizia?
Dopo un primo sbandamento anche il centrodestra ha preso le misure.
E un corridore delle prossime regionali, il primo cittadino di Sant’Egidio Monte Albino, a sud di Napoli, ha scelto di fare copia e incolla.
Alla guida dell’auto ha pregato un vigile di elevargli la multa.
Cosicchè — a frode avvenuta — la lite col comune si è condensata nel solito deliberato di incompatibilità .
Antonello Caporale
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 20th, 2015 Riccardo Fucile
LE TELEFONATE CON GLI INDAGATI RIVELANO UNO SQUALLORE TOTALE
Per comprendere fino a dove, nelle ultime 72 ore, si era spinta la disperata menzogna del ministro Maurizio Lupi («Non ho mai raccomandato mio figlio, nè ho bisogno che qualcuno mi compri degli abiti») e perchè era diventata insostenibile, è utile scorrere le migliaia di pagine della monumentale informativa del Ros dei carabinieri depositata dalla Procura di Firenze quale allegato agli atti della pubblica accusa.
In quelle carte sono infatti documentate due nuove circostanze.
La prima: il ministro (da oggi ex) non solo sollecita Ercole Incalza a prendersi cura del neolaureato Luca con parole chiare, ma è anche al corrente della “doppia possibilità ” offerta al ragazzo.
E dunque della disponibilità del costruttore Claudio De Eccher di prenderselo in carico (ipotesi che sarà poi scartata a beneficio di un’assunzione da parte di Stefano Perotti).
La seconda: il sarto Vincenzo Barbato “serve” Lupi senior e junior (oltre che l’intero staff di collaboratori del ministro) in un affannoso crescendo di umiliazioni e senza che i due mettano mai mano al portafoglio (ci pensava “zio Frank”, Cavallo).
Per ordine di Maurizio, deve andare a prendere le misure di Luca nella sede del Ncd a Roma, perchè il ragazzo non può scomodarsi.
E dopo una scenata del ministro, deve rimettere rapidamente mano all’abito che gli ha confezionato, perchè il nostro lo trova «schifoso».
IL RACCOMANDATO E DE ECCHER
Torniamo dunque al gennaio 2014. Alle 13,55 di mercoledì 8, Lupi alza il telefono e ordina a Incalza di ricevere suo figlio Luca.
«Ercole, ma stai sempre a mangiare, cazzo? Stai al ministero? Se ti mando tra un quarto d’ora questo che è venuto da Milano a Roma per fare due chiacchiere? Nel senso di avere consulenze e suggerimenti, eccetera».
E Incalza: «Questo chi?». «Viene mio figlio Luca».
Il Mandarino si scioglie: «Quando vuoi… Ma figurati… Nessun problema».
A sera, come sappiamo, la pratica è bella che istruita. Incalza attiva Perotti. Perotti attiva “zio Frank”Cavallo.
Il ragazzo viene rassicurato telefonicamente da Perotti e, il giorno successivo, il 9, vede a pranzo Cavallo. Che ha un’idea.
La soluzione più semplice è caricare il giovanotto sul groppone di Claudio De Eccher, costruttore che si dà del tu con il ministro e per il quale Lupi busserà mesi dopo alla porta del ministro dell’Interno Alfano per risolvere il fastidioso problema di un’interdittiva antimafia piovuta sull’impresa friulana.
E tuttavia c’è dell’altro. Proprio quell’8 gennaio, alle 22.21, zio Frank, che in quel momento è in compagnia del ministro, chiama De Eccher.
«Quand’è che ti vedo? – dice – Perchè devo dirti una roba da fare». La “roba” è la faccenda di Luca, il figlio di Maurizio, cui Cavallo passa il cellulare. «Ti avevo cercato per farti gli auguri – abbozza Lupi con il costruttore – Dobbiamo vederci quando vuoi, eh?»
Il giorno successivo, il 9, alle 13.41, Cavallo chiama De Eccher: «Ti devo presentare il figlio di Maurizio», dice.
E, tre settimane dopo, il 31 gennaio, la “roba” di Luca sembra essere avviata ad andare in porto.
Con la piena consapevolezza del padre. Alle 11.20 di quel 31 gennaio, Cavallo prende infatti la telefonata del ministro. «Senti rompi palle, rompi i coglioni a mia moglie che facciamo la cena così festeggiamo il suo compleanno». Cavallo promette di esserci. Anche perchè l’occasione serve anche a chiudere qualcosa che sta a cuore a Lupi: «Si, assolutamente. Anche perchè domani sera voglio venire a casa tua. Sperando di trovare Luca perchè voglio parlare e definire le sue cose».
VESTITI GRATIS E INSULTI AL SARTO
Anche sui vestiti di famiglia, l’informativa del Ros annichilisce le sciocchezze che l’ex ministro è andato ripetendo.
Il sarto Vincenzo Barbato, solerte e preoccupato di compiacere il ministro e il figlio, “misura” il ragazzo nella sede del Ncd a Roma, perchè così ha chiesto il padre Maurizio.
Ed è preoccupato di provvedere rapidamente a correggere i difetti dell’abito che ha tagliato per il ministro, ma di cui il ministro si lamenta.
Abito che Cavallo ha pagato e che Cavallo si preoccupa di far modificare, sollecitando la segreteria di Lupi: «Dite a Maurizio qual è il problema. Se è troppo stretto il pantalone, la giacca. Che cosa deve fare…».
Anche se poi, sembra che il problema del ministro sia alla radice: «Oh! Guarda che ‘sto sarto fa schifo cazzo!!», si sfoga Maurizio con Cavallo, mentre in macchina sta raggiungendo Montepulciano dove si sposa la figlia di Stefano Perotti e dove, appunto, dovrà indossare un vestito che non ha pagato e che detesta.
IL DILEMMA SULL’INGRESSO NEL GOVERNO
E tuttavia, non è evidentemente solo per un figlio raccomandato e abiti sartoriali che viene giù l’arrocco in cui si era chiuso Maurizio Lupi.
Nelle carte del Ros è anche il rapporto incongruo, capovolto, che l’ex ministro aveva stretto con Ercole Incalza.
E di cui è prova una conversazione della sera del 17 febbraio 2014, nei giorni che precedono la formazione del governo Renzi.
È Lupi infatti a chiedere al Grande Mandarino se l’Ncd (di cui Incalza ha incredibilmente scritto peraltro il programma) debba o meno stare a Palazzo Chigi. Dice Lupi: «Ercole, ma mi hai abbandonato? ».
E quello se la ride: «Io sto qua. Ma ti hanno dato il programma?». E Lupi: «Ma mi han dato il programma. .. ti ho detto cazzo!. .. prendi ‘sto Cipe… rivoluzioniamolo… ribaltiamolo… Ora, tu, siccome ti considero prima ancora che un validissimo funzionario del ministero delle Infrastrutture, un amico, non ho capito cosa pensi tu. Hai capito?».
Incalza dice la sua: «Io penso che fin quando non c’è certezza converrebbe non salire su questo governo». Lupi farà il contrario.
Il prezzo, evidentemente, vale la candela. E un po’ di voti.
Come quelli che, da ministro, chiederà per le Europee a monsignor Francesco Gioia, beneficiato con l’assunzione del nipote.
Un prelato svelto. Anche di lingua. Si mette a disposizione per raccattare preferenze alle Europee e ne parla con il tono dell’allibratore: «Andrei sulla “secca” (la preferenza) e non sulla tripla».
Carlo Bonini
(da “La Repubblica“)
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