Marzo 27th, 2015 Riccardo Fucile
TRENTA CAPILISTI “SICURI” E IL VOTO NEL 2016
C’è già chi l’ha ribattezzata la “migliore offerta”. 
È quella che Matteo Renzi ha rivolto a un pezzo della minoranza Pd, per blindare l’Italicum alla Camera. Ed evitare fronde.
Per il premier la legge elettorale è la battaglia finale: “Non mi fido — ha detto ai suoi – di un nuovo passaggio al Senato. Dobbiamo approvare tutto alla Camera entro maggio. E la legge non è perfettibile”.
Ovvero, non si cambia di una virgola. Il capogruppo Roberto Speranza mercoledì è rimasto chiuso due ore col premier per tentare una mediazione.
Ha proposto di mettere nero su bianco qualche modifica, a partire dalla riduzione del numero dei capolista bloccati: “Ora che non c’è più il patto del Nazareno — gli ha detto — si può lavorare per migliorare il testo su alcuni punti. Io ti garantisco che a quel punto, sia alla Camera sia al Senato, la sinistra sarà compatta. Ora tocca a te scegliere se costruire l’unità o no”.
La sensazione è che Renzi abbia già scelto. E che tiri dritto: “Questa legge l’abbiamo discussa, modificata al Senato, ora si decide”.
Anche perchè il Nazareno è morto ma fino a un certo punto. Il pacchetto di voti di Denis Verdini è ancora assicurato. Il plenipotenziario di Berlusconi e Luca Lotti si sentono ancora pressochè quotidianamente.
Dunque, il premier ha intenzione di non mediare con la sua sinistra. Proprio per piegare la minoranza le sta usando tutte.
L’ultima offerta è stata già recapitata e rispedita al mittente. È un’offerta che fonti ufficiali non confermeranno mai, ma che in più di un faccia a faccia di alto livello è stata messa sul tavolo dal premier. Suona così: “Voi della minoranza votate la legge elettorale, così come è e io vi garantisco una quota di candidati sicuri: una trentina di capolista bloccati”.
E fin qui è un’offerta ordinaria. Come ordinaria è l’ipotesi, fatta circolare nei giorni scorsi, del ministero che fu di Lupi a Roberto Speranza, in modo da rimuoverlo da capogruppo alla Camera.
La parte straordinaria, che attesta la straordinarietà del momento, riguarda il quando si vota (e dunque si fanno le liste): ovvero il 2016.
Spiega la fonte autorevole: “Renzi ci dice: anticipiamo il voto al 2016, così evitiamo il congresso del Pd e voi evitare di essere asfaltati e vi do 30 nominati su 100”.
In cambio della legge elettorale. Subito e senza modifiche. Un percorso che prescinde anche dall’approvazione della riforma del Senato.
Nel senso che, una volta incassato l’Italicum alla Camera, è chiaro che — abolito e non abolito il Senato — il giorno dopo il voto il presidente della Repubblica gli dà l’incarico e una maggioranza a palazzo Madama si fa in un minuto.
L’offerta, almeno per ora, è stata rifiutata. Ma c’è un motivo se Renzi ha aperto una trattativa sotterranea per spaccare la minoranza, attirando a sè la parte dialogante mostrando la carota del seggio sicuro.
Il motivo è che l’eventualità del voto di fiducia ha già avvelenato il clima. La minoranza, regolamenti alla mano, sostiene che non è applicabile.
Spiega Giuseppe Lauricella, che oltre a essere parlamentare è anche giurista: “Il regolamento della Camera prescrive che la questione di fiducia non può essere posta nelle materie per le quali può essere richiesto il voto segreto. E la legge elettorale è tra queste. Se poi qualcuno vuole interpretare il regolamento a modo suo, dico che la nuova legge, una volta approvata, si presta al rischio di incostituzionalità sul piano formale, perchè sarebbe aggirata una norma che riguarda il procedimento di formazione della legge”.
I costituzionalisti vicini al premier sono di parere opposto. Dice Stefano Ceccanti: “Il voto segreto ha delle materie in cui esso è di obbligo come le votazioni sulle persone e dei temi su cui si può chiedere. Quando il regolamento della Camera dice che non si può mettere la fiducia dove è prescritto il voto segreto, è ovvio che si riferisce al primo caso e non al secondo. È dunque solo un problema di opportunità politica non di legittimità ”.
E se sul voto di fiducia che vuole palazzo Chigi si rischia un contenzioso, sul voto segreto che vuole la minoranza si rischia il Vietnam su alcuni punti.
Perchè, sussurrano in parecchi a microfoni spenti, è chiaro che una volta che Renzi ha la pistola, può sparare. Fuor di metafora: una volta che c’è la nuova legge elettorale, c’è anche quella del voto anticipato.
E questo è un incubo per tutti i parlamentari, anche per quelli che stanno in maggioranza con Renzi ma temono di non essere ricandidati o rieletti.
A due giorni dalla direzione, pare che ogni trattativa sia già franata. E Renzi e minoranze si preparano alla battaglia d’Aula.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 27th, 2015 Riccardo Fucile
COME SPIEGARE CHE IL SINDACATO PUO’ E DEVE FARE POLITICA
C’è il rosso immancabile come in ogni manifestazione della sinistra che si rispetti, ieri e oggi. Ma c’è anche il beige e il blu.
Lo slogan in inglese poi, ‘Unions!’, non lascia spazio ai dubbi.
C’è anche tanta America nella manifestazione della Fiom organizzata per domani per lanciare la coalizione sociale anti-Renzi.
Non è patriottica, non ha stelle e strisce ma i colori del poster di Obama disegnato dal writer Shepard Farey, quello del 2008, il Barack prima maniera, quello della scritta ‘Hope’, luce prima del buio della grande crisi. Maurizio Landini guarda anche a ovest, agli Usa che in questi anni sono riusciti a risollevare l’economia con una politica di investimenti pubblici.
Chiede la stessa ricetta anche qui in Italia e di fronte al governo che da qualche giorno diffonde i dati sull’occupazione in aumento, alza le spalle.
“Il punto è che dalla crisi si sta uscendo con meno diritti di prima, per i lavoratori”, dice ai suoi. Alla vigilia, Landini studia il suo messaggio per domani.
Il tarlo è sempre lo stesso: come far capire che il sindacato fa politica, è nei suoi diritti, ieri come oggi. “Se a Pierre Carniti gli avessero detto che non poteva fare politica, se li sarebbe sbranati…”, si sfoga.
Determinato e furente. Perchè il cuore del ragionamento sente di averlo.
Deve trovare le parole per aggirare le strumentalizzazioni. La vigilia Landini la passa con la segreteria Fiom, al terzo piano della sede in corso Trieste a Roma.
Sta lì a costruire un discorso complicato, quello con cui chiuderà la manifestazione che, alle 14 di domani, parte da piazza della Repubblica per raggiungere il palco allestito in piazza del Popolo.
Complicato. Perchè già fin dall’inizio di questa nuova ‘avventura’, è stato complicato spiegare cos’è una coalizione sociale, un’aggregazione di persone, lavoratori e non, precari e studenti, società civile in pratica, oltre il sindacato tradizionale e alla larga dai partiti tradizionali, alle prese con i cambiamenti allo statuto dei lavoratori decisi dal Jobs Act di Renzi.
Complicato perchè per ora la coalizione è un’idea di “lunga gittata, una strategia di lungo periodo”, ripetono in Fiom.
Complicato respingere i tentativi di chi vuole confinare questa idea in una scorciatoia che punti subito ad un altro, ennesimo partitino della sinistra.
E ancora più complicato scendere in piazza all’indomani dei nuovi dati sull’occupazione: “Nei primi mesi del 2015 ci sono 79mila occupati in più rispetto allo stesso periodo del 2014”, si pregia il ministro Poletti, sorride soddisfatto Renzi.
Vallo a spiegare che va capito se i nuovi occupati sono davvero ‘nuovi’ o se sono stabilizzazioni di contratti già esistenti.
Lo stesso Poletti dice che per saperlo bisogna aspettare i dati di aprile.
E vallo a spiegare che i posti di lavoro in più si giustificano con gli sgravi fiscali decisi nella legge di stabilità , chissà se saranno permanenti.
Landini si sbraccia per spiegarlo in tv, sta in tutti i talk show senza sosta, stamane gli è anche capitato di inciampare proprio sul Jobs Act, la sua materia preferita, a ‘L’aria che tira’. Ai renziani non sembra vero. I deputati Dem più vicini al premier gli danno addosso: “Dice che la crescita occupazionale registrata a gennaio è indipendente dalle misure del governo, errore da matita blu!”, attacca Alessia Rotta. Ecco, Landini cerca le parole: maledettamente, il succo c’è, va tradotto. Lo hanno capito anche Susanna Camusso e la Cgil: e Landini lo sa.
Nato come un corteo della Fiom, quella di domani è diventata una manifestazione della Cgil.
Ci saranno Camusso e tutta la segreteria più tutti i segretari di categoria. “Non va bene personalizzare le organizzazioni, c’è una sola organizzazione che si chiama Cgil”, spiega il segretario confederale.
Certo, al terzo piano del palazzo Fiom in Corso Trieste ancora non sanno se Camusso o qualche segretario di categoria della Cgil prenderà la parola dal palco, oltre a Landini.
E’ una decisione lasciata nel vago, alla vigilia. Ma tutta la Cgil sarà lì con la Fiom: ad ascoltare, così la mettono.
Perchè con Renzi al governo, con un segretario Pd che ha tagliato ogni ponte di collegamento con il sindacato, anche in Corso d’Italia non guardano più con rabbia e sdegno all’opa di Landini sulla testa del sindacato.
Sempre che la coalizione sociale sia in realtà un’opa del segretario Fiom sulla guida della Cgil, per prendere il posto della Camusso a scadenza di mandato. Potrebbe andare così. Oppure il tutto potrebbe prendere una piega più politica. Ancora la strada non è tracciata.
Dipenderà anche dalla legge sulla rappresentanza sindacale promessa da Renzi. Una volta era l’argomento che li avvicinava, Matteo e Maurizio, quando ancora si parlavano, prima dell’abolizione dell’articolo 18.
Ora il segretario Fiom non sa se la legge sulla rappresentanza sindacale verrà preparata alla ‘Marchionne’, per penalizzare un sindacato come la Fiom che in tempi di crisi perde iscritti nelle fabbriche perchè ora l’operaio medio preferisce pensare al pane a scapito dei diritti. Oppure se l’intenzione del governo sia di varare un provvedimento per “la democrazia nei posti di lavoro”, ripetono in Fiom.
Tra dubbi e aspettative, congetture e incertezze, intanto l’idea della coalizione sociale scende in piazza domani, arriva a Roma con 300 autobus e conta di riempire piazza del Popolo, dicono gli organizzatori, con trentamila metalmeccanici più il resto: la stima, a dita incrociate, è di 50mila manifestanti.
Un punto fermo c’è: alla larga dai partiti tradizionali della sinistra. Certo, in piazza ci sarà Sel con Nichi Vendola, ci saranno Stefano Fassina e Pippo Civati della minoranza Pd, ci saranno rappresentanti della Lista Tsipras e Rifondazione.
Ma non saranno loro a parlare sul palco. Nemmeno Gianni Cuperlo, che pure con Landini ha un’interlocuzione aperta, stimato ai piani alti della Fiom come intellettuale di sinistra.
E, nemmeno a dirlo naturalmente, non ci saranno i capigruppo Dem in Parlamento, Luigi Zanda e Roberto Speranza, che però ieri Landini ha incontrato per spiegare i motivi della manifestazione. Pare che Zanda abbia anche voluto una spilletta della Fiom: souvenir.
Sul palco interverranno Giuseppe De Marzo (Libera-campagna reddito), Domenico Maugeri, coltivatore diretto (Tavolo Verde); Maria Meddaoui, operaia (delegata Fiom alla Benincasa, Bologna); Armanda Garau, insegnante (Flc-Cgil); Giacomo Zolezzi, studente (Rete della conoscenza); Claudio Vittori, segretario generale Fisac-Cgil del Lazio; Giovanna Cavallo, movimento per la casa (Action); Gino Strada, fondatore di Emergency in collegamento telefonico dalla Sierra Leone. E poi Valentina Orazzini e Alessandro Torti, studenti e animatori dello sciopero sociale (Social Strike, sciopero dei precari) del novembre scorso e delle manifestazioni anti-Bce a Francoforte il 18 marzo scorso.
Verrà letto un messaggio di Gustavo Zagrebelsky, mentre Stefano Rodotà sarà lì per parlare, lui alleato di Landini già nella battaglia contro la riforma costituzionale all’epoca del governo Letta, spietato a definire “zavorra” i partiti di sinistra in una recente intervista a Micromega.
“Ripartiamo dal basso”, dice Rodotà in quell’intervista.
Ed è un po’ questa l’idea di domani.
Concluderà Landini che cerca le parole, ma promette che quello di domani non sarà un urlo che muore nell’eco, ma l’inizio di una strategia di aggregazione che conta su uno spazio politico già registrato dai sondaggi.
Intorno all’8-10 per cento: il patrimonio c’è, va capito come sfruttarlo.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 27th, 2015 Riccardo Fucile
I COMANDANTI ITALIANI: “SIAMO STANCHI E SPREMUTI COME LIMONI”
“Una volta affrontavamo un volo ogni tre o quattro giorni, le rotte erano poche e capitava di
attraversare l’Oceano e fermarsi per riposare. Oggi è tutto cambiato, i piloti sono costretti a turni massacranti soprattutto nelle compagnie lowcost”.
Il comandante Nelson Ferrera, ex portavoce dell’Anpac, ha lasciato l’Alitalia da cinque anni ma sente con vigore il dibattito sulla sicurezza dei piloti, scatenato dal terribile disastro dell’aereo Germanwings precipitato sui monti dell’Alta Provenza.
Specialmente perchè sembrano ormai lontanissimi i tempi della dolce vita dei comandanti, così ambita che nel film “Prova a prendermi” Leonardo Di Caprio faceva letteralmente carte false per diventare un ammirato pilota di linea, un privilegio descritto anche dalla serie Pan Am. “No, non è più così”, ammette Ferrera.
Gli inquirenti hanno scoperto che Andreas Lubitz, il co-pilota accusato di aver deliberatamente fatto schiantare il velivolo, nel giorno della tragedia non sarebbe dovuto stare ai comandi: nel suo alloggio è stato trovato un certificato medico, mentre secondo i media tedeschi il giovane era stato ricoverato all’ospedale di Dusseldorf nei mesi scorsi, escludendo però che fosse per una patologia psichiatrica.
La Germanwings, costola della Lufthansa, non era completamente all’oscuro dello stato mentale di Lubitz, visto che sapeva che il giovane aveva sospeso l’addestramento per esaurimento nervoso e lo aveva classificato con il codice Sic – abitualmente attribuito ai membri dell’equipaggio da tenere sotto particolare attenzione medica.
“Se un pilota prende psicofarmaci normalmente viene sospeso dal lavoro”, commenta Ferrera, che però vuole dare una lettura umana a ciò che è successo: “L’imponderabile può accadere. Ma non dite che i comandanti degli aerei mettono il pilota automatico: la rotta può essere pre-impostata ma è il pilota a evitare i temporali oppure a compiere manovre di emergenza”.
O manovre di strage, come pare sia accaduto con l’Airbus A320.
A confermare il fatto che gli anti-depressivi sono una causa sufficiente per sospendere i piloti dai voli è Fabio Peppucci, direttore tecnico Anpac: “Ogni anno i piloti devono sottomettersi a una visita medica per ricevere il certificato di idoneità al volo. Se da un anno all’altro dovessero capitare episodi gravi che inducono all’ansia o alla depressione per le quali diventa necessario prendere dei farmaci, di norma il pilota viene lasciato a casa fino ai 12 mesi senza perdere il posto di lavoro”.
Anche in questo caso, i piloti delle grandi compagnie sembrano più tutelati rispetto ai colleghi delle low cost dove, spiega ancora Peppucci, “di fronte a una diagnosi di depressione un pilota può rischiare il licenziamento immediato”.
E dunque proliferano i casi dei comandanti e dei co-piloti che tendono a nascondere il disturbo mentale, anche passeggero. Un problema enorme, spesso discusso dai sindacati dei piloti.
Su questo punto il Time cita un dato pazzesco: William Sledge, primario allo Yale-New Haven Psychiatric Hospital, incaricato di esaminare dal punto di vista medico i piloti per la Federal Aviation Administration, rivela che il 40% presenta problemi legati all’alcol mentre un terzo manifesta un grado di depressione o ansia.
“Tuttavia soltanto la metà dei depressi e degli ansiosi ha ammesso spontaneamente il problema. L’altra metà lo ha ammesso al dottor Sledge dopo che un incidente aveva costretto i loro superiori a intervenire”.
Il Time riporta anche i dati sui suicidi, che riguardano però piloti che non stavano nella cabina di un volo di linea: dal 1983 al 2003 trentasette comandanti hanno provato a togliersi la vita, 21 ci sono riusciti.
Non tutti però presentavano problemi pregressi di tipo psichiatrico (il 38%), mentre la maggioranza (il 46%) era legato a problemi nella vita personale.
Il fatto è che a livello italiano ed europeo non esistono dati sulla frequenza delle malattie psichiatriche dei piloti, perchè evidentemente esiste la paura di smettere di volare.
Ma la questione è scottante e per questo gli Stati Uniti obbligano i piloti ad ammettere la propria condizione psico-fisica alla compagnia aerea, pena una multa da 250mila dollari.
“Da noi non esiste la multa. Ma come associazione professionale stiamo cercando di ottenere in Italia delle strutture di ascolto psicologico per i piloti, che sono sottoposti a un lavoro massacrante e usurante”, ci fa sapere Peppucci.
“Si chiamano Pilot Advisory Groups e servirebbero soprattutto a quei colleghi che non vogliono manifestare la propria situazione di disagio al datore di lavoro, proprio per il timore di ritorsioni contrattuali”.
Il punto di vista dell’Anpac è chiaro: se le compagnie aeree pretendono livelli illimitati di sforzo lavorativo, i piloti si stancano troppo oppure si ammalano e questo mette a repentaglio la sicurezza dei voli.
“Eventuali investimenti nelle strutture di ascolto potrebbero evitare ciò che è successo con l’aereo della Germanwings”, sottolinea Peppucci, che come la stragrande maggioranza dei suoi colleghi europei – francesi e tedeschi in primis – giudica “frettolose” le conclusioni della procura di Marsiglia, come se si fosse voluto “trovare immediatamente un capro espiatorio per salvaguardare gli interessi economici”.
In attesa che la commissione d’inchiesta arrivi, con molta più lentezza, alla verità sullo schianto dell’Airbus A320, rimane la sottovalutazione della salute mentale dei piloti ma anche la poca attenzione alle lunghissime ore di volo.
Recentemente la questione è arrivata sulle cronache dei giornali: a febbraio il pilota di un Airbus A320 era troppo stanco per continuare il volo ed è atterrato a Manchester invece che a Parigi. Nel 2012 una vicenda ancora più grave: a quindici minuti dall’atterraggio due piloti della British Airways avevano chiesto alla torre di controllo di guidare l’atterraggio a Monaco perchè entrambi si sentivano esausti.
Si tratta della procedura “unfit to fly”(inadatto a volare, ndr), adottata da alcune compagnie aeree tra le quali Lufthansa e Germanwings (già dal 2002), che consente ai piloti di fermarsi quando pensano di non poter garantire l’efficienza.
Basta dare un’occhiata alle statistiche della European Cockpit Association, l’associazione che riunisce 38mila piloti europei, per comprendere l’allarme: il 50% degli intervistati per una ricerca sulla stanchezza in cabina ammette di sentire che la propria capacità di volare è minata dalla fatica fisica, ma il 70-80% dei comandanti e dei co-piloti non lo ammette ai propri superiori oppure non accede alla procedura “unfit to fly” per paura di azioni disciplinari.
Il risultato è che circa la metà dei piloti si addormenta nella cabina di pilotaggio.
Sul protocollo Fatigue Risk Management l’Enac ha già aperto un tavolo con le compagnie aeree che operano in Italia, ma secondo la European Cockpit Association il nostro continente dovrebbe seguire l’esempio degli Stati Uniti, dove a un periodo nel quale le compagnie aeree hanno cercato di sfruttare al massimo la capacità dei piloti, è seguita una nuova valutazione e una comprensione del rischio collegato alla stanchezza di questi lavoratori che hanno ormai perso l’aura del mito.
“In America sono dovuti accadere degli incidenti gravi per far comprendere che i piloti non possono essere spremuti giorno dopo giorno. Purtroppo da noi la tendenza è opposta”, conclude Peppucci. L’Eca, intanto, ricorda che entro il 2020 il numero dei voli europei raddoppierà .
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 27th, 2015 Riccardo Fucile
CINQUE PERSONE INDAGATE, QUATTRO FANNO PARTE DI INTEGRA, UNO DELLA COOPERATIVA DI GIORGIO BARBIERI
Sono cinque gli indagati per maltrattamenti ai danni dei profughi del centro di accoglienza Ceis di Vittorio Veneto, tra questi ci sarebbe anche don Gigetto De Bortoli che, come presidente del Ceis, ha dato in subappalto il servizio di gestione del centro a Integra.
L’inchiesta, che ha portato ad una capillare ispezione da parte dei carabinieri, è nata da una relazione in base all’esito dei controlli igienico-sanitari disposti dalla Prefettura la settimana scorsa.
Nel mirino della Procura ci sono le condizioni di alloggio dei 120 profughi ospitati nella struttura di proprietà del Ceis e data in appalto, proprio per affrontare l’emergenza, alla Cooperativa Integra.
Gli indagati risultano persone attive sia nella onlus che nella società cooperativa. L’ipotesi di illecito potrebbe essere paragonabile a quelle per cui l’Italia viene sanzionata dall’Unione Europea in merito al sovraffollamento delle carceri.
Il sospetto è che l’accoglienza possa violare i basilari diritti umani.
Il blitz delle forze dell’ordine è scattato mercoledì mattina verso le 9.30 quando sono piombate all’ex convento dei carmelitani, nella stretta di Serravalle, cinque gazzelle dei carabinieri della compagnia di Vittorio Veneto e del Nas per la notifica dei provvedimenti ed ulteriori indagini ed ispezioni.
Non era la prima volta: nel recente passato c’erano state ispezioni della Prefettura e lo stesso sindaco di Vittorio Veneto, Roberto Tonon, aveva sollecitato ricognizioni igienico sanitarie svolte dall’Usl.
Il sopralluogo al Ceis disposto dalla Prefettura risale allo scorso 26 febbraio.
Sullo sfondo c’era il malessere dei profughi che era esploso l’11 febbraio scorso con il plateale blocco della statale Alemagna da parte di una quarantina d’immigrati.
A scatenare la protesta era stato il mancato rilascio dei documenti. Con la conseguenza di non poter lasciare Vittorio Veneto per trasferirsi altrove, nè poter trovare un lavoro.
Ma anche le lamentele per la qualità del cibo e dell’alloggio.
«Si mangia male», aveva lamentato il malese M. Camara. «Pasta tutti i giorni, no carne, no frutta e niente vitamine». «Non ne posso più, Dormiamo in 16, 18 persone per camera», aveva rincarato un ragazzo proveniente dalla Guinea.
E gli uomini inviati ieri dalla Prefettura avevano effettivamente controllato la struttura dove i profughi sono ospitati.
Ora la svolta: gli esiti dell’ispezione di mercoledì da parte dei carabinieri saranno depositati la prossima settimana e solo in quel momento verrà deciso se adottare o meno dei provvedimenti.
Di certo al momento c’è che nell’avviso di garanzia consegnato ai cinque indagati (obbligatorio per effettuare l’ispezione) si parla di condizioni inadeguate per quanto riguarda i pasti somministrati, la biancheria fornita e gli alloggi in generale, oltre alla preparazione degli operatori che non sarebbe consona alle richieste.
Tutte cose che sono state denunciate a suo tempo anche dagli stessi profughi che si lamentavano della scarsa assistenza.
(da “il Corriere delle Alpi”)
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Marzo 27th, 2015 Riccardo Fucile
PD 38,9%, M5S 18,5%, LEGA 13,7%, FORZA ITALIA 12,7%, SEL 4,2%, FDI 3,5% NCD-UDC 3,3%
Partiti tutti più o meno stabili: Pd intorno al 39%, M5s vicino al 18,5, Lega e Forza Italia tra il 12 e il
14.
Scende invece di 1 punto percentuale in una settimana la fiducia in Matteo Renzi, raggiungendo quota 40%.
E’ l’esito di un sondaggio dell’istituto Ixè di Roberto Weber per Agorà (Raitre). Rimane invece stabile la fiducia nel governo (32%).
In testa all’indice di gradimento degli italiani c’è sempre il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con il 71% davanti a Renzi (40), Salvini (23), Berlusconi (15), Grillo (14) e Alfano (13).
Alla vigilia della manifestazione Fiom a Roma, Ixè ha chiesto se Maurizio Landini deve scendere in politica.
Il 57% ha risposto no, mentre il 27% caldeggia un impegno diretto del leader della Fiom. Il 16% “non sa”.
Guardando in casa Pd, Ixè ha poi chiesto se nel Pd targato Renzi ci sia una “deriva autoritaria”: il 39% degli intervistati ha risposto affermativamente.
Non condivide questa opinione il 50% mentre l’11% non si esprime.
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Marzo 27th, 2015 Riccardo Fucile
SI RINNOVANO I CONSIGLI IN CAMPANIA, LIGURIA, MARCHE, PUGLIA, TOSCANA, UMBRIA, VENETO E IN 1089 COMUNI TRA CUI 18 CAPOLUOGHI…COINVOLTI 17 MILIONI DI ITALIANI
Le elezioni regionali si terranno domenica 31 maggio.
Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha firmato il decreto per l’indizione del voto che rinnova giunte e consigli regionali in Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto.
Per l’eventuale turno di ballottaggio i seggi saranno di nuovo aperti domenica 14 giugno. Saranno circa 17 milioni gli italiani chiamati alle urne.
Nella stessa data saranno rinnovati anche i sindaci e i consigli di 1.089 Comuni.
Tra questi ultimi ci sono anche 18 capoluoghi di provincia: Venezia, Enna, Agrigento, Vibo Valentia, Matera, Andria, Chieti, Macerata, Arezzo, Rovigo, Trento, Bolzano, Mantova, Lecco, Aosta, Nuoro, Sanluri, Tempio Pausania.
Il Viminale ha ribadito la fissazione della data dopo alcune polemiche sulla vicinanza del 31 maggio al ponte del 2 giugno, il che non favorirebbe una partecipazione alle urne.
Tuttavia nei giorni scorsi lo stesso Alfano aveva spiegato che nei weekend precedenti ci sono la Pasqua ebraica e il raduno degli Alpini in Abruzzo.
“Auguro agli italiani di poter andare in vacanza — aveva detto Alfano — ma è comunque un ponte molto lungo…”.
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Marzo 27th, 2015 Riccardo Fucile
PER LE POLITICHE DEL 2013 I PARTITI HANNO DICHIARATO SPESE PER 45 MILIONI (GIA’ FINANZIATI) MA RICEVERANNO 54 MILIONI DI RIMBORSI… LA CORTE DEI CONTI DENUNCIA IRREGOLARITA’: FRATELLI D’ITALIA INCASSA 843.000 EURO MA NON HA TRASMESSO LA DOCUMENTAZIONE CIRCA I CONTRIBUTI RICEVUTI DA UNA CINQUANTINA DI AZIENDE
Una premessa è doverosa: il taglio del finanziamento pubblico ai partiti, varato dal governo Letta, è
reale e pesante.
La riduzione graduale avrà i suoi effetti anche prima del 2017, quando sparirà del tutto (nella forma diretta, resterà solo sotto forma di detrazioni fiscali e due per mille). Detto questo, le campagne elettorali si confermano un bel business.
Un investimento (quasi) sicuro che porta – in media – un guadagno netto pari al 20% del capitale investito.
Ma potrebbe andare anche molto meglio, a patto che i voti arrivino.
Tutto già pagato
La Corte dei Conti ha concluso l’esame delle spese sostenute dalle 87 formazioni politiche che hanno partecipato alle elezioni del 2013.
E il report trasmesso alle Camere non riuscirà certo a ridurre la distanza tra i cittadini e la politica.
Due numeri: i partiti hanno speso 45,4 milioni di euro per la campagna elettorale, totalmente finanziati con donazioni private o con fondi già presenti nelle casse del partito.
Per dire: avevano a disposizione 46,8 milioni di euro, quindi più di quello che hanno effettivamente speso.
Ma dallo Stato riceveranno 54 milioni (in quattro tranche annuali, dal 2013 al 2016). È come se il dipendente di un’azienda, in trasferta per lavoro, raccogliesse 350 euro da amici e parenti per pagarsi le spese.
E che, a fronte di una reale spesa di soli 300 euro, ne ricevesse 400 dal suo datore di lavoro.
Vi sembra surreale? Il sistema dei «rimborsi» (sì, suona strano ma li chiamano così) elettorali funziona proprio in questo modo.
E il datore di lavoro siamo noi.
Ma non è tutto, perchè ovviamente questi 54 milioni non sono gli unici che i partiti riceveranno da qui al 2016.
Questi sono solo per le elezioni Politiche: in totale ne arriveranno 227,5.
Meno male che li hanno tagliati, altrimenti sarebbero stati 364.
Chi ci guadagna di più
Ma torniamo alle spese elettorali. Che, va detto, rispetto al 2008 sono più che dimezzate (sette anni fa i costi salirono a 110 milioni).
Il fu Pdl è stato certamente quello che nel 2013 ha investito più soldi: 12 milioni di euro.
Poco male, visto che i rimborsi gli garantiranno un ritorno di 18,8 milioni.
Ma l’investimento più riuscito è quello del Pd: la «non vittoria» è costata 10 milioni e ha ne ha portati nelle casse del Nazareno ben 23.
Praticamente anche la prossima campagna elettorale è già pagata.
Chi più chi meno, comunque, quasi tutti ci hanno guadagnato: dalla Lega Nord (2,7 milioni spesi, 3,3 incassati) a Sel (860 mila euro spesi, 2 milioni incassati).
Fino ai casi più emblematici come la Lista Crocetta (solo 22 mila euro di spesa e 256 mila di rimborso) o il Centro Democratico: la lista di Tabacci ha raccolto 84 mila euro in donazioni da privati e aziende, ne ha spesi 47 mila e si prepara a intascare 200 mila euro di soldi pubblici.
Che dire: applausi.
Il premio «braccino corto» va però all’Unione sudamericana degli emigrati italiani (Usei): la campagna elettorale è costata zero euro, ne incasseranno 48.748.
Dai loro dovrebbe imparare l’Udc: 3,2 milioni spesi, solo 730 mila incassati.
Come risaputo, il M5S (470 mila euro spesi) non ha ricevuto rimborsi elettorali. Perchè non ne ha fatto richiesta, vero. Ma anche perchè non ne ha diritto, non avendo uno statuto «conformato ai principi democratici».
I conti non tornano
Ci sono poi alcune situazioni anomale, registrate dalla Corte dei Conti.
La Destra, per esempio, ha speso 800 mila euro pur avendone a disposizione solo 126 mila.
Rivoluzione Civile ha un «buco» di 800 mila euro perchè non tutti i soci hanno versato la loro quota: il contenzioso è finito in tribunale.
Fratelli d’Italia, infine, non ha trasmesso la documentazione dei contributi ricevuti da una cinquantina di aziende.
La Corte dei Conti riferirà la mancanza alla procura di Roma.
Ma intanto, nelle casse del partito della Meloni, andranno 843 mila euro.
Marco Bresolin
(da “La Stampa”)
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Marzo 27th, 2015 Riccardo Fucile
ANTONIO IANNONE, ASSESSORE ALLA POLIZIA LOCALE, AMBIENTE E SPORT TENEVA IN CASSAFORTE 250 GRAMMI DI HASCISC
Due etti e mezzo di hascisc, un grammo di marijuana e un bilancino sono stati trovati nella cassaforte di casa di un assessore comunale leghista del Comune di Pieve Fissiraga, in provincia di Lodi, che è stato arrestato dai carabinieri.
Antonio Iannone, di 47 anni, era delegato alla Polizia locale, Ambiente e allo Sport.
Durante l’udienza che gli è costata la convalida degli arresti domiciliari si è avvalso della facoltà di non rispondere.
La decisione è stata presa in attesa delle analisi sullo stupefacente e della prossima udienza, prevista per il mese di maggio.
A fronte di tanti leghisti che vivono fomentando odio e vendendo fumo, Iannone aveva preferito passare ai fatti: venderlo ufficialmente.
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Marzo 27th, 2015 Riccardo Fucile
QUELLO CHE NON COMPRENDIAMO LO CATALOGHIAMO COME FOLLIA, MA L’UOMO E’ ANCHE MALVAGIO
Ora che i corpi sono stati pietosamente raccolti dalle rocce impietose della montagna, ora che i
familiari stanno portando a casa ciò che rimane di una vita, ora che sappiamo che non è stato sabotaggio, nè guasto, e nemmeno errore umano, non ci rimane che arrenderci ad un’evidenza scomoda, che tendiamo a rifiutare.
Viviamo nel mito razionalistico dove tutto deve essere prevedibile e controllabile dall’uomo e dalle sue diaboliche tecnologie: dover ammettere che tutto ciò ha un limite enorme, quello del mistero della mente, per molti è inaccettabile.
Non è bastato un secolo e mezzo di psichiatria e di psicoanalisi per capire chi siamo davvero.
Ci abbiamo provato con tutti gli strumenti possibili: diagnosi, chimica, analisi, test. Ma non ci siamo riusciti, per fortuna.
Che mondo sarebbe se tutti i cittadini fossero prevedibili, conoscibili, classificabili, curabili, modificabili.
Sarebbe la vera follia: quella della razionalità .
Invece la mente resiste e ci sorprende ogni volta che vogliamo catalogarla, racchiuderla in una definizione prevista dalla norma.
Non esiste la normalità , ma questo per molti è un incubo.
E allora tutti alla ricerca di una categoria dove rinchiudere la mente di un pilota che, come Sansone, vuole uccidere tutti i Filistei.
Tutti a perlustrare la sua anima a ritroso, come in un’improbabile autopsia psicologica. Per scoprire un indizio, un “vulnus”, un neo che ci tranquillizzi: perchè tutto deve avere una spiegazione, perchè solo così salviamo la nostra amata normalità .
Tutto quello che esula da ciò che riusciamo a comprendere deve essere catalogato nel grande libro della follia.
Come se l’uomo fosse o normale o folle. E non anche cattivo, malvagio.
Ci rifiutiamo di ammettere che la malvagità sia ben più diffusa della depressione o della psicosi.
E non lo facciamo solo perchè essa, la cattiveria umana, alligna dentro ognuno in qualche misura.
Questo ci spaventa davvero. E allora, per dormire sonni tranquilli, dobbiamo pensare che quel pilota era depresso, che dobbiamo solo migliorare l’efficienza dei test per scongiurare altre catastrofi.
Perchè la follia è sempre stata usata come il luogo ove rinchiudere ciò che non vogliamo comprendere e accettare: che anche l’uomo più orrendamente malvagio è umano.
Fino alla prossima “incomprensibile” folle tragedia.
Paolo Crepet
Psichiatra e scrittore
(da “Huffingtonpost”)
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