Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
“RENZI E’ UN ARROGANTE E UN PREPOTENTE, MA NON E’ UN GENIO”
Per capire la vendetta che c’è, occorre capire l’agguato che non c’è stato.
Perchè ora ruota attorno all’incidente, anzi “all’Incidente” la strategia della minoranza sconfitta sulla legge elettorale.
E ciò che non è accaduto riporta l’orologio ai tempi della del jobs act.
È stato nel momento più aspro dello scontro sui licenziamenti collettivi che Massimo D’Alema, sempre molto attivo anche fuori dal Palazzo, suggerì: “Sul lavoro dobbiamo rompere e aprire la crisi di governo, è un tema che il nostro popolo capisce”.
Fu un’ipotesi su cui, ai tempi, sia Bersani sia Speranza si dissero contrari.
Sembrava uno scenario da brivido: aprire la crisi di governo, rompere il Pd e andare alle urne col Consultellum.
Ora, sulla vicenda della legge elettorale, è stato Speranza a spostarsi sulla linea dura. È il segnale. Ed è il segnale quella frase buttata lì non a caso da Pier Luigi Bersani: “Matteo non ha una bella natura”.
Frase che ha colpito molto anche palazzo Chigi, a sentire coloro che lo frequentano abitualmente: “Siamo passati dallo scontro politico all’odio antropologico. Bersani e D’Alema vogliono far saltare il tavolo”.
E c’è un motivo se la prossima settimana, a palazzo Madama, sono previste una serie di riunioni di tutta la minoranza, che conta un nucleo duro di trenta senatori.
Ed è che è in atto un salto di qualità . Dalla battaglia nella Ditta a quella sul governo. Perchè ormai il giudizio di Massimo D’Alema su Renzi è condiviso da tutti, dalle parti della sinistra: “È un arrogante e un prepotente ma non è un genio”.
Parole che in fondo non sembrano molto dissimili da quelle pronunciate dal direttore uscente del Corriere, Ferruccio de Bortoli: “un maleducato di successo”.
Uno così, è il secondo passaggio logico, capisce solo il linguaggio della forza.
E al Senato i numeri ci sono, per mettere in difficoltà il governo se, per dirne una, il Def passò con soli 165 voti, compresi quelli di Bondi e della Repetti. e, per dirne un’altra, stamattina la riforma della PA è passata per un pelo, anzi per un solo voto: 144 voti e un astenuto, con le opposizioni fuori.
La minoranza si è comportata bene, tutti presenti e disciplinati, ma uno di loro dice: “Non c’erano i renziani, la maggioranza, perchè sono distratti e non sanno stare in Aula. Ma è chiaro che da adesso a Renzi non faremo regali. Se un provvedimento non ci convince votiamo contro”.
Ecco, l’Incidente non è una casualità . È un progetto politico: “D’Alema e Bersani — dice un parlamentare che parla con entrambi — hanno cambiato schema di gioco. L’Italicum è il primo episodio di una drammatizzazione che sarà un crescendo, non nel partito ma in Parlamento. Ci proveranno sulle riforme, poi sulla scuola. Logorano logorano, finchè prima o poi…”.
Per capire ciò che accadrà sulla scuola, occorre ricordare ciò che non è accaduto sul lavoro, perchè — ricordano in molti — gli insegnanti sono un terzo della base elettorale del Pd.
Ecco la nuova strategia di guerra, dopo che sull’Italicum è andata in frantumi quella dell’aggiustamento: “intransigenza” sui temi di sinistra, alzando il clima fino all’Incidente.
Anche perchè l’Italicum sta passando ma non è legge visto che entra in vigore il prossimo anno.
Certo, Renzi ha il soccorso di Verdini e magari di Berlusconi, ma se arriva Verdini è il miglior regalo che può fare alla sinistra: “Dobbiamo chiarire — dice Speranza – fra noi cos’è, oggi, questo Pd. C’è molto da capire. Quando vedo Camusso che non condivide le politiche del Pd, ad esempio. Oppure quando vedo Bondi che vota il Def e la fiducia a Renzi. O ancora quando leggo che Verdini ragiona di un gruppo di senatori che vanno verso il Pd. Vedo un problema enorme”.
E di fronte ai problemi enormi, sono enormi pure le soluzioni.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
DA SPERANZA A DI CAPRIO, DA BERSANI A TOM CRUISE: RENZI FINAMENTE A SUO AGIO TRA I MILIARDARI ALLA MEGAFESTA PER I 40 ANNI DI PRODUZIONE DELLO STILISTA
Da Roberto Speranza a Leonardo DiCaprio, da Pierluigi Bersani a Tom Cruise, dalla bolgia Pd alla mega-festa per i 40 anni della produzione Armani.
Un salto troppo lungo? Non per Matteo Renzi che si prepara a passare dalle giornate di fuoco per lo scontro interno al Pd sull’Italicum alle giornate di festa per l’inaugurazione dell’Expo a Milano.
Sempre che anche quelle milanesi non si trasformino in giornate infuocate, visti gli allarmi degli addetti alla sicurezza sulle manifestazioni di protesta dei ‘No Expo’.
Ad ogni modo, al netto di tutto, la volata del premier dal caos politico romano ai lustrini dell’esposizione universale inizia oggi stesso, subito dopo il terzo e ultimo voto di fiducia sull’Italicum alla Camera, che è andato liscio come i primi due.
Dal Pd alle star di cinema e spettacolo perchè sarà l’inaugurazione del nuovo silos di Giorgio Armani il primo evento che a Milano darà il via a Expo.
Circa 4.500 mq di spazio, struttura in quattro piani con la migliore selezione di abiti Armani dal 1980 a oggi.
E’ la festa per i 40 anni della produzione di Giorgio Armani, ambasciatore Expo, che per l’occasione ha invitato il top delle star di Hollywood e dintorni.
In lista ci sono Tom Cruise, Leonardo DiCaprio, Cate Blanchett, Sofia Loren, Glenn Close, Pierce Brosnan, Tina Turner che è già arrivata in città ieri in tempo per l’after dinner con il dj set di Boy George.
Con loro, sul tappeto non rosso ma di prato verde allestito all’entrata del silos, stasera sfila anche Matteo Renzi e signora, come ha annunciato lo stesso Armani questa mattina in conferenza stampa a Milano.
Di certo, Renzi si butta tutto alle spalle: le 38 dissidenze del Pd che non gli hanno votato la fiducia, le critiche, le tensioni che gli sono piovute addosso in questi giorni. “La strada è ancora lunga ma ormai avviata”, dice ai suoi dopo i primi voti di fiducia incassati più che agevolmente sulla legge elettorale.
Resta il voto finale di lunedì, molto probabilmente con scrutinio segreto, ottimo rifugio per chi volesse far scattare trappole che comunque il premier non teme.
La legge elettorale è a portata di mano, ma per arrivarci bisogna passare attraverso l’Expo, vetrina dell’Italia sul mondo che ha portato a Milano 52 padiglioni autonomi e 9 cluster.
Infatti, se c’è una preoccupazione che circoli a Palazzo Chigi in queste ore, non è sull’Italicum ma sulla sicurezza all’Expo.
E’ anche per questo che la conferma sulla presenza del premier agli eventi milanesi arriverà solo all’ultimo minuto utile, a parte la cerimonia di inaugurazione domattina all’Open Air Theatre dell’Expo, con altri venti capi di Stato e di governo.
Lì Renzi ci sarà e sarà presente anche alla Turandot di domani sera alla Scala.
Ma su tutti gli eventi grava il peso della preoccupazione per possibili contestazioni e incidenti. Dal silos di Armani, passando per il concerto di Andrea Bocelli stasera in piazza Duomo fino ai due eventi di domani.
Ufficialmente il corteo dei No Expo si muoverà da piazza XXIV maggio solo domani pomeriggio.
E’ la MayDay, la manifestazione del lavoro precario che da un po’ di anni si tiene a Milano anche in contrapposizione al tradizionale corteo mattutino dei sindacati confederali.
Quest’anno punta a rovinare la festa all’Expo.
Stamattina il corteo degli studenti si è concluso senza incidenti, ma le vetrine di Manpower e di alcune banche sono state imbrattate.
Lo sforzo degli addetti alla sicurezza è quello di evitare che restino imbrattati anche i lustrini della festa Expo, premier e star hollywoodiane inclusi.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
ITALIA AL 65° POSTO SU 199
Freedom House, l’organizzazione non governativa statunitense che dal 1980 mappa e monitora lo stato della libertà di informazione nel mondo, ha appena pubblicato il rapporto 2015, relativo allo scorso anno.
I dati relativi all’Italia sono assai poco confortanti: il nostro Paese resta, in termini di libertà di informazione, 65° su 199 ma, soprattutto, nella schiera degli Stati che Freedom House definisce “parzialmente liberi” in termini di libertà di informazione.
E’ la stessa posizione del 2014 con lo stesso punteggio, 31 — in una scala nella quale vicino allo zero ci sono i più liberi e vicino a 100 i meno liberi — assegnatoci lo scorso anno.
Ma le buone notizie — o, almeno, quelle non negative — si fermano qui.
Guai, naturalmente, a sottovalutare un dato che è, comunque, moderatamente confortante se si tiene conto che, secondo Freedom House, il 2014 è stato il peggiore anno, negli ultimi dieci, in termini di libertà di informazione nel mondo con appena il 14% della popolazione globale che vive in Paesi nei quali vi è effettivamente un adeguato livello di libertà di informazione.
Ma guai, allo stesso tempo, a considerare lusinghiero un posizionamento che è invece drammatico specie se contestualizzato in termini geopolitici.
Benchè, infatti, il nostro Paese sia 65° su 199 nel mondo, siamo 30° su 42 nel continente europeo e siamo seguiti solo da Paesi come l’Ungheria, la Bulgaria, il Montenegro, la Croazia, la Serbia, la Romania, l’Albania, il Kosovo, la Bosnia Erzegovina, la Grecia, la Macedonia e la Turchia.
Una dozzina di Paesi — quelli che seguono l’Italia nella classifica stilata da Freedom house — che, senza nulla togliere alla loro storia, cultura e tradizione nè voler esprimere alcun giudizio di valore, non rappresentano, certamente, delle eccellenze democratiche nel Vecchio Continente
Ma, purtroppo, non basta.
Perchè Freedom House — come già in passato — annota una circostanza che dovrebbe farci riflettere sulla situazione drammatica dello stato di libertà di informazione in Italia: l’Europa è, infatti, il continente con la più alta concentrazione di Paesi nei quali la libertà di informazione c’è per davvero.
Siamo quindi la pecora nera di un continente che — per storia, cultura e tradizione — costituisce, al contrario, un’eccellenza nel mondo intero in termini di libertà di informazione.
E per averne conferma basta mettersi davanti la mappa dell’Europa sulla quale Freedom House ha colorato in verde i Paesi nei quali c’è libertà di informazione ed in giallo quelli nei quali si vive in condizioni di semi-libertà .
L’immagine parla più di un fiume di parole: l’intera Unione Europea, eccezion fatta per il nostro Paese e per quelli dell’est, più di recente entrati nell’Unione, è interamente colorata di verde.
Sono verdi, perchè libere, la Francia, la Gran Bretagna, l’Irlanda, la Germania, lo sono naturalmente i Paesi Scandinavi — che guidano addirittura la classifica mondiale — e lo è l’Austria, come l’Olanda, il Belgio, il Lussemburgo e lo è, persino, Cipro.
E’ libera, in termini di libertà di informazione, il 66% dell’Europa e sono liberi oltre 400 milioni di cittadini europei.
Non dispongono, invece, di un adeguato livello di libertà di informazione i cittadini italiani ed altri 100 milioni di cittadini in Europa che corrispondono, appena al 21% della popolazione del Vecchio Continente.
E se si ritrae lo zoom e dalla mappa europea si passa a guardare quella del mondo intero non si porta a casa un’impressione più confortante perchè il giallo che colora il nostro Paese e quelli in analoghe condizioni di semi-libertà ci accomuna, essenzialmente, a buona parte del Sudamerica, ad alcune regioni africane, all’Europa dell’est ed all’India.
Sono colorati in verde, invece, oltre al resto dell’Europa, gli Stati Uniti d’America, il Canada e l’Australia.
Insomma a guardare la mappa del mondo di Freedom house e, ancor di più, a guardare quella del Vecchio Continente e dell’Unione europea in particolare, ci si sente piccoli, piccoli in termini di libertà di informazione.
E’ una realtà — una delle tante — difficile da accettare.
Come è possibile, allo stesso tempo, voler essere considerati un Paese democratico ed avere così poca cura della libertà di informazione, indiscutibile pietra angolare della democrazia?
Ci sono poche cose, molto importanti, che vanno fatte subito se ci si vuole anche solo augurare che negli anni che verranno — la fine del 2015 è sfortunatamente troppo vicina — anche il nostro Paese possa essere colorato di verde sulle mappe di Freedom house.
Approvare subito — come inizia, per fortuna, a dirsi con insistenza — un Freedom of information act, chiudere la parodia del disegno di legge sulla diffamazione, depenalizzando per davvero la diffamazione e resistendo alla sciocca ed inopportuna tentazione di approfittare dell’occasione per imbavagliare l’informazione che corre sul web e, soprattutto, stabilire, una volta e per tutte, che ogni bit di informazione pubblicato online è democraticamente sacro e spetto solo ad un giudice ordinarne la rimozione.
Guido Scorza
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
ORE DI ORDINARIA FOLLIA
Lasciate ogni speranza, voi che proverete a ritirare gli accrediti per ‪#‎Expo2015‬. Procedure così erano difficili persino da concepire.
Nella ridente Pero, in una minuscola reception degli uffici Expo, si accalcano giornalisti in attesa del bramato pass.
I preziosi badge sono custoditi nelle segrete dei palazzi. Li recuperano volonterosi addetti stampa che sbucano ogni 10 minuti da una porta antincendio non oliata che emette un sibilo continuo e insopportabile.
Per averli bisogna dire il proprio nome e quello del giornale per cui si lavora a una receptionist (molto gentile, questo va precisato), che a sua volta li scrive a penna su un foglio bianco (sì, proprio così).
Per me, con nome e cognome storpiato dal primo giorno di vita, si aggiunge anche l’aggravante di quello della testata.
Praticamente un giro della morte. Dopo una divertente spelling “con la k? Con la h?. per favore mi scriva tutto lei perchè non capisco. Mi dica quando devo staccare la penna dal foglio. Per essere americana parla bene italiano… ” ne veniamo a capo.
Finalmente posso accalcarmi anche io ai tornelli degli uffici dell’Esposizione Universale in attesa dei miei accrediti.
Ci sono colleghi di grandi agenzie che devono ritirare 50 pass a testa.
Sono lì dall’alba e ancora non hanno concluso. La macchina sembra esserci inceppata. Tutti iniziano a gridare il nome delle loro testate.
Sembra Piazza Affari negli anni ’80, solo che al posto dei titoli ci sono i giornali. All’improvviso sbuca una delle responsabili e dice: “ma no, non avete capito, li cerchiamo per nome , mica per testata. Adesso vi do un foglio a testa e mi scrivete i singoli nominativi che dovete ritirare”.
Ci guardiamo tutti complici, vorremmo scatenare l’inferno, ma l’obiettivo finale non lo permette.
Bisogni andare dritti alla meta. Scriviamo tutti i nomi nostri e dei colleghi per cui abbiamo la delega “mi raccomando in stampatello sennò non capiamo”, c’è persino chi per la tensione dimentica il nome di battesimo di qualche collega e implora “provi con il cognome”.
La situazione migliora e i pass, pian piano, arrivano. Dopo quasi un’ora ho tra le mani il mio prezioso bottino. Forse sono pronta a unirmi alla protesta dei no expo.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
DABBASHI LANCIA L’ALLARME: “OCCORRE RIPRENDERE IL CONTROLLO DI TRIPOLI”
«Azioni mirate contro i barconi sono di difficile attuazione, occorre stroncare il traffico di esseri umani aiutando il governo legittimo a riprendere il controllo di tutto il territorio, coste e porti compresi».
Sentito da Palazzo di Vetro per La Stampa rilancia la sua sfida Ibrahim O. Dabbashi, ambasciatore libico alle Nazioni Unite e rappresentante dell’esecutivo di Tobruk, il quale si sofferma su un altro rischio quello di una «nuova pirateria» nel Mediterraneo.
Ambasciatore, mentre all’Onu si rilancia sulla necessità di una soluzione politica per la Libia, con un governo di unità nazionale, in Europa si profila in maniera sempre più nitida l’ipotesi di un intervento di forza per stroncare il fenomeno del traffico di esseri umani. Cosa ne pensa?
«Mi permetta di iniziare con una premessa, la questione dei migranti del Mediterraneo non è solo un problema dell’Europa ma della Libia. Questa situazione fluida nel nostro Paese, con le milizie che controllano la parte occidentale del territorio, e con molti tratti della costa fuori controllo, rappresentano un incentivo per i trafficanti».
Allora condivide la necessità di operazioni militari o di polizia?
«Il numero di persone in fuga dalla disperazione è in aumento ogni mese, non penso che misure di sicurezza, come il dispiegamento di unità navali o il rafforzamento di Triton possano risolvere il problema. Il fattore discriminante è stabilizzare la situazione politica in Libia, il punto è che il metodo con cui la comunità internazionale sta procedendo in questo momento non porterà da nessuna parte. L’embargo impedisce all’esercito libico di armarsi e quindi di estendere il controllo del governo legittimo sul resto del territorio».
Quindi nemmeno l’uso di droni di sorveglianza e raid mirati può funzionare?
«Non è così semplice individuare e distruggere i barconi prima che prendano il largo. Si tratta di imbarcazioni molto semplici che persone del posto costruirscono per 200 dollari, in cantieri clandestini, e rendono operative nel giro di una notte. Senza collaborazione da terra, senza informazioni di intelligence su chi gestisce questo traffico dubito che un’operazione militare, o di polizia che dir si voglia, possa funzionare».
Chi gestisce questi traffici?
«Sono persone che hanno legami con le milizie che controllano la parte occidentale del Paese. I porti sono quelli di Zuara e Homs, un centinaio di km ad est di Tripoli, tutti sanno che questi sono i principali hub. Sono criminali che hanno collegamenti con le milizie, versano a loro parte dei denari in cambio di protezione. Le milizie più forti di Tripoli potrebbero fermarli facendo pressione sui gruppi periferici, ma non lo fanno per avere il loro appoggio e il controllo territoriale».
Insomma servono informazioni all’origine, ma come si fa?
«Chi fa questi affari è ben conosciuto, anche dalla gente comune, tutti sanno. Se si va in questi porti, in un attimo si sa chi è che porta la gente in mare, si paga un minimo di mille dollari e nel giro di qualche giorno si parte. Il punto è che la gente del posto non vuole cooperare, hanno paura, sono collusi o sostengono le milizie che hanno tutto l’interesse a mantenere vivo il racket».
Quindi?
«Quindi serve un accordo con la Libia, ma solo quando in Libia il governo legittimo avrà il controllo completo del territorio. Ciò non si può ottenere tuttavia se continua a esserci l’embargo e in assenza di aiuto della comunità internazionale, in particolare delle forze aeree di cui avremmo bisogno per riprendere Tripoli».
Nel caso sareste pronti a collaborare con Italia ed Europa?
«Certo, avvieremmo subito una cooperazione, consentendo di operare sul nostro stesso territorio, perchè come dicono alcuni in Italia, il fenomeno va combattuto partendo dall’Africa».
Continua ad essere diffidente sull’operato di Bernardino Leon?
«Ci sono molti negoziati in corso, ma sta passando del tempo utile, se non si arriva alla stabilizzazione di cui parlavo si consentirà a queste persone disperate di imbarcarsi per tentare impossibili traversate che sempre più spesso si rivelano una condanna a morte. E questo dopo che hanno già sfidato il destino attraversando il deserto per migliaia di chilometri, prima di giungere in Libia. Il governo di unità nazionale, di cui si auspica tanto la nascita, rimane un miraggio, siamo noi di Tobruk che dobbiamo riprendere il controllo della capitale il prima possibile, altrimenti continuerà a dominare il caos».
Parliamo del fenomeno dei barchini, come quelli che hanno fermato un peschereccio italiano, a bordo ci sono uomini che si definiscono militari, a chi fanno capo?
«Sono unità fuoriuscite dalla vecchia Marina militare, supportati sovente da facoltosi uomini di affari di Misurata, persone che hanno miliardi di dollari e hanno anche l’appoggio delle milizie. Sono la banca centrale dei nuovi pirati e delle milizie stesse. Uno di loro è ben conosciuto si chiama Ali Dabaiba, controlla a vario titolo oltre cento società al di fuori della Libia. Gestiva i progetti pubblici nel Paese, ed aveva stretti legami con i figli di Gheddafi. Sta tentando di creare una sorta di esercito parallelo, con persone che operano in diversi teatri di guerra».
Dobbiamo temere la pirateria nel Mediterraneo?
«E’ la direzione dove stanno andando».
(da “La Stampa”)
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
BOCCIATO IL BLOCCO DELLA RIVALUTAZIONE DEGLI ASSSEGNI DA 1500 EURO IN SU… ORA TOCCA AL GOVERNO TROVARE I SOLDI
La Corte Costituzionale gioca un brutto scherzo al governo e ai conti pubblici e fa un regalo da 5 miliardi a una parte consistente dei pensionati italiani.
La Consulta ha infatti bocciato il blocco della rivalutazione degli assegni decisa nel 2011 dal governo Monti per gli assegni di importo superiore a tre volte il minimo Inps, cioè poco più di 1500 euro, restando in vigore negli anni 2012 e 2013.
In altre parole, i mancati aumenti decisi allora, e che hanno portato ad incassare pensioni più basse per due anni, sono stati giudicati illegittimi.
Si tratta della cosiddetta norma Fornero contenuto nel “Salva Italia”.
L’impatto sui conti pubblici, stimato dall’Avvocatura dello Stato quando si tenne l’udienza pubblica, sarebbe di circa 1,8 miliardi per il 2012 e circa 3 miliardi per il 2013.
Somma che quindi, verosimilmente, dovrà essere restituita ai pensionati.
E proprio l’ex ministro Elsa Fornero oggi ha commentato la decisione della Corte. “Non fu scelta mia”:ha detto, ricordando che fu una decisione “di tutto il Governo” presa per fare risparmi in tempi brevi.
“Vengo rimproverata per molte cose – ha detto – ma quella non fu una scelta mia, fu la cosa che mi costò di più”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
LA REGIA DI BRUNETTA E DEI BERSANIANI PREPARA LA SORPRESA PER IL VOTO FINALE SULL’ITALICUM DI LUNEDI: OPPOSIZIONI FUORI, MINORANZA DEM DENTRO
La scena dovrebbe essere questa.
Nella notte di lunedì (prossimo) seduti in Aula ci sono solo i deputati della maggioranza. Mentre tutte le opposizioni, fuori, urlano contro la “prepotenza e l’arroganza di Renzi”.
E dall’Aventino si appellano a Mattarella perchè “mai si è visto sulla legge elettorale una tale forzatura del governo”.
Dentro, nel voto segreto, compito della minoranza Pd è quello di “allargare” il numero dei contrari al provvedimento, oltre i 38 irriducibili.
Morale della scena: rendere plastica una situazione e un clima “senza precedenti”. Perchè senza precedenti è quello che è successo.
Ecco, è per proiettare questo film che i registi hanno cominciato a sentirsi in queste ore, dove i registi sono i capigruppo di Forza Italia Brunetta, quello di Sel Arturo Scotto, quello dei Cinque Stelle Toninelli e quello della Lega Fedriga.
Nel ruolo di regia della regia, i bersaniani duri, all’interno dei quali il mago dei numeri è unanimemente considerato Nico Stumpo.
L’ipotesi che le opposizioni facciano l’Aventino sul voto finale, mentre la minoranza resti in Aula a votare contro è assai concreta.
Anticipata già nella terza chiama sulla fiducia. In Aula, tra le opposizioni, ci sono solo i parlamentari di Fratelli d’Italia. il resto è fuori.
Una mossa, l’Aventino sul voto finale, che deriva da un moto di rabbia, dopo lo smacco di questi giorni, ma anche da un calcolo razionale.
Per capire il calcolo bisogna riprendere in mano il pallottoliere di quando sono state votate le pregiudiziali di costituzionalità . È lì che si capiscono molte cose.
Nel voto palese la maggioranza prende 360 voti, nel voto segreto 389. Significa che, nel voto segreto, Renzi può contare su un “soccorso”.
Anzi su un doppio soccorso: quello azzurro di Denis Verdini, che alla Camera conta 17 parlamentari, e quello di una pattuglia di Cinque Stelle.
È questa la sensazione di parecchi nel Pd: “A Grillo questa legge va bene, infatti ha fatto finta di fare opposizione. Ma quando gli ricapita una legge in cui ha il ballottaggio, dove può arrivare, e le liste bloccate?”.
Dunque, nel voto finale può accadere ciò che si è già verificato nelle pregiudiziali.
Nel voto palese di fiducia il governo si è attestato attorno a quota 350. Nel voto segreto rischia di salire.
E non ci vuole molta fantasia a immaginare i tweet di Renzi. Il combinato disposto di Aventino e voto contrario di un pezzo di Pd assume invece, secondo i ben informati, potrebbe far scendere la maggioranza sotto quota 350.
E soprattutto assume il significato di una dichiarazione di guerra, da parte della minoranza del Pd che sta gestendo l’operazione: “Ormai — dice un bersaniano di ferro — pure Bersani ha dismesso ogni prudenza. Quella dichiarazione in cui dice che la natura di Renzi non è una bella natura significa che si è passati dal conflitto politico all’odio antropologico”. Ed è solo l’inizio.
Unità di intenti sulle strategie d’Aula che potrebbe tramutarsi poi in un atto concreto fuori: promuovere una raccolta firme per dar vita a un referendum abrogativo sull’Italicum.
A lanciare per primi la proposta sono stati i grillini ma il fronte è destinato ad allargarsi, arricchendosi anche della presenza di Forza Italia e Sel.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
A VENEZIA NUMERO DUE ALLE COMUNALI DI FDI E’ UN ADERENTE A LIBERA DESTRA, NONCHE’ DIRIGENTE DELLA FONDAZIONE AN ED EX COORDINATORE DI FUTURO E LIBERTA’
Il suo motto alle elezioni comunali di Venezia è “metti il tuo voto in movimento”: non si può negare che Bruno Canella abbia scelto uno slogan che ben si addice ai suoi “movimenti” o meglio sarebbe dire spostamenti politici.
Infatti la sua vocazione “movimentista” l’aveva già portato da ex vice di Galan in Regione Veneto durante la VI legislatura a diventare coordinatore provinciale di Venezia per Futuro e Libertà .
Ora dopo quella esperienza, eccolo ricomparire come numero due nella lista lagunare di Fratelli d’Italia, in appoggio alla candidatura del’ex leghista Zaccariotto, anche lei redenta sulla via di Damasco.
Quello che lascia perplessi è che Canella risulti tra gli aderenti anche a Liberadestra, il pensatoio di Gianfranco Fini che più volte si è espresso in termini non certo lusinghieri nei confronti della linea politica della Meloni.
Come si possano condividere contemporaneamente due progetti diversi non ci è dato sapere: certo è, per fare buon peso, che Canella fa anche parte della Fondazione An grazie, pare, proprio all’interessamento dello stesso Fini.
D’accordo che, come recita il suo manifesto, è importante che “alcuni italiani non si arrendono”, ma per un elettore sarebbe interessante almeno capire su quale fronte Canella combatta questa battaglia, onde evitare di essere vittime di una schioppettata da “fuoco amico”.
Perchè non sarà in fondo rilevante, in questi tempi “movimentisti”, sapere quante tessere tenga in tasca un politico, ma almeno si avrebbe diritto a conoscere come la pensi e come si collochi.
Altrimenti si rischia come nelle figurine Panine di essere immortalati con la maglia di una squadra e poi finire il campionato in quella rivale.
E avrebbe buon diritto l’elettore a pensare che la politica sia in fondo un calciomercato senza più bandiere, ma solo banderuole.
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
RAZZI: “COS’E’? ME NE FREGO”…. ROTONDI: “SONO IGNORANTE”
La scena è questa: la giornalista Monica Raucci per La Gabbia (La7) interpella molti parlamnetari sulle differenze tra Triton, Mare Nostrum e regolamento di Dublino.
L’inviata intervista diversi esponenti politici proprio davanti a Montecitorio per sondare le loro conoscenze in merito.
Il bilancio è disastroso.
Tra i tanti, spicca il senatore di Forza Italia, Antonio Razzi, che cerca di dribblare la domanda, parlando in tedesco maccheronico.
Poi ammette: “Triton? Uascistass? E’ una parola difficile che a me non me ne può fregare, perchè non lo so“.
Altri politici rispondono di aver fretta perchè “si deve votare”, altri ancora confessano di non saperne nulla o di non ricordare.
E questi sarebbero coloro che dovrebbero risolvere il prolema dell’arrivo dei profughi nel nostro Paese, coniugando diritti e doveri.
Senza sapere neppure di cosa si tratta.
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