Aprile 2nd, 2015 Riccardo Fucile
LA PAITA HA BUON GIOCO: “LIGURIA SVENDUTA, MERCE DI SCAMBIO PER VENETO E CAMPANIA”….LA CANDIDATA PD: “AVEVO SCOMMESSO UNA BIRRA CON RIXI CHE ALLA FINE SI SAREBBE RITIRATO E HO VINTO”
Non è stato Silvio Berlusconi, ma Matteo Salvini, a scegliere Giovanni Toti come candidato
governatore della Liguria per il centrodestra.
Parola dello stesso segretario federale della Lega Nord. “Mi assumo l’onore e l’onere di questa scelta”, ha affermato il leader del Carroccio durante la sua visita al campo rom di via Chiesa Rossa, a Milano.
A dimostrazione che avevamo ragione noi nel sostenere da tempo che la candidatura di Rixi a governatore della Liguria era solo un bluff concordato tra i due per poter “trattare” l’appoggio di Forza Italia in Veneto, unica regione che sta veramente a cuore al leadr leghista.
Su Toti da tempo c’era l’accordo e Rixi ha solo dovuto rinunciare a quello che in realtà non aveva alcun interesse ad ottenere: in tal modo ha acquistato per trenta giorni visibilità sufficiente per farsi rieleggere in consiglio regionale con relativo stipendio.
Chi aveva compreso il gioco non sono tanto gli elettori leghisti che ancora stanno a protestare, ma anche la candidata Pd Raffaella Paita che aveva scommesso con Rixi una birra il 12 febbraio: “Scommetto una birra sul fatto che Edoardo Rixi si ritirerà . Se resta candidato gliela offro io, se cede me la offre lui”.
Oggi la Paita ha buon gioco ad attaccare Toti: “Liguria svenduta, merce di scambio per Veneto e Campania. Ora il quadro è finalmente chiaro: c’è una partita tra chi ha un progetto per il bene della nostra terra e chi la usa come merce di scambio per logiche politiche nazionali, distanti da noi”.
Anche l’attuale presidente della Regione Liguria Claudio Burlando ironizza sulla scelta di Giovanni Toti: “Volevano deburlandizzare la Liguria e si sono fatti desalvinizzare da uno che non sa che Novi Ligure è in Piemonte”.
Il gioco di Salvini e Rixi di aver gabellato l’elettore di centrodestra ora però potrebbe costare caro alla Lega: sempre che la base leghista capisca in tempo di essere stata presa per i fondelli.
Il che non è detto.
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Aprile 2nd, 2015 Riccardo Fucile
“LE REGIONALI? IO LA FACCIA NON CE LA METTO”… E IN PUGLIA FORZA ITALIA RISCHIA DI NON ENTRARE IN CONSIGLIO REGIONALE
Rosso nel volto: “Fitto non me lo devi neanche nominare, io non lo voglio più vedere nè sentire. Che faccia quello che vuole”. Questa la risposta.
Davanti a Berlusconi c’è un attonito Denis Verdini.
Mercoledì pomeriggio a palazzo Grazioli. Per un’ora il mago dei numeri gli ha spiegato che, avanti così, si avvicina il big bang di Forza Italia: “Silvio, io dico solo questo. Per i sondaggi stiamo al 12, e la Puglia e la Campania sai quanto valgono? Il tre per cento: se non teniamo lì andiamo sotto al dieci”.
La fine appunto. Berlusconi, raccontano quelli che ci hanno parlato, non ne vuole sapere di Fitto.
Ma più in generale non ne vuole sapere delle regionali: “Andrà male e io la faccia non ce la metto. Poi dopo, rifonderemo…”.
Parole pronunciate senza neanche tanta convinzione. Sono tante le ragioni del disimpegno, la principale è che gli avvocati suggeriscono prudenza.
Perchè è vero che i servizi sociali a Cesano Boscone sono finiti, ma manca ancora l’attestato di fine pena da parte del tribunale di sorveglianza, che arriva entro tre mesi dalla fine dei servizi sociali.
Ecco, meglio evitare comizi e comparsate perchè, si sa, all’uomo quando è in vena parte la frizione se pronuncia la parola giudici.
Ci sono colloqui che spiegano tutto. Quello con Verdini, che quasi gli viene da bestemmiare a sentire le risposte di Berlusconi.
Perchè in Puglia sta succedendo di tutto.
Il candidato, tal Schittulli, ha detto con brutalità meridionale a Toti: “Voglio liste forti e una lista di appoggio di Fitto, con la società civile e nuovi candidati”.
Altrimenti, pure lui saluta la compagnia, lascia Forza Italia e corre sostenuto da Fitto che è ancora una macchina di voti.
Con un dettaglio, che i ras delle preferenze pugliesi spiegano: “Forza Italia senza Fitto, con una sua lista accanto, non prende l’otto per cento e rischia di non entrare in consiglio regionale”. Chissenefrega della Puglia, dice Berlusconi.
A costo di non entrare in consiglio regionale.
E c’è già chi parla di “grande liquidazione”. Quella di Forza Italia è in atto. Ma non è l’unica. L’altra faccia dell’Impero è il Milan.
I colloqui della dismissione, in questo caso si sono svolti ad Arcore. Più volte Berlusconi ha incontrato i cinesi per vendere il Milan: “Serve ancora un po’ di tempo per limare i dettagli” ha ripetuto l’ex premier, ma la direzione è segnata.
Sono in atto un paio di “due diligence” dei conti del Milan in questi giorni: la prima è quella di Bee Taechaubol mentre in questi giorni sarebbe spuntata anche una seconda cordata cinese. Entro fine mese, al termine delle due diligence, arriva l’offerta e si vedrà se sarà venduto il 75 per cento del Milan o il 35.
È chiaro però che la trattativa porta, anche in questo caso, al disimpegno.
Vent’anni di berlusconismo e di conflitto di interessi insegnano che l’indole profonda dell’uomo resta sempre quella del padrone che, per quanto abile e anche geniale, è incapace di concepire un progetto di paese, di politica, di centrodestra, scisso dal proprio profitto politico o imprenditoriale.
Ora, consapevole che non vincerà mai più, come tutti i padroni Berlusconi liquida Forza Italia.
E avvia le pratiche per i licenziamenti.
Nel Palazzo raccontano la solita storia del vecchio leader che non ci sta con la testa, circondato da “badanti” che lo avrebbero pressochè interdetto.
“Colpa del cerchio magico” dicono quelli che ormai si sentono fuori dalle liste.
“Colpa della Rossi”, il coro. La verità è che la povera Rossi, oggetto ormai quasi di macumbe collettive, è solo il commissario liquidatore di Forza Italia per nome e per conto di Berlusconi. Come qualunque imprenditore, ci deve essere qualcuno che ha l’ingrato compito di licenziare i dipendenti per conto del capo, prendendosi strali, pianti e insulti.
Ma, a ben vedere, proprio le uscite della Rossi sono significativamente le più politiche degli ultimi mesi. Dopo le sue parole, la direzione di Forza Italia è cambiata, come succede quando le parole sono pronunciate da un leader.
In un partito in cui ognuno dice quello che vuole, le sue hanno inciso e anticipato eventi e cambi di rotta.
Quando accusò il duo “tragico” di Verdini e Letta, si ruppe il Nazareno e Forza Italia non votò Mattarella. Ora ha diramato la circolare per stabilire il tetto dei tre mandati, che ha fatto infuriare la vecchia guardia.
Il licenziamento appunto. Uscite, pensate concordate e benedette dal Capo, che sarà pure ammaccato, non è certo inquadrabile nella categoria di “vecchio rimbambito”.
Ecco, c’è molto di consapevole in questo tramonto del berlusconismo gestito da imprenditore più che da eroe romantico, all’insegna della spending review di centralisti a San Lorenzo in Lucina, collaboratori e dipendenti, tra cui i parlamentari, più che della ricerca della bella morte sul campo, in un’ultima eroica battaglia.
A chi lo ha sentito in questi giorni l’ex premier ha detto: “Dopo le regionali faremo i ‘Repubblicani’. In tutto il mondo ci sono i Democratici da un lato, i Repubblicani dall’altro. Noi proviamo a riscostruire il centrodestra sulla base di questo schema”.
Una certezza, però, a costo zero. L’azienda dismette.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 2nd, 2015 Riccardo Fucile
EX AN, EX PDL, EX NCD, ORA” BARBARA SALTAFOSSI” E’ APPRODATA “COERENTEMENTE” DA SALVINI
Pubblichiamo l’intervista rilasciata da Barbara Saltamartini a “il Tempo” in
data 28 luglio 2014, appena otto mesi fa. Potete constatare cosa diceva della Lega di Salvini, partito a cui ha aderito ieri con squilli di fanfare.
Barbara Saltamartini, portavoce nazionale del Nuovo Centrodestra, si gode l’unità ritrovata sabato dal partito e piazza i paletti per il rilancio del dialogo con Forza Italia: «La Lega di oggi è su posizioni antieuropeiste e lucra sugli immigrati per qualche voto in più: il futuro del centrodestra, invece, va costruito sulla responsabilità ».
Onorevole Saltamartini, Ncd è tornata compatta o è solo una tregua di facciata?
«Ncd è unita sulla linea indicata da Alfano. Una linea chiara, che non lascia spazio ad ambiguità : costruire un altro centrodestra, non un centro, con tutte le forze popolari-riformiste che guardano al bene del Paese e poi agli interessi di parte».
Per alcuni la condizione sine qua non per il dialogo è il passo indietro di Berlusconi.
«Il tema della leadership è sicuramente importante e sono fermamente convinta che lo strumento migliore sia quello delle primarie di coalizione affinchè siano i cittadini a scegliere. Ma accanto a questo c’è la necessità di individuare il progetto e capire chi può rappresentarlo. Per noi il punto centrale è capire se FI vuole continuare sulla linea, perdente, dello scorso autunno cedendo agli estremismi, o se crede alla linea della responsabilità e credibilità che ha scelto Ncd. E se Berlusconi vuole contribuire alla costruzione di un altro centrodestra, perchè il vecchio non esiste più. E io rivendico, a 41 anni, il dovere di una generazione di prendere con orgoglio in mano il destino di questa aggregazione e guardare finalmente al futuro».
In teoria ci sono mille giorni di tempo. Credete davvero che il governo duri tanto?
«La durata è quella indicata da Renzi per portare a termine le riforme. Che poi sono il motivo per cui noi siamo in maggioranza: dare il via libera a una grande stagione di riforme per far ripartire l’Italia. Peraltro, il nostro apporto è decisivo, come dimostra il voto al senato sul dl competitività ».
Non è che Alfano, col richiamo all’articolo 18, pensa già alla campagna elettorale?
«No, risponde alla necessità di rimarcare sempre di più la nostra identità nel governo. Che si basa sui quattro punti tracciati sabato: choc fiscale, superamento del tabù articolo 18, burocrazia zero e riforma della giustizia. Su questi temi vogliamo essere la spina nel fianco del governo».
Come terminerà la partita delle riforme istituzionali?
«Non è dirimente che vengano approvate ad agosto o settembre. L’importante è che si facciano, perchè gli italiani col voto alle Europee ci hanno chiesto un segnale di cambiamento. Spero che gli esponenti di Pd e FI che hanno espresso perplessità non usino il voto segreto per bloccare il processo».
(da “il Tempo”)
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Aprile 2nd, 2015 Riccardo Fucile
IL “SISTEMAMOGLI” ULTRAPROTETTO IN VISITA MEDIATICA AL SOLITO CAMPO ROM RIESCE A SUSCITARE LA REAZIONE SOLO DI UN MAIALE
Il segretario della Lega Nord Matteo Salvini ha visitato il campo rom di via della Chiesa rossa, nella periferia Sud di Milano.
A un certo punto ha notato un grosso maiale, di colore scuro, che grufolava in un prato davanti a un capannone e ha chiesto al compagno di partito Alessandro Morelli di scattargli una foto con l’iPad.
Il maiale, però, non ha gradito le «attenzioni» del segretario leghista e gli si è girato contro.
Oltre al maiale, il leader del Carroccio ha passeggiato tra le case dei nomadi scortato da imponenti forze dell’ordine, non risparmiandosi commenti sullo stato delle abitazioni e sulla loro abusività .
Contestato di tanto in tanto da alcuni abitanti del campo, il leader leghista si ferma a sorpresa a chiacchierare con Aldo, uno degli uomini che vivono nel campo con la loro famiglia, che lo invita ad entrare in casa sua poichè “non siamo in guerra”.
“Ci sono bambini? Vanno a scuola?”, chiede Salvini.
Aldo rassicura il leader della Lega e ribatte dicendo che “molti abitanti del campo lavorano e hanno famiglia, non è vero che tutti sono pregiudicati”.
Salvini scherzando propone di far “scambio” di abitazione, ma poi si corregge: “Certo, qua il vicinato sarebbe un po’ effervescente”.
Il leghista ha poi notato che tutte le baracche sono “esentate dal pagare l’IMU”, cosa a cui Aldo ha risposto ” è tutto regolare, l’IMU non deve essere versata perchè si tratta di una casa mobile. Però se vuole possiamo fare cambio di appartamento…”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 2nd, 2015 Riccardo Fucile
ELETTORI LEGHISTI E DI CENTRODESTRA SI STRACCIANO LE VESTI PER L’INCIUCIO SALVA-VENETO: NON HANNO ANCORA CAPITO DI ESSERE STATI PRESI PER IL CULO…C’E’ PURE CHI CREDE CHE AVREBBERO POTUTO VINCERE CON L’INQUISITO DEL RIXI-BAR…E ADESSO DECINE DI PROFUGHI ANNASPANO IN CERCA DI UN SALVAGENTE
Giornata memorabile in Liguria dopo l’ufficializzazione di quello che si sapeva da un mese: Salvini
ha usato la candidatura di bandiera di Rixi a governatore della Liguria, così come la minaccia di presentarsi in Campania, solo per poter ottenere in cambio l’appoggio di Berlusconi nel pericolante Veneto, regione che non può permettersi di perdere o gli salta la segreteria.
L’operazione, non a caso, è stata affidata in prima persona a un “impresentabile”, attualmente indagato per peculato (tre consiglieri leghisti su tre lo sono) che ha come unico obiettivo quello di essere confermato consigliere a 8.800 euro al mese e che vive di politica come Salvini da 15 anni.
Obiettivo che non raggiungerebbe se la coalizione di centrodestra, come da pronostici, arrivasse terza, in quanto il regolamento ligure prevede che il candidato governatore che arriva terzo non viene eletto, anche se la la sua lista ottiene dei consiglieri.
Oggi, portata a termine l’operazione, leggiamo sui social e sulla stampa di una “rivolta del popolo leghista” (e non solo) contro la scelta di Salvini di “vendere la Liguria per il Veneto”, di aver fatto l’inciucio con Berlusconi a scapito dei liguri, come se tutti cascassero dal pero.
Ma quanto ancora ci vorrà per capire che era già stato tutto studiato a tavolino e che sono stati presi per il culo?
Non solo, c’è chi farnetica: “abbiamo consegnato la Liguria alla sinistra”
Ma pensavate che, con un candidato inquisito per peculato, il centrodestra unito sarebbe mai arrivato oltre il 25%?
E’ questa la destra della legalità ?
Ma vi rendete conto che una grossa fetta di elettorato di centrodestra piuttosto che votare un leghista voterebbe la candidata grillina o se ne andrebbe al mare?
La scelta di Toti paracadutato in Liguria è la dimostrazione plastica di quanto a Berlusconi e Salvini interessino le sorti della nostra Regione, altrimenti avrebbero optato per un credibile candidato locale.
O avrebbero a suo tempo individuato una personalità fuori dalle logiche di area che potesse sottrarre voti a sinistra.
Fantapolitica per una classe dirigente di paraculi, interessati solo a mantenere una poltrona e uno stipendio.
E non a caso oggi ci sono tanti profughi che annaspano in mare in cerca di salvezza, con spostamenti da una lista ad un’altra (le famose liste per Rixi presidente, rimaste senza candidato).
Se tutti costoro si unissero potrebbero davvero presentare il Movimento Paraculo, con buone sponde nei salotti e in qualche testata giornalistica.
In ogni caso, un dato è acquisito: la destra ligure, dopo aver rischiato di dover votare per un indagato, ora potrà votare per un cittadino di Novi Ligure incensurato.
L’unica variabile potrebbe arrivare da Enrico Musso, prossimo a gettarsi nella mischia con la sua lista civica che potrebbe sparigliare le carte.
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Aprile 2nd, 2015 Riccardo Fucile
SUL “FOGLIO” LA METAMORFOSI FIORENTINA DI PALAZZO CHIGI
Sono arrivati quelli di Firenze. Tra ministeri, partecipate, segreterie, gli uomini di Matteo Renzi sono arrivati a Roma e hanno preso il potere nei Palazzi che contano, nei Palazzi del Potere. Palazzo Chigi è diventato Palazzo Vecchio.
È quanto emerge da un ritratto fatto dal Foglio che fa un lungo elenco degli uomini fidati del premier arrivati nei posti di comando, parlando appunto de “l’arrivo di ‘quelli di Firenze’, laddove Firenze è un concetto geopolitico, ancor prima che strettamente municipale, e capiamo che per qualcuno possa essere anche estensivo”.
Soprattutto in tempi di rimpasto, con nomi di provata fede renziana che vedono crescere le loro quotazioni come futuri sottosegretari, ultima in ordine di tempo Antonella Manzione, già capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi: “E con l’addio di Graziano Delrio a Palazzo Chigi, se verrà confermato, il cerchio si chiude e l’esportazione della democrazia di Palazzo Vecchio a Palazzo Chigi è praticamente completa”, scrive David Allegranti.
È arrivato dunque il giglio magico, degno successore della Corte di Arcore,, del tortellino magico, del cerchio magico bossiano e di tutti i migliori clan della storia repubblicana, quello con i soliti luca Lotti, Maria Elena Boschi Francesco Bonifazi, che reggono i petali del fiore e custodiscono il pensiero autentico del renzismo, e con tutti gli altri a fare da contorno. Una generazione di consiglieri comunali, assessori, politici di provincia che si sono trovati dentro il Palazzo dopo aver assaltato e sconfitto la vecchia dirigenza.
Trenta-quarantenni che costituiscono la componente meno moderata della loro generazione, perchè l’altra, quella dei girondini alla Enrico Letta, stava lì ad aspettare.
I girondini sono quelli che hanno aspettato con pazienza, scrive Giuliano da Empoli, consigliere politico di renzi, suo ex assessore ai tempi della giunta fiorentina, oggi presidente del Gabinetto Vieusseux, che “arrivasse il loro turno quelli che in fondo la rivoluzione non l’hanno mai voluta perchè sapevano che prima o poi la chiamata dall’alto sarebbe arrivata”.
Il Foglio enumera quindi i tanti uomini vicini a Renzi ora passati nell’Italia che conta, quella renziana appunto.
Come il paparazzo Tiberio Barchielli, direttamente da Rignano sull’Arno, titolare del sito Gossip Blitz, che fa le foto istituzionali.
Quelle “poco” istituzionali le fa invece il portavoce del premier Filippo Sensi che le diffonde sul suo profilo instagram.
C’è poi il tuttofare Franchino, Franco Bellacci, che accompagna Renzi da quando si era in Provincia, e che da allora gli organizza il lavoro e sta dietro le quinte della Leopolda.
Ancora, c’è Eleonora Chierichetti, “storica segretaria di Renzi – storica nonostante la giovane età : è del 1982- che segue il presidente del Consiglio da quando era presidente della Provincia di Firenze”.
Poi c’è Luca Lotti, Il braccio ambi-destro di Renzi, l’unico autorizzato a parlare in nome del capo, l’unico che se-parla- è-come-se-parlasse-Lui.
E a Palazzo Chigi, se Delrio farà un passo verso il ministero, a parlare oltre a Renzi, sarà solo lui. E ancora.
C’è Pilade Cantini, comunista romantico, ex assessore di Rifondazione Comunista negli anni Novanta a San Miniato, la cittadina di cui è originario, in provincia di Pisa, addetto alla corrispondenza con i cittadini per conto del premier e in libreria con un volume il cui titolo dice già parecchio sull’autore: “Piazza rossa. La provincia toscana ai tempi dell’Urss”.
C’è Giovanni Palumbo, già capo di gabinetto a Firenze, oggi capo della segreteria tecnica a Palazzo Chigi.
E Filippo Bonaccorsi, fratello di Lorenza (lei responsabile nazionale Cultura del Pd ex presidente di Ataf, ex assessore ai trasporti a Palazzo Vecchio e oggi capo della struttura tecnica di missione che segue il piano del governo per l’edilizia scolastica.
C’è poi Erasmo D’Angelis, già presidente di Publiacqua, del cui cda ha fatto parte che la Boschi, oggi capo struttura di missione per il dissesto idrogeologico, dove si è portato anche Mauro Grassi come direttore, ex dirigente della Regione Toscana, e Francesco Di Costanzo come portavoce.
E da Publiacqua viene anche Alberto Irace, che pure non fiorentino di nascita, amico del ministro Boschi, oggi capo della romana Acea.
C’è Antonello Giacomelli, pratese, giornalista, già capo della segreteria politica di Dario Francdeschini, che come portavoce ha Giovanni Cocconi, ex vicedirettore di Europa, parmigiano ma fiorentino d’adozione.
Poi c’è lei, la sceriffa, Antonella Manzione, un tempo famosa per aver presentato l’esposto contro l’ex sindaco italoforzuto di Pietrasanta Massimo Mallegni che dette il via alla sarabanda di indagini e inchieste che poi risolsero nel nulla.
Oggi dirige il Dipartimento affari giuridici e legislativi a Cigi ed è stata comandante dei vigili urbani di Firenze nonchè direttore generale di palazzo Vecchio.
In Versilia, dove ha studiato, ci sono compagni di scuola che se la ricordano parecchio cattiva. E’ sorella di Domenico Manzione, sottosegretario all’Interno già nel governo Letta.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 2nd, 2015 Riccardo Fucile
PAGINATE PER I 79 MILA NUOVI POSTI, IN PICCOLO LA NOTIZIA CHE NON ESISTONO…. E COSàŒ PER IL PIL, LA SCUOLA, L’EXPO
Ben ultima è arrivata la figuraccia del ministro del Lavoro Giuliano Poletti, costretto nel giro di
pochi giorni a una clamorosa retromarcia.
Ma l’abitudine di sparare dati incompleti per incassare titoli a effetto sui giornali è ormai la cifra distintiva del governo di Matteo Renzi.
Il motivo è semplice: nessuna smentita, anche la più autorevole, avrà poi lo stesso spazio sulla grande stampa.
Così, in 13 mesi di governo, la lista delle “sparate” è cresciuta di giorno in giorno. Eccone un breve bestiario.
Lavoro, dato (falso) buono scaccia dato negativo
Magnificare gli effetti del jobs act genera strafalcioni. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ne ha commessi diversi in pochi mesi. Il 29 novembre, per coprire il tonfo degli occupati certificato dall’Istat, parla di “400 mila nuovi contratti stabili”. Fioccano i titoloni.
Si scorda, però, di comunicare quelli cessati, operazione che fa il suo ministero pochi giorni dopo, il 3 dicembre: sono 483 mila.
Il saldo negativo supera così le 80 mila unità , ma nessun giornale lo riporta. Pochi giorni fa, per mascherare il calo del fatturato industriale a gennaio, ha parlato di “79 mila contratti stabili in più a gennaio-febbraio rispetto al 2014”.
Il tripudio è inevitabile: “Premier: dati sorprendenti. È il segnale che il paese riparte” (Corriere); “Boom dei contratti stabili, in due mesi salgono del 38%” (Repubblica), “Lavoro, è boom di nuovi posti” (Messaggero), e così via.
Neanche stavolta è vero, è lo stesso Poletti a smentirsi pochi giorni dopo: considerate le cessazioni, i contratti stabili sono invece 45 mila, buona parte dei quali stabilizzazioni di contratti precari (l’80%) per accaparrarsi i generosi incentivi. Poletti ha provato a rilanciare spiegando che gli 1,9 miliardi stanziati dal governo produrranno però “un milione di posti di lavoro”. Neanche questo è vero, lo ha spiegato bene ieri la Fondazione dei consulenti del lavoro: per arrivare alla cifra di Poletti servono 4,7 miliardi, all’appello ne mancano quindi quasi tre. Poi ci si mette anche l’Istat a sbugiardare il governo: a febbraio ci sono 44 mila occupati in meno e 23 mila disoccupati in più.
La ripresa sui giornali è già partita, fuori non tanto
Ad aprile dell’anno scorso le previsioni del duo Renzi/Padoan dicevano +0,8% nel 2014, +1,3% nel 2015.
Poi s’è visto che in realtà il Prodotto interno lordo, nel 2014, è calato dello 0,4% e quest’anno — secondo l’ultima stima dello stesso governo — salirà solo dello 0,7%. Forse la “ripresa col botto” annunciata dal premier a settembre se la sta prendendo comoda .
Non sui giornali, comunque, dove viene annunciata con grande regolarità : in questi giorni, per dire, si è magnificato l’aumento della fiducia di consumatori e imprese a marzo con grandi titoli, mentre meno spazio è stato dedicato a due statistiche uscite nello stesso giorno (contrazione di fatturato e ordinativi per l’industria).
Confindustria s’è addirittura inventata un aumento della produzione industriale a febbraio che poi ha dovuto smentire dopo la pubblicazione del dato Istat.
A volte si raggiunge la psicosi: per Confcommercio, ad esempio, i consumi nei prossimi mesi saranno trainati dall’aumento degli occupati e dunque del reddito disponibile. Anche questa previsione è finita sui giornali, solo che l’aumento degli occupati non esiste.
Infine c’è l’Ocse, l’ente da cui proviene il ministro Padoan e che è riuscito a sbagliare tutte le previsioni a sei mesi fatte negli ultimi anni: secondo loro, se si fanno “le riforme”, il Pil italiano crescerà del 6% in più nei prossimi 10 anni. Bum.
Expo, solo adesso ci si accorge dei ritardi
“I lavori finiranno in tempo”, scriveva il Corriere a luglio 2014, riportando testimonianze raccolte nei cantieri Expo.
“Ce la faremo anche se correndo” diceva Matteo Renzi all’Ansa, a inizio marzo.
Già in quel momento, però, solo il 18 per cento delle opere era completo, la base dei padiglioni non era finita e l’azienda addetta alla pulizia dell’area comunicava che la bonifica sarebbe stata completata solo il 26 giugno.
Poi ancora l’assenza del presidente della Repubblica Mattarella all’inaugurazione del 1 maggio, il cantiere senza acqua, fognature ed energia.
E l’ammissione dei tecnici: è probabile che non si riesca ad aprire in tempo neanche uno dei sei piani del Padiglione Italia (lo stesso coinvolto nell’inchiesta fiorentina sulle Grandi Opere per l’appalto all’Italiana Costruzioni).
“A un mese dal via”, titolavano ieri i giornali parlando dei ritardi. Ma potevano accorgersene molto prima.
Precari della scuola: tutti assunti, anzi no
Se non ci sono numeri reali da cavalcare, se ne possono sempre dare in pasto alcuni virtuali: “Precari della scuola tutti assunti, entrano in 150 mila”.
Si era a settembre, e il governo si guadagnava le prime pagine con una promessa choc.
Di quell’impegno, messo nero su bianco nel documento di riforma “La buona scuola”, è rimasto poco.
A entrare saranno — se tutto va bene — in 100.701, mentre restano fuori 47.399 precari “storici” iscritti alle graduatorie a esaurimento (Gae) di cui 23 mila della scuola dell’infanzia, messi in attesa di un fantomatico progetto di riorganizzazione delle scuole materne da realizzare con i Comuni.
Saltata l’ipotesi decreto, Renzi ha optato per un disegno di legge, già rallentato dalle audizioni, e che rischia seriamente di non vedere la luce in tempo per provvedere alle assunzioni a settembre. Se così fosse, nel 2015 saranno solo 50 mila.
L’epica battaglia per lo zero virgola: Matteo e l’Europa
Per mesi sui giornali si è parlato del semestre europeo (nessun risultato) e pure dell’epica lotta di Renzi per la “flessibilità ” con quei cattivi dei tedeschi.
“È l’addio al Fiscal Compact”, si leggeva su Repubblica a proposito del rinvio del pareggio di bilancio al 2017.
Alla fine quel che è stato concesso al governo italiano — che proponeva di scorporare le spese per investimenti dal Patto di Stabilità — è stato di correggere il deficit strutturale dello 0,1% in meno del previsto.
E sforare il 3 per cento? Renzi, in un’intervista al Fatto del gennaio 2014, disse che “certo che si può sforare: è un vincolo anacronistico”. Ora non ne parla più.
80 euro, “i gufi smetteranno di gufare”. Impatto? 0,0%
Ad aprile il governo approva il bonus da 80 euro per i lavoratori dipendenti con redditi fino a 24 mila euro (con estensione a 26 mila, ma a scalare).
Fioccano editoriali entusiasti sulla “prima grande inversione di rotta”: “I gufi, almeno per un po’, smetteranno di gufare”, si legge su La Stampa. “I consumi saliranno di 3,1 miliardi”, si affretta a spiegare Confesercenti.
Cifre addirittura superiori per la Cgia di Mestre. Entrambe riprese da tutti i giornali. Quasi nessuno, però, si premura di far notare che è lo stesso governo a credere poco nello strumento. Nel Documento di economia e finanza di aprile 2014, per dire, mette infatti nero su bianco che l’effetto sui consumi sarà dello 0,1 per cento. Dopo va anche peggio.
Il flop viene certificato mese dopo mese dall’Istat che descrive il coma profondo della spesa delle famiglie. Stavolta, però, nessun editoriale lo commenta.
A gennaio scorso, la stroncatura: di quanto è cresciuta la domanda interna? Secondo l’Istat, nel terzo trimestre del 2014, dello 0,0 per cento.
Le province abolite e quel miliardo di “risparmi”
Graziano Delrio lo ha ribadito da ultimo neanche un mese fa su Qn: con la riforma delle Province “in Finanziaria è calcolato un miliardo di euro di risparmi nel 2015, grazie al riordino delle competenze e alla fine delle sovrapposizioni di servizi con altri enti”. In realtà , il miliardo di risparmi è un semplice taglio lineare ai trasferimenti e questo nonostante le province continuino a riscuotere gli stessi tributi (un pezzo di Rc auto, trascrizioni al Pra, addizionali in bolletta).
Delrio poi sostiene pure che lo Stato si tiene in tasca 160 milioni di stipendi dei politici, ma la Corte dei Conti ne ha contati solo 34. Infine c’è il caos per cui non si sa ancora chi fa cosa tra regioni, comuni e rimasugli delle province (il processo è in enorme ritardo), nè è chiaro che fine faranno i 20 mila dipendenti.
Carlo Di Foggia, Marco Palombi, Virginia Della Sala
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 2nd, 2015 Riccardo Fucile
IL PRESUNTO BOOM DI ASSUNZIONI NON E’ MAI ESISTITO
Solo un pazzo o un campione di malafede può dare a Renzi la colpa dell’ennesimo aumento dei disoccupati, figlio di decenni di politiche demenziali, talvolta criminali, sia sul mercato del lavoro e delle pensioni, sia sulle destinazioni della spesa pubblica. Dalla legge Treu del 1997 alla legge 30 del 2003 (abusivamente attribuita a Marco Biagi ormai defunto) alla legge Fornero del 2012, ci è sempre stata spacciata l’equazione “più flessibilità uguale più posti di lavoro”.
Intanto i posti di lavoro scendevano perchè c’era sempre meno lavoro da dare a lavoratori sempre più flessibili, ma sempre più inutili: a causa dell’incapacità dei cosiddetti manager delle aziende italiane, delle gimkane burocratico-fiscali, e della crisi globale.
La colpa di Renzi — l’abbiamo scritto fin dall’inizio — è stata una sola: sbagliare completamente l’agenda delle priorità del suo governo, facendosela dettare dalla Confindustria (dai cui diktat copiò il Jobs Act), dalle solite bande d’affari (dai cui memorandum plagiò le controriforme del Senato, della legge elettorale e della giustizia) e dalla propaganda elettorale (i cosiddetti “80 euro”, che poi 80 non sono quasi per nessuno, costano 10 miliardi all’anno e non hanno smosso i consumi di uno zero virgola).
Poi ha creato attese messianiche, promettendo che le mirabolanti “riforme” (parola magica che ha ormai assunto una vita propria, autodimostrandosi e autoinverandosi a prescindere dal contenuto delle medesime) avrebbero “fatto ripartire l’Italia”, portandola “fuori dalla crisi”: investimenti, occupazione, crescita.
Come se un Senato tutto di nominati e una Camera per i 2/3 di nominati, più il taglio delle ferie ai magistrati e la libertà totale di licenziamento fossero in grado di aumentare, come per incanto, gli ordinativi alle aziende, e dunque le assunzioni. Nell’ultima settimana non c’era giorno nè giornale nè telegiornale senza almeno un titolo sul “boom dei contratti stabili fra gennaio e febbraio”, sui “79 mila nuovi posti fissi”, sull’Italia che “riscopre la fiducia”, manco fossimo nei primi anni 60, con commenti strombettanti di premier, ministri, sottosegretari e sottopancia sulla “svolta buona” e la “fine della crisi”. Magari.
Intendiamoci, il dato numerico anticipato dal ministro Poletti anticipando cifre ancora mai pubblicate, era parzialmente esatto: nei primi due mesi dell’anno le aziende, incentivate dai contributi statali — 8 mila euro per ciascun nuovo contratto a tempo indeterminato — hanno stabilizzato un po’ di precari e assunto un po’ di disoccupati prima che si esaurissero le riserve del bonus.
Già sapendo che il nuovo contratto a tempo indeterminato consente loro di arraffare gli 8 mila euro ad assunto e poi di licenziarlo fra un anno senz’articolo 18.
Quindi i nuovi contratti “stabili” sono spesso ancor più precari di quelli ufficialmente precari.
Ma soprattutto il dato di 79 mila contratti finto-stabili fra gennaio e febbraio (che poi si sono scoperti essere 45.703, in gran parte ex contratti precari stabilizzati, non nuovi posti di lavoro), mancava del suo naturale contraltare: quello dei lavoratori che, nello stesso bimestre, hanno perso il lavoro.
I giornaloni e i tg dell’ottimismo obbligatorio si erano scordati giusto questo piccolo dettaglio: per vedere se l’occupazione cresce o cala, devi contare sia chi il lavoro lo trova sia chi lo perde, e poi fare la somma.
Altrimenti è come stimare la popolazione annua contando solo i nati e scordandosi i morti.
L’altroieri l’Istat ha comunicato che a febbraio l’Italia ha registrato 44 mila occupati in meno (perlopiù donne) e 23 mila disoccupati in più (+0,7%) rispetto a gennaio. Così il tasso di disoccupazione sale al 12,7% (+0,2, con un +2,1 di disoccupati) rispetto a un anno fa, quando nacque il governo Renzi.
Da allora, mentre il premier e i trombettieri annunciavano continuamente centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, e i Farinetti e i Velardi andavano in tv a vantare falangi di neoassunti grazie alle “riforme”, l’Italia ne perdeva altri 67 mila: quasi 6 mila al mese e 200 al giorno.
Non è tutta colpa del Jobs Act, che è appena entrato in vigore.
Ma è stato il governo, cioè Renzi visto che parla solo lui, a spacciare le nuove assunzioni come un effetto prodigioso della sua legge: ora che arriva il saldo finale negativo, spetterebbe a lui ammettere che è anche colpa del Jobs Act.
Lo farà ? C’è da dubitarne, anche perchè — a parte Il Fatto, Il Sole 24 Ore e La Stampa — ci vuole il microscopio elettronico per trovare la smentita alle cifre sballate di una settimana fa sulle prime pagine dei giornali “indipendenti”.
Il Foglio le maschera sotto un titolo esilarante: “Calma col disfattismo, ma un Pil così floscio non crea occupazione”: fino all’altro giorno magnificava gli effetti balsamici del Jobs Act, e ora che si scopre che è tutto falso, la colpa è del Pil e dei “malintesi governo-Istat”.
Ma sì, dev’esserci stato un piccolo quiproquo.
La Stampa, dopo aver sottolineato imprecisati “segnali incoraggianti e convergenti”, assicura che “bisogna attendere il boom dei contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti partito il 7 marzo”.
Cioè: prima annuncia un boom che non c’è, poi quando viene smentita annuncia che il boom ci sarà . Repubblica riesce a vedere nella catastrofe “una lieve tendenza positiva”.
Sul Messaggero, in prima pagina, nemmeno una riga: però ci sono “Mattarella e Napolitano per i 90 anni della Treccani”, perbacco.
Sul Mattino invece c’è un trafiletto in fondo a sinistra sulla “battuta d’arresto”, ma con ampio spazio al ministro Poletti che, da fine umorista, regala la supercazzola prematurata: “I dati non contraddicono i segnali positivi, in coda alla crisi le situazioni tendono a non essere stabilizzate con una flessione che dopo una fase positiva era immaginabile”.
Lui se l’aspettava, era tutto calcolato.
Come fosse antani. Con fuochi fatui.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 2nd, 2015 Riccardo Fucile
LE ACCUSE DI DUE IMPRENDITORI VENETI CHE HANNO RACCONTANO DI VERSAMENTI DI MILIONI PER OTTENERE APPALTI NELLA BONIFICA DI AREE INDUSTRIALI
La Giunta per le Elezioni e le Immunità del Senato ha stabilito di concedere l’autorizzazione a
procedere nei confronti di Altero Matteoli nella sua qualità di ministro dell’Ambiente e, successivamente, di ministro delle Infrastrutture.
La domanda di autorizzazione a procedere in giudizio è stata formulata dalla Procura di Venezia ed è relativa a fatti di corruzione per la concessione delle opere di bonifica dei siti industriali di Marghera, in violazione della normativa delle gare di appalto, del codice dei contratti pubblici e delle direttive europee.
Il Senato ha detto sì accogliendo la proposta della Giunta perchè non sono stati presentati ordini del giorno contrari, dunque non si è proceduto al voto. Lo stesso ex ministero aveva chiesto ai colleghi di procedere.
Poco meno di un anno fa al senatore di Forza Italia era arrivata la notifica della trasmissione degli atti al Tribunale dei ministri.
A mettere nei guai l’ex ministro due imprenditori che ai pm veneti avevano raccontato di versamenti per “milioni” per ottenere gli appalti.
Un primo sì verso l’autorizzazione a procedere era arrivato già a gennaio il presidente e relatore Dario Stefano aveva deciso a proporre all’Aula la concessione dell’autorizzazione a procedere perchè per i magistrati “è dimostrato un asservimento”.
La Giunta per le immunità parlamentari “ha assunto a maggioranza la proposta per l’assemblea di concedere l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteoli e ha accolto invece “all’unanimità con separate votazioni le proposte all’assemblea la predetta autorizzazione anche nei confronti dei coindicati Piergiorgio Baita, Erasmo Cinque, Nicolò Buson, William Ambrogio Colombelli e Giovanni Mazzacurati”, tutti protagonisti dell’inchiesta Mose.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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