Aprile 11th, 2015 Riccardo Fucile
LE LAVORATRICI ABUSATE E SFRUTTATE: PER IL GOVERNO LE DENUNCE PRESENTATE SONO POCHE, QUINDI NON VALE LA PENA INDAGARE… MA CHI VIVE SEGREGATA E’ DIFFICILE CHE POSSA FARE DENUNCIA
«Un fenomeno non significativamente esteso e stabile».
Dopo cinque mesi il governo risponde sul caso delle donne romene abusate nelle serre del ragusano . Lo scorso ottobre dieci deputati chiedevano iniziative urgenti, dopo il caso sollevato dall’Espresso. Il 17 marzo il sottosegretario Domenico Manzione ha presentato in aula una lunga e articolata analisi.
Per prima cosa i numeri. Su 1800 donne regolarmente residenti, le denunce di violenza sono due nel 2012 e 2013, appena una nel 2014.
“Comunque l’attenzione delle forze dell’ordine su tale fattispecie delittuosa è costante”, spiega il sottosegretario.
Cinquemila donne lavorano nelle serre della provincia siciliana. Vivono segregate in campagna. Spesso con i figli piccoli. Nel totale isolamento subiscono ogni genere di violenza sessuale.
Una realtà fatta di aborti, “festini” e ipocrisia. Dove tutti sanno e nessuno parla
SOLO L’ULTIMA TAPPA
«È vergognoso da parte del governo dire che le violenze non sono aumentate perchè non sono aumentante le denunce», dice all’Espresso l’onorevole Celeste Costantino, una delle firmatarie dell’interrogazione. «Chi vive in stato di segregazione si sente sotto minaccia e fatica a denunciare le violenze».
«Quella è solo l’ultima tappa di un lungo processo», ci dice Ausilia Cosentini, operatrice di Proxima, presente sul territorio fin dal 2012. «Occorre conquistare la fiducia della vittima. Con un passaggio in auto, col sostegno quotidiano. Materiale e psicologico».
La curiosità di questi mesi ha aumentato la diffidenza delle donne. La sfiducia non è immotivata. Pratiche ferme, lentezze burocratiche, difficoltà di ogni tipo.
Infine, una vittima deve trovare il coraggio di rendere pubbliche questioni così delicate. E quando accusa il datore di lavoro deve produrre prove in sede giudiziaria. Altrimenti rischia a sua volta la condanna per calunnia, osservano i legali.
In questi casi la prima interfaccia non può essere un poliziotto.
Invece le istituzioni hanno scelto la strada delle retate.
«Per l’esperienza che abbiamo, non siamo d’accordo con questa modalità di azione. Sappiamo che questo approccio non funziona», dice Cosentini.
Ma cosa ha portato l’attenzione mediatica dei mesi scorsi?
C’è un buon lavoro di rete tra le organizzazioni del privato sociale. Ma lo stesso progetto di Proxima, citato da tutti, è in scadenza il 30 giugno.
Probabilmente ci sarà l’ennesima proroga. “Ma così non è possibile programmare”, spiegano gli operatori.
Le notizie positive finiscono qui. Si discute ancora sull’estensione del fenomeno. Non sul modo di cancellarlo per sempre. Del resto non occorre attendere le denunce per allarmarsi.
Le violenze sessuali sono provate da altri numeri. Inequivocabili.
Li fornisce sempre il governo, riferendosi provincia di Ragusa, in particolare i reparti di ostetricia operanti a Ragusa, Modica e Vittoria: «Nel triennio ».
Marisa Nicchi, prima firmataria dell’interrogazione, evidenzia che a Vittoria, città di 60mila abitanti, siamo di fronte a “un’obiezione di struttura”. 2012-2014, le interruzioni di gravidanza praticate a cittadine straniere sono state complessivamente
309, di cui 132, cioè il 42,7 per cento, hanno riguardato cittadine romene
Nessuno dei medici che lavorano nel locale ospedale pratica l’interruzione di gravidanza.
UN FENOMENO CHE SI ALLARGA
Secondo il governo alcuni amministratori locali hanno riportato «l’esigenza di evitare enfatizzazioni della questione». «Una percezione non del tutto veritiera della realtà fattuale» potrebbe danneggiare l’economia locale.
Ma il fenomeno sembra allargarsi alla provincia di Catania. È di qualche giorno fa l’inchiesta “Slave” della Procura etnea. Un’organizzazione di romeni e italiani riduceva in schiavitù i lavoratori impegnati nella raccolta delle arance.
Secondo i giudici, un filone dell’indagine ancora in corso riguarderebbe le donne dell’Est costrette a prostituirsi.
Antonello Mangano
(da “L’Espresso”)
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Aprile 11th, 2015 Riccardo Fucile
POLETTI ESULTA PERCHE’ SU 250.156 GIOVANI CHE HA ILLUSO, 69.811 HANNO RICEVUTO LA PROPOSTA DI UNA MISURA DEL PROGRAMMA… MA PROPOSTE DI LAVORO REALE SONO COSA DIVERSA
“Prosegue l’aumento del numero dei giovani ai quali è stata offerta un’opportunità concreta tra
quelle previste dal programma Garanzia Giovani”.
È con queste parole che il ministro del Lavoro Giuliano Poletti accompagna via twitter i nuovi dati sul piano per l’occupazione giovanile finanziato dall’Unione europea e integrato da risorse nazionali, per complessivi 1,5 miliardi di euro.
“Su un totale di 250.156 giovani presi in carico — spiega una nota del ministero — sono 69.811 quelli cui è stata proposta una misura del programma: un valore in crescita, nell’ultimo mese, del 65,1%”.
Ma tale dato, secondo il segretario generale lombardo della Fiom-Cgil Mirco Rota, “non significa nulla. ‘Presi in carico’ vuole dire semplicemente giovani di cui si è registrata l’iscrizione. Mentre sono davvero pochi coloro che hanno beneficiato di una reale opportunità di lavoro, visto che tra le misure offerte ci sono anche formazione e orientamento”.
Da questo punto di vista, del resto, il flop è evidente anche nelle regioni dove la Garanzia Giovani sembra funzionare meglio, come la Lombardia.
Qui, secondo i dati diffusi a marzo dal Pirellone, solo l’1,2% dei 43mila iscritti è riuscito a firmare un contratto a tempo indeterminato.
“Lo strumento è troppo debole ed è di efficacia limitata contro la disoccupazione giovanile — commenta Rota -. I risultati ottenuti sono scarsi, soprattutto rispetto alle risorse impiegate”.
Risorse che a metà marzo hanno superato a livello nazionale i 950 milioni di euro, pari al 63% della disponibilità complessiva del programma.
Quello che si rischia è dunque uno spreco di denaro pubblico.
In Italia come negli altri paesi Ue, visto che anche la Corte dei conti europea, in un report del mese scorso intitolato ‘Garanzia Giovani: intrapresi i primi passi ma si profilano rischi di attuazione’, ha messo in guardia gli Stati membri dal pericolo di un’implementazione del piano “inefficace e incoerente”.
Secondo la responsabile della relazione Iliana Ivanova, restano infatti senza risposta interrogativi importanti: “Abbiamo ravvisato rischi potenziali nell’adeguatezza del finanziamento del sistema, nella natura ‘qualitativamente valida’ dell’offerta proposta ai giovani disoccupati e nella modalità con cui la Commissione monitora i risultati del sistema e li comunica”.
Tutte questioni su cui la nota odierna del ministero del Lavoro non si sofferma, mentre sottolinea l’aumento del numero dei giovani che si registrano al programma: “Al 2 aprile i giovani accreditati sono 501.779 (10mila in più della scorsa settimana), pari all’89,6% del bacino di riferimento rappresentato da 560mila Neet (giovani che non studiano, non lavorano e non sono in training, ndr) che potranno essere raggiunti dal programma sulla base delle risorse disponibili e della spesa massima assegnata a ciascuna misura ammissibile”.
Con i risultati che abbiamo visto.
Luigi Franco
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 11th, 2015 Riccardo Fucile
“IL CANDIDATO SINDACO SCELTO DA RENZI SENZA PRIMARIE”
Un’altra rogna legata alle primarie Pd. E sempre in Campania.
L’eurodeputata campana Pina Picierno aveva da poco twittato: “Con Ciro Buonajuto, con la gente perbene di Ercolano. Con chi ha voglia di voltare pagina, con umiltà e con coraggio”, quando militanti del Pd hanno occupato la sede del partito.
Un gruppo di iscritti e di eletti del Pd di Ercolano ha occupato la sede del partito, in Largo Giardini.
L’occupazione è stata decisa come reazione alla decisione della segretaria nazionale, che ha designato come candidato a sindaco, senza l’ effettuazione delle primarie, il consigliere comunale Ciro Buonaiuto, dirigente nazionale del Pd.
L’ 87% degli iscritti al Circolo Pd di Ercolano aveva individuato nelle scorse ore una soluzione unitaria nella figura del segretario cittadino Antonio Liberti, sul quale convergevano il sindaco uscente Vincenzo Strazzullo ed altri componenti della giunta, oltre agli eurodeputati Andrea Cozzolino e Massimo Paolucci, e ad alcuni deputati. “Mentre il segretario locale qui diventa una figura unitaria, in cui si racchiude l’ 87% del partito – afferma il segretario del Pd di Ercolano, Antonio Liberti – il segretario Renzi diventa un elemento divisivo. Il Circolo Pd di Ercolano, come prevede lo statuto ha raccolto le adesioni e le ha consegnate alla Federazione di Napoli. Noi siamo nel rispetto delle regole”.
Se le primarie non vanno fatte, il nome viene calato dall’alto e non dal territorio, sembra il messaggio lanciato dai vertici Pd.
“Non vedrei nulla di male se a Ercolano si chiedesse a qualcuno di candidarsi senza primarie”, aveva detto ieri il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti, a margine di un incontro elettorale ad Avellino, che ha definito il caso Ercolano, dove due candidati alle primarie sono indagati , “un problema evidente” ma il superamento, in alcune circostanze, delle primarie “non è un caso campano.
In tutta Italia il Pd – spiega – deve avere il coraggio di cambiare, anche laddove determinate realtà sembrino inossidabili”.
L’occupazione del Pd di Ercolano (Napoli) proseguirà fino a lunedì quando è in programma una assemblea degli iscritti.
Lo ha detto il segretario cittadino Antonio Liberti nel corso di una conferenza stampa che ha visto anche la presenza del sindaco in carica, Vincenzo Strazzullo e incentrata sulla scelta del candidato a primo cittadino di Ciro Buonaiuto senza l’effettuazione delle primarie.
Liberti ha rivolto un invito al premier e segretario nazionale Renzi a “venire qui a vedere quale errore si sta commettendo”.
In un passaggio dell’intervento ha detto: “Non ero di questa partita. Ho l’obbligo, nei confronti di coloro che hanno sottoscritto una candidatura unitaria, di proseguire sapendo che andremo di fronte ad uno scontro durissimo. Lavoreremo da qui a lunedì per uno sforzo unitario. Credo ci siano state belle pagine di politica anche grazie a Buonaiuto ma dobbiamo dare un segnale di unità “.
Della vicenda politica di Ercolano, secondo quanto riferito da Liberti, sono informati diversi esponenti di vertice del partito.
L’inchiesta.
Il sindaco di Ercolano e altre sette persone tra amministratori, imprenditori e un dipendente comunale risultano indagati nell’ambito di un’inchiesta su alcuni appalti per opere pubbliche.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 11th, 2015 Riccardo Fucile
“I COLLETTI BIANCHI ANCORA INTOCCABILI”
“La nuova legge sulla corruzione? “Non è detto che serva a qualcosa”. ![](http://s30.postimg.org/7g8j10sht/Intervista_a_Piercamillo_Davigo_3.jpg)
Parola di Piercamillo Davigo, ex pm di Mani Pulite e oggi giudice di Cassazione, che intervistato da Qn sottolinea: “Mancano almeno due elementi. Primo: una fortissima norma premiale, con riduzione di pena o non punibilità a favore del primo che parli tra i soggetti coinvolti. Secondo: la possibilità di operazioni sotto copertura”.
“Il nostro – afferma l’ex pm – è un codice spaventapasseri, che fa paura solo guardandolo da lontano. In realtà il sistema è costruito in modo tale per cui per certi reati in galera non si può andare”.
Davigo riflette sull’intoccabilità dei colletti bianchi: “Prendiamo il settimo comandamento: non rubare. Se lo applichiamo ai ladri normali si tratta di furto. E poichè è impossibile compiere un furto senza una o due aggravanti, le pene arrivano fino a dieci anni e si va in carcere. Se invece riguarda i colletti bianchi si chiama appropriazione indebita ed è punita con pene fino ai tre anni. Le eventuali aggravanti non incidono sulla circostanza che in carcere non si va”.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 11th, 2015 Riccardo Fucile
LA CANDIDATURA NON CONCORDATA DELLA POLI BORTONE GENERA A SILVIO PIU’ GUAI CHE VANTAGGI… LA LEGA DICE NO, LA MELONI NON HA NEANCHE IL CORAGGIO DI DIRLO
Dopo una giornata in cui si assiste all’ennesima comica in Forza Italia, con l’indicazione di uan candidata non concordata neanche con l’interessata e con il suo partito di provenienza, nel tardo pomeriggio il “ricostruttore” Raffaele Fitto prende carta e penna e scrive a Berlusconi: “Caro Presidente,stai scegliendo una linea da “cupio dissolvi”, e lo dico con grande amarezza. E’ ormai chiaro che Forza Italia gioca a perdere, disinteressandosi della Puglia e delle ragioni dei pugliesi, che chiedono un’alternativa al malgoverno della sinistra.”
E continua: “Questa scelta di divisione è sia autolesionistica sia censurabile sul piano dello Statuto. E’ autolesionistica perchè è un autogol, tipico frutto di una dinamica da triste finale di partita, in cui la caccia al “nemico interno” vale più di ogni altra considerazione. Ma questo autolesionismo è anche extra-statuto.”
Si chiede Fitto: ” In base a quali regole, infatti, Forza Italia ha assunto la decisione comunicata oggi? Dinanzi a ciò, mi pare necessaria una grande e seria iniziativa politica di iscritti, militanti e parlamentari di Fi per il rispetto in ogni sede legale dello Statuto del partito, che giace da più’ di un anno come una cosa dimenticata e inapplicata. In Forza Italia e nel Pdl non era mai successo: potevano essere prese, volta per volta, decisioni giuste o sbagliate, condivisibili o no, ma comunque, formalmente, lo Statuto e le regole venivano sempre rispettate. Qui, invece, assistiamo da più di un anno a una vita nazionale e locale del partito completamente extra-legale, dal Presidente in giù, dagli organi nazionali a quelli locali.
Fitto poi entra nel merito: “Parliamoci chiaro: da settimane, c’è chi ha fatto di tutto per escludere dalle liste alcuni amministratori e dirigenti (oltre ai consiglieri regionali uscenti), che hanno a loro volta lavorato bene e che da anni hanno contribuito a fare della Puglia, in tutte le competizioni elettorali, la Regione dei record per Il nostro partito.Motivo? Sono “colpevoli” di avere voti e consenso e quindi rischiano di essere eletti .”
E poi conclude: “Un partito che si è sempre detto liberale usa questa situazione extralegale per escludere persone forti e capaci, e per deliberare fuori da ogni regola scelte di divisione. Io sto nel partito, ma non prendo ordini. In un partito che si dice liberale, ci si sta con le proprie idee. Altrimenti è un triste bunker per un triste tramonto politico”.
Gli altri protagonisti della vicenda sono in evidente imbarazzo: La Poli Bortone lascia decidere alla Meloni, Salvini dice che la Poli Bortone non rappresenta il nuovo e la Meloni, che ha già dichiarato l’appoggio a Schittulli, non ha neanche il coraggio di dire no ma non dice neanche sì.
Gran visione politica da scuola democristiana.
La commedia continua, domani la prossima puntata.
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Aprile 11th, 2015 Riccardo Fucile
LA TRAGEDIA DI MILANO E IL SOLITO INDECOROSO GIOCO DELLE PARTI, TRA FINZIONI E DIVISIONI… EMERGE SOLO L’INCAPACITA’ DI SENTIRSI FIGLI DI UNA STESSA PATRIA
Ci sono eventi dei quali è davvero difficile “parlare”. Quando si verificano ti attanaglia un
profondissimo senso di vuoto. Nei film certe cose succedono sistematicamente. Dovresti essere quasi abituato “alla follia”, singola e collettiva. Eppure, quando dalla fiction si passa alla tragica realtà , cambia radicalmente tutto. Quello che è successo nelle aule di giustizia del Tribunale di Milano, con morti che non ci dovevano assolutamente essere e che nessun “ragionamento” potrà mai spiegare, lascia davvero un profondissimo senso di vuoto.
Ancor di più lo trasmette l’indegna pantomima della pseudo-dialettica consumata tra fazioni, esponenti “di settore” e soliti, “finti eroi”.
In certi casi, il dolore, il senso di sgomento, la stessa, legittima rabbia, dovrebbero abbattere barriere e confini.
Dovrebbero essere così travolgenti da spingerci tutti “gli uni verso gli altri”, e invece… E’ vero che la mente umana è un mondo ricco di milioni di sfumature. Crea, scompone, rielabora e ricompone. Gli scienziati la studiano da sempre.
Ma questa è solo una premessa, perchè ciò che davvero rileva, anzi, l’unico dato davvero rilevante, non è certo la complessità della mente umana, la sua struttura o il suo specifico funzionamento, ma quella variegata e multiforme articolazione delle dinamiche dei gruppi, “l’un contro l’altro armato”… Magistrati contro Avvocati. Classe “togata” in genere contro i politici. Politici contro tutti. Popolo assopito, incredulo, tradito.
Davvero non si riesce più a provare – nemmeno per “un attimo” – il senso dell’appartenenza alla stessa storia?
Davvero nemmeno una tragedia è capace di unirci e farci sentire figli della stessa Patria?
Davvero nemmeno le assurdità riescono a scaldare i cuori facendoli battere all’unisono?
A quanto pare, la risposta è tristemente no. Il nostro è un “sistema/Paese” tristemente e “follemente” alla deriva.
Quanto successo a Milano, è sì il tragico gesto di una persona che ha perso progressivamente il senno (anche se certe cose è sempre meglio che le stabiliscano gli esperti nell’iter giudiziario che sarà !), ma esplicita e rinforza l’immagine decadente di un Paese che “quasi, quasi”, davvero “non c’è più”
Non è ammissibile che all’ingresso di un Pubblico Ufficio, anzichè le Forze dell’Ordine o delle Guardie Giurate (i quanto tali, armate), vi siano dei semplici vigilantes/portieri.
E’ vero che la divisa, di per sè, può essere un potenziale deterrente ma l’esperienza insegna che la stessa, “da sola”, soprattutto in certi casi, non risolve e non lo farà mai. Comunque la si voglia “leggere” o vedere, nelle valutazioni preliminari sul tipo di strumento preventivo da adottare nello specifico caso, certe leggerezze sono davvero inammissibili.
Il mercato delle “security preventiva” – anche per ciò che concerne le aziende eroganti servizi di portierato – è ricco di aziende di qualità , ma la qualità , l’efficienza e l’efficacia non si misurano soltanto dall’addestramento.
Esse vanno strettamente commisurate e valutate anche sulla scorta delle specifiche esigenze da soddisfare. Altrimenti detto, i siti “sensibili” vanno tutelati come si deve: farlo a mezzo di semplici vigilantes/portieri è colpa parecchio grave.
Ma questo nel “mondo dei sogni”, purtroppo, perchè quando la situazione diventa così drammatica da dover operare tagli in tutte le direzioni, la qualità , l’efficienza e la stessa efficacia delle decisioni assunte se ne vanno chiaramente “a quel Paese”.
E il dramma è totale, ampio, senza nessuna sorta di confine. Sanità , Istruzione, Pubblica Amministrazione. Difesa del territorio. Non si salva nulla.
In ogni caso, al di là di questo — che già “dice” comunque “tutto” su quel che resta della nostra Italica sostanza — la cosa che rende ancora più profondo il senso della sconfitta, è quella recita, quel gioco delle parti, quella sistematica contrapposizione “sistemica”, sempre più ampia e sempre più tracotantemente dirompente, alla quale non si riesce proprio più a contrapporre la ben che minima barriera, nemmeno il dolore collettivo.
Non bisogna essere un sociologo o uno “scienziato” sopraffino per avere contezza del fatto che il “sistema”, da un lato ci vuole “speculari” e funzionali a sè stesso, dall’altro ci vuole divisi, disuniti e contrapposti.
E’ proprio quel “gioco” che asseconda gli orticelli, le clientele, le fazioni e finanche le assurdità d’area.
Dire “basta”, gridarlo forte, non contro l’Europa, ma contro chi sta continuando a giocare sulla nostra “pelle”, con la nostra vita e coi nostri stessi sogni, dovrebbe unirci e renderci appassionatamente e “dannatamente” consapevoli, e invece…
Oggi è “solo rumore”.
Un “rumore” continuo, che frastorna, disorienta e confonde.
Un “gioco” nel “gioco”. Una iattura nella iattura.
Una “sistemica” e ignobile menzogna quotidianamente consumata nella persistente e inaccettabile finzione di un Popolo che, a ben vedere, proprio non c’è più…
Salvatore Castello
Right BLU- La Destra Liberale
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Aprile 11th, 2015 Riccardo Fucile
MA GLI UOMINI DEL PREMIER FANNO CREDERE CHE CI SIA UN “TESORETTO ”… IN REALTA’ AUMENTEREBBE SOLO IL DEFICIT
“Decideremo nelle prossime settimane se e come utilizzare il bonus da 1,6 miliardi sulla base delle nostre priorità ”, dice il premier Matteo Renzi a tarda sera dopo il Consiglio dei ministri.
E scherza con un giornalista: “Lei lo chiama tesoretto? Ma sì, chiamiamolo tesoretto”, sorrisetto.
La sostanza è zero, la comunicazione invece è perfetta: il governo ha trovato un tesoretto da 1,6 miliardi nelle pieghe di un Documento di economia e finanza che già meritava applausi perchè, come aveva detto Renzi martedì, non prevede “nè tagli nè tasse”.
La realtà è un po’ diversa, ma avere uno staff per la comunicazione serve proprio a renderla migliore di come è.
Comincia nel pomeriggio su Twitter il portavoce e spin doctor del premier, Filippo Sensi: “serinasco #bonusdef”, criptico, ma lancia il tema che viene ripreso da Francesco Nicodemo, il responsabile della comunicazione della direzione del Pd: “Ma non chiamatelo tesoretto #bonusdef”.
E poi inizia a rilanciare e proposte degli altri utenti Twitter (di solido del Pd) che suggeriscono cosa fare con questo #bonusDef da 1,6 miliardi.
Tipo: “#bonusdef io lo userei per l’abitare sociale”.
I retroscenisti si scatenano, i politici cominciano a dettare commenti alle agenzie.
È fatta: tutto il dibattito si sposta sul bonus Def.
Andrà al Welfare? C’è chi giura che sia destinato agli incapienti, quelli esclusi dal bonus degli 80 eurodello scorso anno perchè con redditi troppo bassi.
Di sicuro male non farà ai consensi del Pd in vista delle elezioni regionali di fine maggio.
Il premier ci pensa, tiene tutti in sospeso, sa che adesso i giornali si riempiranno di stime e simulazioni, un miliardo e mezzo non è tantissimo ma può accontentare molti appetiti.
Ma come, non eravamo tiratissimi tra recessione e vincoli europei? Come ha fatto Renzi a trovare un tesoretto da 1,6 miliardi? Miracolo.
Un passo indietro.
Al Consiglio dei ministri di martedì il Def, cioè il documento con i saldi di bilancio su cui si costruirà la legge di Stabilità in autunno, è pronto.
Nelle tabelle si legge che nel “quadro programmatico” (le previsioni che tengono conto degli impegni del governo e delle politiche che vuole adottare) il deficit nominale del 2015 passa dal 2,5 al 2,6 per cento.
Quello 0,1 vale appunto 1,6 miliardi.
Per un anno il governo spende soldi che non ha, questo significa aumentare il deficit, forte della consapevolezza che la Commissione europea ha rinunciato a creare troppi problemi per gli zero virgola (abbiamo spostato il pareggio di bilancio al 2017, in origine era atteso quest’anno).
È scritto lì, nel comunicato nel comunicato stampa di martedì. Ma non ne parla nessuno.
Il messaggio del premier è “niente tagli e niente nuove tasse”, un miliardo e mezzo conta poco nel momento in cui la preoccupazione di cittadini e osservatori riguarda tagli di spesa annunciati per 10 miliardi per il prossimo anno con i Comuni già in rivolta.
L’idea di un Def sobrio e realistico dura un giorno.
Anche gli editorialisti dei grandi giornali iniziano subito a contestare il fatto che di promesse di tagli ce ne sono eccome, soprattutto ai Comuni, per almeno 10 miliardi.
E che le “clausole di salvaguardia”, cioè gli aumenti dell’Iva e delle accise sui carburanti che determinano un aumento delle entrate di 12,8 miliardi nel 2016, 19,2 miliardi nel 2017 e circa 22 miliardi a decorrere dal 2018 ci sono ancora.
Per evitarle ci vogliono tagli di spesa veri, non soltanto promesse.
Nel Consiglio dei ministri di martedì Renzi non è convinto: il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan è arrivato con i documenti pronti per l’approvazione, non “bozze” come dirà Palazzo Chigi.
Ma il premier si prende due giorni in più: in quelle tabelle c’è poco da usare in una campagna elettorale per le elezioni regionali che è poco promettente.
Ieri mattina il bis: Consiglio dei ministri alle nove, arrivano tutti i vertici del Tesoro con il Def già stampato, cinquanta copie cartacee.
Il premier decide che non vanno bene, le fa ritirare e distruggere, alle agenzie fa trapelare che vuole “dare un’ultima occhiata alle carte” per arrivare a “un testo finale pulito e limato”.
Padoan non gradisce. Sensi e Nicodemo intervengono, i siti di notizie reagiscono come sperato: la giornata del caos sul Def diventa la giornata del #bonusDef, trending topic su Twitter (Tradotto: è l’argomento di cui si discute di più nel pomeriggio, privilegio concesso di rado a questioni di politica economica).
La notizia assume il clima dell’ufficialità quando l’agenzia Ansa dice che “spunta” un tesoretto.
Il resto del commento di Renzi al Documento di economia e finanza è destinato alle notizie in breve. “Se, d’accordo con le Regioni, siamo in condizione di ridurre il numero delle poltrone dei supermanager, trovare costi standard, mi pare che sia un fatto positivo”, dice.
Difficile dargli torto, ma il governo non può intervenire direttamente in materia sanitaria, di competenza delle Regioni.
L’unico modo per incidere è ridurre i trasferimenti. Cioè fare tagli.
Ma questa è una parola che è vietato pronunciare a Palazzo Chigi.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 11th, 2015 Riccardo Fucile
E LA MADRE DI APPIANI COMMUOVE TUTTI: “MIO FIGLIO E’ MORTO PERCHE’ NON ERA UNA MARIONETTA NELLE MANI DEI CLIENTI”
È la Milano migliore, ancora capace di esprimere virtù civiche di fronte alla tragedia, quella che
straripa da un’Aula magna del Palazzo di Giustizia affollata come non mai. Magistrati e avvocati per una volta riuniti dalle lacrime ma non solo: avvertono lo scricchiolio pauroso di una giustizia che rischia di andare in frantumi per carenza di mezzi, rancore sociale, l’ostilità cavalcata dai poteri insofferenti alle regole
Non era mai successo che un giudice venisse ammazzato in questo tempio marmoreo, e insieme a lui un avvocato e un imputato.
La mattina dopo la strage incontro lungo i corridoi infiniti uomini di legge stupefatti per aver raccolto in giro commenti al limite della giustificazione per il triplice assassino: «Lo hanno esasperato, poveraccio… I giudici sono lenti… Quelli hanno le ferie lunghe ».
E non avevano ancora letto quel titolo vergognoso sul sito de “Il Giornale”: “I magistrati fanno le vittime ma non erano loro l’obiettivo”.
Fanno le vittime
Stavolta, allibiti per la morte assurda di un loro collega di 37 anni, alla cerimonia di commemorazione si sono autoconvocati pure centinaia di avvocati milanesi.
I più vecchi tra i giudici morpresidente morano emozionati: «Non eravamo così tanti neanche quando i terroristi rossi ammazzarono Guido Galli, neanche per Giovanni Falcone e Umberto Ambrosoli».
Così, a mezzogiorno in punto, quando tenendo per mano la figlia Francesca, giovane magistrata, sale sul palco Alberta Brambilla Pisoni, la madre dell’avvocato Lorenzo Claris Appiani, l’Aula magna ammutolisce: «È morto perchè non ha voluto ridursi a marionetta nelle mani del suo cliente. Voglio che in questo momento tutti gli avvocati si sentano orgogliosi dell’alta dignità della nostra professione. Così Lorenzo non sarà morto per niente. Grazie».
Davvero è la Milano migliore, di cui avvertivamo il declino.
L’avevamo già udita esprimersi nelle parole di Gianni Canzio, presidente della Corte d’Appello, che riflette sul «rapporto fra la crisi dell’economia e la crisi della ragione che scarica tensioni individuali sulle persone che amministrano la giustizia. Vogliamo mantenere l’apertura all’esterno di questo Palazzo, non ci sentiamo fortezza assediata e non alzeremo ponti levatoi».
I portavoce romani, dal vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, al presidente dell’Anm, Rodolfo Maria Sabelli, si affannano a ripetere che «i magistrati non possono essere lasciati soli», citando l’avvertimento di Mattarella.
Applausi anche per loro, solo che è proprio la solitudine l’incubo che serpeggia nell’atrio, anch’esso affollato, sotto il bassorilievo di Arturo Martini intitolato alla “Giustizia Corporativa”.
Per evitare la lunga fila dovuta ai controlli che suonava beffarda, davanti all’ingresso principale, sono andato a piazzarmi in via Freguglia di fianco alla guardia privata Securpolice che scrutava telefonini e mazzi di chiavi passati al metal detector su due schermi di computer antiquati, con un santino di San Francesco appiccicato sopra. Non del tutto rassicurante.
È lì che raccolgo lo sfogo di un ispettore del Comune di Milano responsabile di tutta la logistica del Palazzo: «Mi devono ancora spiegare perchè quando arriva Ruby ci sono ottanta carabinieri, e gli altri giorni trenta. Mi devono spiegare perchè gli avvocati, se hanno un processo alle dieci, arrivano due minuti prima e si offendono se gli facciamo perdere tempo per identificarli, estraendo il classico “Lei non sa chi sono io”».
Salgo al settimo piano, uffici del Gip, dove il aggiunto Claudio Castelli calcola una media di sette riti abbreviati al giorno con i parenti dei detenuti che vengono per incontrarli e conoscerne la sorte.
Le inevitabili reazioni emotive devono essere gestite da quattro carabinieri. Quasi sempre assenti, invece, al terzo piano, dove si svolgono i dibattimenti come quello che vedeva imputato a piede libero (e armato) Claudio Giardiello.
Castelli non vorrebbe rilasciare dichiarazioni, è uno dei magistrati più sensibili agli studi della moderna criminologia, i grandi conflitti sociali che si spezzettano in micro-conflitti individuali sfogati contro il giudice o, sempre più spesso, contro l’avvocato difensore.
Su una questione culturale Castelli non riesce però a trattenersi: «Tutto l’impianto della nuova legislazione sembra concentrarsi su esigenze risarcitorie, assumendo le colpe della giustizia come priorità e il rispetto della legalità come fattore secondario. Aggiungeteci il pauperismo dominante, qui dentro resta scoperto il 30% dell’organico, e come se non bastasse dal settembre prossimo la gestione logistica dei Tribunali, sicurezza compresa, passerà dai Comuni al Ministero, distante e privo di risorse».
Resta lo scandalo di un assassino entrato con la pistola e uscito indisturbato.
Nessuno lo può giustificare. Un altro magistrato, dietro promessa di anonimato, tira fuori un’ipotesi che non so se ironica o seria: «Mi auguro che al killer Giardiello sia stato concesso di uscire da via Manara per un calcolo di prudenza. Dentro avrebbe sparato ancora, avrebbe potuto prendere degli ostaggi».
Una spiegazione benevola che non giustifica la lunga fuga in moto fino a Vimercate.
E allora vado a cercare il Procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati, prima dell’inizio della cerimonia.
È un uomo comprensibilmente turbato, anche lui non rilascia dichiarazioni ufficiali perchè l’inchiesta sul triplice omicidio è affidata alla magistratura di Brescia.
Però Bruti Liberati è stato anche il primo a sapere della tragedia, giovedì mattina. Perchè il pm Luigi Orsi, sopravvissuto nell’aula in cui sono stati uccisi prima Lorenzo Claris Appiani e poi Giorgio Erba, non appena rifugiatosi in camera di consiglio ha chiamato sul telefonino il Procuratore, accorso immediatamente sul luogo insanguinato del delitto.
Ci tiene quindi, Bruti Liberati, a elogiare il comportamento successivo delle forze dell’ordine che, armi in pugno, hanno scortato ordinatamente la folla conducendola in luoghi sicuri: «È scattato un piano di evacuazione molto efficiente, senza scene di panico. Gliene va dato merito».
Peccato che nel frattempo Claudio Giardiello è ancora riuscito a gambizzare lungo le scale un commercialista, prima di raggiungere al secondo piano il giudice Fernando Ciampi, freddato con due colpi di pistola.
L’avrà fatto nel giro di pochi minuti, ma ha potuto uccidere ancora. «È ben comprensibile che nessun uomo disarmato abbia osato inseguire Giardiello, dopo la prima sparatoria».
Come ormai è noto, buona parte dell’organico della vigilanza privata è sprovvisto di pistola. Un uomo armato costa 30 euro all’ora, disarmato costa la metà . E i soldi per la sicurezza non ci sono.
Riferisco a Bruti Liberati la denuncia raccolta in via Freguglia sulle carenze del servizio di vigilanza affidato a ditte private. «Per ragioni di immagine sono sempre stato contrario ad appaltare la sicurezza ai privati», risponde, «ma non enfatizziamo. Si tratta di aziende serie che gestiscono anche la sicurezza negli aeroporti milanesi».
Per certi versi, la morte del giudice Fernando Ciampi resta, se possibile, la più assurda.
Probabilmente l’“aggiunta” criminale last minute di un uomo che ormai aveva già commesso l’irreparabile. E che ha stroncato la vita di un anziano magistrato che, nell’Aula magna, la sua collega Marina Talassi ha ricordato con devozione: «Rigoroso, severo, ma poi sempre disposto a accogliere i buoni argomenti degli altri. Le camere di consiglio con Ciampi erano una scuola per tutti noi. Dietro l’apparenza impassibile, nutriva la concezione più alta del diritto come servizio». Marina Talassi voleva concludere assicurando che questo servizio continuerà già da domani senza lasciarsi influenzare dalla paura.
Esita. Prima dice «no, noi non abbiamo paura». Ma si ferma, si corregge: «Forse abbiamo paura, ma dobbiamo vincerla».
È proprio questo il sentimento che aleggia sull’assemblea della Milano migliore. Colpita, spaesata. Perchè non si tratta solo della paura del pazzo isolato che può colpire all’improvviso, quando invece si avverte il logoramento provocato dalle lotte di potere interne – avvocati contro magistrati, politici contro magistrati, a Milano anche magistrati contro magistrati – e dai veleni di un’opinione pubblica incapace di provare solidarietà per gli amministratori della giustizia neppure in una giornata come questa.
Ora tutti vorrebbero che le parole di quella madre che ha avuto la forza di parlare all’indomani dell’uccisione del figlio – «Così Lorenzo non sarà morto per niente» – non rimangano solo un tentativo di consolazione. Tanti giovani avvocati piangevano ascoltandola, quando raccontava le cene in cui Lorenzo Claris Appiani esaltava la nobiltà del giuramento pronunciato da chi accede alla professione forense.
«Attraverso la testimonianza dei miei figli, un avvocato e una magistrata, io vi chiedo che questi due mondi restino uniti»
Sarà per quel presentimento di una giustizia che sta davvero rischiando di infrangersi dentro una società incattivita e insofferente alle regole, ma oggi Milano davvero si è stretta intorno a Alberta Brambilla Pisoni.
Finita la cerimonia, è rimasta lì seduta in prima fila. Disponibile perfino quando si è fatta avanti la selva delle telecamere. Ma soprattutto capace di sorridere a chi le si avvicinava per un abbraccio o una stretta di mano.
All’uscita, sottovoce, l’un l’altro si riferivano sbigottiti certi giudizi sprezzanti pubblicati sui social network.
Dove Claudio Giardiello viene umanizzato alla stregua di un balordo che aveva ben motivo di perdere la testa di fronte a una giustizia che, solo per il fatto di processare le sue truffe, viene trasfigurata in moloch disumano.
È questo scivolamento nel far west metropolitano a inquietare forse più ancora dei buchi neri rivelati dagli apparati di sicurezza.
Un fenomeno studiato da Adolfo Ceretti, forse il più innovativo fra i criminologi italiani, un docente universitario che ha dato vita a vari esperimenti di incontro con persone in difficoltà , spesso in collaborazione con la magistratura.
Non è certo sconosciuta a Ceretti una figura come Giardiello: «La sofferenza urbana non si manifesta solo in patologie psichiatriche vere e proprie. La città si è riempita di persone fluttuanti che si muovono come monadi, totalmente incapaci di gestirsi, per le quali se salta il piccolo progetto individuale salta il mondo. I Cps, Centri di psichiatria sociale, sono porte girevoli prive della strumentazione necessaria, dove tanti disperati delle classi medie e basse vanno, ricevono un farmaco, la pillolina, poi spariscono e magari commettono reati. Il carcere ormai è pieno di detenuti psichiatrici».
Anche Claudio Giardiello ha vissuto questo inutile passaggio dai servizi. Convincendosi che a lui servivano prima i soldi, poi la vendetta, piuttosto che la cura. Schegge di rancore che infieriscono su una giustizia malandata e, a sua volta, colpevolizzata da opinion leader pronti a irridere i magistrati che «fanno le vittime».
È in questo clima che alla Milano perbene, ieri, è toccato piangere degli uomini di giustizia inseguiti e uccisi fin dentro al luogo in cui il crimine dovrebbe essere sanzionato.
E dove invece è stato perpetrato come terribile sfregio.
Gad Lerner
(da La Repubblica”)
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Aprile 11th, 2015 Riccardo Fucile
DUE PESI E DUE MISURE: PER RENZI, ALFANO, CANCELLIERI, DE GIROLAMO, LUPI, SORU, DE GENNARO VALGONO ALTRE REGOLE
Due anni fa, giugno 2013, Il Fatto e Libero svelano uno scandalo di lavori abusivi in una palestra e di evasioni dell’Ici e dell’Imu a Ravenna che coinvolge Josefa Idem, campionessa olimpionica di kayak, neodeputata del Pd e neoministra delle Pari Opportunità , Sport e Politiche giovanili del governo Letta.
In pochi giorni, dopo un’imbarazzata difesa insaputista alla Scajola, la Idem si dimette.
Poi sana le sue pendenze col fisco, versando 3 mila euro per le tasse non pagate (col trucco di dichiarare “abitazione principale” la casa-palestra dove si allenava) e 654 euro per l’abuso edilizio (la palestra, spacciata per luogo di allenamento privato, era aperta al pubblico, priva di agibilità e gestita da un’associazione sportiva con dipendenti e iscritti).
Sul piano penale, è ancora imputata per truffa aggravata sui contributi previdenziali erogati dal Comune dopo che la Idem si era fatta assumere dal consorte pochi giorni prima di diventare assessore allo Sport nel 2006.
Esattamente ciò che ha fatto nel 2004 Matteo Renzi con la ditta di strillonaggio del padre, che da Co.co.co. l’ha promosso dirigente alla vigilia delle elezioni che l’hanno portato alla presidenza della Provincia di Firenze (ma, diversamente dalla Idem e da altri amministratori locali, non è stato mai perseguito dalla magistratura fiorentina).
Perchè ricordiamo questa storia, che pare preistoria?
Perchè, quando la scoprimmo e la raccontammo, scrivemmo che la Idem doveva lasciare il governo.
E lei, spinta dal premier Letta, a sua volta pressato dalle mozioni di sfiducia annunciate da 5Stelle e Lega, se ne andò.
Un mese dopo si scoprì che il Viminale, diretto (si fa per dire) dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, aveva fatto arrestare, rinchiudere in un Cie e infine deportare nel loro paese Alma e Alua Shalabayeva, moglie e figlioletta del dissidente kazako Muxtar à„blyazov.
Nuova mozione di sfiducia individuale di M5S, Sel e Lega per Angelino Jolie, scaricato anche da Renzi, sindaco di Firenze.
“Se Alfano sapeva — dichiarò il Rottamatore —, ha mentito e questo è un piccolo problema. Ma, se non sapeva, è anche peggio”.
Poi intervenne Napolitano con un monito pro-Alfano e tutto il Pd, renziani compresi, salvò l’indegno ministro.
A novembre, altro scandalo nel governo Letta: la ministra della Giustizia, Annamaria Cancellieri, intercettata mentre solidarizza con gli amici arrestati Salvatore Ligresti & figlie, e si adopera per farne scarcerare una.
Solito copione: mozione di sfiducia M5S-Sel, Renzi scatenato per le dimissioni, monito salva-ministro
Gennaio 2014: il Fatto svela lo scandalo dell’Asl di Benevento, che investe la ministra dell’Agricoltura Nunzia De Girolamo (Ncd): pressioni per incarichi a parenti.
Lei prova a resistere, le opposizioni annunciano la mozione di sfiducia, Renzi fa trapelare che se ne deve andare, e lei alla fine lascia.
Febbraio 2014: Matteo il Castigamatti sloggia Letta da Palazzo Chigi e ha finalmente l’occasione di mostrare al governo la sua nobilitate.
E qui casca l’asino. Si riprende Alfano, sempre al Viminale. E imbarca come sottosegretari quattro inquisiti del Pd: la Barracciu, appena convinta a “scandidarsi” alle Regionali in Sardegna; Bubbico, all’epoca imputato per abuso d’ufficio (e in seguito assolto); De Filippo e Del Basso de Caro, indagati anch’essi — come la Barracciu — per peculato negli scandali dell’uso privato di rimborsi regionali (De Caro è stato poi archiviato).
Non contento, candida alle Europee Renato Soru, imputato per evasione fiscale e indagato per falso in bilancio e aggiotaggio; Nicola Caputo e Anna Petrone, consiglieri in Campania, indagati per peculato; e il sindaco di Ischia, Giosi Ferrandino, imputato per falso ideologico e abuso.
Per fortuna Ferrandino non fu eletto per un soffio (fu il primo degli esclusi), altrimenti la settimana scorsa i carabinieri avrebbero dovuto andare ad ammanettarlo a Bruxelles o a Strasburgo.
Soru invece viene eletto. Renzi e i suoi cari ripetono ogni volta a pappagallo che “c’è la presunzione d’innocenza fino alla Cassazione”. C’è tempo.
Così le quote marron si allungano: il sottosegretario Ncd all’Agricoltura, Giuseppe Castiglione, indagato per abuso e turbativa d’asta al Cara di Mineo; e il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, indagato per il porto di Olbia, confermato al suo posto e archiviato.
Poi però finisce nelle intercettazioni dall’inchiesta Grandi Opere, beccato a raccomandare il figlio con Incalza: scaricato e costretto a dimettersi.
Per lui la presunzione d’innocenza non vale: non è indagato.
Ora la Corte di Strasburgo rivela (sai che novità ) che nella scuola Diaz di Genova, al G8 2001, la polizia torturò.
E chi era il capo della Polizia che torturò? Gianni De Gennaro, penalmente assolto ma funzionalmente responsabile di quei fatti ignobili, ora presidente di Finmeccanica.
Forse dovrebbe andarsene, anche perchè lì ha subito ingaggiato come consulente per la sicurezza — pagato dai contribuenti —l’ex capo dello Sco Gilberto Caldarozzi, condannato in via definitiva a 3 anni e 8 mesi per falso, reato commesso proprio alla Diaz firmando il verbale che attestava il sequestro (mai avvenuto) di bottiglie molotov.
Perchè mai dovremmo stipendiare l’ennesimo pregiudicato?
Ma il premier assicura a De Gennaro “piena fiducia” perchè “è stato assolto” (Caldarozzi condannato, ma fa lo stesso).
Il Renzi del 2014 avrebbe detto: “Se sapeva, ha mentito e questo è un piccolo problema. Ma, se non sapeva, è anche peggio”.
Il Renzi di oggi dev’essere un omonimo.
In ogni caso, scusaci Josefa: sai com’è, ogni tanto ci capita di distrarci e di pensare di vivere in una democrazia normale.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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