Aprile 22nd, 2015 Riccardo Fucile
SOMMERSI E SALVATI
È la cronaca di centinaia di naufragi. Uno per ogni vittima. Ma soltanto i pochi sopravvissuti possono raccontarlo.
Bastano poche parole, quelle di S., con il suo sorriso e tutta la sua solitudine dinanzi al budino offerto sul molo di Catania, appena sbarcato dalla nave Gregoretti: “Sono rimasto solo”, dice a Simona Migliore, della Croce Rossa, “eravamo in tanti, partiti dal Gambia, forse in cento. Sono rimasto soltanto io”.
E se ogni viaggio passa da una carretta nel Mediterraneo, ogni viaggio inizia in modo diverso, e quello di Said inizia nell’estate del 2014.
Il piccolo Said e il sogno svedese
Ha appena 16 anni, è nato in Somalia, cinque sorelle e tre fratelli. “La mia destinazione è la Svezia. Devo raggiungere le mie zie”, racconta nel centro per minori Mascalucia, dove lo segue Save the Children.
“La mia famiglia mi ha affidato a un trafficante sudanese — racconta — e dopo mesi sono arrivato a Jdabiya in Libia”.
Prima di naufragare, deve affrontare altri traumi. “Sono rimasto in un carcere, recluso dai trafficanti per ben nove mesi”.
Il tempo necessario perchè la sua famiglia pagasse un riscatto.
“In quel carcere — continua — c’erano molti altri ragazzi. E in molti sono morti davanti ai miei occhi. Mangiavamo pochissimo, poca acqua e poco cibo, diventavamo sempre più deboli, ci si ammalava facilmente. E chi si ammalava spesso moriva”.
Lasciato il carcere, dopo il pagamento del riscatto, Said raggiunge Tripoli.
“Ci ho impiegato sei giorni per raggiungerla”. Di lì, finalmente, la partenza.
“I trafficanti mi hanno fatto salire su un gommone”, continua, “poi da lì siamo stati trasportati su un peschereccio a 3 piani, ormeggiato poco distante dalla costa”
Said è ridotto a merce all’ammasso: “Noi adolescenti eravamo una sessantina”.
Oggi se ne contano, vivi, appena quattro. “Sentivo i trafficanti parlare, dicevano che volevano imbarcare 1.200 persone, ci picchiavano per farci salire. Secondo me si sono fermati a 800 passeggeri”.
È l’inizio della fine: non tutti viaggiano allo stesso modo. I destini si incrociano. Chiusi a chiave nella stiva “Quelli al piano più basso”, continua Said, “sono stati chiusi a chiave”.
Per loro, di lì a poco, non ci sarà più speranza. Said resta in coperta. Ed è la sua salvezza: “Era notte quando è stato lanciato l’allarme e la richiesta di soccorso. Quando abbiamo visto le luci, ci siamo accalcati tutti su un lato, l’i mbarcazione si è inclinata fino a ribaltarsi. Sono svenuto, poi ho capito d’essermi salvato”.
Ieri — anche per l’intervento dell’e uroparlamentare Pd Michela Giuffrida — è riuscito a chiamare casa: “Pensavano fossi morto”.
C’è chi racconta di essere stato per un mese, prima di partire, in una sorta di fattoria. Recluso, minacciato e bastonato, anche solo per essersi allontanato a fare pipì.
C’è chi dice di aver pagato 500 o 1000 dinari libici per la traversata, cioè poche centinaia di euro, altri parlano di migliaia di euro.
“Per due anni — racconta un ragazzino bangladese — ho lavorato duro come meccanico in Libia per potere comprare il biglietto di sola andata per l’Italia. Su quella barca eravamo in tre bengalesi, siamo riusciti a salvarci perchè eravamo sul ponte più alto”. Quelli del ponte più alto: ”Preghiamo per gli altri”
La posizione sul peschereccio, questione di vita o di morte, probabilmente dipendeva del prezzo pagato. E chi si è salvato ora prega: “Dio ha voluto che mi salvassi, ora posso solo pregare per chi non ce l’ha fatta”.
E ancora: “Ero con mio padre e mio fratello, non li ho visti più, non so dove siano”, si dispera un ventenne maliano nel Cara (Centro di accoglienza per i richiedenti asilo) di Mineo (Catania), tristemente noto per i guai giudiziari, fino all’inchiesta palermitana che ne fa il quartier generale di uno dei presunti trafficanti di esseri umani.
Sono tutti maschi, quasi tutti ventenni o poco più: maliani, eritrei, sierraleonesi, zambiani, ghanesi e tre bangladesi.
Ogni sguardo una tragedia: un minore ha perso la sorella diciannovenne, chiusa nella stiva come le altre donne e i bambini, e se il relitto non sarà ripescato non sapremo mai neanche quante tragedie contare.
Se 950, come riferisce il primo superstite, o 400.
Resta la più feroce delle storie in questo fazzoletto di mare.
Alessandro Mantovani e Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 22nd, 2015 Riccardo Fucile
“SE UN PARTITO NON HA CULTURA, IDENTITA’, VALORI E REGOLE PUO’ SUCCEDERE QUALUNQUE COSA”
«Sarà colpa della mia vecchiaia…».
Ha compiuto 91 anni da un mese, Emanuele Macaluso.
«Sì, e quando vedo centinaia di persone che muoiono in mare riesco a pensare solo a questo»
Intanto, Renzi ha fatto sostituire i membri Pd in commissione per la legge elettorale.
«Ha sbagliato! Ma che mi importa! Ci si concentra sulla legge elettorale, mentre tutto dovrebbe essere dedicato alla tragedia nel Mediterraneo».
Facendo cosa?
«Anche andando fra la gente a discuterne, perchè siamo di fronte a un fatto epocale. Su questo la sinistra, non solo quella italiana, sta perdendo la faccia».
Macaluso è a Sesto San Giovanni, presenta il suo libro «Comunisti e riformisti. Togliatti e la via italiana al socialismo».
È stato nel Pci, dal 1951, nella Cgil, direttore dell’ Unità e del Riformista . Al Pd non si è mai iscritto.
Renzi non le piace.
«La sua qualità è di essere un riformatore in velocità . Ma oggi il Pd mi sembra un partito che vive alla giornata. Politique d’abord , politica innanzitutto, come diceva Nenni. Mai una prospettiva, un’idea per far camminare la società ».
Ci sono molti casi locali nel Pd.
«De Luca condannato e candidato in Campania, sindaci veneti che si tolgono la fascia per l’arrivo degli immigrati: allineati con la Lega. Se un partito non ha cultura, identità , valori e regole, può succedere qualunque cosa»
Lei è d’accordo con la minoranza del Pd?
«Per niente. È la minoranza degli emendamenti. Il Pd non ha una cultura politica di riferimento e la minoranza non ne propone una alternativa: dovrebbe fare una battaglia per stabilire cosa è oggi il Pd».
L’era Renzi è stata preparata da ciò che è accaduto prima?
«Se penso alla campagna elettorale di Bersani nel 2013, non ricordo accenni alla politica internazionale. Eppure la sinistra si è sempre distinta per i suoi rapporti con il mondo».
E prima di Bersani?
«Dopo la svolta di Occhetto, la tensione di tutti è stata di andare al governo: D’Alema, Veltroni, Turco, perfino Mussi. Ma per fare cosa?».
Le riforme di Renzi: c’è qualcosa di sinistra?
«Ho molte riserve sulla riforma elettorale. Sulla riforma del lavoro penso che la Cgil avrebbe dovuto proporre un suo progetto, anzichè dire sempre no. Ripeto, però: oggi sarebbe di sinistra occuparsi delle stragi nel Mediterraneo».
Lo fa la sinistra di altri Paesi?
«La crisi è di tutto il socialismo, europeo e mondiale. L’ultimo atto importante fu il documento sul Terzo mondo di Willy Brandt, del 1980. Poi ognuno si è ripiegato sui casi nazionali. È rimasto il Papa a occuparsi di questi temi».
Cosa racconta il suo libro su Togliatti?
«Che la Costituzione italiana esiste perchè ci fu Togliatti: svolta di Salerno, Repubblica e Costituente come punti di unità fra le forze della Resistenza. La linea fondamentale del Pci fu la difesa della Costituzione».
E poi?
«Dopo la crisi del ’92 fu totalmente cancellata la memoria della Prima Repubblica. Antipolitica, populismo, caduta della cultura politica sono il frutto della distruzione del passato. Ma una sinistra con una strategia è necessaria allo sviluppo del Paese».
Andrea Garibaldi
(da “il Corriere della Sera”)
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Aprile 22nd, 2015 Riccardo Fucile
AL PENSIERO DI UNA RIEDIZIONE DEL PATTO DEL NAZARENO L’ISIS GIA’ TREMA
Ridere di questi tempi, con tutti questi morti, è davvero difficile.
Ma il compito del Foglio — peraltro all’insaputa dei potenziali lettori —è sempre stato questo: farci ridere.
Ieri, sull’house organ della parrocchietta renziana capitanata da Claudio Cerasa e curiosamente stipendiata da Berlusconi a suon di milioni, è comparso un pensoso articolo di Giorgio Tonini.
Uno normale dirà : chi era costui? Nientepopodimenochè il vicecapogruppo del Pd al Senato, già guardaspalle di Veltroni, poi ovviamente folgorato sulla via di Pontassieve e convertito al renzismo.
Un tipo dalla coerenza rocciosa: nel 1993 era nel comitato promotore del movimento referendario di Mario Segni per la riforma elettorale uninominale affinchè i cittadini potessero scegliersi i parlamentari, ora è un trinariciuto dell’Italicum affinchè i parlamentari se li scelgano tre o quattro segretari di partito.
Del resto, si laureò in filosofia con una tesi su Giovanni Battista Vico, quello dei corsi e ricorsi della storia.
L’altro giorno, anche per giustificare la laurea, ha avuto un’idea.
Ma non dev’essergli parsa un granchè, infatti ha deciso di affidarla al Foglio per evitare che qualcuno la venisse a sapere.
L’idea sarebbe questa: “un buon accordo Renzi- Berlusconi per stabilizzare la Libia”. Dopo il Patto del Nazareno, il Patto del Tripolino.
In effetti, per stabilizzare la Libia, chi meglio di colui che nel 2011 la destabilizzò, bombardandola e partecipando alla guerra contro Gheddafi che aveva baciato e leccato fino al giorno prima? Mai più senza.
Anche perchè allora Tonini, dopo aver votato in Parlamento il trattato di alleanza militare Roma-Tripoli voluto dal governo B. e avallato dal Pd, era per l’intervento armato in Libia senza se e senza ma, e cazziava l’allora ministro degli esteri Frattini che nicchiava.
Ora il Tonini stravede per il Caimano (o quel che ne resta) e non ne fa mistero, anche perchè è pur sempre l’editore del giornale su cui scrive: “C’è voluto Berlusconi per spezzare la spirale demagogica e populista, che non esita a piegare alla piccola propaganda della politichetta italiana perfino la immane catastrofe umanitaria”.
Ecco dunque l’idea geniale che può dare una svolta all’esodo biblico delle popolazioni in fuga da una guerra innescata da noi.
Altro che Onu, altro che Nato, altro che Europa: quel che ci vuole è un bel “tavolo bipartisan dove ciascuno possa mettere a disposizione le proprie esperienze per porre fine a queste sciagure”.
E le esperienze da mettere a disposizione sono parecchie: tipo l’ok dato due anni fa al Regolamento Dublino III.
Cioè la normativa europea che accolla al paese di primo approdo (quasi sempre l’Italia) il compito di “garantire assistenza e accoglienza ai profughi”.
La ratifica la diede il 7 giugno 2013 il Consiglio dell’Ue, dove sedevano i ministri dell’Interno di tutta l’Unione, compresi i nostri Alfano e Cancellieri, mandati dal governo Letta e appoggiati da Pd e Pdl.
Gli stessi partiti che a ogni tragedia del mare puntano il dito contro l’Europa che non fa nulla, dopo averla esentata dal fare alcunchè.
Ora però — scrive Tonini — basta un “ritrovato asse tra il governo e almeno una parte dell’opposizione” per fare miracoli.
Ai bei tempi del Patto del Nazareno, se ne videro parecchi: l’Italicum per la Camera dei nominati con le liste bloccate, il Senato dei consiglieri regionali e dei sindaci nominati, il decreto fiscale col condono a frodatori e agli evasori fino al 3% del fatturato dichiarato, i regalucci e regalini a Mediaset.
Con simili prodigiosi precedenti, figurarsi che sarebbero capaci di combinare Matteo e Silvio se solo tornassero insieme.
Tonini già prevede “un salto di qualità sul piano politico”, che avrebbe inevitabilmente effetti balsamici anche sull’immagine internazionale dell’Italia: sapere che Renzi non decide da solo, ma con l’ausilio di Berlusconi, non potrà che rassicurare i partner europei.
I quali, anzi, si domandavano da mesi come potesse Renzi privarsi di un consigliere sì prezioso.
Specie ora che — annuncia Tonini — s’impone un “uso adeguato della forza militare” per la “stabilizzazione della Libia”, andando a sparare a quelli che quattro anni fa, sempre sparando, abbiamo aiutato a conquistare il potere.
E non c’è solo Tonini a spingere i fidanzatini di Peynet al ritorno di fiamma.
Il nuovo Nazareno piace un sacco anche a Doris e a Confalonieri che l’altra sera — ci informa Repubblica — erano talmente commossi per la strage del Mediterraneo da presentarsi in gramaglie ad Arcore per un vertice con i resti del Caimano sulla “cessione del Milan al thailandese Mr Bee” e sull’“operazione Mondadori- Rcs libri”. E lì, fra una lacrima e l’altra, gli hanno spiegato che bisogna “ricucire con Renzi per un Patto rinnovato e non dare spazio a Salvini”.
Ma soprattutto per “recuperare centralità sul piano nazionale” e diventare l’“unico interlocutore in una fase di emergenza”, senza dimenticare la sua “leadership italiana del Ppe” e il rapporto con l’imperdibile Verdini.
Il mezzano Tonini e i paraninfi Confalonieri e Doris sono dunque al lavoro per far riscoccare la scintilla fra i due nazareni. Se son rose, fioriranno.
E, per l’Isis e gli scafisti, saranno dolori.
Lo sceicco Al Baghdadi sta già tremando.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 22nd, 2015 Riccardo Fucile
CHI VINCE LE PRIMARIE EMARGINA GLI SCONFITTI: LA NUOVA ETICA DEL PD
L’associazione partigiani di Alessandria decide di celebrare il 25 aprile con Cofferati. Ma la sindaca Rossa, che a dispetto del cognome è renziana, pone il veto sull’ex sindacalista e propone Boschi o Pinotti.
I partigiani resistono e non se ne fa nulla.
Intanto a Bologna parte la Festa dell’Unità dedicata alla Liberazione, dove non risultano invitati gli esponenti della minoranza: Cuperlo, Civati, Speranza, persino Bersani.
Sarebbe grottesco rimpiangere i riti melmosi della Prima Repubblica, ma democristiani e comunisti avevano un altro stile.
Moro e Fanfani si pugnalavano dietro le quinte, però a nessuno dei due sarebbe mai venuto in mente di escludere il rivale da una cerimonia ecumenica del partito.
E nel Pci il «centralismo democratico» obbligava i capi delle varie correnti invisibili a sedere sullo stesso palco, applaudendo ritmicamente le prolusioni sterminate del Signor Segretario.
Ipocrisie, certo. Ma la vita politica (e non solo quella) è fatta di forme che rivestono una sostanza: la ricerca delle ragioni profonde per cui si sta insieme, pur facendosi ogni giorno la guerra.
Nel Partito democratico queste ragioni semplicemente non esistono. Nemmeno la Resistenza, a quanto pare, lo è.
Chi vince le primarie emargina gli sconfitti. Lo ha fatto Bersani, e ora Renzi.
Colui che afferra il volante si proclama diverso, ma poi anche lui seleziona i compagni di viaggio in base al tasso di fedeltà .
Dimenticandosi che alla lunga in politica (e non solo in quella) sono sempre i più fedeli a tradire.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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