Maggio 31st, 2015 Riccardo Fucile
SCHITTULLI PRIMA DELLA POLI BORTONE IN PUGLIA…AVANTI ZAIA, EMILIANO, CERISCIOLI
Ecco i primi exit poll trasmessi pochi minuti fa dalla Rai durante la diretta di Bruno Vespa a cura Piepoli
CAMPANIA
De Luca 43,3 %
Caldoro 35,6 %
Ciarambino 18,6 %
LIGURIA
Toti 31,3 %
Paita 30,4 %
Salvatore 23,9 %
Pastorino 8 %
VENETO
Zaia 45,2 %
Moretti 25,6 %
Tosi 13,9%
PUGLIA
Emiliano 44,5 %
Laricchia 20 %
Schittulli 17,1%
Poli Bortone 14,7 %
MARCHE
Ceriscioli 39 %
Maggi 24,8%
Acquaroli 16 %
Spacca 15 %
UMBRIA
Ricci 41,5 %
Marini 40,1 %
Liberati 14 %
MARCHE
Ceriscioli 39 %
Maggi 24,8%
Acquaroli 16 %
Spacca 15 %
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Maggio 31st, 2015 Riccardo Fucile
CALDORO A 2 LUNGHEZZE…. IN LIGURIA CROLLA LA PAITA, TESTA A TESTA TOTI-SALVATORE
Ecco i primi exit poll trasmessi pochi minuti fa da La 7 durante la diretta di Enrico Mentana a cura Emg
CAMPANIA
De Luca 37,5 %
Caldoro 35,5 %
Ciarambino 23 %
LIGURIA
Toti 30 %
Salvatore 27 %
Paita 23,5 %
Pastorino 13 %
Musso 2 %
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Maggio 31st, 2015 Riccardo Fucile
ANCHE L’ANNO SCORSO SI VOTO’ UN SOLO GIORNO E L’AFFLUENZA FINALE FU DEL 58,7%… ALLE 19 IL CALO E’ DI CIRCA 7 PUNTI IN LIGURIA, 3 IN VENETO. 11 IN UMBRIA, 3 IN PUGLIA
Potrebbe attestarsi ben sotto al 60% l’affluenza finale relativa elle elezioni regionali. Questo suggeriscono i dati del Viminale raccolti alle 19.
Complessivamente, a quattro ore dalla chiusura delle urne, il 39,2% degli aventi diritto si è recato a votare.
Più alta la percentuale in Veneto (42,92%), seguita da Liguria (39,51%), Umbria (39,79%),
Si registra invece un dato più basso in Campania (35,65%) e Toscana (35,48%) e Puglia (30,6%).
Sensibilmente più alta invece l’affluenza per le elezioni comunali. Alle 19 il dato si attesta al 50,03%.
Numeri inferiori in tutte le regioni rispetto alla tornata elettorale delle regionali 2010. Ma il dato non è confrontabile perchè allora si votava anche di lunedì.
Se invece si utilizza come parametro le ultime elezioni europee, in cui le urne erano aperte soltanto di domenica, il tasso risulta in forte calo.
Lo scorso anno alle 19 in Veneto era andato al voto il 45,7%, in Liguria il 46,81%, in Toscana il 49,23%, in Umbria 51,47%.
Più in linea con i dati attuali le percentuali registrate nel 2014 alle 19 in Campania (34, 09%) e in Puglia (33,92%).
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Maggio 31st, 2015 Riccardo Fucile
VOTERANNO PER I CANDIDATI ALLA REGIONE LIGURIA SU UN FAC SIMILE… L’INIZIATIVA DEL MOVIMENTO “L’ITALIA SONO ANCH’IO”
Un seggio simbolico per gli stranieri senza diritto di voto, nel cuore del centro storico in occasioni delle elezioni amministrative 2015.
È l’iniziativa lanciata a Genova — e contemporaneamente in sette regioni italiane — dal movimento per il diritto di cittadinanza “L’Italia sono anch’io”, insieme ad Arci, associazioni e sindacati.
“La popolazione italiana ha espresso un parere favorevole al diritto di voto per i migranti — spiega Rachid Kay del coordinamento immigrazione di Arci Liguria — Oggi siamo in attesa della modifica della legge per concedere questo diritto agli stranieri che qui vivono, lavorano e contribuiscono alla crescita di questo Paese”.
Un’iniziativa simile era stata già proposta in occasione delle Regionali 2005.
“Ma, dopo tantissimo tempo, siamo sempre punto e a capo” dice Khay.
Si vota con un fac simile pressochè identico alla scheda reale e, in serata, dopo lo spoglio, saranno diffusi i risultati non ufficiali.
Si attende una partecipazione massiccia di arabi, sud americani e africani.
“Abbiamo voluto usare le stesse modalità — conclude Khay — perchè c’è questa favola che gli immigrati votano a sinistra. Non è così”
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 31st, 2015 Riccardo Fucile
UNO SCIOPERO DEI TECNICI METTEVA A RISCHIO LO SPECIALE ELETTORALE, IL DIRETTORE SCRIVE E LA PROTESTA VIENE RINVIATA
Se lo speciale elettorale sulle Elezioni regionali non andrà in onda, mi dimetterò da direttore del Tg di La7.
Questo il succo di una lettera mandata da Enrico Mentana ai suoi colleghi del telegiornale della tv di Urbano Cairo.
La lettera
«Un’agitazione dei tecnici de La7 -scrive Mentana nella lettera – minaccia lo svolgimento della tradizionale diretta elettorale che dovrebbe andare in onda dalle 22 fino alle 8 del mattino. Da settimane scandiamo il conto alla rovescia per queste elezioni regionali (trasmissioni come Coffee Break lo hanno fatto anche in senso stretto), tutti i leader hanno affollato le nostre trasmissioni per la campagna elettorale, e oggi che infine si arriva al traguardo, uno sciopero rischia di cancellare l’intero lavoro, l’intero appuntamento, l’intera reputazione di una rete votata all’attualità , all’informazione, al resoconto puntuale dei passaggi politici fondamentali. Non è questa la sede per discutere le motivazioni dell’agitazione, nè i motivi che hanno impedito all’azienda di ottenere una sospensione dello sciopero: ho certo delle idee in merito, e se ci sarà interesse e occasioni sono pronto a esporle (vivo anch’io tutti i giorni le difficoltà di una situazione obiettivamente critica). Ma ora, a dieci ore dalla partenza della maratona elettorale, voglio solo dire una cosa molto semplice: se non andrà in onda da domani non sarò più il direttore del tg de La7. Non per capriccio o per minaccia, ma per la mera constatazione che con l’assenza dalla scena in queste 48 ore noi abdicheremmo platealmente e inescusabilmente al nostro ruolo, perdendo in un sol colpo tutta la reputazione conquistata in cinque anni di lavoro durissimo in cui ci siamo imposti come la tv della realtà , della diretta, dell’informazione pulita».
Poche parole, ma chiare.
Protesta sospesa
Ma lo stesso Mentana, nel primo pomeriggio di domenica, annuncia che è tutto rientrato.
«La protesta è stata sospesa e la maratona elettorale di La7 andrà regolarmente in onda».
Dalle 23 ci saranno gli exit poll dell’Istituto Emg: «Saremo gli unici a farli, a metterci la faccia», spiega Fabrizio Masia, direttore generale della Emg.
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 31st, 2015 Riccardo Fucile
E IL CODACONS ANNUNCIA UNA CLASS ACTION… GOVERNO ALL’ANGOLO
Un’ingiunzione di pagamento di 3.074 euro a titolo di arretrati dopo la bocciatura del blocco delle indicizzazioni delle pensioni da parte della Corte Costituzionale.
E’ quanto è stato stabilito in un decreto ingiuntivo del 29 maggio dal Tribunale di Napoli, sezione lavoro, che ha accolto il ricorso di un pensionato partenopeo presentato prima che il governo annunciasse il decreto sui rimborsi delle pensioni.
E’ quanto riferisce l’avvocato Vincenzo Ferrò, che ha assistito il pensionato.
Secondo il Codacons, la decisione apre la strada a migliaia di pronunce analoghe in tutta Italia in favore dei pensionati.
Il Ministero del Lavoro, ha risposto ricordando che i ricorsi dovranno tenere conto del decreto presentato dal Governo.
“Si tratta di una decisione importantissima, che avalla la class action avviata dal Codacons alla quale hanno già aderito oltre 5mila pensionati attraverso l’invio di una diffida all’Inps e al Ministero del lavoro — spiega il presidente Carlo Rienzi — Se non saranno restituiti integralmente i soldi sottratti agli utenti che hanno partecipato alla nostra azione collettiva, scatteranno migliaia di analoghi ricorsi che potranno contare sull’importante precedente del Tribunale di Napoli”.
E il Codacons attacca duramente le affermazioni odierne del ministero del Lavoro tese ad indurre i pensionati ad evitare i ricorsi.
”L’errore del Ministero è evidente — spiega Rienzi — Il decreto, infatti, vale per il futuro, ma non cancella i diritti acquisiti dai pensionati nel passato, e la sentenza della Consulta interessa proprio le pensioni pregresse per le quali è ampiamente legittimo proporre ricorso”.
In tal senso il Codacons invita tutti i pensionati danneggiati dalla legge Fornero ad aderire alla class action presente sul sito www.codacons.it.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 31st, 2015 Riccardo Fucile
E IL MINISTRO DEGLI INTERNI E’ DOVUTO RIMANERE ALL’ESTERNO
Imprevisto per Angelino Alfano a Napoli.
Secondo quanto racconta il Fatto Quotidiano, il ministro degli Interni si sarebbe presentato al famoso bar Gambrinus senza avere prenotato.
Il ministro giunto nel capoluogo partenopeo per una manifestazione ha deciso di fermarsi al bar a pochi passi da piazza del Plebiscito.
Il caffè però alle 5 del pomeriggio ha tutti i tavoli già occupati.
Così il direttore si rivolge al ministro e chiede: “Scusi, avete prenotato?”
Pasquale Sommese, assessore di Caldoro, ammette: “Me ne sono dimenticato”.
A questo punto arriva la risposta gelida del titolare del bar: “Allora mi dispiace, non potete entrare”.
Così Alfano ha dovuto ripiegare su un altro bar a pochi passi dal Teatro San Carlo.
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Maggio 31st, 2015 Riccardo Fucile
AMMINISTRARE LA COSA PUBBLICA NON E’ UN OBBLIGO O UNA PRESCRIZIONE MEDICA, E’ UN ONORE: CHI LO FA DEVE DIMOSTRARE DI ESSERNE DEGNO
Amministrare la cosa pubblica, lo dicevamo, non è un obbligo. Non è una prescrizione medica.
È un onore.
Non ci volevano nè Rosy Bindi, nè la Commissione Antimafia per dire che è impresentabile chi, come Vincenzo De Luca, è imputato di concussione, truffa e associazione per delinquere, avendo per giunta accumulato una condanna in primo grado a un anno per abuso d’ufficio.
In Italia, però, a essere rivoluzionaria ormai non è più la verità .
Per far scandalo bastano le banali ovvietà .
Per questo vale la pena di spendersi in qualche considerazione sui diritti e i doveri di coloro i quali pretendono di amministrare la cosa pubblica nel Paese più corrotto d’Europa.
Fare politica non è un obbligo. È solo una scelta che ciascun cittadino può fare sapendo che dal quel momento in poi andrà in contro a onori e oneri maggiori rispetto a quelli dei suoi connazionali.
Il garantismo deve valere sempre nelle aule di tribunale, dove l’imputato va considerato non colpevole fino a sentenza definitiva.
In politica, invece, devono prevalere criteri di normale prudenza: tra chi è specchiato e chi ha addosso una macchia, candido il primo e non il secondo.
Dire di un amministratore locale o nazionale “però lo hanno votato”, come è accaduto con De Luca dopo le primarie, non ha senso.
La selezione andava fatta prima, dalle segreterie nazionali e locali, dalle sezioni e dai circoli.
Escludere dalle liste un imputato, un prescritto, un condannato non definitivo, o anche chi senza essere nemmeno sotto inchiesta ha frequentazioni abituali con esponenti della criminalità organizzata, non è una decisione giustizialista che va a ledere un diritto del candidato.
È una libera scelta della politica che serve per mettere la collettività al riparo dal rischio di ritrovarsi un delinquente conclamato in una posizione di comando.
Ovviamente se questa esclusione non è prevista dalla legge (ma nel caso di De Luca la legge che rende la sua presenza in lista inopportuna c’è e si chiama Severino) criteri simili posso essere adottati dai partiti solo su base volontaria.
E questo è proprio quello che è accaduto il 24 settembre dello scorso anno, quando la Commissione Antimafia ha votato all’unanimità un codice etico di autoregolamentazione con cui le varie formazioni si impegnavano a non candidare chi fosse stato rinviato a giudizio anche per reati come la concussione e la corruzione (ma non l’abuso di ufficio).
Potevano i partiti non approvare quel documento? Certamente.
Ma visto che lo hanno fatto, il minimo che si può pretendere da loro è la coerenza.
Il rispetto della parola data.
E invece in gennaio i vertici del Pd hanno permesso a De Luca di partecipare alle primarie sebbene fosse sotto processo da tempo per concussione e altri gravi reati (il fatto che abbia rinunciato all’eventuale prescrizione non cambia di una virgola la questione).
E nessuno ha pensato di depennarlo anche quando è arrivata la condanna a un anno per abuso, circostanza che da sola basterà per far scattare la sua sospensione dal Consiglio regionale.
Ecco allora perchè i fedelissimi di Matteo Renzi hanno torto quando definiscono “barbarie” la lista di impresentabili stilata dall’Antimafia.
L’Italia, come ha ben compreso il presidente Sergio Mattarella, se vuole davvero “cambiare verso” deve ripartire dallaquestione morale.
Le leggi e i giudici da soli non bastano. C’è bisogno di una politica che dia il buon esempio, anche a costo di far uscire momentaneamente di scena chi poi al termine dei processi verrà forse assolto.
Amministrare la cosa pubblica, lo dicevamo, non è un obbligo. Non è una prescrizione medica.
È un onore.
Sarebbe il caso che chi lo fa si sforzi finalmente di dimostrare di esserne degno.
Peter Gomez
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 31st, 2015 Riccardo Fucile
SE DAL 40,8% DELLE EUROPEE IL PARTITO DOVESSE SCENDERE SOTTO IL 35% NON CI POTRANNO NON ESSERE RIFLESSI INTERNI
Misurare il consenso rispetto alle riforme dell’ultimo anno, dal Jobs Act alla legge elettorale, dai dati sull’economia alla prima manovra finanziaria del suo governo. Pesare il dato del Pd, al netto della rottura ormai conclamata seppure non esplosa definitivamente con la sinistra. A
lla fine Matteo Renzi dice che non è un referendum sulla sua persona, ma in questa dichiarazione ci sono anche i mille dubbi che improvvisamente oscurano le certezze del premier.
«Sono preoccupato », confessa ai suoi collaboratori.
Non esclude affatto il contraccolpo dopo la diffusione della lista degli impresentabili da parte della commissione Antimafia che può fare danni ben oltre la Campania, anzi incide più sulle previsioni di altre regioni coinvolte dal voto.
Eppoi c’è la Liguria, che sta diventando un po’ l’Ohio italiano, il posto dove si valutano i pesi degli schieramenti in campo.
In questo caso, la sfida è tutta interna al Pd. Renzi cerca di dimostrare l’irrilevanza del dissenso più irriducibile.
La sinistra vuole mostrare la sua forza numerica. «Ma le cose stanno cambiando», ripete il capo del governo alla vigilia del voto. Un pessimismo che si basa sugli sondaggi ricevuti da Palazzo Chigi e meno confortanti rispetto a quelli precedenti.
Campania e Liguria sono dunque gli snodi delle elezioni di oggi.
E se non lo saranno sul governo avranno sicuramente un effetto sul Partito democratico, sui suoi assetti e sulla convivenza tra minoranza e maggioranza.
Lorenzo Guerini è destinato ad abbandonare la poltrona di vicesegretario per trasferirsi alla Camera come capogruppo di una pattuglia di 310 deputati.
È un esito ormai scontato, Guerini, superrenziano, potrà però sfruttare alcuni buoni rapporti personali con i ribelli in modo da arrivare a superare il quorum d’elezione. Ettore Rosato, che era il favorito per la presidenza del gruppo, a sorpresa potrebbe diventare il vicesegretario del Pd insieme con la Serracchiani.
Ma a lui toccherebbe il ruolo di vero plenipotenziario per tutte le partite in periferia. Un ruolo molto delicato come si è visto nel caso De Luca.
Rosato è molto legato al sottosegretario Luca Lotti e ha dato prova di tenuta durante il voto sull’Italicum, portando a una “scissione” nel fronte dei dissidenti.
Resta per il momento una suggestione l’idea di affidare a Maria Elena Boschi la delega di vicesegretario unico con conseguente uscita dal governo.
Se però finisse così, la sinistra coglierebbe un segnale.
«Boschi rimane al ministero se Matteo pensa di andare fino in fondo sulla riforma costituzionale ipotizza Alfredo D’Attorre -. Ma per arrivare al traguardo il premier o fa un accordo con noi della minoranza o con un pezzo di Forza Italia. Se invece va a Largo del Nazareno significa che la riforma finisce su un binario morto e Renzi si prepara alle elezioni molto presto».
Sono comunque scenari che non possono prescindere dal voto di oggi.
«Francamente non sono un test politico sul governo dice Renzi -. Potevano esserlo le elezioni europee, lettura che anche in quel caso non condividevo. Ma le elezioni locali servono per le elezioni locali. Non c’è nessuna conseguenza».
Parole solo in parte vere. Sia per l’esecutivo sia per il partito.
La sinistra è convinta che finiranno 6 a 1, che le bandierine saranno decisamente a favore del premier-segretario.
Quindi, Renzi andrà avanti puntando al 2018. Ma con quale tipo di dialogo dentro il Pd?
Lo scontro dopo la pubblicazione dei nomi dell’Antimafia dimostra che i rapporti sono ai minimi termini. Persino la dichiarazione distensiva del leader in pectore dei dissidenti va letta in due modi.
«Conosco bene De Luca — dice Roberto Speranza all’Ansa — e vedere il suo nome accostato all’Antimafia è in totale contraddizione con il suo impegno e con la sua storia che sono stati sempre rivolti al servizio esclusivo della comunità ».
Un assist contro la Bindi e a favore di Renzi? Non solo.
È anche la dichiarazione che avrebbe dovuto fare un segretario di partito in piena campagna elettorale e a 48 ore dal voto.
«Rispettosa delle istituzioni e di sostegno al proprio candidato senza esitazioni», recita un bersaniano.
Insomma, una lezione di stile che potrebbe tornare utile nel caso di una futura resa dei conti post elettorale.
Del resto Speranza ha fatto campagna elettorale a tappeto per i candidati del Pd.
È stato a Napoli con De Luca e ha guidato un appuntamento di Raffaella Paita in Liguria. Come dire: non si esce dal Pd, si cerca il suo successo.
Poi arriverà il momento del confronto. Se il partito dovesse scendere dal 40,8 per cento a percentuali più vicine al 30, la minoranza è convinta che si dovrà riflettere sui voti persi a sinistra, dopo gli scontri con il sindacato, il Jobs act, la contestata riforma della scuola e in ultimo la legge elettorale con la fiducia messa in aula.
Non sarà un test, ma nelle urne delle 7 regioni si giocano molte partite e Renzi ha bisogno di una vittoria netta almeno vicina a quella del 40 per cento.
Perchè il consenso è il vero motore del suo governo.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
argomento: Renzi | Commenta »