Maggio 5th, 2015 Riccardo Fucile
LA CANDIDATURA DI ENRICOMARIA NATALE: IL PADRE ARRESTATO DUE VOLTE PER CAMORRA
Agli inizi del dicembre scorso, il giorno 4, l’avvocato Mario Natale venne scarcerato e il figlio
Enricomaria diede pubblicità alla sua gioia con un improvviso spettacolo di fuochi d’artificio, nel centro di Casal di Principe, dove i Natale abitano.
Fu lo stesso Enricomaria che postò il video dei fuochi sul suo profilo di Facebook e scrisse: “Mario Natale torna in Libertà : è INNOCENTE”.
Le maiuscole sono quelle originali, del post.
Dieci giorni dopo, il Tribunale del Riesame dissequestrò beni per oltre 50 milioni di euro a Natale: 55 terreni, 41 immobili, 8 fabbricati commerciali, 16 automezzi, 15 quote societarie, 13 società e 5 ditte individuali.
Natale era stato già arrestato nel 2008 insieme al fratello Vincenzo, nell’operazione Spartacus 3.
Le accuse, sempre le stesse: associazione a delinquere con la camorra dei Casalesi.
Un prestanome, in pratica.
Per quell’arresto del 2008, il primo, Natale ricevette nel 2010 un risarcimento per ingiusta detenzione.
Oltre Cosentino
Il figlio di Natale, Enricomaria, alle amministrative del 25 maggio del 2014, è stato l’avversario del suo omonimo Renato Natale, simbolo della lotta ai clan nel comune che dà il nome ai Casalesi.
Consigliere uscente di Forza Italia, Natale junior capeggiò una coalizione civica di centrodestra e perse. Oggi il suo nome, a meno di un anno, figura al quinto posto della lista di “Campania in rete” per le Regionali del 31 maggio.
Enricomaria Natale corre per la provincia di Caserta nella coalizione del condannato Vincenzo De Luca, il candidato governatore del Pd.
Al suo interno, il logo di “Campania in rete” ha tre simboletti: l’Api che fu rutelliana, il Nuovo Cdu di Mario Tassone e Autonomia sud di Arturo Iannaccone.
È stato quest’ultimo, irpino e “responsabile” ai tempi dell’ultimo Berlusconi di governo, a reclutare Natale junior .
Una candidatura che va oltre il marchio infame di “cosentiniano”, inteso nel senso di Nicola, il dominus azzurro oggi in galera per le sue relazioni con i Casalesi.
Il fardello familiare
Dice Rosaria Capacchione, senatrice del Pd e giornalista del Mattino: “A me se Natale è cosentiniano non importa nulla. Qui il trasformismo politico c’entra fino a un certo punto. È sufficiente il fardello familiare che si trascina dietro. Non si può stare dalla stessa parte di Enricomaria Natale, è una questione di opportunità . Non possiamo candidare qualcuno con cui non prenderesti nemmeno un caffè al bar”.
E dice Salvatore Vozza, stabiese del vecchio Pci che oggi è candidato governatore con Sel: “Renzi, alleandosi con l’ex candidato sindaco di Forza Italia a Casal di Principe, mostra ancora una volta la sua scarsissima considerazione per la Campania e il Mezzogiorno e chiarisce come per il Pd la vittoria sia l’unica divinità a cui sacrificare tutto il resto, anche la lotta alla camorra”.
“La destra è necessaria per vincere”
Sostiene Iannaccone: “Ho scelto Natale perchè è espressione del territorio. So che la mamma è un medico di base e lui non ha problemi, i due certificati che abbiamo chiesto ai candidati, carichi e casellario giudiziale, per lui sono vuoti. Il papà ? Mi pare abbia avuto problemi ma non ho approfondito. Enricomaria è un giovane pulito di Autonomia sud e gli ho consigliato di fare un’opposizione istituzionale in consiglio a Casal di Principe. Noi trasformisti? Io sto nel centrosinistra già da due anni e mi sono fatto quattro primarie. E poi per vincere è necessario mettere insieme pezzi dell’altra parte. Cinque anni fa lo fece Caldoro con il centrosinistra. Adesso è il contrario”.
La difesa: “Mio padre, già assolto”
Negli atti del primo arresto, quello del 2008, i magistrati sostennero che Mario Natale gestì per conto degli Schiavone anche una squadra di calcio. Un anno fa, poi, un pentito ritrattò altre accuse.
Prima aveva detto: “Alle Regionali del 1995, il clan sostenne Cosentino e Mario Natale”. Questa la correzione : “Schiavone propose a Cosentino l’appoggio del clan ma questi rifiutò”.
In ogni caso, una dialettica tra politica e forze del territorio.
Dice Enricomaria Natale al Fatto: “Mio padre ha già avuto un’assoluzione, adesso c’è questo procedimento che finirà a breve. Io indagato? Non è vero nulla, non ho mai ricevuto un avviso. In politica già da tempo mi sono distaccato da Forza Italia, alle comunali ho fatto quattro liste civiche. Sì con De Luca ho parlato. Ha fatto molto per Salerno ed è l’uomo giusto per la Regione. Cosentino l’ho visto una sola volta a un comizio, dei suoi guai so quel che leggo sui giornali e preferisco non esprimermi”. Detto della famiglia Natale, la carica dei cosentiniani nel centrosinistra è trasversale alle varie liste (dieci sigle) che sostengono De Luca.
Uno dei casi più eclatanti riguarda Maddalena Di Muccio, già sindaco di un paese del Casertano, Alife.
La Di Muccio per lustri è stata berlusconiana e ha rastrellato voti per Cosentino.
In questo caso, il Pd l’ha messa direttamente nelle proprie liste.
Al quarto posto in provincia di Caserta.
È il Partito della Nazione, bellezza e tu non puoi farci niente.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 5th, 2015 Riccardo Fucile
DENUNCIA DEL M5S: “DUE AEREI, PER SE’ E ALTRI PARLAMENTARI PD, PER PARTECIPARE A TRE COMIZI, OLTRE ALLA VISITA ISTITUZIONALE”
Matteo Renzi vola a Bolzano per una giornata di appuntamenti da presidente del Consiglio e da segretario del Partito democratico.
E scoppia la polemica sui suoi spostamenti.
Protesta il Movimento 5 stelle: “Per il suo tour di propaganda ha utilizzato ancora una volta elicotteri e aerei di Stato”, ha scritto su Facebook il deputato Riccardo Fraccaro. Non è la prima volta che i grillini contestano al leader Pd i costi dei trasporti del premier: il 3 gennaio scorso il parlamentare M5S Paolo Romano aveva attaccato Renzi per la scelta di volare con la famiglia su un aereo di Stato per spostarsi da Firenze ad Aosta per le vacanze di capodanno a Courmayeur.
Anche in quel caso si trattava di una decisione consentita per motivi di sicurezza, ma di cui le opposizioni contestarono “l’opportunità politica”.
Oggi i 5 Stelle tornano sull’argomento e denunciano che il presidente del Consiglio avrebbe utilizzato due aerei per il tour in Trentino Alto Adige: uno per sè e i parlamentari Pd come “personale di bordo” e uno per il suo staff “tra cui 5 cameraman, 1 fotografo, due tuttofare e il capo del cerimoniale di Palazzo Chigi”. Con il presidente del Consiglio viaggiavano alcuni parlamentari, tra cui il sottosegretario Gianclaudio Bressa e Lorenzo Dellai.
“Renzi continua a gettare i soldi dei contribuenti dal finestrino”, ha scritto Fraccaro. “Naturalmente è stato messo a disposizione anche l’immancabile Renzicottero per il trasferimento tra un punto e l’altro della campagna elettorale. Inoltre, per la cerimonia di accoglienza del capo Pd, si è dovuto utilizzare un aereo dei Carabinieri con cinque alti ufficiali. Un’intera flotta aerea al seguito di Renzi per i tre comizi previsti a Trento e Bolzano, più le visite istituzionali tra questi appuntamenti. Sembra House of Cards, ma in realtà è House of Casta”.
Il deputato trentino ha attaccato il presidente del Consiglio per quello che lui definisce un autentico spreco di denaro pubblico: “Il costo operativo dell’elicottero è di 8.400 euro l’ora, quello di ciascun aereo di Stato è di 9.000 euro l’ora: il costo totale della propaganda volante di Renzi in Trentino-Alto Adige è di oltre 26mila euro l’ora solo per gli spostamenti. Abbiamo già presentato un esposto alla Corte dei Conti sulle spese pazze del segretario Pd, dovrà rispondere di questa scellerato sperpero di risorse pubbliche”.
Il decreto 98 del 6 luglio 2011, poi convertito in legge, regolamenta l’uso dei voli di Stato: si stabilisce che possono essere utilizzati dal presidente del Consiglio, il presidente della Repubblica, i presidenti delle Camere e della Corte costituzionale, mentre serve l’autorizzazione per le altre figure istituzionali (tra cui i ministri). Una successiva circolare della presidenza del Consiglio dei ministri (10 maggio 2013) specifica che per “il trasporto aereo di Stato è sempre disposto, in relazione al rango della carica rivestita oppure in quanto destinatarie di un elevato livello di sicurezza”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 5th, 2015 Riccardo Fucile
SUCCESSO DEI CORTEI IN SETTE CITTA’: “LA PIU’ GRANDE PARTECIPAZIONE MAI VISTA”
Decine di migliaia di persone sono scese in piazza questa mattina in tutta Italia per protestare
contro la riforma della scuola del governo Renzi, per uno sciopero generale che alcuni sindacalisti hanno definito “il più grande di sempre”.
Manifestazioni in sette città . I più partecipati a Roma e Milano, dove a fianco di insegnanti, personale della scuola e studenti, hanno sfilato i segretari generali dei sindacati confederali e autonomi e molti esponenti politici, anche del Pd.
Stefano Fassina, che ha manifestato nella Capitale, è stato oggetto di un’accesa contestazione da parte di alcuni insegnanti.
Tra i primi commenti politici, quello del parlamentare Pd Pippo Civati, in piazza a Roma, secondo il quale “questo è uno sciopero non politico, perchè la politica non rappresenta più nessuno, perchè il Pd ha tradito i suoi impegni elettorali e ha fatto una riforma della scuola lontanissima dalla nostra cultura politica”.
Il corteo è partito da piazza della Repubblica, preceduto da alcuni flash mob degli studenti: “siamo in centomila”, hanno detto gli organizzatori.
Corteo anche a Bolzano, dove oggi è atteso il premier Renzi per un incontro di partito. Sua moglie, insegnante a Pontassieve, questa mattina sta svolgendo invece regolarmente le sue lezioni.
I tre sindacati confederali con Gilda e Snals manifestano in sette piazze: Aosta, Milano, Roma, Bari, Catania, Palermo, Cagliari. L’ala Cobas – Usb, Unicobas, Anief e sigle minori – in dodici città (tra cui Torino).
L’ala Cobas sciopererà anche domani e martedì 12 per tentare di boicottare i test Invalsi.
Non scioperano diversi presidi, invece, esplicitamente favorevoli al disegno di legge del governo, “La buona scuola”.
Il primo blitz, all’alba, degli studenti universitari davanti al ministero dell’Istruzione.
Tutte le manifestazioni sono ancora in corso
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Maggio 5th, 2015 Riccardo Fucile
ESCLUSA LA SCISSIONE, IDEA DI APPOGGIARE IL REFERENDUM
A un deputato renziano che scherzando gli fa: «Pierluigi, ti tocca andare nel gruppo Misto», Bersani risponde con una punta di amarezza: «Tanto nel gruppo Misto ci sono già . Ormai questo è diventato il Pd».
Non c’è molto da festeggiare nella minoranza. La legge elettorale è passata, Renzi ha vinto la sua battaglia. «Ma non capisco cosa abbia da festeggiare Matteo – ribatte Roberto Speranza – . La maggioranza ha perso circa 70 voti. I numeri sono semplici. E noi in larghissima parte abbiamo votato contro».
Il “dopo”, nel braccio di ferro contro Renzi, però è un mistero.
Bersani fa un passo indietro per lasciare la scena ai più giovani. «Cosa fatta, capo ha… », dice.
Qualche idea invece Speranza ce l’ha. «Un governo che ha pochi voti di margine al Senato come pensa di far passare provvedimenti importanti spaccando il Pd?»
La risposta a questa domanda viene resa esplicita dai più battaglieri tra gli oppositori.
«A Palazzo Madama l’esecutivo rischia il Vietnam», dice uno di loro.
Non solo sulla riforma della Costituzione.
I pericoli, con la maggioranza che l’ultima volta ha vinto per un voto su un emendamento alle legge per la pubblica amministrazione, arriveranno molto prima.
La riforma della Rai, la buona scuola, gli interventi economici: è l’elenco dei possibili bersagli di agguati e guerriglia interna.
Pippo Civati sogna il gruppo autonomo in cui ai suoi tre senatori si aggiungono altri irriducibili Pd e un pezzettino degli ex grillini.
Bastano 10 senatori e il governo ballerebbe ancora di più. La scissione non sarebbe indolore dunque.
A Palazzo Madama sono 24 i senatori che non votarono l’Italicum.
«Intanto mi occupo della scuola partecipando alle manifestazioni di oggi. Poi, mercoledì – annuncia l’ex sfidante delle primarie – presentiamo i quesiti del referendum contro la legge elettorale. Li hanno preparati dei giuristi, li mettiamo a disposizione per formare un comitato».
Civati si è stancato di guardare i contorcimenti della minoranza interna.
«Bisogna fare. Non rimandare », dice. È evidente che Civati da solo può fare poco. Oggi in piazza con lui scenderanno anche Alfredo D’Attorre e Stefano Fassina.
Ma il corpaccione della Ditta è chiamato a dare prova di esistenza in vita molto più corposa ed efficace.
Il Senato può diventare il terreno di battaglia. Prima c’è anche la scelta del nuovo capogruppo alla Camera. Ettore Rosato è in pole position : renziano, vicino a Luca Lotti e Lorenzo Guerini, cerimoniere dell’approvazione dell’Italicum mettendolo al riparo da sorprese.
Però i 50 “responsabili”, i dirigenti di Area riformista che hanno rotto con Speranza e votato a favore della norma, rivendicano un ruolo, ovvero un riconoscimento formale. «Abbiamo firmato un documento tutti insieme – spiega Matteo Mauri – proprio per dare un senso politico alla nostra scelta. E abbiamo dimostrato che senza quei 50 voti erano guai». Se la maggioranza interna si divide, i dissidenti possono pesare.
I ribelli sono sicuri che la vicenda dell’Italicum lascerà un segno.
D’Attorre assicura: «C’è un prima e un dopo questo voto. Vedrete che gli effetti non mancheranno».
Gianni Cuperlo dice di non sapere ancora quale sarà il “dopo”. «Ma sono arciconvinto che Renzi abbia fatto male i conti. Oggi vince, nel tempo subirà il contraccolpo. La fotografia di un voto fatto in aula semivuota, con le opposizioni fuori, con il dissenso di una parte del partito, con numeri inferiori alla stessa maggioranza rimarrà impressa e non si cancella. Vedrete come la useranno contro il Pd in un qualsiasi talk show e che effetto avrà sugli spettatori».
Ok, e dopo? Cuperlo, che non ama i luoghi comuni, ironizza sulla definizione da dare alla protesta dei ribelli: «Come si dice oggi, ci abbiamo messo la faccia». Basterà ?
Oggi i dissidenti escono dal ring in ordine sparso.
Indecisi sul futuro, alla disperata ricerca di un leader condiviso in attesa del congresso che sarà .
«Nel 2017, è molto lontano», osserva Nico Stumpo. In realtà , dentro le aule parlamentari l’intenzione è costruire un “congresso” permanente, un confronto continuo su ogni passaggio della vita del partito e del governo.
Renzi che scende a patti: questo è il sogno degli sfidanti.
Ma è un percorso che va costruito. Speranza è candidato al ruolo di guida, già sabato organizza una manifestazione a Cosenza sul reddito di cittadinanza.
Gli altri lo riconoscono? Da vedere.
Adesso Pierluigi Bersani vuole lasciargli la scena. Finito il conteggio dei voti dice: «Sessantuno voti contrari mi sembrano un dissenso abbastanza ampio. C’è un dato politico di cui bisognerà tenere conto».
Si parte da questo dato numerico. Ininfluente ieri, ma che può avere riflessi a Palazzo Madama.
Magari costringendo Renzi a fare campagna acquisti tra verdiniani e altri pezzi di destra.
In fondo, questo è uno degli obiettivi della minoranza: dimostrare al popolo di sinistra la mutazione genetica del Pd.
Trasformato in un gruppo Misto, con relazione “pericolose”.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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Maggio 5th, 2015 Riccardo Fucile
IL DISSENSO DEL PD È PIÙ GRANDE DEL PREVISTO… E AL SENATO PESERà€
Il numero chiave della giornata di ieri lo rimanda il tabellone dell’Aula di Montecitorio alle 18 e
20: 334.
Sono i voti con cui la Camera approva l’Italicum a voto segreto.
L’immagine, invece, è quella che fotografa un emiciclo vuoto per metà : assenti le opposizioni in blocco.
E poi, ci sono quelli che non applaudono: Pierluigi Bersani, che ha la testa appoggiata sulle mani, Rosy Bindi. Perchè c’è un altro numero chiave: 61.
Tanti sono i no. E la maggior parte arrivano dal Pd.
Alcuni hanno preso il microfono per annunciarli, Civati, il più giovane deputato di tutti, Enzo Lattuca che è intervenuto a nome dei dissidenti, Stefano Fassina, Marco Meloni (che, ironia della sorte, ha dovuto prendere in prestito il microfono del renzianissimo Carbone, perchè il suo non funzionava).
Tra loro ci sono pesi massimi, come Enrico Letta.
L’Italicum diventa legge grazie all’ “ostinazione” di Renzi (definizione del fedelissimo Marcucci), ma prende meno voti di quelli della maggioranza (403 sulla carta).
Passa un attimo dal sì finale che inizia la conta dei voti. Cantano vittoria tutti.
La Boschi (sobria, stavolta, negli abbracci) twitta alle 18 e 22: “Ci hanno detto ‘non ce la farete mai’. Si erano sbagliati, ce l’abbiamo fatta! Coraggio Italia, è #lavoltabuona”. Renzi le dà spazio.
Poi twitta alle 18 e 38: “Impegno mantenuto, promessa rispettata. L’Italia ha bisogno di chi non dice sempre no. Avanti, con umiltà e coraggio. È #lavoltabuona”.
Ai suoi chiarisce: “Ho vinto io. Oggi è un giorno storico. Ma adesso, dobbiamo andare avanti e ricucire”.
L’attenzione è tutta spostata su quei no. Non è un dato secondario quanti siano da attribuire alla minoranza dem: più grande è il dissenso, più può cercare di contare. L’ex capogruppo, Roberto Speranza e il vicesegretario, Lorenzo Guerini animano due capannelli paralleli in Transatlantico.
Se Speranza è pronto ad attribuire 55 no al Pd, Lorenzo Guerini ne dà per certi solo una quarantina. Tra questi, di sicuro vanno conteggiati i 38 che non hanno votato la fiducia al governo. Ma di quei 38, 4 non c’erano e 3 si sono astenuti: questo, per i ribelli, significa che “l’area Speranza” si sarebbe allargata.
In più c’è Lattuca. E poi, vanno aggiunti i 2 prodiani Zampa e Monaco.
La lettura dei dati, tra maggioranza e minoranza, diverge su un punto: i 9 ex Cinque Stelle, Alternativa Libera, secondo i renziani hanno detto no.
Per quelli che tengono il pallottoliere nella minoranza (Nico Stumpo in testa) hanno votato a favore.
Questo vorrebbe dire che nel segreto mancano ancora più Dem.
Guerini invita a non sottovalutare il dissenso centrista: 7 sarebbero i no da quell’area. A partire da Scelta Civica, che vuole il rimpasto (e infatti si affretta a dichiarare “siamo determinanti”).
Negli elenchi che circolano tra i renziani, ci sono i voti contrari di Massimo Corsaro (ex Fdi), Mauro Pili (ex Pdl), Luca Pastorino (ex Pd), Claudio Fava (ex Sel ora nel Psi) e Pino Pisicchio (ex Cd), tutti del gruppo Misto.
E Romano di Forza Italia, più la De Girolamo di Ncd.
Secondo questi conti manca di attribuire l’appartenenza di 6 o 7 voti.
O meglio: “Ce li abbiamo tutti in testa. Ma non li diremo mai, se no pare che abbiamo la lista di proscrizione”, spiega un autorevole dirigente dem. La lista di proscrizione c’è e come. Anche se per ora potrebbe portare più a offerte, che a punizioni. Matteo Orfini ammette che “il dissenso è pesante”.
E in un siparietto con Speranza, ex “compagno” della Figc, che è tutto uno scambio di reciproci complimenti (“Noi siamo due politici puri”, dice l’ex capogruppo; “Facciamo politici professionisti”, lo corregge il Presidente del Pd), gli chiede ancora una volta di ritirare le dimissioni.
A proposito di ricuciture. Perchè il punto adesso è che se ne fanno Bersani, Speranza & co. di quei voti: “C’è un area forte di dissenso. Li faremo pesare”, dice l’ex capogruppo.
Battagliero e ringalluzzito, parla già da leader alternativo. È un partito nel partito, quello che si è visto all’opera ieri.
Fino a dove è disposto ad arrivare? Sulla carta, in Senato i numeri per far cadere il governo ci sono. “Da oggi comincia un altra partita”, minaccia Miguel Gotor, ricordando i 24 dissidenti dem a Palazzo Madama.
Per adesso, il progetto non sembra questo. Nessuno vuol perdere il posto in Parlamento. Per adesso.
Ma parte un muro contro muro su ogni provvedimento, su ogni questione .
“Vado in piazza con gli insegnanti”, chiarisce Stefano Fassina. Il prossimo fronte parte già oggi, sulla scuola.
E Renzi? Conquistato l’Italicum cercherà il voto anticipato?
Se può evitare, no. “Adesso facciamo le cose che il paese ci chiede”, spiegano i fedelissimi del premier.
Si parte dalla scuola. La Commissione Cultura della Camera sta riscrivendo il ddl.
Il tentativo è quello di aprire abbastanza alle richieste da smontare la piazza e i sindacati.
Poi, c’è la questione riforma del Senato: si discute su alcune modifiche, alla ricerca di un patto con Berlusconi e minoranze.
E infine, il consueto modo di includere per dividere: la settimana prossima si eleggerà il nuovo capogruppo a Montecitorio.
Dovrebbe essere uno dei “responsabili”, quelli che si sono staccati dalla linea Speranza. Dopo le regionali entrano in gioco le presidenze delle Commissioni.
A Gianni Cuperlo Renzi ha ventilato la direzione dell’Unità . Ci sono i posti nelle prossime liste. Basterà ?
Il segretario-premier vuole andare avanti. Ma la legge elettorale adesso c’è.
Entra in vigore nel 2016, ma in caso di necessità si può intervenire a cancellare la clausola di salvaguardia.
Intanto, si aspetta la firma di Mattarella: potrebbe arrivare già oggi.
Con buona pace di chi gli chiede di rimandarla indietro.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 5th, 2015 Riccardo Fucile
5 EURO UN TOAST, 1,5 EURO UN CAFFE E MENU A 90 EURO
È come camminare lungo una gigantesca tavola sempre apparecchiata. Con tutti i sapori del mondo.
Cibi e piatti di ogni latitudine e profumi che arrivano dai chioschi disseminati ai lati delle strade e dai più sofisticati ristoranti, dalla tigella da portar via a 2 euro ai menù stellati che possono arrivare a costarne 90.
E, in fondo, i primi visitatori che hanno affollato i padiglioni di Expo cercano anche quello: l’avventura gastronomica.
Ma immergersi nelle diverse cucine e sedersi al tavolo di uno spazio di un Paese può costare tanto. Forse troppo
Così, sarà che molti si aspettavano “degustazioni gratuite”, sarà che bisogna mettere in conto anche il costo del biglietto d’ingresso (39 euro quello standard) e dei trasporti, ma con l’avvio sono arrivate anche le prime polemiche sui prezzi.
Che all’Esposizione che vuole nutrire il pianeta si rischi che i visitatori si debbano portare il pranzo al sacco?
È come una città , Expo. Nei giorni di punta, secondo i calcoli della società di gestione, grande come Messina: 250mila persone.
Una città che deve e vuole mangiare: 26 milioni di pasti in sei mesi, la stima.
Secondo Coldiretti, solo in questo primo weekend di apertura e di febbre da Expo, sarebbero stati preparati 800mila tra colazioni, pranzi e cene.
C’è solo l’imbarazzo della scelta: tra ristoranti e take away, food truck e baracchini sono quasi 200 gli indirizzi dove mangiare. Dall’alto al basso.
Anche il commissario Giuseppe Sala dice: «Bar e ristoranti hanno avuto una fatturazione fuori dalle loro dimensioni anche rispetto alle loro aspettative ».
Ma anche per i turisti è arrivata qualche sorpresa.
E prezzi simili a quelli di Milano città , non proprio abbordabili.
Fino al caffè espresso, un euro e cinquanta in versione take away al chiosco sloveno. Massimo e Giorgia da Reggio Emilia, per dire, passeggiano con una birra in mano. «Mangiare a Expo? Troppo caro. Abbiamo speso 14 euro a testa per un piatto di pasta, una bottiglia di vino bianco 17 euro. Ci marciano un po’».
Una famiglia di quattro persone arrivata da Torino si lamenta sulla via del ritorno: «Dopo aver controllato molti ristoranti abbiamo scelto quello della Turchia: ci sembrava il più abbordabile, ma abbiamo ordinato per due e speso 44 euro».
Ma quanto costa, davvero, questo giro del mondo gastronomico in 140 Paesi? Partiamo dai sapori nostrani, quelli dei 20 spazi regionali di Eataly.
Per una tappa in Liguria con trofie al pesto si spendono 12 euro, un fritto misto 14 e il risotto cacio e pepe alla lombarda 13.
Pochi passi e siamo in Spagna. Impossibile non cedere alla tentazione delle tapas . Per degustare il prosciutto iberico seduti si pagano 35 euro, 12 per una tortilla (tre fettine) di patate 12. Una paella, invece, costa 16 euro.
In Messico promettono di far scoprire i veri sapori della loro cucina. «Offriamo qualità e non a caro prezzo: lo scontrino medio si aggira sui 25 euro», dicono.
Ma solo per il piatto più esotico, mole carretaro, anatra e purè di carote con banana croccante, se ne vanno 18 euro.
Il mantra è quello, la qualità e la diversità costa.
Lo spiega anche il direttore del ristorante del padiglione brasiliano: «Sì, qualcuno si è lamentato dei prezzi ma non siamo a un festival latino-americano ».
Qui per un menù completo churrascaria ci vogliono 45 euro.
Presto, però, arriverà un menù aperitivo meno caro.
Il punto è (anche) quello. Certo, ci sono sempre le tradizioni coreane (con qualche problema di traduzione), dove ci si può limitare a un involtino “di coreani” con piadina e verdure a 6 euro.
Ma per un’insalata di manzo con cetrioli e champignon e cipolla bielorussa si devono mettere in conto 14 euro, per un arroz de marisco nello spazio dell’Angola 16.
E, per arrivare ai sapori dell’Uruguay, ecco gli antipasti da 9 a 15 euro e la griglia da 5 a 36
Il top, a Expo, sono i menù degustazioni di Identità golose: ogni settimana uno chef stellato – l’avvio con Massimo Bottura – diverso, ma lo stesso prezzo: 75 a pranzo bevande incluse. Non da tutti.
E allora si parte alla ricerca dei chioschi, per ora un po’ defilati.
Perchè in fondo mangiare con non troppo si può. È quello che hanno fatto Lorenzo ed Ekaterina: «Per due studenti Expo costa troppo: 29 euro il biglietto, 5 euro la metropolitana e poi c’è da mangiare».
E così sono andati in uno degli spazi comuni: 10 euro per toast, patate e bibita.
Se ci si accontenta di un panino con il salame e di una bibita si può chiudere la pratica pranzo con 5 euro.
Nei tipici food truck degli Stati Uniti, un sandwich con i gamberetti, un sacchetto di patatine e una bottiglietta d’acqua costa 15 euro.
Allo stand dell’Emilia i primi piatti si pagano 9 euro, mezzo Lambrusco 7,50.
Alla boulangerie francese, si può uscirne con 5 euro (“ croque baguette ”, ma toccare il ristorante è un’altra storia).
Alessia Gallione
(da “La Repubblica”)
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Maggio 5th, 2015 Riccardo Fucile
ATTRAVERSO IL LORO CAMMINO POTREMO MISURARE QUELLO DELL’UMANITA’
Queste due creature appena venute al mondo sono una discreta radiografia della sperequazione
sociale.
Una si chiama Charlotte Elizabeth Diana, è nata da lombi principeschi in una clinica per miliardari, attesa e benedetta da milioni di connazionali, e prima ancora di gattonare ha già una strada asfaltata dinanzi a sè.
L’altra è stata chiamata Francesca Marina dai marinai che l’hanno aiutata a nascere in mezzo alle onde, la sua culla è un giaciglio di fortuna e la sua clinica il barcone di disperati in cui la madre nigeriana ha cercato scampo da orrori indicibili.
Non c’erano milioni di connazionali ad attenderla e a benedirla.
Anzi, di connazionali per lungo tempo Francesca Marina non ne avrà proprio, perchè in base alle nostre leggi diventerà italiana solo a diciotto anni.
La strada che le si apre davanti è un sentiero stretto e pieno di buche che può finire in una pianura come dentro un burrone.
Depurato da ogni retorica, ma anche da ogni cinismo, questo contrasto spietato che la cronaca ci sbatte addosso rappresenta una sfida.
La ricerca della felicità è un’impresa individuale dall’esito incerto e dagli sviluppi imprevedibili: il destino della nonna paterna che la principessa inglese porta nel nome è la prova di come la gioia di vivere non sempre coincida con la ricchezza.
Invece la ricerca delle pari opportunità è il compito supremo della politica.
Sarà interessante ritrovare queste due bambine tra trent’anni e scoprire se le differenze abissali che oggi le separano si saranno almeno ridotte.
Attraverso il loro cammino potremo misurare quello dell’umanità .
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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