Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile PER IL GOVERNO ERA “IMPENSABILE RIMBORSARE TUTTI”, STASERA VIENE SMENTITO
La sentenza della Consulta sulle pensioni rischia di aprire un caso all’interno del governo.
Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan ha dichiarato che l’esecutivo “rispetterà le leggi, minimizzando l’impatto per le casse del governo”.
Ma il sottosegretario, e leader di Scelta Civica, Enrico Zanetti la pensa in modo diverso: “Escludo che sia possibile restituire a tutti l’indicizzazione delle pensioni, per quelle più alte sarebbe immorale e il governo deve dirlo forte. Occorre farlo per le fasce più basse”.
Ma fonti della Consulta precisano in serata che le sentenze della Corte Costituzionale, salvo diverse indicazioni contenute nel provvedimento emesso dai giudici – che, in questo caso, non ci sono – acquistano efficacia il giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Per ottenere il rimborso delle somme non percepite in termini di indicizzazione – spiegano le fonti – si deve fare una domanda all’Istituto pensionistico, non serve un ricorso, perchè dopo la sentenza la restituzione è un obbligo da parte dello Stato.
Ciò non toglie che, come accaduto in casi analoghi, gli stessi avvocati possano consigliare la via del ricorso come strada per rendere più forte l’azione e per sollecitare il rimborso.
Una precisazione che sembra ribaltare l’opinione – “espressa a titolo personale” – di Zanetti, che ha rischiato di spaccare l’esecutivo.
In prima battuta fonti governative fanno sapere che non rimborsare tutte le pensioni toccate dalla recente sentenza della Consulta è una soluzione “compatibile con la sentenza della Corte” stessa.
Poi fonti di Palazzo Chigi sottolineano come sul tema il governo si sia espresso oggi attraverso le parole del ministro Padoan, quindi le indiscrezioni e ricostruzioni riportate da alcuni organi di informazione non riflettono gli orientamenti dell’esecutivo al riguardo.
D’altra parte la sentenza della Corte costituzionale è chiara: il blocco dell’adeguamento all’inflazione delle pensioni lorde di importo superiore a tre volte il minimo previsto dall’Inps (1.443 euro) è incostituzionale.
Adesso con l’applicazione della sentenza – secondo uno studio della Uil – il rimborso per una pensione che nel 2011 era di 1500 euro lordi, quindi appena superiore alle tre volte il minimo, dovrà partire da 2.540 euro per i due anni di blocco (2012 e 2013) e per gli effetti che questi hanno avuto sul 2014.
La rivalutazione calcolata è di circa 85 euro al mese. Somme che rischiano di pesare fino a 13 miliardi di euro sulle casse del governo.
Addirittura 16,6 miliardi secondo l’ufficio studi della Cgia.
Proprio secondo quest’ultimo studio, il rimborso medio spettante per le pensioni da 2.500 a 3mila euro arriva a 3.791 euro, per poi superare i 5.171 euro per le pensioni al di sopra dei 3mila euro
(da “La Repubblica”)
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Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile DE LUCA AVEVA DETTO: “NON ACCETTO SPEZZONI DEL VECCHIO CETO POLITICO”
Il “nuovo”, a volte, fa strani giri. E tende agguati alla rivoluzione renziana. 
Un impasto di contraddizioni e vecchia politica rischia di gravare sulle liste del candidato governatore Pd, Vincenzo De Luca.
Duri battibecchi e aspre polemiche, soprattutto sui social network, infiammano la fase più calda della campagna elettorale per le regionali, dopo alcune storie ricostruite da Repubblica, alla chiusura delle dieci liste a sostegno dell’ex sindaco di Salerno, che tra l’altro rischia la sospensione dopo la condanna di primo grado, se eletto a Palazzo Santa Lucia.
Le sue promesse di estrema discontinuità con il governo di Stefano Caldoro — «Rivoluziono tutto, daremo il via al processo di modernizzazione e sburocratizzazione della Campania» — convivono per ora con scelte che a molti appaiono discutibili: dal patto del primo Maggio, siglato in extremis, di notte, con il leader ormai 87enne di Nusco, Ciriaco De Mita, ai profili di candidati che poco somigliano all’innovazione chiesta dal “giglio” magico” del Nazareno.
Nomi di destra, di indagati o di loro congiunti, o di avversari di esponenti simbolo delle battaglie democrat: tutti in pista per l’ex viceministro del governo Letta.
Così, dopo i sindaci democrat candidati “col trucco” — che si erano fatti multare dai propri vigili urbani pur di decadere, per gabbare una norma regionale, poi costretti a dimettersi per entrare in lista — ecco i consiglieri- migranti.
Da un lato all’altro, pur di stare con chi vince, o si pensa possa farcela.
Alla voce Pdl o Fi, ecco l’ex senatore Pdl ed ex candidato sindaco di Napoli di Berlusconi, il prefetto Franco Malvano.
Poi una sfilza di dirigenti di Fi o amministratori in carica fino a pochi giorni fa, sotto l’insegna azzurra: è l’offerta “Campania in rete” il vero scrigno.
Nella lista di Caserta, vi figurano: l’ex vice coordinatrice Pdl di Caserta ed ex assessore di quel comune, Teresa Ucciero; è in buona compagnia con il sindaco Alfonso Piscitelli, del comune di Santa Maria a Vico, anch’egli eletto sotto il simbolo degli azzurri; e con Angelina Cuccaro, assessore per Fi nell’altro comune di Santa Maria Capua Vetere.
È lo stesso elenco in cui brilla per attivismo anche Rosalba Santoro, moglie di quel Nicola Turco, tuttora inquisito per concorso esterno in associazione mafiosa, e referente di Cosentino, che al nostro giornale ha rivendicato la sua convinta adesione al progetto di De Luca: «Ma perchè c’è qualcosa di sinistra nella coalizione di De Luca? Non direi — argomenta la dottoressa, laureata in Lettere — Però questo candidato del Pd è uno che combatte, una persona chiara. E Cosentino era un leader carismatico».
Alla voce Destra, ala estrema, ecco un sostenitore di De Luca che continua a replicare alle polemiche.
È Carlo Aveta, il mussoliniano doc, fedelissimo degli omaggi al Duce sulla tomba di Predappio, che non rinnega la sua stima per la storia fascista ma contesta e precisa, invece, il contesto in cui sarebbe stata pronunciata una frase «non contro gli omosessuali, ma a favore della decenza».
«Non ho mai detto che mi fanno schifo i gay, c’è stata confusione e strumentalizzazione su un mio post Facebook del luglio 2014 in cui, legittimamente, dedico un giudizio personale a un’immagine che tuttora mi crea sconcerto: tre uomini che sfilano, in una pubblica piazza, davanti a bambini e bambine, in baby-doll. È una scena decente, quella? Secondo me: no».
Alla voce indagati, ecco sempre nella lista “Campania in rete”, ma a Napoli, la candidatura di Attilio Malafronte, consigliere comunale d’opposizione a Pompei che, solo qualche mese fa, è finito agli arresti domiciliari in un blitz sulla presunta compravendita di sepolture al cimitero comunale.
Nell’armadio della sua casa, la polizia trovò e sequestrò un fucile calibro 12, una canna per fucile marca e oltre 30 cartucce per uso di caccia, dopo alcune settimane il consigliere è stato scarcerato, ma Malafronte aveva già «fatto un percorso nuovo», quindi di corsa verso De Luca.
Analogo capitombolo capita alla candidata Rosa Criscuolo, che corre come consigliere regionale per “Centro democratico”: è la bionda avvocatessa che non disdegna pose ammiccanti e neanche il confine tra la cronaca rosa e quella giudiziaria; e non solo per il suo lavoro.
La Criscuolo, oltre ad essersi mobilitata oltre un anno e mezzo fa, per una colorata manifestazione pro-Cosentino a Caserta con tanto di slogan contro la carcerazione preventiva (fu bloccata in tempo da Fi, che la indusse a recedere) è stata poi l’ultima signora con cui ha cenato l’ex ministro Claudio Scajola, poche ore prima che venisse arrestato su ordine della distrettuale antimafia di Reggio Calabria.
L’avvocatessa ha sempre detto d’aver cominciato la sua militanza politica nel centrosinistra, nel vesuviano, e diaver poi sempre scelto liberamente.
Oggi confessa, candidamente, che va verso il Pd «per esclusione. Non mi voglio candidare con Caldoro e nella coalizione in cui ci sono i Cesaro ».
E alle Voce Donne, o Mogli di, non poteva mancare Annalisa Vessella Pisacane: è candidata nello stesso “Centro”, non solo è consigliere regionale uscente di Caldoro, ma moglie di quel Michele Pisacane che in Parlamento corse a sostenere Berlusconi con “i Responsabili” nel 2011.
«Nelle liste non accetto spezzoni del vecchio ceto politico», aveva detto Vincenzo De Luca in un’intervista.
Era meno di cinquanta giorni fa.
Conchita Sannino
(da “La Repubblica”)
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Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile CIVATI NON SI COLLOCHERA’ CON LA SINISTRA RADICALE, MA VUOLE COSTRUIRE UN “PD COME AVREBBE DOVUTO ESSERE”
Un “partito di Civati”. E’ questo l’obiettivo dello sfidante di Renzi alle ultime primarie, che ha deciso dopo lunga meditazione di lasciare il Pd.
Nessun nuovo gruppo parlamentare alle viste, e neppure un matrimonio con Sel, che subito gli ha spalancato le porte per “costruire insieme qualcosa di nuovo”.
Per non smentire la sua fama di solista, anche nel prossimo futuro Civati intende ballare da solo.
E mettere le fondamenta di un nuovo partito, che non intende assolutamente collocare nella sinistra radicale, o farne uno dei perni di un nuovo rassemblement gauchista tipo “Sinistra arcobaleno”.
No, Civati, spiega chi gli ha parlato negli ultimi giorni, intende costruire una forza che ha come ispirazione l’Ulivo di Prodi, una forza “di centrosinistra, che parla con tutta la sinistra ma non è nè identitaria nè radicale”.
Di estrema sinistra, in effetti, Civati non lo è stato mai.
Prova ne sia che le idee liberal del suo ex responsabile economico sono state rapidamente scippate da Renzi.
Un partito, dunque, con la grandissima ambizione di costruire un Pd alternativo, un Pd “come avrebbe dovuto essere”.
Non a caso, nel giorno dello strappo, Civati posta sul suo blog un lungo post in cui parla di Nikola Tesla, pioniere dell’elettricità .
Un post in cui parla di tradizione e cambiamento, delle “persone con cui pensavamo di aver condiviso una visione e che all’improvviso hanno cambiato idea”.
Questi ex compagni del Pd, spiega, “hanno promosso e approvato cementificazioni e trivellazioni, e ce li siamo trovati in tivù a deridere le ragioni di chi difende l’ambiente o crede che il futuro passi attraverso soluzioni differenti”.
Civati intende procedere su questa strada, “con tutti quelli che lo vorranno, che sono tantissimi”.
Per ora raggiungerà il suo braccio destro Luca Pastorino nel gruppo Misto della Camera. E darà una mano proprio a Pastorino, candidato in Liguria contro la renziana Raffaella Paita, in una delle sfide simbolo della guerra tra i due Pd, quello di Renzi, che i civatiani considerano “geneticamente modificato” e irrecuperabile, e quello di Civati, sostenuto in Liguria anche da un vecchio leone come Sergio Cofferati, che ha lasciato il Pd più di tre mesi fa, bruciando i tempi.
Di nuovi gruppi parlamentari, per ora, non se ne vedono.
Alla Camera Civati non ha i numeri, nè intende raccogliere l’invito dei cugini di Sel per “costruire insieme una nuova casa comune”.
In Senato, per ora sembra congelata l’ipotesi di un nuovo gruppo con i 3-4 civatiani, Sel e alcuni ex grillini guidati da Francesco Campanella.
In questi giorni, i senatori civatiani Mineo, Tocci e Ricchiuti si stanno riunendo in Senato con gli altri della minoranza (in totale sono 22), per dare battaglia insieme su temi chiave come la scuola, la Rai e la riforma costituzionale, che saranno votate dall’Aula prima dell’estate.
“Senza questi senatori il governo Renzi non ha la maggioranza, la nostra sarà una battaglia politica vera, non solo di emendamenti”, spiega ad Huffpost Corradino Mineo.
”Uscire dal Pd? Non lo farò, non combattere questa battaglia significherebbe disertare”.
L’agenda di questi gruppo dei 22, a sentire Mineo, è molto hard. “Su scuola, Rai e Costituzione vogliamo che i testi cambino radicalmente, non bastano delle correzioni”.
Sullo sfondo, se Renzi non scenderà a più miti consigli, o se dovesse allargare la sua maggioranza a destra, c’è l’ipotesi di un nuovo gruppo parlamentare.
“Se il premier non ci ascolterà , valuteremo”, dice Mineo.
“Le assicuro che io e Tocci non siamo certo trai più radicali del gruppo. La vicenda dell’Italicum ha cambiato i rapporti dentro il Pd, che ormai è geneticamente modificato”. Il bersaniano Federico Fornaro è più prudente: “Da noi non ci saranno mai minacce, solo contributi per incidere sui grandi temi in agenda. A partire dalla scuola e dalla riforma costituzionale”.
In Senato dunque la minoranza, dai bersaniani fino ai civatiani, sembra pronta a fare squadra.
La “brigata Gotor”, l’ha già ribattezzata qualcuno, citando il nome del senatore più vicino a Pier Luigi Bersani.
E se arrivasse il soccorso di Verdini? “A quel punto cambierebbero pelle la maggioranza e anche il Pd, e ognuno di noi si assumerebbe le proprie responsabilità ”, spiega Fornaro. “Dopo essersi guardato allo specchio”.
La galassia della sinistra “No Renzi” per ora non sembra trovare un proprio punto di stabilità . Nè un agenda comune.
“Ma il futuro è la costruzione di una forza di sinistra larga, popolare e di governo”, assicura Arturo Scotto, capogruppo di Sel, con un lungo passato nei Ds, proprio come Civati.
La collaborazione tra i vendoliani e Pippo, alla Camera, ormai è un’abitudine: emendamenti comuni sulle riforme, sul Jobs Act. “Proseguiremo in questa direzione”, assicura Scotto.
Civati, per ora, si muove da solo. E sul suo sito interviene ancora una volta a metà pomeriggio per spiegare che “non ho più fiducia in questo governo, nelle sue scelte, nei modi che ha scelto, negli obiettivi che si è dato”.
“Ormai il Pd è un partito nuovo e diverso, fondato sull’Italicum e sulla figura del suo segretario. Chi non è d’accordo, viene solo vissuto con fastidio”.
“Non lascio il Pd per aderire a un progetto politico esistente, ma per avviare un percorso nella società italiana, alla ricerca di quel progetto di cui parlai un anno fa, che ho sempre avuto nel cuore. Nessuna polemica con chi nel Pd rimane, solo l’auspicio di ritrovarsi un giorno, a fare cose diverse da quelle che si stanno facendo ora”.
“Per prima cosa mi dedicherò al partito degli astensionisti, il partito più grande, che vincerebbe le elezioni direttamente al primo turno”, chiude Civati.
“Perchè questa non è solo una fine, è anche un inizio”.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile UN AFFARE SOLO PER AZIENDE PRIVATE, AGENZIE DEL LAVORO E ENTI FORMAZIONE AMMANIGLIATI AL GOVERNO
Che il progetto Garanzia Giovani sia un flop è ormai assodato. 
Che lo stanziamento previsto dall’Unione europea, 1,5 miliardi per l’Italia, sia stato un affare per aziende private, agenzie del lavoro o Enti di formazione, è invece un fatto poco noto.
Eppure, leggendo le circolari applicative, guardando i contratti che vengono fatti firmare ai giovani interessati, quelli tra i 15 e i 29 anni, i compensi previsti per chi si accredita al progetto e gli incentivi per chi assume, magari solo per sei mesi e poi ciao, sono indicati chiaramente.
Si tratta di centinaia di milioni.
Lunedì sera, intervistato da Piazzapulita, l’amministratore di Manpower, una delle più grandi agenzie del lavoro del mondo, Stefano Scabbio, alla domanda su quali cifre la sua azienda ricavi dalla Garanzia Giovani ha parlato di un generico 1% del fatturato.
Stando ai risultati pubblicati dal sito dell’azienda — 819 milioni di euro il fatturato italiano — si tratterebbe di circa 8 milioni.
In realtà si tratta di una cifra molto superiore.
Sia perchè a godere della possibilità di accreditarsi a Garanzia Giovani e quindi lavorare come strutture di supporto ai giovani in cerca di impiego, ci sono diverse società (nel Lazio sono 14, in Calabria 21, per fare alcuni esempi), sia perchè le possibilità di guadagno diretto sono molteplici e, spesso, di difficile individuazione.
Cosa che, comunque, cercheremo di fare.
Come funziona.
Garanzia Giovani è rivolta ai giovani tra i 15 e i 29 anni con l’obiettivo di proporre un’offerta di lavoro “qualitativamente valida” entro quattro mesi dalla presa in carico.
Il progetto punta a valorizzare le esperienze fatte, i curricula, gli studi e, nel caso di non completamento degli stessi, di formarsi per proseguirli.
È affidata alle Regioni che hanno predisposto dei piani attuativi specifici. I giovani che intendono usufruirne si rivolgono ai Centri per l’Impiego (Cpi) a livello provinciale dove ricevono “l’accoglienza” e usufruiscono del primo “orientamento”.
In questa fase i Cpi si incaricano di “profilare” i soggetti, facendo conoscere il funzionamento di Garanzia Giovani e cercando di conoscere i giovani, le loro competenze e aspirazioni.
A questo punto verrà proposto un percorso di inserimento personalizzato che spazia sulle varie offerte del programma: Formazione, Accompagnamento al lavoro, Tirocinio, Apprendistato, Servizio Civile, Autoimprenditorialità , Bonus occupazionale alle imprese. Qui, iniziano i conti di chi ci guadagna.
Al momento di accettare il percorso, l’utente firma un “Patto di servizio” con il quale entrano in gioco le società accreditate, gli enti di formazione o agenzie per il lavoro.
Per capire come funziona si può prendere ad esempio il Piano di attuazione della Regione Lazio.
Qui sono previste due misure, “l’orientamento specialistico, misura 1.C” e “l’accompagnamento al lavoro, misura 3”.
Nel primo caso, l’orientamento viene condotto da un operatore del soggetto accreditato che per questo servizio ha un compenso di 35 euro l’ora.
I programmi sono di 4 o 8 ore a giovane con compensi, quindi, di 142 euro e 284 euro per ogni giovane che usufruisce del servizio di orientamento.
Ricordiamo che, al 29 aprile, i giovani che si sono registrati a Garanzia Giovani sono stati 542.369, quelli presi in carico sono stati 279.653 e quelli a cui è stata proposta almeno una misura 83.061.
Le cifre vanno quindi commisurate su questi grandi numeri.
Molto più caro, invece, il servizio di “Accompagnamento al lavoro”.
Qui la società è retribuita in due forme: ha un rimborso elevato in caso di “raggiungimento del risultato”, cioè la stipula di un contratto di lavoro ma, in subordine, ha una “quota fissa” in caso di mancato raggiungimento.
Il rimborso è differenziato a seconda del tipo di contratto e del profilo dell’utente.
Nel caso di un tempo indeterminato o apprendistato si va da 1.500 a 3.000 euro a utente (a seconda della difficoltà a collocare il soggetto interessato), nel caso di tempo determinato, apprendistato o somministrazione di 12 mesi si va da 1.000 a 2.000 euro che scendono, rispettivamente, a 600 e 1.200 se il contratto è tra i 6 e gli 11 mesi.
La “quota fissa” invece, è stabilità al 10% delle cifre sopra descritte facendone una media: si tratta di 130-160 euro a utente.
L’intervento degli enti privati è rilevante anche nel percorso formativo, finanziato con 280 milioni e che prevede corsi tra le 50 e le 200 ore mentre la misura di “accompagnamento al lavoro” è finanziata con 205 milioni.
Poi c’è l’altro rivolo dei finanziamenti, il bonus occupazionale.
Questa misura è finanziata con 190 milioni. Alle aziende che si fanno carico del contratto di lavoro proposto, viene riconosciuto un “bonus” consistente.
A essere finanziati sono i contratti a tempo determinato per 6-12 mesi, a tempo determinato superiore a 12 mesi e a tempo indeterminato.
In quest’ultimo caso, a seconda della difficoltà del soggetto, si va da 1.500 a 6.000 euro a lavoratore, mentre per i tempi determinati a 6 mesi si va da 1.500 a 2.000 euro e per quelli fino a 12 mesi da 3.000 a 4.000 euro.
Si tratta di soldi freschi, che finiscono nelle casse delle imprese, non al lavoratore, e che possono essere cumulati con altri incentivi pubblici, ad esempio quelli per il contratto a tutele crescenti.
Poi ci sono altri incentivi cospicui.
Da 2 a 3 mila euro per l’apprendistato di primo livello, fino a 6.000 euro per l’apprendistato di terzo livello. Infine, il tirocinio (minimo 300 euro) che viene erogato dalla Regione alle aziende (ma l’Inps non ha ancora sbloccato i pagamenti e c’è voluta la manifestazione dei precari della Coalizione 27 febbraio per far muovere il presidente Tito Boeri) che spesso utilizzano i giovani a tempo pieno.
Facendo il conto complessivo di come le Regioni hanno stanziato i fondi loro assegnati, si scopre che le voci Accompagnamento al lavoro (205) e Formazione (280) sommano 485 milioni di euro.
Le voci Tirocini (300), Bonus occupazionale (190) e apprendistato (63) cumulano 553 milioni. Il resto se ne va per Servizio civile, accoglienza, autoimpiego, Mobilità professionale.
Il grosso della Garanzia Giovani se ne va così. A vigilare sembra non ci sia nessuno.
I giovani disoccupati aspettano di avere un lavoro. Vero.
Salvatore Cannavò
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile IL PM SVELA: “LA GUERRA AI COMPLICI NON PIACE AL PALAZZO”
Vent’anni di indagini e processi — che ho seguito da osservatori privilegiati come la Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta prima e di Palermo poi — mi hanno fatto capire che Cosa nostra, più delle altre mafie, ha sempre avuto nel suo Dna la ricerca esasperata del dialogo con le istituzioni.
Un dialogo finalizzato al raggiungimento di uno scopo semplice, definito e micidiale per la libertà e la democrazia nel nostro Paese: la creazione di un potere che pretende di non essere scalfito, parallelo rispetto a quello istituzionale e che di fatto a esso vuole sostituirsi. (…)
Eppure, ancora oggi, in molti fanno finta di non vedere, di non capire la vera essenza della mafia siciliana.
Nelle istituzioni, nella politica, ma anche nella magistratura e tra le forze dell’ordine. Respiro un’aria strana in questi ultimi tempi: un’atmosfera carica della falsa e pericolosa illusione che Cosa nostra sia ormai alle corde. La consapevolezza del contrario fa crescere una sensazione molto amara, di isolamento e di accerchiamento. (…)
Subito dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio sembrava iniziata una vera e propria rivolta contro la mafia, a tutti i livelli.
Un’inversione di strategia: non più il contenimento e la difesa, ma l’attacco decisivo per debellare il fenomeno, una volta e per sempre. In quei giorni percepivo il desiderio, all’apparenza condiviso e irrefrenabile, di cercare tutta la verità su quanto accaduto. Ne avvertivo la volontà in molti. (…)
Invece è accaduto qualcosa. All’improvviso è iniziata a montare una sorta di onda lunga di riflusso.
Prima le campagne di stampa abilmente organizzate contro alcune indagini eccellenti, e i tentativi, in gran parte riusciti, di instillare nell’opinione pubblica un malcelato fastidio nei confronti dei collaboratori di giustizia.
In seguito, è arrivata addirittura una riforma legislativa che ha disincentivato il fenomeno del pentitismo. (…)
A quel punto, sono tornato a respirare un’aria di disinteresse sempre più chiaro e generalizzato della politica nei confronti della lotta alla mafia.
Il germe dell’indifferenza ha camminato, si è diffuso, si è insinuato anche nei tessuti che sembravano più resistenti. Poco alla volta ha provocato, persino in una parte della magistratura e delle forze dell’ordine, una sorta di stanchezza e di fastidio nei confronti di quelle indagini che miravano a scoprire in che modo la mafia sia ancora ben presente dentro le stanze del potere.
Quella è stata l’amarezza più grande. (…)
La drammatica consapevolezza che ho maturato è che per sconfiggere veramente Cosa nostra dobbiamo guardare anche dentro lo Stato.
Perchè l’organizzazione mafiosa ha continuato a trattare, a tanti livelli, con uomini e pezzi delle istituzioni.
Politici in cerca voti, amministratori collusi, esponenti delle forze dell’ordine e dei servizi di sicurezza.
Coltivando questi e altri rapporti, Cosa nostra ha superato l’isolamento in cui arresti e processi tentavano di ridurla. Ed è stata riconosciuta come entità presente e ben ancorata nella nostra società .
Ecco perchè voglio ribadire una mia considerazione, e credo ce ne sia bisogno in questo momento storico: con la mafia non si tratta, in nessun momento e per nessuna circostanza o contingenza.
Non ci sono trattative cattive e trattative buone, magari ispirate dalla ragion di Stato o giustificate dalla necessità di scongiurare chissà quale pericolo. Non si tratta.
Non è solo un’affermazione di principio legata a un passato ormai lontano: anche negli ultimi anni Cosa nostra è tornata a cercare il dialogo con le istituzioni, pretendendo il riconoscimento della propria presenza
Allora, per sconfiggere la mafia che vuole continuare a ritagliarsi un ruolo dentro le istituzioni, dentro il potere, lo Stato deve avere la forza di guardare per davvero in se stesso. Ha le energie e le capacità per farlo. (…)
Quando mi hanno riferito per la prima volta dell’ordine di morte emesso da Salvatore Riina nei miei confronti, ho subito pensato che dovevo agire — e valutare quella prova acquisita nel corso di una mia indagine — come se non si riferisse alla mia persona.
Ho voluto ascoltare ripetutamente le frasi e osservare i gesti, il volto di quel boss che parlava di me. In quelle ore, qualcuno mi consigliò di andare via da Palermo, almeno per un certo periodo. È un’ipotesi che non ho mai preso in considerazione.
Ho cercato invece di impormi lucidità e compostezza, anche per affrontare al meglio il «solito» problema del se e come presentare la novità a mia moglie e ai miei figli. (…)
Fino a qualche anno fa non mi ero mai realmente confrontato con il sentimento della paura. Forse per incoscienza, forse per superficialità . Negli ultimi tempi, invece, ammetto di aver cominciato a pensarci.(…)
Ma negli ultimi mesi è accaduto anche qualcos’altro, che non immaginavo.
L’essere riconosciuto pubblicamente come bersaglio dello stragista più spietato di tutti i tempi, per qualcuno è stato addirittura motivo di ulteriore sospetto e diffidenza nei miei confronti.
Ho provato una profonda amarezza di fronte a quelle che non posso definire se non speculazioni assurde.
Intanto, resto a fare il mio lavoro. (…)
Nino Di Matteo
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Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile “SPERO CAMBI IL COGNOME”
Se una persona con “questi principi morali” dovesse divenire presidente francese sarebbe
“scandaloso”.
Sospeso dal Front National, il movimento di destra che aveva fondato nel 1972, Jean-Marie Le Pen attacca la figlia Marine in una intervista dai toni accesi.
“Mi vergogno che il presidente del Fn porti il mio nome”, ha detto l’anziano leader augurandosi che Marine possa cambiare “il piu’ rapidamente possibile il suo cognome. Lo può fare sposando il suo concubino, o il signor Philippot”, il vicepresidente del partito, dichiaratamente gay.
Marine ha progressivamente allontanato il vulcanico padre dal partito spiegando che le sue dichiarazioni potevano inficiarne l’immagine e offuscare le speranze di una affermazione elettorale che necessariamente passa per un profilo più moderato.
“Io non ho mai parlato a nome del Front National se non quando ero presidente”, ha detto Jean-Marie pronto a rivendicare le sue posizioni con “qualsiasi mezzo”.
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Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile TOUR ELETTORALE, ALTRO CHE VOLO DI STATO
Aeroporto di Bolzano. I carabinieri con i pennacchi tendono la mano verso la fronte e omaggiano i deputati Lorenzo Dellai, Michele Nicoletti, il sottosegretario Gianclaudio Bressa e lo stuolo di parlamentari autoctoni (una decina) che scendono la scaletta di un aereo di Stato.
Per la visita a un paio di aziende, a una fondazione, al museo Mart, impegni da mezzoretta per giustificare i comizi elettorali per le comunali di domenica in Trentino Alto Adige, Matteo Renzi ha offerto un passaggio ai politici locali.
E siccome un Falcon è pur sempre piccino, Palazzo Chigi ha arruolato un secondo velivolo che ha caricato i collaboratori di Renzi: il fotografo, l’operatore, il cerimoniale, gli assistenti.
Spenti i motori ai Falcon, in pista c’era un elicottero di Stato per gli spostamenti regionali fra Rovereto, Bolzano e Trento: una cittadina e due capoluoghi chiamati a votare il sindaco in anticipo rispetto al resto d’Italia.
Il deputato Riccardo Fraccaro (M5S), origini di Treviso, università e impiego a Trento, s’è procurato le fotografie che testimoniano la presenza di un pezzo del 31esimo stormo dell’Aeronautica militare — tre mezzi — e ha denunciato l’episodio ai magistrati in Corte dei conti.
Con più precisione: ha rimpinguato i documenti depositati in passato, perchè il fiorentino, secondo i 5Stelle, ha il vizio di eccedere con i voliblu: vacanze in famiglia a sciare a Courmayeur con il Falcon e rapidi trasbordi casa-Roma in elicottero. Palazo Chigi ha sempre estirpato la polemica con la formula “motivi di sicurezza”.
Il testo di legge è inequivocabile: “I voli di Stato devono essere limitati al presidente della Repubblica, ai presidenti di Camera e Senato, al presidente del Consiglio dei ministri, al presidente della Corte costituzionale. Eccezioni rispetto a questa regola devono essere specificamente autorizzate, soprattutto con riferimento agli impegni internazionali, e rese pubbliche sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, salvi i casi di segreto per ragioni di Stato”.
Oltre l’incolumità di Renzi, Palazzo Chigi deve valutare l’esigenza istituzionale.
E proprio sul punto battono i 5Stelle, che annunciano due interrogazioni in aula.
È vero che il premier ha perlustrato due fabbriche, la fondazione Kessler e il museo Mart, appuntamenti dal profilo istituzionale, ma è vero pure che ha tenuto discorsi politici a Bolzano, Rovereto e Trento, dove i candidati dem aspettavano il sostegno del più alto in grado.
Allora, la domanda: in Trentino Alto Adige, Renzi ci è andato da presidente del Consiglio o da segretario del Pd?
In attesa di sciogliere il dilemma che fa infuriare il M5s, appare avventata la presenza sul Falcon di semplici parlamentari dem.
Il dubbio non ha toccato Palazzo Chigi, ma ha solleticato l’ironia di Florian Kronbichler di Sel: “A me non è giunto alcun invito, ma non lo avrei accettato… Non accetto che ci siano discriminazioni tra deputati in queste occasioni. Ma la verità è che Renzi è andato a fare un tour elettorale mascherandolo da visita di Stato, scegliendosi una combriccola da portarsi appresso sul volo di Stato”.
Fraccaro ha presentato lo scontrino (pubblico) a Renzi: 9 mila euro l’ora per ognuno dei due Falcon, 8.400 per un elicottero, circa 26 mila.
Il deputato pentastellato è cortese, non esagera gonfiando il totale che, semmai sarà la magistratura contabile a verificare, potrebbe raddoppiare.
Il Movimento Cinque Stelle sfrutta il megafono di Beppe Grillo per imputare al fiorentino l’utilizzo disinvolto dei voli blu e ricorda a Renzi le promesse smerciate quand’era comodo promettere: “La mia scorta sarà la gente”, ripeteva durante la presa di Palazzo Chigi.
Un paio di anni fa, a Firenze, disse di sentirsi un ragazzo della generazione Erasmus, abituato a viaggiare con compagnie non di bandiera e in classi scomode.
Adesso è il capo del governo e può sfruttare i benefici che la carica prevede a rigor di legge, per i 5Stelle va oltre: spreca denaro pubblico.
In un’occasione Palazzo Chigi ha replicato al M5s e lo stesso Renzi s’è appellato ai protocolli, ma non s’è mai pentito.
E s’è beccato una reprimenda da Mimmo Scilipoti, che nonostante la scarsa attitudine a legiferare, s’è speso per una proposta di legge: basta parenti sui voli di Stato.
E ha spiegato al reprobo fiorentino che Angela Merkel a Ischia ci va in traghetto.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile TOUR ELETTORALE, ALTRO CHE VOLO DI STATO
Aeroporto di Bolzano. I carabinieri con i pennacchi tendono la mano verso la fronte e omaggiano i deputati Lorenzo Dellai, Michele Nicoletti, il sottosegretario Gianclaudio Bressa e lo stuolo di parlamentari autoctoni (una decina) che scendono la scaletta di un aereo di Stato.
Per la visita a un paio di aziende, a una fondazione, al museo Mart, impegni da mezzoretta per giustificare i comizi elettorali per le comunali di domenica in Trentino Alto Adige, Matteo Renzi ha offerto un passaggio ai politici locali.
E siccome un Falcon è pur sempre piccino, Palazzo Chigi ha arruolato un secondo velivolo che ha caricato i collaboratori di Renzi: il fotografo, l’operatore, il cerimoniale, gli assistenti.
Spenti i motori ai Falcon, in pista c’era un elicottero di Stato per gli spostamenti regionali fra Rovereto, Bolzano e Trento: una cittadina e due capoluoghi chiamati a votare il sindaco in anticipo rispetto al resto d’Italia.
Il deputato Riccardo Fraccaro (M5S), origini di Treviso, università e impiego a Trento, s’è procurato le fotografie che testimoniano la presenza di un pezzo del 31esimo stormo dell’Aeronautica militare — tre mezzi — e ha denunciato l’episodio ai magistrati in Corte dei conti.
Con più precisione: ha rimpinguato i documenti depositati in passato, perchè il fiorentino, secondo i 5Stelle, ha il vizio di eccedere con i voliblu: vacanze in famiglia a sciare a Courmayeur con il Falcon e rapidi trasbordi casa-Roma in elicottero. Palazo Chigi ha sempre estirpato la polemica con la formula “motivi di sicurezza”.
Il testo di legge è inequivocabile: “I voli di Stato devono essere limitati al presidente della Repubblica, ai presidenti di Camera e Senato, al presidente del Consiglio dei ministri, al presidente della Corte costituzionale. Eccezioni rispetto a questa regola devono essere specificamente autorizzate, soprattutto con riferimento agli impegni internazionali, e rese pubbliche sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, salvi i casi di segreto per ragioni di Stato”.
Oltre l’incolumità di Renzi, Palazzo Chigi deve valutare l’esigenza istituzionale.
E proprio sul punto battono i 5Stelle, che annunciano due interrogazioni in aula.
È vero che il premier ha perlustrato due fabbriche, la fondazione Kessler e il museo Mart, appuntamenti dal profilo istituzionale, ma è vero pure che ha tenuto discorsi politici a Bolzano, Rovereto e Trento, dove i candidati dem aspettavano il sostegno del più alto in grado.
Allora, la domanda: in Trentino Alto Adige, Renzi ci è andato da presidente del Consiglio o da segretario del Pd?
In attesa di sciogliere il dilemma che fa infuriare il M5s, appare avventata la presenza sul Falcon di semplici parlamentari dem.
Il dubbio non ha toccato Palazzo Chigi, ma ha solleticato l’ironia di Florian Kronbichler di Sel: “A me non è giunto alcun invito, ma non lo avrei accettato… Non accetto che ci siano discriminazioni tra deputati in queste occasioni. Ma la verità è che Renzi è andato a fare un tour elettorale mascherandolo da visita di Stato, scegliendosi una combriccola da portarsi appresso sul volo di Stato”.
Fraccaro ha presentato lo scontrino (pubblico) a Renzi: 9 mila euro l’ora per ognuno dei due Falcon, 8.400 per un elicottero, circa 26 mila.
Il deputato pentastellato è cortese, non esagera gonfiando il totale che, semmai sarà la magistratura contabile a verificare, potrebbe raddoppiare.
Il Movimento Cinque Stelle sfrutta il megafono di Beppe Grillo per imputare al fiorentino l’utilizzo disinvolto dei voli blu e ricorda a Renzi le promesse smerciate quand’era comodo promettere: “La mia scorta sarà la gente”, ripeteva durante la presa di Palazzo Chigi.
Un paio di anni fa, a Firenze, disse di sentirsi un ragazzo della generazione Erasmus, abituato a viaggiare con compagnie non di bandiera e in classi scomode.
Adesso è il capo del governo e può sfruttare i benefici che la carica prevede a rigor di legge, per i 5Stelle va oltre: spreca denaro pubblico.
In un’occasione Palazzo Chigi ha replicato al M5s e lo stesso Renzi s’è appellato ai protocolli, ma non s’è mai pentito.
E s’è beccato una reprimenda da Mimmo Scilipoti, che nonostante la scarsa attitudine a legiferare, s’è speso per una proposta di legge: basta parenti sui voli di Stato.
E ha spiegato al reprobo fiorentino che Angela Merkel a Ischia ci va in traghetto.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile CON L’ITALICUM TORNEREMO ALLA CORTE CORROTTA E AL PRINCIPE DEBOSCIATO CHE GETTERA’ PAGNOTTE AL POPOLINO DEI SOCIAL
Con l’approvazione dell’Italicum, il nuovo impianto istituzionale sta prendendo sempre più forma. 
La direzione è quella di un trasferimento sempre più pregnante del potere dalla “periferia” al centro del sistema.
Lo Stato ed il Premier, insomma, la faranno sempre più “da padroni” con un decentramento funzionale e decisionale ridotto ai minimi termini e con l’alterazione sostanziale — e verso il basso — del principio della “Divisione dei Poteri”.
Da Repubblica Parlamentare a Repubblica Presidenziale, insomma, e senza manco dirlo apertamente, però.
Salvo sparute eccezioni, il “nostro” sarà un Parlamento di nominati sempre più asserviti alle ragioni del “capo”.
Già , il capo…
uel “capo” che diventerà sempre più il perno di tutto il sistema, scuola compresa.
L’impianto non è entusiasmante soprattutto per lo scenario complessivo, con un centro-sinistra sempre più proteso verso le ragioni politiche della destra (Partito della Nazione docet!) ed un centro-destra destinato a rivestire un ruolo meramente formale salvo “capitomboli elettorali”, allo stato, davvero molto difficili da immaginare.
La Terza Repubblica sta prendendo forma, insomma, e proprio sotto l’egida del nuovo mantello del “Principe” col popolo pronto a succhiare il “latte” dalla “matrona” di turno.
Agli Italiani non interessa proprio nulla della democrazia consapevole, del liberismo, della sfida meritocratica e della possiiblità che l’uomo sia l’artefice autentico del proprio destino.
Lo dicano pubblicamente o meno, gli italiani rivogliono il “duce” ed uno “Stato-padre”, pronti a farsi ricoprire dalla restauranda “coperta socialista” a trazione DC.
Un nuovo sistema autoritario mascherato col velo della “democrazia da social”, questa volta…
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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