Maggio 25th, 2015 Riccardo Fucile
ORA E’ UNA CORSA A INTESTARSI IL CAMBIAMENTO, COME SE IGLESIAS E RIVERA ASSOMIGLIASSERO NEPPURE LONTANAMENTE A LORO… I DUE MOVIMENTI SPAGNOLI SONO ANTICASTA, I DUE MATTEO SONO LA PERSONIFICAZIONE DELLA CASTA
“Il vento della Grecia, il vento della Spagna, il vento della Polonia non soffiano nella stessa
direzione, soffiano in direzione opposta, ma tutti questi venti dicono che l’Europa deve cambiare e io spero che l’Italia potrà portare forte la voce per il cambiamento dell’Europa nelle prossime settimane e nei prossimi mesi”.
Con queste parole, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha commentato i recenti risultati elettorali in Spagna e Polonia, che hanno visto nel primo caso l’affermazione della sinistra di Podemos, nel secondo caso la vittoria dei conservatori di Andrzej Duda.
“O l’Europa riesce a cambiare la propria politica economica o saranno sempre più forti i movimenti contro Bruxelles e contro Strasburgo – ha detto il premier in un’intervista a Rtv38 – Ecco perchè noi diciamo che esiste una terza via tra il rigido formalismo burocratico conservatore
legato all’austerity che una parte dei paesi europei vorrebbe utilizzare come punto di riferimento assoluto e dall’altro lato la demagogia del tutti contro l’euro”.
E arriva il controcanto di Matteo Salvini che, parlando a Radio Padania a proposito dei risultati del voto amministrativo in Spagna, dove il movimento di Podemos si è affermato a Barcellona e Madrid e di quello in Polonia dove ha vinto il nazionalista Duda, prova anche lui a spacciarle come una sua vittoria: “Abbiamo tante differenze da Podemos – ha aggiunto Salvini – ma questa è una boccata d’ossigeno per l’Europa dei popoli. E’ una sconfitta per Renzi, Monti, i vari burocrati di Bruxelles. Una boccata d’ossigeno salutare, rompe il duopolio socialisti-democristiani, Pd-Forza Italia.”
Speriamo che qualcuno gli spieghi che nè Podemos nè Ciudadanos assomigliano lontanamente alla Lega: forse basterebbe leggere i programmi.
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Maggio 25th, 2015 Riccardo Fucile
E UNA SERIE DI INCOGNITE PER LA GOVERNABILITA’
Molti commentatori sembrano convinti che la Spagna si riduca ai due comuni di Madrid e
Barcellona e si inventano quindi una vittoria complessiva di Podemos che non c’è.
A ben vedere un vincitore complessivo non c’è, c’è solo uno sconfitto, il Pp, pur ancora in testa, e molti micro-vincitori.
Podemos non si presentava come tale alle comunali: sosteneva in quei due casi liste civiche che sono arrivate in testa.
Il quadro complessivo delle comunali è invece il seguente:
-ci sono ancora solo due grandi partiti che prendono più di 20 mila consiglieri comunali, ossia il Pp nettamente ridimensionato che scende da 26.500 circa a 22.750 e che lascia sul terreno due milioni e mezzo di voti (da 8 milioni e mezzo a 6 milioni) e il Psoe, che scende di un migliaio, da 21 mila 800 a 20 mila 800 e di circa 700 mila (da 6 milioni e 300 mila a 5 milioni e 600 mila);
-ridimensionata in voti Izquierda Unida, da un milione mezzo di voti a uno solo, anche se non in seggi, resta a poco più di 2.200;
-si inserisce in mezzo Ciudadanos con quasi un milione e mezzo di voti e circa 1.500 consiglieri;
-ci sono poi assestamenti nei sistemi politici regionali, con Erc che si rafforza in Catalogna (200 mila voti in più) soprattutto ai danni di Ciu (100 mila in meno) e di poco il Pnv nel Paese Basco a scapito di Bildu.
Quanto alle Regionali, dove invece Podemos si presentava, il quadro (grazie alle elaborazioni del dott. Gianluca Passarelli) è il seguente:
-anche qui i primi due partiti restano nettamente Pp e Psoe. Il primo perde due milioni di voti e 124 seggi, ma resta pur sempre il primo con 3 milioni e 900 mila e 286 seggi; il secondo perde mezzo milione di voti e 37 seggi, ma ha comunque 3 milioni e 150 mila voti e 220 seggi;
-Podemos è terzo, con 1 milione e 800 mila voti e 109 seggi (per inciso, però, Podemos ha ridimensionato Izquierda Unida che ha perso 21 dei suoi 30 seggi) e Ciudadanos quarto, con 1 milione e 250 mila e 39 seggi, notevole successo, ma comunque non comparabile ai livelli ancora raggiunti dai partiti tradizionali.
Rimettiamoli quindi bene in ordine perchè sia chiara la graduatoria in seggi alle Regionali, ossia il fatto che i primi e i secondi sono stati affiancati ma non superati dai terzi e dai quarti:
PP 286, Psoe 220, Podemos 109 e Ciudadanos 39.
Questi elementi sono ben chiariti dalla proiezione di El Pais dei risultati delle regionali sulle politiche, le quali si svolgeranno a fine anno, che certo vanno prese con cautela anche perchè alle amministrative vota intorno al 65% mentre alle politiche circa il 75%, ma che mostrano bene anch0esse lo stacco che resta:
PP 120 seggi, Psoe 108, Podemos 37 e Ciudadanos 18.
Il problema politico di fondo, in questo nuovo quadro, resta quello della governabilità , a cominciare dalle regionali, ma con possibili ripercussioni anche per le politiche di fine anno.
Molte comunità rischiano di non esprimere il Governo, com’è accaduto in Andalusia dove si è votato il 22 marzo e la situazione non accenna a sbloccarsi.
Infatti per l’elezione del Presidente della Giunta, così come per quello del Governo, è necessario almeno che i Sì battano i No, ma questo presuppone qualche alleanza, almeno sotto forma di astensioni: alleanze niente affatto scontate.
Diverso il caso dei Comuni dove, in assenza di accordi, può iniziare il mandato come sindaco, anche se in minoranza molto ristretta, il capolista della lista più votata.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 25th, 2015 Riccardo Fucile
TUTTO IL REPERTORIO
Silvio Berlusconi da Fabio Fazio riesce quasi a non far toccare palla al conduttore, anche se stanco e appesantito dagli anni, si guadagna anche tre applausi del pubblico in studio e fa andare in onda su Rai3 una sorta di “il meglio di…” con la storia vista da Arcore già sentita mille volte.
Neppure una domanda di Fazio sull’origine poco chiara di Forza Italia nel ’94, su Marcello Dell’Utri e la mafia.
Tutto liscio come l’olio, invece, un vecchio conduttore che intervista un vecchio politico.
Per il gran finale Fazio chiede: “In questi giorni ha postato foto con il suo cane, Dudù che ormai è più famoso di Rex, per alcuni sono foto di un uomo solo, ma lei si sente felice?”.
Ecco il tocco commovente di quello che un tempo per Rai3-Tele Kabul era il Caimano: “Non so cosa sia la felicità , mi sento solo ma mi sono sempre sentito solo”. L’ospite si alza, Fazio gli stringe la mano, mentre tutti in studio battono le mani. Un trionfo.
Ha passato il tempo a lamentarsi Berlusconi, per i consensi di Forza Italia in picchiata a causa della sua scarsa presenza televisiva: “Renzi mediamente passa in tv sei ore alla settimana, altrettante Salvini, normale quindi essere in difficoltà ”.
Fazio gli offre quindi il migliore degli assist: “Ma perchè non andava più in tv, la legge Severino la rende incandidabile, mica vieta le presenze in televisione”. Berlusconi si fa serio serio, il Caimano ritorna: “Fa parte dell’attacco della magistratura che ho subito, mi creda. Ho avuto l’indicazione forte e precisa di non andare in televisione”.
Fazio non pensa sia il caso di chiarire il concetto e queste parole rimangono là , insinuando il dubbio di un divieto dei giudici alle apparizioni tv del capo di Forza Italia.
All’inizio Fazio ha pur provato a fare qualche domanda di attualità , con un’unica punta di veleno: “Ma perchè dovrebbe riuscire a fare ora quello che non è mai riuscito a fare?”.
Risposta ovvia: “È una crociata di libertà , per il bene del Paese”. “Ma chi è il suo erede?”, prova a trovare la notizia Fazio. “Non si è ancora fatto vivo, spero lo faccia presto. Io gli darò la spinta, ma lo sceglierà il popolo”. Confuso.
“Però non con le primarie, sono manipolabili e hanno prodotto i sindaci peggiori della storia a Genova, Milano, Napoli e Roma”.
Momento Cesano Boscone: “Le sono serviti a qualcosa i servizi sociali?”, chiede Fazio. “Non avevo niente da imparare — risponde Berlusconi — ma la vicinanza alle persone che soffrono era il momento più gradevole della settimana”.
E poi il solito nastro: “Non ho potuto fare la mia rivoluzione liberale perchè nella coalizione c’erano i piccoli partiti, magistrati e tutti i giornali contro, ho avuto tre capi di Stato ostili, che erano anche capi delle forze armate e l’ultimo ha voluto fare la guerra a Gheddafi e alla Libia contro la mia volontà ”.
Ovvio, la butta anche sulla minaccia comunista e Fazio timido: “Ma Renzi non è comunista”. “Vero, ma ha sempre quel partito”. Contro Grillo: “Una ferita al sistema democratico, non può portare niente di buono, ma io l’ho già ridimensionato alle europee”. “Venga anche Grillo — invoca Fazio — a replicare”.
Poi finalmente la domanda cattiva, quelli che tutti aspettano: “Il gruppo cinese che vuol comprare il Milan ha dietro il Partito comunista?”.
“Non è vero — risponde seccato B. — è lei che legge certi giornali e dicendo questa cosa mina la sua credibilità perchè è falsa”.
I diritti civili, Fazio tira fuori la compagna Francesca Pascale e il suo impegno, a parole, per gli omosessuali: “In uno Stato civile anche persone dello stesso sesso dovrebbero poter assistere un loro caro se malato o lasciargli qualcosa in eredità ”. Riesce a metterci dentro anche un “mi consenta”, come ai bei tempi.
Il tutto comincia con una critica a Fazio “da vecchio editore di tv: quando uno specchiandosi vede la barba grigia dovrebbe avere il coraggio di tagliarsela, sarebbe più bello e bucherebbe meglio lo schermo”.
Il ritorno, triste, di Sua Emittenza.
Giampiero Calapo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 25th, 2015 Riccardo Fucile
L’EX PRESIDENTE DELL’URUGUAY IN LIGURIA SULLE TRACCE DEGLI ANTENATI: “I MIGRANTI CHE ARRIVANO IN EUROPA LE FANNO UN FAVORE, LA SVECCHIANO”
Scorte e lampeggianti? Ma quando mai. 
Arrivano quasi alla chetichella, in una giornata uggiosa. Non fosse per l’auto dell’ambasciata, che dal porto di Genova ieri mattina li ha discretamente portati fin quassù in Val Fontanabuona, sembrerebbero due turisti normali. Perdipiù con poco bagaglio.
Già perchè a Josè Alberto Mujica Cordano e a sua moglie Lucia Topolansky – sposata nel 2005 – non serve poi molto.
Sebbene lui, figlio di emigranti liguri, fino al primo marzo fosse l’amatissimo presidente dell’Uruguay, del quale è tutt’ora senatore, al pari della moglie.
Che non porta manco un gioiello, neppure la fede dopo le nozze. Pure quelle anomale. In stile col personaggio.
Racconta, Lucia, sua compagna da quarant’anni: «Non mi ha fatto una dichiarazione, ha fatto un annuncio. In televisione, un giorno, ha comunicato che si sarebbe sposato. Io stavo ascoltando in cucina e l’ho saputo così…». Pausa.
«Era sicuro che gli avrei detto sì». Sempre al suo fianco. Carcere compreso. Esperienza, che «Pepe» ricorda tranquillo perchè gli «ha insegnato tanto» spiega puntandoti addosso gli occhi nerissimi e scintillanti. Sempre con un diktat: «Essere al servizio degli altri, questo è il significato della politica».
Servizio alla societa’
In Italia, veramente, mica tanto… Tra indagati e corrotti, la politica non appassiona.
«Ah, no? È molto triste. E in cosa crede la gente?- domanda stupefatto – Se non si crede nel futuro non c’è niente. L’uomo è un animale politico.
Diceva Aristotele, che non può vivere da solo, ma nella società . Tu come faresti senza penna e taccuino? Ci vuole qualcuno che li faccia. E che faccia vestiti, auto… Dipendiamo tutti dalla società . La politica è occuparsi della società e dei diritti». Lei da presidente ogni mese dei suoi 8.900 euro, ne devolveva 8.100 agli uruguaiani.
Qui non va proprio così. Sospira: «La gente che ama troppo i soldi non deve entrare in politica. Che è servizio. È questa la felicità : servire la gente che ha bisogno. La bara non ha tasche per portarsi via i soldi». Lei e Lucia non avete mai abitato il palazzo presidenziale.
«È un museo» scandisce mulinando il braccio verso il soffitto in legno dell’Osteria Fonte Bona, tre camere in tutto – e servizi al piano – dove l’ex presidente ha prenotato quindici giorni fa: online. E tanto per capire che in questa vallata è planato un marziano — anzi due — basti dire che il proprietario, Giovanni Bottino, dopo aver preparato il pranzo «a base di affettati, ravioli col tocco e vino “tinto”», ha lasciato amabilmente riposare «Pepe e Lucia».
L’ex presidente è sbarcato «in cerca delle radici», della casa dei nonni materni, dopo una sosta a Muxyka, nei Paesi Baschi, terra paterna. Un viaggio-regalo, che dopo la Val Fontanabuona e Genova, porterà la coppia a Roma, dal Papa.
I due mondi
«Vedrò Francesco il 28. È il secondo incontro, con quest’uomo che si è spogliato di tutto». Credente? «No — replica divertito sotto i baffi alla Marquez — Ateo. Per il Cristianesimo la vita è una valle di lacrime. Non sono d’accordo: è bellissima. E il Paradiso è qua, è questa vita. Però, la religione aiuta a morire bene. Voglio parlare al Papa di molte cose. Principalmente della difficoltà d’integrazione tra tutti i Paesi dell’America Latina».
Europa e Italia sono alle prese con i migranti e la strage dei barconi. «L’Europa diventerà caffelatte. Una miscela di razze — commenta placido — La soluzione non è combattere, ma andare in Africa ad aiutarli. L’Europa avrebbe dovuto farlo da tempo. Quanta ricchezza s’è presa dalle colonie? Poi li ha mollati… Non è giusto».
Abbattere Saddam e Gheddafi? «Un errore enorme. La democrazia non si esporta con la guerra, nè si impone. Gheddafi e Saddam tenevano una dittatura paternalista. Ma il Paese teneva. Ora è il caos. Si sta peggio di prima».
Come se ne esce? «L’Africa deve farcela da sola. Con molto dolore, certo. È molto giovane, è cresciuta molto la sua popolazione. Chi arriva in Europa le fa un favore: la svecchia. Lavora e aiuta, lasciandole il plus valore del suo lavoro. L’Ue deve organizzare gli aiuti e al contempo andare in Africa». Normale. Come la sua vita, in realtà straordinaria. Senza sfarzo.
Continuando «a impastare la pizza» e coltivando «pomodori, zucchine, fave».
Facendo con Lucia «35 bottiglie di conserva, per il sugo di tutto l’anno». Un marziano della politica in camicia e maglione, con un paio di scarpe le stesse «da tre anni, perchè in Uruguay le fanno bene».
Felice della sua vita? «Se dall’altra parte ci fosse il bancone di un bar, sa cosa direi? Un altro. Identico a questo».
Patrizia Albanese
(da “La Stampa”)
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Maggio 25th, 2015 Riccardo Fucile
DIVISO IL MONDO DEGLI IMPRENDITORI
In principio fu Novartis, seguita dall’ex Lucchini e adesso da Trelleborg, la multinazionale svedese degli pneumatici: tre aziende che – per motivi diversi – hanno scelto di non applicare il contratto a tutele crescenti ai nuovi assunti dopo la riorganizzazione aziendale.
Tradotto: avranno tutti le garanzie previste dal vecchio articolo 18 che il governo ha rottamato lo scorso 7 marzo con l’entrata in vigore del Jobs Act.
Una decisione che da un lato apre una nuova frontiera di benefit aziendali dall’altro fissa paletti ad oggi sconosciuti in materie di trattativa sindacale.
“Quello di Trelleborg è un accordo che farà storia” dice Emilio Miceli, segretario di Filctem-Cgil che prosegue: “Le relazioni industriali stanno cambiando, noi dobbiamo garantire i lavoratori”. Se la decisione di Novartis è passata quasi sottotraccia perchè riguardava 13 dipendenti passati da una società all’altra del gruppo e quella della ex Lucchini ha avuto l’avallo del governo dopo l’ingresso nella società dei tunisini della Cevital; quella di Trelleborg ha fatto scoppiare un caso con la dura presa di posizione di Unindustria che ha annunciato l’uscita della società dalla rete di Confindustria.
Dopo l’intesa Trelleborg “viene messa fuori dalla nostra associazione” perchè “tale accordo va esattamente nella direzione opposta a quanto previsto dalla nuova normativa contenuta nel Jobs Act del governo di Matteo Renzi e crea un notevole pregiudizio agli interessi del mondo imprenditoriale”, spiega il presidente dell’associazione, Maurizio Stirpe.
“Per questo motivo, il sistema delle imprese auspica fortemente – conclude Stirpe – che l’Esecutivo intervenga in maniera decisiva sancendo l’indisponibilità a livello contrattuale della normativa sui licenziamenti”.
Una presa di posizione in contrasto con quella della Corte di Cassazione che ha chiarito come la nuova disciplina del lavoro non cancelli quella in vigore fino al 6 marzo, ma semplicemente fornisca alle aziende uno strumento in più.
“Siamo all’olio di ricino, alle punizioni, alle espulsioni. Da questo atteggiamento – aggiunge Miceli – si capisce quanto grande sia la distanza tra la politica ed i luoghi di lavoro e di produzione”. Nessun commento dall’azienda svedese dalla quale si limitano a dire: “La portata dall’accordo è molto più ampia”.
“Mi stupisce questo stupore”, sostiene Michele Tiraboschi, professore di diritto del Lavoro all’Università di Modena e Reggio Emilia: “Il governo non ha abrogato l’articolo 18, semplicemente prevede che non si applichi ai neossunti. In questo caso siamo di fronte a una deroga al contratto nazionale, proprio come previsto dalla riforma Sacconi che nel 2011 era stata appoggiata proprio da Confindustria. Siamo di fronte a un accordo aziendale importante, dove le parti hanno raggiunto un’intesa dopo una trattativa dura e complessa: i lavoratori hanno accettato maggiori sacrifici, in cambio dei quali hanno ottenuto il mantenimento dell’articolo 18”.
D’altra parte l’approccio degli interessati è stato “partecipativo” e “collaborativo” per trovare “il giusto equilibrio – si legge nel testo dell’accordo aziendale – tra gli interessi della società e dei suoi lavoratori”.
E i sindacati stessi ammettono: “Abbiamo lavorato duro per arrivare a un accordo complessivo che va oltre le tutele dell’articolo 18: al centro dell’intesa c’è la produttività dell’azienda e l’aumento della competitività . In cambio abbiamo ottenuto 69 assunzioni a tempo indeterminato”.
Il verbale d’accordo – però – chiarisce che si tratta di un’intesa in deroga al Jobs Act, anche perchè le trattative tra le parti erano iniziate lo scorso anno.
Gli addetti ai lavori guardano con attenzione all’evoluzione delle relazioni sindacali: le aziende che decideranno di mantenere l’articolo 18 potrebbero aumentare, così come le categorie professionali che cercheranno di inserire le “antiche tutele” in sede di rinnovo contrattuale.
D’altra parte per le grandi aziende che investono in Italia le tutele crescenti non rappresentano la chiave di volta per la ripresa del Paese: “Il costo del lavoro in Italia e le difficoltà a licenziare – dice un dirigente di una multinazionale che preferisce restare anonimo – le conosciamo tutti e per questo accantoniamo le risorse necessarie. Per noi sono più urgenti le riforme del fisco e della giustizia, senza quelle sarà difficile attrarre nuovi investimenti”.
Di certo Miceli non ha intenzione di abbandonare la battaglia: “La presa di posizione di Unindustria ci lascia sconcertati, ma continueremo per la nostra strada cercando di garantire le tutele dell’articolo 18, soprattutto nel passaggio dei lavoratori da un’azienda all’altra. A cominciare da chi lavora con gli appalti”.
Giuliano Balestreri
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