Giugno 24th, 2015 Riccardo Fucile
VERSO UN NUOVO SOGGETTO DI SINISTRA… SEL PRONTA A SCIOGLIERSI E CONFLUIRE NEL NUOVO CANTIERE
Stefano Fassina è uscito dal gruppo. Dopo una mattinata alla Nanni Moretti in cui rimbalzavano conferme e smentite e i cellulari squillavano a vuoto, l’ex viceministro riunisce la stampa a Montecitorio e dà la conferma definitiva: “Nelle prossime ore formalizzeremo al capogruppo le dimissioni dal Pd”.
Usa il plurale perchè accanto a lui c’è Monica Gregori, un recente passato nei Giovani Democratici romani, alla sua prima legislatura alla Camera.
Fassina ha scelto di dare l’addio a Capannelle.
Durante un dibattito con i militanti che lo hanno sostenuto alle primarie. Senza riflettori puntati, senza una telefonata di preavviso ai giornalisti. Una comunicazione alla sua base che se non fosse stato per l’onnipresenza degli smartphone non sarebbe uscita dalle periferie romane.
Nella soffocante sala delle conferenze a Montecitorio, annuncia per il quattro luglio una grande convention al teatro Palladium, alla Garbatella.
Una sorta di giorno dell’indipendenza di tutti quelli che hanno detto addio al Partito democratico negli ultimi mesi.
“Ci saranno Pippo Civati e Luca Pastorino – spiega – ci sarà Sergio Cofferati. Ci saranno tanti amministratori e segretari di circoli che si sono sentiti abbandonati dal Pd, e che si vogliono coinvolgere con noi in un progetto alternativo”.
Proprio Civati è appoggiato allo stipite della porta. Arriva con qualche minuto di ritardo, e ascolta fino alla fine le parole del collega. Sapeva che la sua direzione sarebbe stata quella, non sapeva i tempi e i modi: “Ha fatto da solo, non ci siamo sentiti prima”.
C’è anche Pastorino, ci sono Nicola Fratoianni, Serena Pellegrino, Adriano Zaccagnini, il primo coordinatore gli altri due deputati di Sel.
Fassina non si sbilancia: “Se ci seguiranno altri? Non lo so, è un passo difficile e doloroso, rispetto i tempi e le decisioni di tutti”.
In bilico c’è Michela Marzano. La filosofa eletta con Bersani qualche ora prima della conferenza stampa sembrava in crisi: “Non so cosa farò. Ho grandissimo rispetto per Stefano, ma non ci siamo sentiti, voglio parlarci”.
Alla domanda se alla fine lo seguirà ha un attimo di esitazione, poi risponde: “Mi scusi, ma prima gli devo parlare”.
Arriva in conferenza, si mette da un lato. Quando arriva la domanda su chi altro alla Camera potrebbe lasciare il Pd infila immediatamente la porta e se ne va.
Al Senato sono Walter Tocci e Corradino Mineo i principali indiziati a confluire nel percorso programmatico che Fassina si augura serva a costruire “una sinistra di governo, non identitaria”.
Raggiunto dall’Huffpost, l’ex direttore di Rainews sembra avere più di un piede fuori dal partito: “Io la fiducia alla scuola non la voto. Se questo significa che mi cacciano dal partito va benissimo, nessun problema”.
Perchè è stata proprio la buona scuola la goccia che ha fatto traboccare il vaso di Fassina: “L’ultimo episodio dopo il jobs act, l’Italicum e la riforma costituzionale”.
Così, mentre sulla delega lavoro “sono state messe in atto le idee di Maurizio Sacconi, sull’istruzione seguiamo il modello Aprea (Valentina, sottosegretario con Berlusconi, n.d.r.)”.
E ancora, : “La fiducia è un abuso intollerabile. E i giornali che ci raccontano come gente asfaltata che se ne va alla spicciolata sono imboccati dalle veline che passa Palazzo Chigi, che raccontano una storia che è lontana dalla verità . Se me ne dovessi andare perchè asfaltato avrei fatto le valige un anno fa, quando Renzi usò contro di me parole volgarissime. Noi siamo più vivi che mai, pronti a costruire alternative a questa roba che stanno facendo. Sfido uno qualunque di loro a venire a fare un’assemblea in una scuola con me. Perchè la verità è che loro nelle scuole non ci possono mettere piede”.
Siamo al “noi” e “loro”, alla “costruzione di percorsi nuovi”.
Mineo sembra non sia giunto ancora allo strappo solo perchè impegnato a battagliare in vista del voto di fiducia di domani.
“Guardi, il tema non è se ce ne andiamo o no, ma la costruzione di un’alternativa vera”. Che poi è la parafrasi dei concetti fassiniani: “L’assemblea del 4 vuole essere l’inizio di un percorso per costruire un’alternativa di sinistra”.
L’obiettivo? “Un soggetto unico a sinistra”.
Il flirt di domenica tra Civati e Sel all’assemblea di “Possibile” è stato solo l’inizio (“Pronti a sciogliere il partito”, aveva annunciato Fratoianni. “Ora un nuovo soggetto”, ha rilanciato oggi).
Il 4 luglio si porrà un altro tassello di una strada che appare ancora molto lunga. Ai cui bordi è seduto Maurizio Landini.
Dice Fassina che “noi vogliamo interloquire dal lato della politica con quelle forze sociali che lui rappresenta”.
Se son rose…
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 24th, 2015 Riccardo Fucile
AL SENATO SONO 4 I PD CHE NON VOTERANNO LA FIDUCIA SULLA SCUOLA, RESTA UN MARGINE DI 9 VOTI, MEGLIO NON ESACERBARE GLI ANIMI
L’ordine di scuderia è di non infierire su Stefano Fassina e comunque di tenerla bassa. L’addio di un altro deputato Dem al partito, dopo Sergio Cofferati e Pippo Civati, non sconvolge Matteo Renzi, anche perchè la notizia era largamente attesa.
Ma cade in un momento politico più complicato, con un Pd più debole.
Ecco perchè da Palazzo Chigi, subito dopo la conferenza stampa di Fassina, parte l’indicazione: evitiamo gli attacchi frontali e anche le ‘renzate’, i toni arroganti e gli sfottò.
Insomma, nulla di simile alla battuta usata dallo stesso Renzi il 12 maggio scorso, quando il tono era ancora baldanzoso, due settimane prima delle regionali. “Fassina se ne va? Problema suo”, disse allora il premier.
Nulla di tutto questo. Anzi al Senato i suoi avviano subito la ricognizione in vista del voto di fiducia sulla ‘Buona scuola’ previsto per domani pomeriggio.
Il risultato è positivo per il governo, ma non è tutto rose e fiori.
In sostanza, al Senato non c’è un ‘effetto Fassina’, non c ‘è una catena di partenze dal Pd, però saranno ben 4 i Dem che certamente non voteranno la fiducia sul ddl scuola domani.
Sui taccuini dei renziani sono cerchiati in rosso i nomi di Corradino Mineo, Walter Tocci, Loredana Ricchiuti e Roberto Ruta.
In realtà , sono stati annotati da tempo, ma negli ultimi giorni se n’è avuta la certezza: loro quattro non voteranno la fiducia sul ddl scuola.
La maggioranza dovrebbe esserci comunque, secondo i calcoli del governo, ma sempre più risicata, “9 voti di scarto”, ha quantificato soltanto ieri il presidente del Senato Pietro Grasso ospite di ‘Otto e mezzo’ su La7.
Tra l’altro, va detto, che la via della fiducia è stata imboccata per evitare la sostituzione di Mineo e Tocci dalla commissione Cultura.
E pensare che solo un anno fa, Mineo (insieme a Vannino Chiti) fu sostituito dalla commissione Affari Costituzionali per i dissensi sul ddl Boschi di riforma del Senato. E solo qualche mese fa la stessa cosa è avvenuta per alcuni componenti di minoranza Pd in commissione Affari costituzionali alla Camera per i dissensi sull’Italicum.
Ecco, oggi Renzi non privilegia più questa strada. La cornice è diventata più complicata, la linea dura non regge a tutti i costi.
Eppure, in vista del nuovo esame sulle riforme costituzionali in Senato, il premier e i suoi in Parlamento stanno pensando di rendere effettive, una volta per tutte, le regole stabilite nello ‘statuto’ dei gruppi parlamentari.
Quelle che imporrebbero a chi non è d’accordo con la linea del partito, di chiedere al capogruppo di essere sostituito in commissione, per non creare problemi alla maggioranza.
Tutto questo finora non è avvenuto.
Ieri sera una lunga riunione di maggioranza Dem al Senato ha tentato di mettere a fuoco la questione. L’obiettivo è cercare di costruire argini intorno alla maggioranza di governo in vista del voto sulle riforme in Senato a luglio.
Ci si riuscirà ? Nessuno è pronto a scommetterci: il renzismo è entrato in una terra di mezzo anche nebbiosa.
Per tutti questi motivi, il premier sceglie di non attaccare frontalmente la decisione di Fassina.
Il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini si dice “dispiaciuto personalmente”. E si limita ad aggiungere: “Credo sia una scelta sbagliata anche se la giudico con rispetto, perchè il nostro è un grande partito in cui tutte le voci possono farsi sentire: tutti possono contribuire a definire la linea politica di un grande partito riformista come il Partito democratico. Altre avventure mi sembrano avventure velleitarie cui guardiamo con rispetto ma che non condividiamo”.
David Ermini, responsabile Giustizia del Pd, ultrà renziano, si limita ad un sarcastico “Auguri!” a Fassina.
“La sua scelta dispiace — dice il presidente del Pd, Matteo Orfini — perchè dovrebbe continuare a fare le battaglie nel Pd dove il pluralismo non manca. Anche perchè non mi pare che fuori ci siano prospettive di cambiamento”.
Ma sotto sotto, nella cerchia stretta del premier si cominciano a fare due calcoli sul futuro e non solo sul voto di domani al Senato.
La premessa è che l’Italicum “non verrà modificato”.
“E’ una partita chiusa”, ci dice il renziano Dario Parrini, deputato e segretario regionale Pd in Toscana. Fuori discussione la possibilità di acconsentire al pressing di Silvio Berlusconi che da giorni manda i suoi emissari in casa Pd — per esempio il capogruppo di Forza Italia al Senato Paolo Romani — a dire che bisogna trasformare il premio di lista dell’Italicum in un premio alla coalizione.
Renzi non ne vuole sapere. Anche se sa che la legge elettorale che fortemente ha voluto, approvata con voto di fiducia e grandi tensioni nel Pd, probabilmente non lo garantisce dalla concorrenza del M5s e magari anche del centrodestra.
Ed è qui che ritorna il ragionamento su Fassina.
“Ragionando in prospettiva — confida una fonte renziana — è solo positivo che nasca una forza a sinistra del Pd. Un domani, alle elezioni, sarebbero tutti nella lista unica del Pd candidata con l’Italicum”.
Ammesso che ci si riesca a convincere chi è appena uscito dal Pd – come Fassina, Civati e Cofferati – a rientrarci.
“In fondo, è lo stesso problema che Berlusconi ha con Alfano…”, ragionano i parlamentari più vicini al premier.
“Con Fassina oggi è il giorno della rottura, poi ci sarà la ricostruzione… Fino al 2018 c’è tempo”.
Sempre ammesso che si voti nel 2018 e non prima.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 24th, 2015 Riccardo Fucile
LA RINASCITA DEI BORGHI: IMMOBILI ABBANDONATI DATI A CHI SI IMPEGNA A RESTAURARLE
L’idea è geniale, lo slogan è anche meglio: il Comune regala le case.
Funziona così: ci sono vecchi proprietari di ruderi o immobili abbandonati che non vedono l’ora di disfarsene, ci sono acquirenti, giovani coppie o stranieri innamorati dei nostri borghi, prontissimi a ristrutturarli, e ci sono i sindaci ben felici di impedire che i loro paesi cadano a pezzi.
Il primo a parlarne fu sette anni fa Vittorio Sgarbi, che da sindaco di Salemi sposò le provocazioni del suo assessore alla creatività , Oliviero Toscani.
Idea geniale, intrappolata nelle maglie della burocrazia, tentata anche altrove e mai decollata.
Tranne a Gangi, settemila abitanti a mille metri sulle montagne del Palermitano. «Duemila richieste da tutto il mondo, un centinaio di contratti stipulati, una trentina di ristrutturazioni già finite» elenca il sindaco Giuseppe Ferrarello.
«Sei anni fa, quando ho iniziato – prosegue – mi hanno preso per un folle. Figuratevi qui in Sicilia, con l’attaccamento che c’è alla proprietà …».
I primi due anni nessuna risposta, poi qualche segnale, infine il boom.
«Io stesso ho offerto una mia vecchia casa, mi hanno seguito in 14 e dopo è stata una valanga». Ferrarello, in carica dal 2007, ci tiene a sottolineare di averci pensato «prima ancora di Sgarbi» e che a Gangi ha funzionato «perchè il Comune non compra gli immobili, è un semplice intermediario» .
Nel centro storico del paese, spopolato dall’emigrazione, sono state censite 550 case in rovina, soprattutto quelle tipiche a castello, dove un tempo al pian terreno c’era la stalla per l’asino.
Chi le vuole comprare deve pagare l’atto di passaggio, garantire una fideiussione da 5 mila euro, e ha soltanto l’obbligo di ristrutturazione entro tre anni.
«Il primo a farlo è stato un ingegnere di Caltanissetta – dice il primo cittadino – La mia casa è andata invece a un ungherese, una società di Firenze ne ha prese otto per farci un albergo e un ristorante».
Il modello Gangi ieri è stato celebrato dal New York Times , «ma qui sono venuti in tanti, la tv francese, quella cinese, e pure Al Jazeera».
Tutto semplice? «Al contrario, dietro c’è un lavoro bestiale».
Racconta Ferrarello: «C’era un immobile con dieci eredi, alcuni non si conoscevano, altri erano in lite. Li ho chiamati e fatti mettere d’accordo. Una faticaccia, non so quanti altri lo farebbero».
A Carrega Ligure, Alessandria, passato in un secolo da 3600 residenti ad appena 80, ci ha provato Guido Gozzano, sindaco fino a due settimane fa, a salvare le case sparse sull’appennino.
«È stato come il Tuca Tuca di Raffaella Carrà . Bello ma troppo avanti con i tempi» sintetizza con amara ironia.
L’iniziativa «Case a un euro», sul modello della Salemi di Sgarbi, non ha prodotto nessun passaggio di proprietà .
«La burocrazia ci ha ammazzato, abbiamo incontrato problemi terribili – spiega – C’è un patrimonio che potrebbe essere salvato se solo si intervenisse con una legge che riduca o elimini bolli e tassazioni, che semplifichi il processo di esproprio quando i legittimi propietari sono irreperibili, che autorizzi a procedere d’ufficio quando una bene è abbandonato da oltre 20 anni».
Anche Gianluca De Angelis, sindaco di Lecce nei Marsi (L’Aquila), ha deciso di tentare la stessa strada.
Si è ritrovato con alcuni immobili nel centro storico fiaccati dal tempo e affidatigli dai proprietari: messi da poco in vendita in vendita a un prezzo simbolico, l’amministrazione farà da intermediaria.
Chissà che qui, nel Parco dell’Abruzzo, possa funzionare come a Gangi.
Vittorio Sgarbi, nonostante quell’esperienza finita malissimo con le dimissioni e lo scioglimento per mafia, ci crede ancora: «L’intuizione era semplice: tra non fare niente oppure realizzare case nuove ci può essere una soluzione intermedia, non per speculare ma per recuperare seguendo precise linee costruttive».
Allora si fecero tanti nomi di potenziali acquirenti, dai Moratti a Dalla a Miuccia Prada.
Poi la giunta venne spazzata via. A Sgarbi brucia ancora: «In Sicilia il vero nemico non è la mafia ma lo Stato».
Riccardo Bruno
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 24th, 2015 Riccardo Fucile
I SENEGALESI LIGURI FONDANO UNA COOPERATIVA DI SERVIZI
La pulizia dei fiumi, la riqualificazione dei terreni e delle case abbandonate ma anche la pulizia e il decoro del centro storico.
Gli obiettivi di tanti genovesi e anche di chi, ormai, si sente in tutto e per tutto parte della città .
La cooperativa senegalese “Manco” in traduzione italiana “Insieme”, creata da un gruppo di cinquanta ragazzi arrivati dall’Africa e presentata ieri al Museo del mare con il contributo del Consorzio SPera e della onlus Medici in Africa, rappresenta il primo caso di aggregazione riconosciuta di gruppi di migranti.
Un passaggio di un progetto per dare forma giuridica e organizzativa alle associazioni nate spontaneamente sul territorio.
«Noi teniamo a Genova, qui ci viviamo tutti da anni e vogliamo evitare, con il nostro contributo, altri eventi come lo scorso autunno, altre alluvioni — spiega in perfetto italiano Demba Ndiaye, quarantenne presidente della cooperativa avvolto nel vestito tipico senegalese -. Abito a Campomorone e lavoro alla Coop di Busalla. La cooperativa “Manco” per noi vuol dire anche la possibilità di impegnarci per l’integrazione e per il decoro».
Negli occhi ha le immagini di Ventimiglia, «una ferita aperta» che lo fa tornare indietro negli anni.
L’arrivo a Milano da Dakar, gli studi, poi il trasferimento a Genova, al seguito della sua compagna, ora diventata moglie e madre di due figli.
«Vivo qui da oltre dieci anni non posso non sentirmi genovese — ripete sorridendo Demba Ndiaye -. Desideriamo cominciare in fretta, già sabato abbiamo una riunione in Regione per capire da che parte iniziare. Voglio dare il mio contributo alla città . È un posto bellissimo e i genovesi sono aperti e accoglienti. Non si deve dare retta alle minacce o alla paura. Io credo che chi viene in un paese nuovo deve imparare a rispettare le regole. Chi invece non lo fa deve essere punito».
Dal Bisagno al Polcevera, passando anche per i torrenti più piccoli eppure più pericolosi, il gruppo è pronto ad impegnarsi durante tutta l’estate.
Ora la speranza degli organizzatori e delle anime della cooperativa è di vedere crescere l’azione e il numero di membri all’interno della folta comunità senegalese, duemila in tutta la Liguria, circa un migliaio a Genova.
Numeri che non riescono a racchiudere le tante storie di migranti arrivati spesso per caso in una città che ora sentono loro.
E che vogliono contribuire a mantenere pulita e in sicurezza.
Alberto Maria Vedova
(da “il Secolo XIX”)
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Giugno 24th, 2015 Riccardo Fucile
PERQUISIZIONI ALL’ATENEO: ACQUISITA LA DOCUMENTAZIONE SU ELISA GREGORINI, GIA’ ASSISTENTE DELLA PARLAMENTARE DI FORZA ITALIA
Due visite nel giro pochi giorni.
E una voluminosa documentazione sequestrata negli uffici del rettorato dell’Università di Brescia.
Gli investigatori della Guardia di finanza, coordinati dal pm Silvia Bonardi, stanno indagando sul contratto di assunzione di Elisa Gregorini, l’ex segretaria di Mariastella Gelmini entrata nell’università bresciana — come raccontato da ilfattoquotidiano.it — con l’incarico di segretaria del rettore per l’“internazionalizzazione” dell’ateneo.
Gregorini, consulente dell’Agenzia italiana del farmaco presieduta dal professor Sergio Pecorelli, è stata assunta nel novembre 2014 anche dall’università di Brescia, il cui rettore è il medesimo professore.
Il fascicolo è stato aperto per abuso d’ufficio.
L’interesse degli inquirenti è mirato a stabilire l’effettiva mansione svolta dalla dottoressa Gregorini, assunta nell’ambito del progetto di internazionalizzazione dell’ateneo “per lo sviluppo e il consolidamento di relazioni pubbliche internazionali”, ma dietro cui si potrebbe celare — secondo la Procura — un semplice incarico di segretaria per cui esistono già risorse interne, tanto che il contratto nei mesi scorsi aveva destato l’interesse dell’Ispettorato per la funzione pubblica e della Corte dei conti.
Tra i partecipanti al concorso bandito dall’ateneo bresciano, oltre all’ex segretaria del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, ci sarebbero stati candidati con profili di alto livello con precedenti esperienze anche in organismi internazionali.
I finanzieri hanno sequestrato la documentazione e la corrispondenza interna sulla gara vinta dalla Gregorini e nel corso delle acquisizioni, avvenute a più riprese negli uffici del rettorato, sarebbero stati sentiti diversi funzionari amministrativi dell’università .
Il lavoro svolto da Elisa Gregorini secondo il bando di concorso dev’essere condotto “in stretta relazione con il rettore e con la governance d’ateneo” e sarebbe seguito direttamente dal prorettore con delega all’internazionalizzazione Maurizio Memo, ordinario di farmacologia.
Il professor Memo ha stilato su richiesta della Procura una relazione, consegnata al magistrato, relativa agli incarichi affidati alla Gregorini, qualificata come “figura professionale con competenza in relazioni pubbliche”.
Tra i fascicoli di cui si è occupata la consulente dell’Aifa figurerebbero eventi e incontri a cui hanno partecipato il rettore Pecorelli e il prorettore Memo: il convegno “Introducing Expo Milan 2015: Feeding the planet, energy for life” a cui è intervenuto a Miami in Florida il professor Pecorelli il 12 marzo 2015; l’intervento dei docenti Pecorelli e Memo a un convegno del King’s College di Londra; la partecipazione del professor Pecorelli e della delegazione bresciana al forum internazionale del 4 giugno 2015 nel sito milanese di Expo dal titolo “International cooperation for sustainable development: the contribution of the University of Brescia”, tutti eventi in relazione ai quali Elisa Gregorini avrebbe curato aspetti meramente logistici ed organizzativi.
L’indagine, riferiscono fonti investigative, si starebbe estendendo a tutti i contratti di collaborazione attivati dall’università negli ultimi anni.
Andrea Tornago
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 24th, 2015 Riccardo Fucile
I SENATORI DEVONO DECIDERE SULLA SUA RICHIESTA DI ARRESTO DA PARTE DELLA PROCURA DI TRANI
Ed è uno. Giuseppe Castiglione è il primo dei salvati.
Il governo e il Pd si schierano a difesa del sottosegretario di Ncd indagato nel filone dell’inchiesta Mafia Capitale che riguarda il Cara di Mineo.
Tre mozioni, di M5S, Sel e Lega che chiedevano le sue dimissioni dal governo, e tre no. La maggioranza tiene. Il Pd, pure: vota compatto, e solo Alfredo D’Attorre fa mancare la sua presenza in aula: «Sarebbe stato giusto chiedere e ottenere un passo indietro del sottosegretario» spiega allineandosi a Beppe Grillo che accusa «i garanti del malaffare di voler salvare la pelle al governo».
Una decisione presa in «assoluta serenità » confermano dalla segreteria del Pd, sulla linea garantista ribadita più volte da Matteo Renzi.
Non sarà , però, così semplice per il Pd opporre lo scudo parlamentare a difesa di Antonio Azzollini, senatore anche lui di Ncd, per cui la procura di Trani ha chiesto l’arresto.
Ieri la Giunta per le immunità presieduta da Dario Stefano si è riunita e ha accettato all’unanimità di sentire un’ulteriore e imprevista testimonianza del senatore.
Il giorno prima era arrivata la memoria difensiva che, secondo gli avvocati, contiene le prove del fumus persecutionis.
La faccenda è complicata e potrebbe avere un risvolto inedito.
Il «paradosso Azzolini» sta tutto in un cortocircuito politico-giudiziario.
I fatti: Azzollini è accusato dai pm di aver brigato da presidente della commissione Bilancio del Senato per favorire la casa di cura pugliese Divina Provvidenza.
«Ma erano decisioni politiche prese in parlamento» spiega la senatrice Stefania Pezzopane, membro del Pd in Giunta, che rivela lo stato emotivo con cui i democratici affrontano il voto: «Se dovessimo decidere solo sulla richiesta di arresto sarebbe chiaro che i presupposti per la reiterazione del reato, a cui si appigliano i magistrati, non c’è».
È un’inchiesta «dai risvolti trash, alla Lino Banfi» e l’arresto «appare un po’ pesante». Però, continua Pezzopane, «noi senatori purtroppo siamo chiamati a esprimerci solo sulla presenza o meno del fumus persecutionis, e questo non mi pare ci sia».
Così il Pd si trova di fronte a una scelta difficile.
Non si tratta della decadenza di Silvio Berlusconi, dove la sentenza della magistratura era passata in giudicato.
I senatori del Pd non vorrebbero l’arresto, ma qui è sul fumus che devono decidere, e le prove portate da Azzolini contro i pm non basterebbero per salvarlo.
Tutte le speranze del neocentrista, a questo punto, sono affidate al Tribunale del Riesame che si pronuncerà sul ricorso entro il 29 giugno.
Il calendario gli potrebbe essere favorevole. La Giunta si ritroverà il 1 luglio e in quell’occasione Stefano farà la sua proposta in qualità di relatore.
Ma se il Riesame si sarà già pronunciato a favore di Azzollini, il lavoro dei senatori si fermerà .
Ilario Lombardo
(da “la Stampa”)
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Giugno 24th, 2015 Riccardo Fucile
LE RICHIESTE DELLA PROCURA PER I TRE MILIONI DI EURO VERSATI A DE GREGORIO
Cinque anni per Silvio Berlusconi e quattro anni per Valter Lavitola. Questa la richiesta della Procura di Napoli nell’ambito del processo per la compravendita di senatori per cui l’ex parlamentare Sergio De Gregorio ha già patteggiato la pena.
Il rinvio a giudizio per l’ex Cavaliere e l’ex direttore de L’avanti era arrivato il 23 ottobre 2013.
In quell’udienza il giudice per l’udienza preliminare Amelia Primavera aveva ratificato il patteggiamento a 20 mesi.
Cuore del processo l’ipotizzato versamento dell’ex presidente del Consiglio di 3 milioni di euro a De Gregorio perchè cambiasse schieramento e contribuisse a determinare la crisi del governo Prodi dopo le elezioni del 2006.
La procura di Napoli aveva chiesto il giudizio immediato nei confronti del leader del Pdl, dell’ex senatore dell’Idv e dell’ex direttore dell’Avanti, ma il gip aveva respinto e si era quindi celebrata l’udienza preliminare.
Lavitola, in alcune dichiarazioni spontanee davanti al giudice, aveva sostenuto di non sapere di essere stato solo il veicolo della corruzione: “Sono stato corriere inconsapevole. Mi si accusa di avere portato mezzo milione di euro a De Gregorio in un pacchettino. Io ho dato questi soldi black (in nero, ndr), ma sono stato solo un postino, non conoscevo la ragione del pagamento”.
De Gregorio aveva deposto al processo sostenendo che quando non veniva pagato in Aula non ci andava scatenando il panico in Forza Italia.
L’ex senatore, eletto con Idv e poi passato al Pdl, nella sua lunghissima deposizione aveva ricostruito tutti i passaggi di quella che lui stesso ha definito la compravendita dei senatori.
“Ho pattuito con Berlusconi — aveva dichiarato — di passare allo schieramento di centrodestra in cambio di 3 milioni di euro di cui uno corrisposto sotto forma di finanziamento al Movimento Italiani nel mondo e il resto in contanti, somme consegnatemi in varie rate da Lavitola, che mi disse che la ‘provvista’ avveniva attraverso conti esteri”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 24th, 2015 Riccardo Fucile
CON IL BLOCCO GIUDICATO ILLEGITTIMO DALLA CASSAZIONE, OGNI LAVORATORE HA PERSO IN MEDIA IL 10% DELLO STIPENDIO IN 5 ANNI, PARI A 4.800 EURO
Col blocco dei contratti esteso anche al 2015 in media un lavoratore del settore pubblico in cinque anni ha perso ben 4800 euro di stipendio.
Una perdita che viaggia attorno al 10% della busta.
Per questo si capisce bene perchè dipendenti dello Stato, di comuni e regioni, quelli delle Asl e dei tanti enti pubblici siano inferociti e tante sigle sindacali abbiamo presentato ricorso alla Consulta: dal 2010 il rinnovo dei contratti è bloccato, sono bloccati pure premi individuali, incentivi e scatti di anzianità .
Questi ultimi, a breve, nella scuola verranno sostituiti con aumenti legati al merito (e limitati al 66% del personale).
Poi, come se non bastasse, da quest’anno pure la liquidazione viene erogata a fatica: da quest’anno lo Stato si prende più tempo per versare il trattamento di fine servizio che, a seconda degli importi, può avvenire in due o tre rate.
E ovviamente di tfr in busta paga, come prospettato per i lavoratori privati non si parla.
Ma a pesare sono soprattutto i mancati aumenti legati all’inflazione: il grosso degli oltre 3 milioni e 300 mila dipendenti pubblici si colloca in una fascia compresa tra i 2000 ed i 4500 euro.
Se si prendono in considerazione i quattro anni compresi tra il 2010 ed il 2104, secondo stime della Cisl, nel settore della scuola si sono persi in media 2.838 euro lordi, 3082 nei ministeri, 3800 negli enti di ricerca e 4686 negli enti pubblici non economici come Inps, Inail, Istat o Aci.
Ovviamente più si sale la scala gerarchica e più il blocco pesa: per la dirigenza di prima fascia degli enti pubblici non economici, dove in media si registra il livello più alto di stipendi, a tutto il 2014 il “buco” arriva a circa 21.200 euro, i medici del servizio sanitario nazionale in quattro anni hanno invece perso circa 7.550 euro, i docenti universitari tra i 4500 ed i 9500 euro a seconda dell’inquadramento.
Solo i redditi più bassi hanno potuto compensare in parte i mancati aumenti per effetto del bonus da 80 euro che però, oltre ad essere erogato solo a partire da quest’anno, copre solo una parte del mancato recupero dell’inflazione.
Un dipendente con una busta paga che nel 2010 era pari a circa 17mila euro lordi quest’anno per effetto dei rinnovi sarebbe salito a quota 18.600 euro (e a 18.800 il prossimo anno).
Il bonus gliene mette in tasca 960 a fronte di una perdita di 1600, con un saldo negativo di oltre 700 euro.
Secondo stime del Sole 24 ore il blocco dei contratti sino a tutto il 2014 ha comportato per i dipendenti pubblici un sacrificio pari al 10,5% dell’attuale stipendio di riferimento, ed il costo salirà al 14,6% se la macchina dei contratti non dovesse ripartire sino al 2017.
Il blocco dei contratti produce anche un altro effetto: chiude definitivamente la forbice tra le retribuzioni pubbliche, tradizionalmente più ricche, e quelle private.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Aran, l’agenzia che si occupa della contrattazione nel pubblico impiego, nel 2010 la retribuzione contrattuale media pro capite per impiegati e quadri pubblici era paria 27.472 euro lordi contro i 25.531 del privato.
Nel 2013 lo scarto si era già ridotto a meno di 500 euro: 27.252 nel pubblico contro 27.004 nel privato.
Anche secondo le ultime stime della Cgia di Mestre, invece, i cedolini dei dipendenti pubblici, in media, sarebbero più ricchi di circa 2mila euro all’anno.
Allo Stato, ovviamente, conviene tirare la cinghia, perchè il monte salari dei dipendenti pubblici pesa in maniera considerevole sui conti. Dopo la spesa per le pensioni è l’uscita più consistente.
Il risparmio ottenuto tra il 2010 ed il 2014 cumulando blocco degli aumenti e blocco del turn over ammonta infatti a circa 11,5 miliardi di euro e porta il costo complessivo del lavoro dipendente a quota 161,9 miliardi di euro (10,1% del Pil) rispetto ai 172 miliardi del 2010.
Invertire la tendenza? Per sbloccare i contratti servono molte risorse, che però ora dopo la sentenza della Corte costituzionale il governo dovrà in qualche modo iniziare a reperire perchè proseguire col blocco è illegittimo.
Ogni punto di inflazione riconosciuto ai dipendenti pubblici vale all’incirca 1,5 miliardi e quindi una eventuale nuova tornata di rinnovi richiederebbe per questo ed i prossimi due anni uno stanziamento di partenza iniziale pari ad almeno 3-4 miliardi di euro se si considera che per quest’anno è prevista un’inflazione programmata pari allo 0,3% ma che poi già dall’anno prossimo salirà all’1% per poi crescere ancora nel 2017.
Paolo Baroni
(da “La Stampa”)
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Giugno 24th, 2015 Riccardo Fucile
DERUBATI GLI STATALI DI 35 MILIARDI DI ARRETRATI: HANNO PAGATO ANCHE PER GLI EVASORI…. MA NEL 2016 RENZI DOVRA’ TROVARE A CHI FREGARE 13 MILIARDI
Salvo in extremis.
La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il blocco dei contratti degli statali, ma “non per il passato”, tesi assai orginale da “ragion di Stato”.
Il governo Renzi dribbla così il rischio del buco da 35 miliardi di euro che si sarebbe aperto nei conti pubblici se la Consulta avesse stabilito che lo Stato doveva risarcire tutti i dipendenti pubblici per i mancati introiti degli ultimi cinque anni.
Una bomba a orologeria di portata superiore al 2% del prodotto interno lordo, a cui l’esecutivo avrebbe dovuto far fronte subito dopo aver messo una pezza all’ammanco aperto dalla sentenza sulla mancata rivalutazione delle pensioni.
I giudici hanno evidentemente tenuto conto della memoria dell’Avvocatura dello Stato, in base alla quale “l’onere” della “contrattazione di livello nazionale, per il periodo 2010-2015, relativo a tutto il personale pubblico, non potrebbe essere inferiore a 35 miliardi”, con “effetto strutturale di circa 13 miliardi” annui dal 2016.
Sono passati quasi sei anni dall’ultimo rinnovo del contratto del pubblico impiego che riguarda più di tre milioni di dipendenti.
In pratica: per sei anni lo Stato ha rapinato una banca, ma non è tenuto a restituire la refurtiva perchè se l’è sputtanata.
Per il 2016 però non porà più assaltare la cassa e si apre così un buco da 13 miliardi, in attesa che i rapinatori decidano quale altro istituto di credito assaltare.
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