Agosto 1st, 2015 Riccardo Fucile
DOPO LA DENUNCIA DI SAVIANO ORA SI INVENTA UN MINISTERO AD HOC… E DEL RIO PARLA DI GRANDE OFFICINA PER IL MERIDIONE
Tra i parlamentari Pd più sensibili al tema già si sogna un “Piano Marshall” per il Sud. In grado di mettere insieme i fondi europei e i cofinanziamenti, sfuggendo anche agli angusti limiti del Patto di Stabilità .
Di certo, la decisione di Matteo Renzi di convocare una direzione Pd il 7 agosto interamente dedicata all’agonia del Mezzogiorno ha sorpreso un po’ tutti.
Compresi quei 70 parlamentari che dopo il tragico rapporto Svimez avevano fatto pressione sul premier-segretario affinchè la questione meridionale entrasse finalmente nell’agenda del governo e del partito.
Renzi ha deciso secondo il suo stile. Di sabato mattina, 1 agosto, dopo aver letto la lettera appello di Roberto Saviano su Repubblica che gli ricordava come “lei ha il dovere di intervenire e prima ancora ammettere che nulla è stato fatto”.
Un messaggio durissimo, quello dell’autore di Gomorra. Ma anche dentro il partito il tema stava diventando incandescente: con una interpellanza alla Camera in cui i due leader della minoranza Speranza e Cuperlo parlavano di un’attenzione “marginale” del governo verso il meridione, di una spesa dei fondi Ue “ancora al palo” e di “promesse disattese”.
Così Renzi ha telefonato al presidente dem Matteo Orfini e i due hanno deciso di convocare la direzione nel pomeriggio del 7 agosto.
Quando ormai tutti i parlamentari Pd pensavano di poter essere in partenza per le vacanze. Una scelta “alla Renzi” anche per quanto riguarda la logistica, dunque. E anche perchè l’inizio della settimana sarà occupato quasi integralmente dalle decisioni sui nuovi vertici Rai.
Il premier-segretario sa bene però che il tema è assai delicato. E dunque ha intenzione di arrivare all’appuntamento della direzione con alcune parole chiave molto chiare, con una serie di proposte da concretizzare alla ripresa autunnale.
Magari con un Consiglio dei ministri ad hoc gli ultimi giorni di agosto. Ma un segnale va dato immediatamente.
Per questo il premier ha intenzione di annunciare già venerdì la nascita di un ministero per il Mezzogiorno, tutto dedicato al rilancio occupazionale e industriale.
E di battersi in sede europea per ottenere il risultato che finora ha mancato, e cioè slegare il cofinanziamento del piano 2014-2020 dai paletti del Patto di Stabilità , almeno per quanto riguarda gli investimenti delle regioni.
Alla direzione si faranno sentire anche i parlamentari e i governatori del Sud, a partire dai pugliesi.
Dario Ginefra, primi firmatario dell’appello firmato da una settantina di parlamentari Pd di tutte le aree per convocare una direzione sul Sud, si rallegra della decisione di Renzi e spiega: “Il Pd governa in questa fase tutte le regioni del meridione, si tratta di una occasione storica che non può essere sprecata.
Occorre avviare una seria riflessione che porti all’immediata apertura di un tavolo di lavoro che veda protagonisti i governatori del mezzogiorno e l’intera classe dirigente del Pd e che metta al centro lo sviluppo del Sud come priorità economica e sociale dell’intero Paese”.
Ancora più netto il governatore della Puglia Michele Emiliano: “Le regioni del Sud devono scatenare l’inferno, dopo il primo governo Prodi nessun esecutivo ha più inciso realmente sullo sviluppo del mezzogiorno. Non si capisce perchè investire su una terza variante di valico o sulla Tav quando Matera non è neppure raggiunta dalla ferrovia”.
In termini operativi, gran parte del lavoro cadrà sulle spalle del ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio che parla della nascita di una “Grande Officina del Sud” e spiega che “il governo ha una chiara strategia: puntiamo su agricoltura, turismo, industria specializzata”.
Opere infrastrutturali, a partire da una “cura del ferro” che vede in primo piano l’Alta velocità in Sicilia e la ferrovia Napoli-Bari-Taranto, ma anche investimenti sulle autostrade A3 e Jonica, e ai collegamenti marittimi con lo sviluppo dei porti di Palermo, Catania, Taranto e Napoli.
“Il piano c’è già ”, spiega ad Huffpost il ministro Delrio, ”abbiamo già fatto un accordo quadro con Bruxelles sul completamento dei corridoi europei”.
Per quanto riguarda il capitolo risorse, Delrio parla di “40 miliardi di fondi europei più 30 miliardi di fondi italiani del Fondo di sviluppo e coesione, destinati a colmare ilo gap infrastrutturale tra Nord e Sud”.
“Il piano c’è già , ora bisogna solo attuarlo”, sostiene il ministro.
Difficile che una manovra di questa portata possa essere pronta tra 6 giorni: la direzione però servirà a lanciare un segnale di marcia.
E soprattutto, spiegano al Nazareno, a spostare la discussione dentro il Pd dalla lotta tra renziani e minoranza a un tema concreto: “Basta parlarsi addosso tra correnti, dobbiamo confrontarci sul merito sulle vere emergenze del Paese”, è il messaggio che Renzi ha recapitato ai suoi stretti collaboratori.
Un tentativo che appare in salita, visto che dopo il voto sul canone Rai il clima dentro il partito resta incandescente. Il deputato prodiano Franco Monaco arriva addirittura ad ipotizzare una “separazione consensuale” dentro il Pd, con il ritorno a due partiti simili a Ds e Margherita.
Vannino Chiti attacca: “Minacciare elezioni anticipate è un’arma spuntata, irresponsabile e arrogante. Spuntata perchè spetta al presidente della repubblica decidere sulle elezioni politiche. Irresponsabile perchè non guarda alle condizioni del Paese”.
Il bersaniano Davide Zoggia parla del Pd come di “un’esperienza che segna il passo, visto che lo spirito ulivista si è smarrito”.
Ma boccia l’ipotesi di Monaco: “Noi non intendiamo tornare a Ds e Margherita, lavoriamo perchè il progetto del Pd non muoia”.
In questo quadro, l’”operazione Sud”, si sussurra al Nazareno, potrebbe avere anche altri risvolti positivi: e cioè quello di rafforzare l’asse con un partito sudista come Ncd e di attrarre altri parlamentari del mezzogiorno in uscita dal centrodestra, a partire dai senatori del gruppo Gal.
Nei piani di Renzi, dunque, l’operazione dovrebbe servire a sedare la guerra in corso nel Pd e anche ad allargare la maggioranza. Due obiettivi decisamente ambiziosi.
Anche perchè la figura dell’eventuale nuovo ministro (Quagliariello?) e le sue deleghe sono tutte da definire, a partire dalla gestione dei fondi Ue che ora sono in capo a palazzo Chigi. Ma dopo il rapporto Svimez e la lettera di Saviano il rottamatore non poteva restare fermo.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 1st, 2015 Riccardo Fucile
UN MANAGER CHE CAPISCA DI TV E UN VIP PER L’IMMAGINE
Aveva promesso di fare la Bbc, autorevole, indipendente, invece lo schema è quello della solita
occupazione della tv pubblica come consente la legge Gasparri ancora in vigore, in attesa dell’approvazione della riforma: la Rai di Matteo Renzi avrà un direttore generale “di prodotto”, cioè che capisce di televisione e management, e un presidente di fama, possibilmente giornalista, meglio se volto televisivo.
La riunione di ieri mattina a Palazzo Chigi ha ristretto la rosa dei candidati, adesso bisogna aspettare le mosse di Silvio Berlusconi che prenderà le sue decisioni in un summit ad Arcore, domani sera. Poi sarà finita.
La lista dei candidati a fare il capo azienda — oggi un direttore generale, che si convertirà in amministratore delegato con maggiori poteri appena la riforma della Rai sarà approvata anche alla Camera — ieri si limitava a tre nomi, a cominciare da Andrea Scrosati, responsabile dei contenuti di Sky.
Il consigliere del premier Andrea Guerra spinge Marinella Soldi: 48 anni, guida Discovery Italia(il cui canale più noto è Real Time).
I critici dicono che, come tuttii referenti locali di gruppi multinazionali non ha veri poteri, si occupa solo della gestione commerciale, non delle scelte strategiche, prese negli Stati Uniti.
Tra i punti a favore: è toscana, di un paese vicino a Rignano sull’Arno (quello di Renzi), è donna ed è nuova.
E il parere di Guerra — si è visto nel ricambio in Cassa depositi e prestiti — conta parecchio.
Il terzo nome è quello di Antonio Campo Dall’Orto: i suoi successi sono ormai lontani, lanciò Mtv nell’altro secolo, fino al 2008 gestiva La7 (licenziò Daniele Luttazzi) quando perdeva decine di milioni all’anno, ma è stimato, è considerato uno dei pochi manager televisivi con idee originali.
Ed è sempre stato attento ai rapporti con la politica, renziano da tempi non sospetti.
La scelta del direttore generale va però incastrata con quello del presidente. Renzi tiene molto alla coppia uomo-donna.
Per questo avrebbe voluto alla presidenza Luisa Todini, che un anno fa ha messo sulla poltrona più alta di Poste Italiane (mentre stava anche nel cda Rai).
Ma il presidente deve essere votato dai due terzi della commissione di vigilanza.
Quindi Pd e Forza Italia. E ai forzisti la Todini non piace più come un tempo, troppo oscillante nelle sue sintonie politiche.
Dal lato di Arcore avanza sempre il nome di Antonio Pilati, membro del cda, un tempo superberlusconiano che poi ha iniziato a votare con i membri in quota Pd. Ma Renzi vuole un nome più popolare. Gli sarebbe piaciuto Paolo Mieli, che ha rifiutato.
Ieri ha vagliato due manager della cultura: l’intramontabile Paolo Baratta, che sta per lasciare la Biennale di Venezia, o il sovrintendente dell’Opera di Roma, quel Carlo Fuortes che con i sindacati degli orchestrali è stato più duro di Renzi con la Fiom.
Ma con un vero manager come direttore generale, mettere un altro “operativo” alla presidenza rischia di creare cacofonia (o di far sembrare il dg sotto tutela).
Con un capo azienda forte, meglio un presidente che trasmetta l’impressionediessere un garante dei contenuti, facendo però sentire un po’ garantiti anche i partiti che lo nominano.
A Palazzo Chigi ragionano su due nomi: Marcello Sorgi e Mario Calabresi, ex e attuale direttore della Stampa, entrambi collaborano con la Rai (Sorgi ha diretto anche il Tg1).
Stefano Feltri e Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 1st, 2015 Riccardo Fucile
L’AUTORE DI “COLPO DI STATO” CONDANNATO A RISARCIMENTO DI 60.000 EURO
In pochi anni è passato da cofondatore dell’Italia dei Valori ad accusatore di Antonio Di Pietro con denunce come quelle contenute nel libro “Colpo allo Stato” pubblicato nel 2011.
Il 6 luglio, però, il Tribunale di Roma ha condannato Mario Di Domenico e i suoi editori a risarcire con più di 60mila euro l’ex pm di Mani Pulite, danneggiato da quei racconti diffamatori.
Lui scriveva quello “che ho visto da dentro, di cui sono stato complice inizialmente da dentro, sono stato un po’ l’anima nera”, spiegava a Report nella puntata dell’ottobre del 2012 che destò grande clamore, quella del ‘misunderstanding’ sulle “proprietà ” della famiglia Di Pietro.
In quel libro del 2011, aveva raccontato parte della vita di Di Pietro, sia come magistrato, sia come leader dell’Idv.
Tuttavia, secondo il giudice Monica Velletti della I sezione civile, molte storie narrate sono infondate e “diffamatorie”.
Sono diversi gli episodi contestati dall’ex pm, a partire dal “caso Pazienza”, faccendiere coinvolto nel crac del Banco Ambrosiano scappato alle Seychelles.
L’autore sostiene che il pm “si sarebbe recato nel 1984 nell’arcipelago dell’Oceano indiano ‘sulle tracce di Pazienza all’insaputa del Procuratore capo dell’Ufficio di Bergamo’ e rientrato avrebbe redatto un rapporto informativo consegnato al Procuratore capo della Procura di Bergamo.
Secondo l’autore del libro tale condotta sarebbe indice del coinvolgimento dell’odierno attore nei servizi segreti militari”.
Di Pietro era sì alle Seychelles, ma in viaggio con la moglie, e quando apprese che lì si trovava il latitante inviò una rapporto al suo superiore.
Nessun collegamento con gli 007, come già accertato nel 1996 da una sentenza del Tribunale di Milano.
Non ne ha tenuto conto Di Domenico, che “ha utilizzato espedienti narrativi tali da indurre il lettore a desumere collegamenti tra Di Pietro e i servizi segreti”, si legge nella sentenza.
Altra vicenda riguarda “il caso Pacini Battaglia”, banchiere poi condannato che parzialmente collaborò con il pool Mani pulite.
“Secondo l’autore… Di Pietro non avrebbe inquisito Francesco Pacini Battaglia, pur avendo appreso fatti costituenti reato — sostiene il giudice -. La circostanza è falsa”.
A certificarlo, due sentenze di proscioglimento per l’ex pm che Di Domenico non ha considerato, come molte altre sentenze a lui favorevoli “non compiendo approfondita analisi delle fonti”.
Di Domenico non teneva neanche conto dell’archiviazione della sua denuncia sulla presunta sparizione di 1,1 milioni di euro dai bilanci dell’Idv, secondo lui finiti alla famiglia Di Pietro per l’acquisto di immobili.
Una denuncia infondata e archiviata nel 2009 perchè “i finanziamenti effettuati da Di Pietro quale socio della An.To.Cri. srl (la società di famiglia, ndr) risultavano pienamente giustificati”, ricorda oggi il Tribunale.
Tuttavia quell’informazione fasulla, contenuta nel libro del 2011 e ripresa da molti giornali dopo il servizio di Report, aveva dato origine a una campagna mediatica contro l’ex pm: per tutti, Di Pietro e famiglia avevano acquistato 56 immobili, che in realtà erano 56 particelle catastali per un totale di 11 immobili, tra cui le case della moglie, del suocero e dei due figli maggiorenni, i terreni di campagna e la masseria paterna a Montenero di Bisaccia. Non proprio un impero.
Ora, quattro anni dopo il libro e la campagna che ne seguì, una sentenza punisce l’autore della bufala.
“Se da una parte — commenta l’ex pm al Fatto — sono contento che venga fuori la verità , dall’altra resta l’amarezza per il danno provocato. Il contenuto del libro è stato ripreso da tanti media. La mia figura dava fastidio. Nella mia vita mi sono dovuto dimettere da magistrato, poi da ministro, poi lasciare definitivamente la politica. Sempre per accuse che si sono poi rivelate false. Ma troppo tardi”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 1st, 2015 Riccardo Fucile
L’AGENZIA DEL DEMANIO HA MESSO ON LINE I DATI SU 47.000 FABBRICATI
Valgono 59 miliardi di euro case, palazzi, terreni e strade di proprietà dello Stato italiano. In tutto
si tratta di oltre 47mila beni iscritti nel bilancio pubblico, tra cui 32.691 fabbricati e 14.351 tra terreni agricoli, impianti sportivi, boschi, giardini, infrastrutture, montagne, miniere, monumenti e siti archeologici.
La fetta più grossa e più preziosa si concentra nel Lazio, con più di 4.400 edifici e 1.400 terreni per un valore di 17 miliardi, di cui 16 solo a Roma.
Segue il Veneto con quasi 3mila fabbricati e 1.200 aree, anche se qui il valore complessivo si ferma a 5 miliardi mentre gli edifici pubblici della Campania ne valgono da soli 7,3.
Al terzo posto per numero di immobili pubblici c’è la Puglia (2.584 per 1,7 miliardi).
A rivelarlo è il portale Opendemanio, appena messo online dall’Agenzia responsabile della gestione e valorizzazione del patrimonio pubblico. I valori indicati sono divisi per provincia e si tratta di quelli “di inventario“, cioè l’ammontare a cui i beni sono iscritti a bilancio.
Obiettivo ultimo dell’operazione è naturalmente “valorizzare” il patrimonio, almeno nella sua parte disponibile e non vincolata.
Cosa che i governi degli ultimi vent’anni hanno cercato di fare a più riprese con scarsissimo successo. O a condizioni tali da configurare di fatto una svendita.
Ora il Tesoro (a cui il Demanio fa capo) ci riprova cercando di facilitare la vita ai potenziali acquirenti con gli opendata: in una seconda fase, entro fine anno stando a quanto comunicato dall’agenzia, sarà possibile “zoommare” su ogni singolo immobile, vederne l’indirizzo esatto e la superficie o cercare un palazzo con determinate caratteristiche tecniche o amministrative.
Per ora i dati sono disponibili solo a livello aggregato.
Per quanto riguarda le città , dietro la Capitale ci sono Napoli, con 700 edifici per 4,5 miliardi, Firenze con 600 palazzi stimati 3,1 miliardi e Milano con poco più di 500 immobili statali per 2,5 miliardi.
A Venezia sono censiti 903 fabbricati e 211 aree del valore di circa 2,5 miliardi.
A Bologna i palazzi pubblici sono 600 e valgono 1,5 miliardi, a Palermo se ne contano 700 per circa 1 miliardo, Torino 950 per 1,5, a Bari 509 per 843 milioni e a Genova 531 per 650 milioni.
Le regioni con meno edifici pubblici sono invece la Valle D’Aosta, il Trentino Alto Adige, l’Umbria, le Marche e il Molise con meno del 2% a testa.
Sono i palazzi a valere di più: 54,1 miliardi.
La maggior parte, il 58,9% per quasi 32 miliardi, rientra però nella categoria “indisponibile”, cioè già in uso governativo, e solo il 27,9%, per un valore di poco più di 1,5 miliardi è disponibile, utilizzabile quindi per progetti di valorizzazione.
Nell’elenco rientrano anche 4.283 edifici, il 13,1% del totale, che fanno parte del Demanio storico artistico e sono quindi sottoposti a vincoli.
Gli edifici storici sono quelli con il valore maggiore: oltre 20 miliardi, il 38% del totale.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 1st, 2015 Riccardo Fucile
I DISSIDENTI PUNTANO A LOGORARE IL GOVERNO E CAMBIARE LA RIFORMA DEL SENATO
Logorare Matteo Renzi. Costringerlo a chinare il capo sulla riforma costituzionale.
E poi? «E poi serve un accordo politico», va ripetendo Roberto Speranza.
Non sarà facile, ma il punto di caduta immaginato dai dissidenti è un’intesa sul partito e sul governo.
«L’unità per l’unità no — riflette Miguel Gotor — ma con il tempo è possibile arrivare a un maggiore coinvolgimento. È come una pera che deve maturare…».
L’ipotesi di un Renzi bis, insomma, quella davvero coronerebbe il progetto di “normalizzare” il premier.
Certo, l’inquilino di Palazzo Chigi minimizza: «Al Senato abbiamo i numeri. La minoranza ha voluto dare un segnale politico, ma noi andiamo avanti più decisi di prima. Noi non diamo messaggi, cambiamo il Paese».
Ma la verità è che con quel pallottoliere così ostile il premier è costretto a fare i conti. Nonostante l’ottimismo di facciata.
Esiste il Partito democratico del premier. E c’è un Pd di rito antirenziano.
Non si parlano, non si sopportano: «Quella sulla Rai — picchia duro il potente sottosegretario Luca Lotti — è stata una pugnalata alle spalle, con un metodo vigliacco ». È proprio lui a muoversi sottotraccia per spuntare le armi ai bersaniani. Ed è sempre lui a gestire l’”operazione Verdini”.
Come? Un minuto dopo il brutto passo falso sul canone Rai — che i verdiniani non hanno impedito — Lotti chiama l’ex braccio destro di Berlusconi. «Cosa avete combinato?».
E Verdini, in viaggio a Miami, reagisce contattando uno per uno i suoi nove senatori: «D’ora in poi basta scherzi».
Nei nuovi assetti di maggioranza, il ras toscano è il vero competitor della sinistra dem. «Con lui Renzi vuole rafforzare il centro — interpreta Enza Bruno Bossio — per un’alleanza elettorale».
A dire il vero sostituire l’opposizione interna, ormai attestata stabilmente oltre quota venti senatori, non è impresa facile.
Nè la minaccia di nuove elezioni sembra fare presa sui dissidenti. «È una pistola scarica», giura Gotor.
Di certo l’ala sinistra si attrezza, rinfrancata dal successo ottenuto in Aula.
«Abbiamo dato un segnale di esistenza in vita…», scherza Federico Fornaro. Poi si fa serio: «Ma è possibile che Renzi ci indichi come la tribù dei musi lunghi? Ma basta, servirebbe un po’ di rispetto!».
Soprattutto in vista della madre di tutte le battaglie: «Sulla riforma costituzionale abbiamo sollecitato un confronto. Risposte, un mese dopo? Zero. Però ha rimandato tutto a settembre. Interpretazione maliziosa? Vogliono far crescere i verdiniani. Ecco, sia chiaro che noi andremo fino in fondo».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Agosto 1st, 2015 Riccardo Fucile
TRA PASSACARTE E FUMUS PERSECUTIONIS, RENZI RISCRIVE LA LEGGE
Per celebrare degnamente i 40 anni della supercazzola di Amici miei, Renzi ha lanciato un nuovo
slogan, di quelli che suonano bene e nella loro perentorietà paiono persino ragionevoli, ma solo perchè nessuno provvede a smontarli su due piedi: “Il Parlamento non è il passacarte della Procura di Trani”.
Si riferiva alla richiesta di autorizzazione all’arresto per il senatore Ncd Antonio Azzollini, respinta dal Senato col voto decisivo di mezzo Pd, di FI, Ncd, Gal e verdiniani.
Era difficile concentrare due scemenze in 10 parole, ma il premier ci è riuscito.
1) La richiesta non proviene dalla Procura di Trani, ma da un giudice terzo: il Gip, la cui ordinanza è stata già confermata da tre giudici del Riesame di Bari, cioè di una sede diversa.
2) Il ruolo che l’art. 68 della Costituzione assegna al Parlamento in questi casi è esattamente quello del passacarte: le Camere non possono sindacare sulla fondatezza delle esigenze cautelari (gravi indizi di colpevolezza e almeno un pericolo tra la fuga, la reiterazione del reato e l’inquinamento delle prove), che sono esclusiva competenza del giudice; possono soltanto accertare se l’indagine presenti un fumus persecutionis, cioè—nel nostro caso – la prova che il pm, il gip e i tre giudici del Riesame vogliano arrestare Azzollini perchè lo considerano un avversario politico e hanno imbastito un’indagine sul nulla per colpirlo.
Se dimostrato, sarebbe un fatto così grave da imporre immediati procedimenti penali e disciplinari contro i cinque magistrati, per radiarli e soprattutto per liberare con tante scuse i 10 coindagati di Azzollini, finiti in manette perchè non hanno avuto l’accortezza di rifugiarsi in Parlamento.
Ma nel dibattito in giunta e poi in aula non c’è traccia non dico di una prova, ma neppure di un velato sospetto di quel fumus.
L’Ncd D’Ascola ha creduto di ravvisarlo nel fatto che i reati si fermano a un anno fa, dunque “le esigenze cautelari non sono più attuali”: ma, a parte il fatto che i testimoni possono essere intimiditi e le carte essere truccate anche ad anni e anni di distanza dai fatti,non spetta al Parlamento sostituirsi al giudice nel valutare l’attualità delle esigenze cautelari; e poi che c’entra con questo timing la persecuzione?
Il fittiano Di Maggio ha argomentato che “l’ufficio di Azzollini è pieno di libri, quotidiani e ritagli di giornali e dove c’è cultura e conoscenza non ci può essere volgarità ”, dunque il senatore non può aver detto “Ti piscio in bocca” a una suora.
Quindi, a parte il fatto che l’arresto del senatore non è stato disposto per quella frase ma per una bancarotta fraudolenta da 500 milioni, a seguire Di Maggio non si dovrebbe più arrestare nessun delinquente che abbia in casa qualche libro.
E Dell’Utri andrebbe scarcerato immantinente in quanto bibliofilo.
Dice ora Renzi: “La Costituzione dice: fumus persecutionis sì o no. Si vota guardando le carte. La posizione della Giunta è stata di un tipo, ma il nostro capogruppo Zanda ha letto le carte e lasciato libertà di coscienza. Potrebbe esserci fumus persecutionis”. Potrebbe? Il fumus o c’è o non c’è.
E, per esserci,dev’essere provato.
Altrimenti il Parlamento viola l’art. 3 della Costituzione sulla legge uguale per tutti. Del resto l’11 giugno, quando la richiesta partì e prim’ancora di leggere le carte, il presidente Pd Matteo Orfini annunciò: “Di fronte a una richiesta del genere si devono valutare le carte, ma mi pare inevitabile votare a favore dell’arresto”.
Poi le carte furono valutate dalla Giunta per le immunità , che con maggioranza schiacciante (13 a 7) votò Sì all’arresto e No al fumus (Pd, M5S e Lega al completo). Poi Zanda, quando il governo perse la maggioranza in Senato e imbarcò i verdiniani, intonò il “liberi tutti”ai senatori Pd: non quelli che avevano letto le carte in giunta, ma quelli che non le avevano lette in aula. E questi si organizzarono per portare i 60 voti necessari a salvare Azzollini, e con lui il governo.
Quindi, con buona pace del premier, i senatori non hanno “rispettato la Costituzione”: l’hanno violata in nome della cara vecchia giustizia di casta.
E anzichè fare, com’era loro dovere senza prove del fumus, i passacarte dei giudici, han fatto i passacarte di Renzi, anticipando il “nuovo” Senato a sua immagine e somiglianza.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 1st, 2015 Riccardo Fucile
“DEVI AMMETTERE CHE NULLA E’ STATO FATTO, CI SONO TANTE PERSONE CHE RESISTONO: RINGRAZIALE UNA A UNA”… “LIBERA GLI IMPRENDITORI CAPACI DA BUROCRAZIA E CORRUZIONE”
Caro Presidente del Consiglio Matteo Renzi, torno a scriverle dopo quasi due anni e lo faccio nella speranza di poter ottenere una risposta anche questa volta.
La prima volta Le scrissi quando il suo governo aveva appena iniziato la propria azione di “riforma radicale della società italiana”.
Oggi non si può certo pretendere dal Suo esecutivo la soluzione di problemi endemici come la “questione meridionale”: ma non ci si può neppure esimere dal valutare le linee guida della sua azione.
Game Over. Questa è la scritta immaginaria che appare leggendo il rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno.
Game Over. Per giorni i media di tutti il mondo sono stati con il fiato sospeso in attesa di un accordo che scongiurasse l’uscita della Grecia dalla zona euro: oggi apprendiamo che il Sud Italia negli ultimi quindici anni ha avuto un tasso di crescita dimezzato rispetto a quello greco.
La crisi è ben peggiore: ed è nel cuore dell’Italia. Il lavoro come nel 1977, nascite come nel 1860.
Tra i fattori di grave impoverimento della società meridionale ci sono il decremento del tasso di natalità e l’aumento esponenziale della emigrazione che coinvolge sopratutto i giovani più brillanti: quelli formati a caro prezzo, nelle tante Università meridionali, funzionali più agli interessi dei docenti che a quelli degli studenti.
Ci sono meno nascite perchè un figlio è diventato un lusso e averne due, di figli, è ormai una follia. Chi nasce, poi, cresce con l’idea di scappare: via dalla umiliazione di non vedere riconosciute le proprie capacità .
Questo è diventato il meridione d’Italia: spolpato dai tanti don Calogero Sedara che non si rassegnano ad abbandonare il banchetto dell’assistenzialismo.
Ed è in questo contesto che si ripopongono nostalgie borboniche: l’incapacità del governo e la non linearità della sua azione resuscitano bassi istinti già protagonisti della nostra storia.
“Fate Presto” era il titolo de Il Mattino all’indomani del terremoto del 1980. Andy Wharol ne fece un’opera d’arte.
E oggi quella prima pagina si trova a Casal di Principe, in un immobile confiscato alla criminalità organizzata, che ospita una esposizione patrocinata dal Museo degli Uffizi di Firenze.
Le consiglio di andarci, caro premier: Le farebbe bene camminare per le strade del paese, Le farebbe bene vedere con i suoi occhi quanto c’è ancora da fare e come il tempo, qui, sia oramai scaduto. Per com’è messo, oggi, il Sud Italia, anche quel “Fate Presto” è ormai sintesi del ritardo.
Potrei dunque dirLe che agire domani sarebbe già tardi: ma sarebbe inutile retorica.
Le dico invece che – nonostante il tempo sia scaduto e la deindustrializzazione abbia del tutto desertificato l’economia e la cultura del lavoro del Mezzogiorno – Lei ha il dovere di agire. E ancora prima di ammettere che ad oggi nulla è stato fatto. Solo così potremo ritrovare la speranza che qualcosa possa essere davvero fatto.
Le istituzioni italiane devono infatti chiedere scusa a quei milioni di persone che sono state considerate una palla al piede e, allo stesso tempo, sfruttati come un serbatoio di energie da svuotare.
Sì, qualche tempo fa c’è stato pure chi ha pensato di tenere il consiglio dei ministri a Caserta, a Napoli. Ma di che s’è trattato? Di pura comunicazione: nient’altro.
Che cosa ha invece opposto la politica italiana al dissanguamento generato dalla crisi? Dal 2008 a oggi contiamo 700mila i disoccupati in più.
Sono certo che Lei mi risponderà che la Sua riforma del mercato del lavoro va in questa direzione: vuole fermare il dissanguamento. Ma a me corre l’obbligo di dirLe che anche una buona riforma – e se quella attuale lo è lo capiremo solo negli anni – può generare effetti perversi se calata in un sistema-Paese claudicante.
Nel frattempo, la retorica del Paese più bello del mondo ha ridotto il Mezzogiorno a una spiaggia sulla quale cuocere al sole di agosto: per poi scappar via.
Ammesso che ci si riesca ad arrivare, su quella spiaggia, dato che – come è accaduto alla Salerno-Reggio Calabria – si può incapparei interruzioni sine die (secondo le indagini, tra l’altro, frutto ancora una volta della brama di denaro da parte di funzionari infedeli). Non creda che nelle mie parole ci sia rancore da meridionalista fuori tempo: ma, mi scusi, che cosa crede che sarebbe successo se le interruzioni avessero riguardato un’arteria cruciale del nord Italia?
Troppe volte ho sentito dire che è ormai inutile intervenire. Che il paziente è già morto. Ma non è così. Il paziente è ancora vivo.
Ci sono tantissime persone che resistono attivamente a questo stato di cose e Lei ha il dovere di ringraziarle una ad una. Sono tante davvero. E tutte assieme costituiscono una speranza per l’economia meridionale.
E Lei che ha l’ingrato ma nobile compito di mostrare che è dalla loro parte: e non da quella dei malversatori. Tra i quali, purtroppo, si annidano anche coloro che dovrebbero rigenerare l’economia.
Massimiliano Capalbo si definisce imprenditore “eretico” e legge nella desertificazione industriale un elemento positivo. Se desertificazione significa che impianti come l’Ilva di Taranto o la Pertusola di Crotone o l’Italsider di Bagnoli scompariranno dalle terre del Sud, questa – argomenta gente come Capalbo – può essere anche una buona notizia: vuol dire che il Sud potrà crescere diversamente.
Aiutare il Sud non vuol dire continuare ad “assisterlo” ma lasciarlo libero di diventare laboratorio, permettergli di crescere diversamente: con i suoi ritmi, le sue possibilità , le sue particolarità .
Non dare al Sud prebende, non riaprire Casse del Mezzogiorno, ma permettere agli imprenditori con capacità e talenti di assumere, di non essere mangiati dalla burocrzia, dalle tasse, dalla corruzione.
La corruzione più grave non è quella del disonesto che vuole rubare: la vergogna è quella dell’onesto che – se vuole un documento, se vuole un legittimo diritto, se vuole fare impresa o attività – deve ricorrere appunto alla corruzione per ottenere ciò che gli spetta. A sud i diritti si comprano da sempre: e Lei non può non ricordarlo.
No, non mi consideri alla stregua del radicalismo ciarliero tipico dei figli dei ricchi meridionali, i ribelli a spese degli altri.
Il vittimismo meridionale, quello che osserva gli altri per attendere (e sperare) il loro fallimento e giustificare quindi la propria immobilità è storia vecchia.
Va disinnescato dando ai talenti la possibilità di realizzarsi.
Provi a cogliere le mie parole come la “rappresentanza” di una terra che smette di essere al centro dell’attenzione qundo non si parla di maxiblitz o sparatorie (tra parentesi, perchè non è questo l’oggetto di della discussione: tanti studi ormai spiegano che certi exploit della violenza criminale al Sud siano anche l'”effetto” di “cause” dall’origine geografica ben più lontana).
Caro Presidente del Consiglio, parli al Paese e spieghi che cosa pensa di fare per il Sud. Lei deve dimostrare di saper comprendere la sofferenza di un territorio disseccato: solo allora avrà tutto il diritto di chiedere alla gente del Sud di smetterla con la retorica della bellezza per farsi davvero protagonista di una storia nuova – costruita camminando sulle proprie gambe.
A Lei, quale più alto rappresentante della politica italiana, spetterà dunque il compito di levare ogni intralcio a questo cammino.
E i progetti dovranno naturalmente essere concreti. Permette un paradosso? E’ un tristissimo paradosso.
Dal Sud, caro primo ministro, ormai non scappa più soltanto chi cerca una speranza nell’emigrazione.
Dal Sud stanno scappando perfino le mafie: che qui non “investono” ma depredano solo. Portando al Nord e soprattutto all’estero il loro sporco giro d’affari. Sì, al Sud non scorre più nemmeno il denaro insaguinato che fino agli anni ’90 le mafie facevano circolare…
Il Sud è scomparso da ogni dibattito per una semplice ragione: perchè tutti, ma proprio tutti, vanno via.
Quando milioni di italiani partirono da Napoli per le Americhe. Lei lo sa che cosa succedeva al molo dell’Immacolatella?
Le famiglie si presentavano con un gomitolo di lana: le donne davano un filo al marito, al figlio, alla figlia che partiva. E mentre la nave si allontanava, il gomitolo si scioglieva, girando nelle mani di chi restava.
Era un modo per sentirsi più vicini nel momento del distacco. Ma anche per dare un simbolo al dolore: al distacco immediato.
La speranza era che quel filo che i migranti conservavano nelle tasche potesse continuare a essere mantenuto dai due capi così lontani.
Faccia presto, caro Presidente del Consiglio, ci faccia capire che intenzioni ha: qui ormai s’è rotto anche il filo della speranza.
Roberto Saviano
(da “La Repubblica”)
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Agosto 1st, 2015 Riccardo Fucile
DA “TERRA DI CONQUISTA” PER POLITICI COLLUSI E FACCENDIERI A NUOVA FRONTIERA VALORIALE
Il razzismo è una tipica connotazione, negletta e vergognosa del popolo italico.
Talvolta, puntare il dito contro “lo straniero” – come fanno Salvini, la Meloni & Company – serve soltanto a distrarre l’attenzione ed a trasmettere “la finta idea” del popolo unito e coeso da un unico destino.
La verità è che l’‎Italia‬ è sempre stata sostanzialemente divisa in due.
Anzi, c’è stato un tempo in cui il ‪‎meridione‬ – grazie all’avveduto regno dei Borbone – è stato davvero grande, sia economicamente che “politicamente parlando”.
Ma quella è storia vecchia, ormai.
“L’attualità post-unitaria e repubblicana” ci ha sempre “regalato” un meridione arrendevolmente cedevole.
Sistematica “terra di conquista”, per i politici collusi, per i mafiosi, per i camorristi e per i faccendieri d’ogni sorta.
Il meridione quale panacea dello sfuttamento ed incarnazione – sistemico e sistematico – della peggiore politica di tutti i tempi: quell’assistenzialismo che i meridionali non vogliono, ma a cui la maggior parte della popolazione è stata “vergognosamente istruita”.
Il meridione – proprio come il suo popolo – ha risorse immense. potenzialità enormi ed una ricchezza morale, valoriale ed economico-produttiva unica al mondo.
Se solo la si smettesse con le politiche dell’emergenza e si puntasse dritti su quelle dell’emancipazione vera e sincera, sarebbe, da subito, tutta un’altra storia.
Una storia che non smetterò mai di sognare e di rincorrere, anche ad occhi aperti…
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Agosto 1st, 2015 Riccardo Fucile
“I CITTADINI PAGANO GLI 8 MILIARDI DI TAGLI AI COMUNI”… COSTI MAGGIORI NELLE GRANDI CITTA’: LA PATACCA DEL FEDERALISMO FISCALE
I Comuni italiani hanno subito tagli per 8 miliardi e le tasse locali sono aumentate del 22% in 3 anni, con un record nella città più grandi e nei centri sotto i 2mila abitanti e un’imposizione fiscale arrivata al limite.
E’ la fotografia della finanza locale scattata dalla Corte dei Conti.
Nell’ultimo triennio si è verificato un “incremento progressivo della pressione fiscale” comunale, passata dai 505,5 euro 2011 ai 618,4 euro pro capite 2014, si legge nella Relazione sulla finanza locale.
“I livelli massimi di riscossione tributaria” si registrano nei 12 Comuni con più di 250mila abitanti, dove arriva a 881,94 euro a testa.
Nei Comuni tra 60mila e 249mila abitanti la riscossione procapite si attesta a 649,69 euro.
Ma pagano molto anche i Comuni della fascia più bassa (da 1 a 1999 abitanti) con 628 euro per abitante, dato “indicativo di come il livello penalizzante della pressione fiscale nei piccoli centri sconti le differenze di base imponibile (e quindi la minore capacità fiscale) che, a fronte delle più che incisive misure correttive sui livelli di disponibilità finanziarie indispensabili a garantire servizi essenziali, hanno determinato una ‘rincorsà all’esercizio del massimo sforzo fiscale”.
La quota più bassa di riscossione fiscale si registra nei Comuni tra 5 e 10mila abitanti (511,76 euro procapite) e comunque tutte le fasce intermedie si collocano sotto i 600 euro a testa.
La dinamica delle entrate locali, scrivono i magistrati contabili, è dovuta principalmente a “due fenomeni: il deterioramento del quadro economico, con effetti penalizzanti soprattutto sul gettito risultante dalle più ridotte basi imponibili” e dalle “numerose manovre di risanamento della finanza pubblica, i cui effetti prodotti dal disorganico e talvolta convulso succedersi di interventi sulle fonti di finanziamento degli enti locali hanno determinato forti incertezze nella gestione dei bilanci e nella formulazione delle politiche tributarie territoriali”.
Per quale motivo i Comuni hanno aumentato le tasse?
Perchè, spiega ancora la Corte, tra il 2010 e il 2014 hanno subito tagli per circa “8 miliardi” e hanno messo in atto “aumenti molto accentuati” delle tasse locali “per conservare l’equilibrio in risposta alle severe misure correttive del governo”.
Oggi tuttavia, scrivono ancora i magistrati, il peso del fisco è “ai limiti della compatibilità con le capacità fiscali locali”.
“Sul fronte delle entrate — si legga in premessa nella relazione — il radicarsi di un meccanismo distorsivo, per cui il concorso degli Enti locali agli obiettivi di finanza pubblica pesa, in ultima istanza, sul contribuente in termini di aumento della pressione fiscale, trova origine nei pesanti e ripetuti tagli alle risorse statali disposti dalle manovre finanziarie susseguitesi dal 2011, cui fa eco il cronico ritardo nella ricomposizione delle fonti di finanziamento della spesa, necessaria per garantire servizi pubblici efficienti ed economici. Ciò aggrava e rende permanente l’inefficienza delle gestioni, nonostante l’incremento consistente delle entrate proprie (+15,63% rispetto al 2013) che fa crescere l’autonomia finanziaria oltre la soglia del 65% ed assorbe la diminuzione progressiva e costante dei trasferimenti (-27,29%)”.
I magistrati contabili osservano anche che “la crescita dell’autonomia finanziaria degli enti non sembra produrre benefici effetti nè sui servizi, nè sui consumi e sull’occupazione locale, in assenza di una adeguata azione di stimolo derivante dagli investimenti pubblici” .
Marco Pasciuti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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