Destra di Popolo.net

“WELCOME TO GERMANY”: L’ANNUNCIO DEL CONDUCENTE DI BUS CHE ACCOGLIE CALOROSAMENTE I PROFUGHI COMMUOVE LA GERMANIA

Agosto 13th, 2015 Riccardo Fucile

SUI SOCIAL TEDESCHI IMPAZZANO I COMPLIMENTI E PER I TG DIVENTA UNA NOTIZIA PRINCIPALE

“A volte l’accoglienza può essere così semplice” commenta l’anchorman della televisione tedesca ZDF, con la voce che si spezza per l’emozione: l’ha colpito il gesto del 42enne conducente di autobus Sven Latteyer che ha commosso tutta la nazione.
La corsa sulla linea 286/287 ad Erlangen, un paesino della Baviera, non sarebbe dovuta essere diversa da tante altre, ma Sven, accorgendosi di trasportare una quindicina di migranti, ha deciso di dare il suo contributo per accoglierli con affetto
L’uomo ha dunque preso in mano il microfono per annunciare:
“Excuse me Ladies and Gentlemen, from all over the world in this Bus — I want to say something. I want to say welcome. Welcome to Germany, welcome to my country. Have a nice day!’“
“Ho visto intorno a me sguardi increduli, poi tutti sono scoppiati a ridere e hanno applaudito, anche i tedeschi. Uno dei ragazzi africani si è commosso”, ha raccontato Sven in un’intervista al giornale Nordbayern.de.
“Le storie di mio nonno, che in guerra ha perso un braccio, e di mio cognato, fuggito dalla guerra del Kosovo negli anni novanta, mi hanno convinto che chi scappa da un conflitto merita la possibilità  di rifugiarsi in Germania”, continua il protagonista di questa bella storia.
Sven dice di aver riflettuto a lungo su come dare il proprio contributo per aiutare i richiedenti asilo, e quando si è reso conto di averne un gruppo a bordo non ha esitato a mettere in pratica questo proposito.
Ovunque il gesto dell’uomo ha riscosso grande approvazione: sui social impazzano i complimenti e i commenti positivi e i telegiornali delle reti più importanti si sono affrettati a riprendere la notizia.
Così, dopo la vicenda della ragazzina palestinese che era scoppiata a piangere per la poca disponibilità  della cancelliera Merkel sulla questione dei profughi, la Germania si dimostra nei fatti pronta ad accogliere i migranti che raggiungono il Paese.

(da “Huffigntonpost“)

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A CARMAGNOLA BRACCIANTE ROMENO MUORE D’INFARTO NELLA SERRA RIDOTTA UN FORNO PER 4 EURO L’ORA IN NERO

Agosto 13th, 2015 Riccardo Fucile

L’IMPRENDITORE AGRICOLO FA FINTA DI NON CONOSCERLO, MA GLI DENUNCIANO LA MESSA IN SCENA

Ioan Puscasu era romeno, aveva 46 anni e dal 2008 lavorava a chiamata nei campi di Carmagnola per poco più di 4 euro all’ora.
In nero, senza uno straccio di contratto.
Una paga da fame per rimanere 9 o 10 ore al giorno sotto le serre infuocate, dove la temperatura poteva sfiorare persino i 50 gradi.
Era arrivato dalla Romania per raggiungere la sorella e sognava di tornare in patria, a Botosani, dove si stava costruendo una casa con i pochi risparmi raggranellati lavorando in giro per l’Europa.
La sera del 17 luglio i carabinieri, avvertiti da alcuni conoscenti, lo hanno trovato senza vita sotto una tettoia appena fuori dal suo misero alloggio, stroncato da un arresto cardiaco.
Una storia sospetta  
Col passare dei giorni sono emersi nuovi particolari che avvolgono le ultime ore di vita di Ioan in un alone di mistero.
Secondo la ricostruzione degli investigatori il bracciante non era a casa quando è stato colpito dal malore, ma le versioni fornite dai testimoni sono diametralmente opposte. Un imprenditore agricolo della zona, che ha dichiarato di conoscere Puscasu «solo di vista», ha ammesso di averlo trovato riverso per strada e di averlo caricato in auto per riportarlo nella cascina dove viveva con il cognato.
Quando sono stati chiamati i soccorsi, un’ora dopo, era ormai troppo tardi.
Una messinscena?
Alcuni amici sostengono invece che Ioan lavorasse proprio per conto di quell’imprenditore, che la sera del 17 luglio lo avrebbe ritrovato di fronte alle sue serre.
L’uomo avrebbe poi chiesto aiuto a famigliari e conoscenti per cercare di eliminare ogni traccia di fango dal suo corpo, rivestirlo con abiti puliti e portarlo in cortile per una vera e propria messa in scena.
I carabinieri hanno inviato una segnalazione alla Procura di Asti e tutte le ipotesi sono ora al vaglio degli inquirenti.
Per il momento nessun nome è stato iscritto nel registro degli indagati e gli ispettori dello Spresal dell’Asl di Chieri hanno da poco concluso una lunga serie di controlli sulle condizioni di lavoro nelle serre.
Le indagini chiariranno se anche a Carmagnola, nel 2015, si può morire di caldo e di fatica in un campo. Come è successo nelle scorse settimane a Zaccaria, Mohamed e Laura, braccianti sfruttati per pochi euro nelle campagne pugliesi.
Il dolore degli amici  
«Giovanni era un bravo ragazzo e non meritava una fine del genere», si disperano gli amici di Ioan Puscasu, che hanno deposto un lumino accanto alla serra dove ha lavorato per l’ultima volta.
«Si è spezzato la schiena nei campi per 7 anni senza vedere un contratto, ma non si è mai lamentato. Riusciva a farsi bastare quello che aveva».
Giovanni, come lo chiamavano tutti, viveva in una porzione di un grande cascinale, circondato da strade sterrate e granoturco.
Una vita difficile
Il suo mondo era racchiuso in un cortile bruciato dal sole e in un piccolo orto ricavato sul retro.
L’affitto lo pagava facendo qualche lavoretto per il padrone di casa e badando agli animali.
Non aveva la patente, si spostava con una vecchia bicicletta e adorava andare a pesca sul Po.
Il 2 agosto avrebbe compiuto 47 anni e aveva programmato di andare al mare con gli amici.
Non ha fatto in tempo.

Massimo Massenzio
(da “La Stampa”)

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GLI OTTO REFERENDUM DI CUI NESSUNO VUOLE PARLARE

Agosto 13th, 2015 Riccardo Fucile

DALL’ITALICUM AL JOBS ACT: LANDINI E SEL FERMI, I CINQUESTELLE DICONO NO PER CONVENIENZA

Esiste una campagna referendaria di cui nessuno parla.
Qualcosa che non capitava in queste dosi neanche alle campagne referendarie dei radicali, qualcosa di quasi incredibile, in una democrazia.
Lanciata da Giuseppe Civati, ex deputato democratico, ha davanti lo scoglio arduo di superare cinquecentomila firme entro il 30 settembre.
I referendum proposti dalla sua nuova aggregazione politica, che si chiama «Possibile», sono otto.
Le modalità  sono sia online, sia coi banchetti: si può firmare, se si ha una firma autenticata, sul sito: referendum.possibile.com/quesiti/ oppure si può organizzare un banchetto.
E ne stanno nascendo, autoprodotti, ovunque. Nessuno li vuole vedere.
Il primo quesito riguarda «l’eliminazione dei capilista bloccati e delle candidature plurime» nell’Italicum.
Il secondo punta – più problematicamente – all’«eliminazione della legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza, capilista bloccati e candidature plurime».
Il terzo riguarda «l’eliminazione delle trivellazioni a mare».
Il quarto riguarda «l’eliminazione del carattere strategico delle trivellazioni».
Il quinto attacca lo Sblocca Italia, «dalle grandi alle piccole opere».
Il sesto e settimo quesito attaccano il Jobs Act, uno tentando «l’esclusione del demansionamento», l’altro la «tutela del lavoratore dai licenziamenti illegittimi». L’ottavo chiede di abrogare, nella riforma della scuola, il «potere di chiamata del preside-manager».
Ogni quesito ha una formulazione tecnica che vi risparmiamo.
Il problema è che, anche considerando questo assordante silenzio, anche la mobilitazione delle forze è frastagliata a dire poco.
C’è stata qualche significativa adesione, per esempio Aldo Giannuli, che ha a lungo collaborato con il M5S e in particolare con Casaleggio e il blog, ha scritto che li sottoscriverà , pur tra mille riserve, e che «Civati mi sembra l’unico che può ancora avere qualche credibilità  in tutta la banda che si muove (piuttosto scompostamente, in verità ) nell’area fra Pd e M5s. Non ho ancora capito se “Possibile” fa parte o no del cantiere Vendola-Ferrero-Fassina-Campanella o no e come si pone verso la coalizione sociale di Landini».
Domanda sensata, perchè Landini, per ora, aspetta che il direttivo Cgil decida «come avviare un coerente percorso referendario abrogativo» (campa cavallo).
La Cgil aveva votato per farli, ma poi ha cambiato idea.
Il movimento della scuola è diviso (Lip e comunisti contrari, insegnanti favorevoli). Sel di fatto non aiuta, anzi, Fratoianni vorrebbe usare l’estate per un dibattito, ma così, se mai arrivassero le firme, si voterebbe nel 2017 (buonanotte).
Solo i verdi firmano i quesiti ambientali (e i presidenti di alcune regioni, tra cui Michele Emiliano).
Insomma, appena c’è un’iniziativa a sinistra si spacca subito il capello. Un grande classico. Bisogna fare a meno di queste agenzie del passato.
C’è poi un gigantesco problema: Casaleggio ordina da sempre al M5S, una forza che oggi varrebbe intorno al venti per cento, di non aderire a iniziative altrui.
Nei giorni scorsi Toninelli ha spiegato «penso che sia più utile lavorare sul referendum confermativo della riforma del Senato dove non è previsto il quorum». L’Italicum non veste così male addosso al M5S.

Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)

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COSA C’E’ DIETRO LA SVALUTAZIONE DELLO YUAN? DOMANDE E RISPOSTE SULLA “CRISI” CINESE

Agosto 13th, 2015 Riccardo Fucile

I PREZZI AL RIBASSO SPIAZZANO BCE E FED, IMPEGNATE CONTRO LA DEFLAZIONE

Perchè la svalutazione dello yuan cinese preoccupa così tanto il mondo?  
Non è tanto il fatto in sè, quanto l’impressione che i governanti della Cina siano in difficoltà . In una economia globale che stenta a trovare le energie per una crescita robusta, se un peso massimo come la Cina invece di cooperare cerca di scaricare i suoi problemi sugli altri, sono guai per tutti.
In che senso la Cina vuole scaricare i suoi problemi sugli altri?  
Le tre grandi banche centrali del mondo avanzato, Federal Reserve americana, Bce, Banca del Giappone, stanno impegnando tutte le loro forze nella lotta contro la deflazione. Ritengono che prezzi fermi o in ribasso ostacolino la ripresa dell’economia, dunque cercano di creare aspettative di rialzo. Se la Cina, numero uno del commercio mondiale, annuncia che i prezzi delle sue merci si muovono al ribasso esercita una potente spinta in senso contrario.
Lo yuan più debole significa anche che per i cinesi i prodotti stranieri diventeranno più cari. Le esportazioni europee saranno danneggiate?
In sè i numeri per ora non sono preoccupanti. Lo yuan in due giorni si è svalutato poco meno del 4% dopo che si era apprezzato del 15% nei dodici mesi precedenti, dunque è prematuro fasciarsi la testa; ogni conto su meno esportazioni europee in Cina o più importazioni di merci cinesi in Europa è aleatorio. La Repubblica popolare assorbe solo il 6% dell’export tedesco e il 3% circa di quello italiano. Certo che altre valute asiatiche, come già  subito quella del Vietnam, vadano a loro volta al ribasso una influenza la può avere. Ma la strombazzata «guerra delle monete» è improbabile: una rapida discesa dello yuan metterebbe in moto una fuga di capitali all’estero. Questo sarebbe molto pericoloso per il sistema finanziario cinese che è già  molto fragile. Ciò che i mercati temono in questi giorni è piuttosto il rischio che dentro la Cina qualcosa vada storto. Ovvero, che all’economia mondiale venga a mancare il contributo della crescita di un Paese tanto grande.
Già  c’era stato il crollo della Borsa di Shanghai, in luglio…   Al quale pure il governo cinese aveva reagito in modo nervoso, con un assurdo tentativo di sostenere artificialmente le quotazioni. Negli anni passati, la leadership di Pechino si era mostrata molto abile nel reagire alle novità ; ripeteva di sapere benissimo che il pianeta è troppo piccolo perchè un Paese enorme come la Cina possa indefinitamente svilupparsi solo esportando. Lo sforzo per investire sul futuro ha ormai raggiunto i suoi limiti: grattacieli per uffici vuoti, autostrade con poco traffico, fabbriche che non sanno a chi vendere se il potere d’acquisto della popolazione non aumenta. Ma la grande svolta verso una crescita affidata ai consumi interni si è rivelata ardua; tutta una struttura di potere consolidatasi negli anni resiste all’aumento dei salari che sarebbe necessario. Così l’economia rallenta sempre più e nasce la tentazione di tornare indietro, ad esempio svalutando la moneta.
Il governo di Pechino si giustifica sostenendo che ha solo cominciato ad adeguare il cambio al mercato, perchè vuole che lo yuan sia riconosciuto come moneta mondiale. E’ vero?
Solo in piccola parte. La moneta cinese, ufficialmente chiamata Renminbi, non è convertibile (non si può comprare e vendere liberamente, al contrario di dollaro, euro, sterlina, yen giapponese) e questo rappresenta un freno al ruolo della Cina nell’economia mondiale. Logico che il governo di Pechino voglia cambiare. Ma il Fondo monetario internazionale, che all’inizio dell’anno prossimo dovrà  discutere se riconoscere lo yuan come valuta di riserva, ha accolto le decisioni dell’altro ieri con grande cautela.

Stefano Lepri
(da “la Stampa“)

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OMBRE CINESI SULLA RIPRESA ITALIANA

Agosto 13th, 2015 Riccardo Fucile

LA VERA MINACCIA PER L’ITALIA NON ‘ IL CAMBIO, MA LO STOP DELL’ECONOMIA DI PECHINO

Mentre la Cina prova a mettere il turbo alle proprie esportazioni svalutando ancora la propria moneta, per la terza volta in tre giorni, dall’altra parte del globo crescono le inquietudini sull’impatto che lo scossone asiatico potrà  avere sulle economie europee.
Per l’Italia le turbolenze sullo yuan arrivano a ridosso di un appuntamento con un dato molto atteso, quello sulla crescita registrata dall’Istat nel primo trimestre, che anche se ovviamente non sconta in alcun modo gli eventi degli ultimi giorni, potrebbe quantomeno già  dire se l’obiettivo di crescita del Pil fissati per quest’anno, +0,7%, sia ancora a portata di mano.
Cina permettendo, visto che dal Tesoro si registra una certa apprensione sulle conseguenze impreviste che le turbolenze potrebbero avere sulla nostra ripresa.
“Non c’è dubbio cje quanto accade in Cina parla all’Italia e desta preoccupazione”, ha spiegato a Repubblica il viceministro dell’Economia Enrico Morando.
Niente panico, sintetizzano gli addetti ai lavori. Non sono le manovre sul cambio a doverci impensierire.
“Siamo focalizzati sulla svalutazione ma il vero problema è l’andamento dell’economia cinese che mostra già  da tempo segnali di debolezza”, spiega ad Huffpost Luca Mezzomo responsabile analisi macroeconomica della direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo.
“Il commercio estero sta registrando una forte contrazione e stava già  generando effetti negativi anche su Europa e Italia”.
Quanto alle svalutazioni degli gli ultimi giorni però i timori sono contenuti.
“La variazione non è preoccupante, stiamo parlando di una svalutaizone del 4,5% sul dollaro, che va a riassorbire il rafforzamento del remminbi (lo yuan ndr) che si era realizzato nell’anno precedente”, spiega Mezzomo.
“Gli interventi sul cambio avranno poco effetto, anche nei settori che sono stati maggiormente colpiti in Borsa,non penso che porteranno a grosse variazioni nei volumi di vendita”.
La vera paura, come detto, è altrove.
“Quello che si sta avverando è una crisi delle prospettive dell’economia cinese. Ci si era abituati a ritmi di crescita alti, ora si è cominciato a capire che anche al Cina si sta muovendo ai ritmi di sviluppo delle economie avanzate”. Non solo.
“Viviamo una fase di passaggio con un problema di instabilità  finanziaria. È la prima volta che la Cina si trova a fronteggiare un eccesso di indebitamento, che parte dal 2007 nel settore privato. Ci sono problemi strutturali che devono essere affrontati e c’è incertezza da parte delle autorità  su come gestirli”.
Sono quindi i timori di una Cina che rallenti la propria corsa a dover impensierire le nostre aziende, come già  ha evidenziato in mattinata anche dalla Bce, secondo cui – si legge nei verbali del Consiglio di luglio, ovvero settimane prima della svalutazione, gli sviluppi finanziari in Cina “potrebbero avere un impatto negativo maggiore del previsto, dato il suo ruolo importante nel commercio globale”.
“Il nostro Paese è prevalentemente esportatore e le nostre esportazioni sono fatte principalmente da imprese piccole e medie e una svalutazione porta un ritorno in termini di minore competività , mette in guardia ad Huffpost l’ad di Invitalia Domenico Arcuri, anche membro della Fondazone Italia-Cina.
“Le nostre Pmi però sono dinamiche e sono in grado di reagire, saranno in grado di ovviare in tempi ragionevoli ai problemi causati dagli eventi di questi giorni”.
“Peraltro – prosegue Arcuri- si verifica anche un interessante paradosso: economie come quella europea che si sono fondate per anni sulle svalutazioni, ora che non sono più in grado di farlo si trovano ad essere colpiti dalla stessa arma che hanno usato per decenni”.
Ma sui rischi per la nostra già  fragile ripresa anche Arcuri è ottimista: “Dire che cresceremo di meno perchè la Cina ha svalutato mi sembra prematuro”.
Giudizio condiviso anche dal direttore generale dell’Ice Roberto Luongo. “Non vedo un rischio immediato per le imprese italiane. Se si dovessero protrarre queste svalutazioni competitive o se ci fosse un forte rallentamento dell’economia cinese questo sarebbe preoccupante. Queste svalutazioni per ora sono assorbili”, ha detto in una intervista all’Adnkronos
Cina o non Cina, un primo segnale chiaro se il nostro Paese sia o meno sulla buona strada per centrare gli obiettivi del Def arriverà  venerdì mattina dall’Istat.
“Per quello che si è visto fino ad ora il secondo semestre è stato positivo per la Spagna e persino per la Grecia, anche se bisognerà  capire meglio perchè”, spiega ad Huffpost Francsco Daveri, ordinario di Economia all’Università  Cattolica e docente alla Bocconi.
“Anche se la produzione industriale ha frenato mi aspetto un dato positivo, simile o migliore a quello registrato nel primo trimestre, quindi intorno al +0,3%”.
Un buon dato al giro di boa che consentirebbe di agganciare l’obiettivo fissato dal governo. “Come spiegherò in una articolo su lavoce.info, per centrare lo 0,7% serviranno lo 0,4% nel terzo trimestre e il +0,3% nel quarto trimestre”.
Quanto alla Cina, le imprese italiane possono dormire sonni relativamente tranquilli.
“Alcune delle imprese italiane di punta, come quelle del lusso, sono state più colpite da altre mosse del governo cinese, più che dalla svalutazione. Penso alla battaglia alla corruzione ad esempio, con cui si combatte un uso improprio di soldi che non vengono contabilizzati e che spesso venivano utilizzati per consumi opulenti”, spiega ancora Daveri.
“Rispetto alle nostre esportazioni in Cina, rappresentano meno del 7% del totale, un dato molto basso se confrontato con il resto dei Paesi europei o gli Stati Uniti. Non dobbiamo proeccuparci”.

(da “Huffingtonpost”)

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GALANTINO COMUNISTA? AVRA’ FREQUENTATO I CENTRI SOCIALI DI SALVINI

Agosto 13th, 2015 Riccardo Fucile

IL “COMUNISTA PADAGNO” CHE DA’ DEL COMUNISTA AGLI ALTRI: SOLO DEI CAZZARI DI DESTRA POSSONO DAR CREDITO A UN POVERACCIO CHE PIAZZA LE MOGLI A SPESE DEI CONTRIBUENTI E PRENDE 15.000 EURO DA QUELLA UE CHE SCHIFA A PAROLE

Rispolvera l’insulto preferito da Silvio Berlusconi e ritorna alle sue origini, quando bazzicava nei centri sociali milanesi dove non se lo filava nessuno, ma la birra era a buon prezzo e i rutti erano compresi nella consumazione.
È un Matteo Salvini formato Arcore quello che, in un’intervista al Corriere della Sera, si lascia scappare l’appellativo di “vescovo comunista” per   monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei.
Galatino aveva definito Salvini per quello che è: un “piazzista da 4 soldi“, accusandolo di fare “chiacchiere da bar che rilanciate dai media rischiano di provocare conflitti“a proposito dell’accoglienza degli immigrati e chiedendo quanti poveri lui ospiti a casa sua (ovviamente zero)
Apriti cielo: abituato a insultare tutti, salvo scappare a gambe levate quando qualcuno lo va a cercare, ecco l’eroe padagno sproloquiare su un uomo di Chiesa con le palle, quelle che mancano a lui.
“Conosco uomini di Chiesa che non la pensano come questo vescovo comunista”: il che fa pure ridere detto da uno che aveva presentato al congresso della Lega una lista denominata “Comunisti padani” con esito peraltro tragico.
Ma il poveraccio un risultato, a furia di scodinzolare per i corridoi di via Bellerio, l’aveva ottenuto: ottenere uno stipendio, prima da consigliere comunale, poi parlamentare europeo, poi italiano e poi ancora europeo.
Per uno che è stato 14 anni fuoricorso all’università  e non ha mai fatto un cazzo in vita sua un bel traguardo.
Venti anni che vive a spese dello Stato, uno dei più longevi tromboni della politica italiana.
E’ pure riuscito a piazzare la prima moglie in Comune e la seconda in Regione: assunzione per chiamata diretta, senza concorso.
Per casi simili altri rischiano la galera, ma lui ha l’immunità  padagna e la scorta al seguito.
Era comunista, poi bossiano, poi padagno, poi antiterroni, poi secessionista, poi con Maroni, a seconda di dove girava il vento: una vita a corte senza accorgersi che in Lega rubavano a più non posso, una garanzia per il governo dell’Italia.
E una   pletora di cazzari di destra, quelli che parlano di legalità  (solo per gli altri) che gli leccano il culo per un posto in lista o in qualche partecipata.
Lui si gode il momento sparando dieci cazzate al giorno: a Renzi fa comodo una macchietta da avanspettacolo che blocchi la destra al 20%, impedendole di tornare mai al governo.
Alla fine ci voleva un uomo di Chiesa per dire quello che milioni di italiani di destra vera pensa.
“Padagna is not Italy”: siamo d’accordo, fuori dai coglioni.

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LE CONDIZIONI DI BERLUSCONI PER VOTARE LE RIFORME DEL PD: MENO CARCERE E INTERCETTAZIONI, CARRIERE SEPARATE

Agosto 13th, 2015 Riccardo Fucile

SILVIO PRONTO A UN NAZARENO BIS, MA VUOLE UN IMPEGNO DA RENZI

Stretta sulle intercettazioni, limiti alla carcerazione preventiva, separazione delle carriere dei magistrati e cambio sulla formazione dei collegi giudicanti.
Le condizioni di Silvio Berlusconi per tornare al tavolo delle riforme con il Pd e pensare a un patto del Nazareno bis passano per il suo tallone d’Achille: la riforma della giustizia.
Secondo quanto ricostruito dal Corriere della Sera, l’ex Cavaliere sarebbe pronto a rimettersi alle spalle il gran tradimento di febbraio dell’elezione del presidente della Repubblica a patto che Matteo Renzi sia disposto a quattro interventi mirati.
Italicum, elezione diretta del Senato e altri dettagli importano poco, il leader di Forza Italia ha altre richieste in testa.
Nella lista ci sono: un intervento per limitare la pubblicazione e l’utilizzo delle conversazioni nelle indagini, tema di cui il governo ha già  intenzione di occuparsi; il ricorso al carcere preventivo solo nei casi di reati considerati “gravi”; la creazione di due Consigli superiori della magistratura, uno per chi giudica e uno per chi indaga; infine un intervento sui criteri di formazione dei collegi giudicanti.
La bozza della proposta è circolata tra alcuni fedelissimi e incaricato della trattativa è, scrive il Corriere, il capogruppo azzurro al Senato Paolo Romani. In vacanza a Forte dei Marmi, abbastanza vicino geograficamente al segretario Pd per non destare troppi sospetti nei suoi spostamenti, è il portavoce incaricato di ridare il via alle danze. Berlusconi ha visto che l’aria era cambiata dopo l’elezione di Monica Maggioni alla presidenza della Rai: l’accordo tra Renzi e Fedele Confalonieri per il via libera al nome proposto a sinistra ha dimostrato che il dialogo non solo è possibile, ma serve a entrambi.
Mentre la politica sotto l’ombrellone minaccia rappresaglie e barricate al rientro in Parlamento, Renzi cerca i voti che gli serviranno per far approvare la riforma del Senato a settembre. Minoranza Pd, Sel, M5S, Lega Nord e Forza Italia hanno la possibilità  di far saltare il banco se compatti chiederanno l’elezione diretta della seconda Camera e il presidente del Consiglio sa che per farcela dovrà  trovare una mediazione o almeno un accordo.
“Ci auguriamo un approfondimento politico di Forza Italia per recuperare un legame che serve al Paese”, ha detto il capogruppo Pd Ettore Rosato.
“Aspettiamo pazienti”, ha ribadito il vicesegretario Lorenzo Guerini.
I democratici guardano a Forza Italia e ignorano la sinistra Pd: gli azzurri quella riforma l’hanno già  votata una volta, prima che saltasse tutto, e potrebbero essere la sponda che richiederà  meno compromessi sul testo.
Anche perchè Berlusconi ha in mente altro.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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RETATA DELLA GUARDIA DI FINANZA: SU 905 DISTRIBUTORI DI BENZINA A BEN 200 CONTESTATE IRREGOLARITA’

Agosto 13th, 2015 Riccardo Fucile

E SI “SCOPRE” CHE META’ DELLE SECONDE CASE SONO AFFITTATE IN NERO

Affitti per le case in nero, vendite senza fatture, benzinai che truccano i conti del distributore e prodotti falsificati venduti in ogni angolo delle località  di villeggiatura. La retata estiva della Guardia di Finanza ha finora portato a 676 denunciati, 12 arresti e alla scoperta di sei opifici illegali.
Sono stati controllati 905 distributori stradali di carburante in tutto il territorio nazionale.
Più di 200 le violazioni contestate, tra cui quasi 80 alla disciplina sui prezzi con sanzioni amministrative a carico dei gestori degli impianti.
Nei casi più gravi, invece, 24 responsabili sono stati denunciati alle Procure della Repubblica insieme al sequestro di oltre 354mila litri di prodotti petroliferi.
Le attività  ispettive si svolgono attraverso il riscontro del carburante erogato con l’importo pagato dagli utenti, mediante verifiche sulla qualità  dei prodotti per individuare miscelazioni abusive con sostanze dannose per gli autoveicoli e controlli sul rispetto della disciplina dei prezzi.
I controlli in corso nelle aree costiere, balneari e montane sono indirizzati anche a tutela delle imprese regolari. Oltre 1.400 i venditori e gli esercenti che, seppure in possesso delle prescritte autorizzazioni, non hanno rispettato gli obblighi fiscali risultando, quindi, evasori totali.
Nei loro confronti, i reparti della Guardia di Finanza hanno avviato specifici approfondimenti operativi finalizzati alla corretta individuazione del giro di affari nascosto al fisco.
Oltre 1.300 sono, invece, i lavoratori ‘in nero’ individuati, tra cui 13 minori.
Infine, sono stati eseguiti 500 interventi a contrasto degli affitti irregolari di seconde e terze case nelle principali località  di villeggiatura; violazioni sono state riscontrate nella metà  dei casi.
Il piano operativo dei controlli proseguirà  per tutto il periodo estivo.

(da agenzie)

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ALTRO CHE TAGLI: LE SPESE PER CARTA E BOLLETTE SONO SALITE DELL’11,7% IN TRE ANNI

Agosto 13th, 2015 Riccardo Fucile

RAPPORTO DELLA CORTE DEI CONTI SUGLI ENTI PUBBLICI

Quattordici miliardi di spesa in più in soli tre anni per carta, bollette e benzina, dai 121,1 miliardi del 2011 ai 135,3 del 2014.
Stando ai dati contenuti nella relazione della Corte dei conti sugli andamenti della finanza territoriale, consultati dall’Adnkronos, la macchina pubblica in alcuni settori anzichè risparmiare negli ultimi anni ha sensibilmente aumento le proprie spese.
A lievitare sono state soprattutto le spese di beni e servizi delle aziende sanitarie, arrivate a 78,5 miliardi (+17,3%) e degli enti locali, che hanno raggiunto i 33,9 miliardi (+11,5%).
Dalle tabelle della magistratura contabile emerge che il totale dei pagamenti effettuati dalle strutture pubbliche negli ultimi anni è aumentato in modo costante, arrivando a 838,1 miliardi lo scorso anno.
Rispetto a tre anni prima l’incremento è stato di 25,5 miliardi (+3,1%).
Anche la spesa per beni e servizi ha registrato un costante incremento (+5,7% nel 2012, +4,2% nel 2013 e +1,5% nel 2014), con delle differenze tra le varie amministrazioni.
Gli enti locali hanno visto aumentare le proprie ogni anno, anche se con percentuali molto differenti: +1,4% nel 2012, +9,5% l’anno successivo e +0,4% nel 2014.
Le aziende sanitarie hanno ‘copiato’ il trend ascendente di comuni e province: si è infatti registrata una crescita del +6,2% del 2012, del +6,3% nel 2013 e infine del 3,9%.
Le regioni hanno invece alternato una riduzione del 12,5% nel 2012, a un aumento del 16,9% per poi scendere di nuovo del 13,9% lo scorso anno, fermandosi a 2,7 miliardi.
Gli enti previdenziali, dopo un anno di incremento della spesa +4,6% nel 2012) e uno di variazione minima (+0,2% nel 2013), nel 2014 hanno ridotto i pagamenti del 4,5% fermandosi a 2 miliardi.
Il settore statale, infine, nel 2012 aveva registrato un incremento della spesa del 19,7%, che negli anni successivi si è ridotta del 17,5% e del 4,1%, fermandosi a 13,3 miliardi.

(da “Huffingtonpost”)

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