Agosto 24th, 2015 Riccardo Fucile
NELLA ROSA ANCHE LAGARDE E LA PRESIDENTE DELLA LIBERIA
Una donna alla guida delle Nazioni Unite dopo ben otto segretari generali uomini.
E tra le papabili ci dovrebbe essere anche l’italiana Federica Mogherini, attualmente rappresentante della politica estera dell’Unione europea.
Ad avanzare l’ipotesi è il New York Times che in un editoriale spiega che, dopo 70 anni dalla nascita dell’organizzazione, “è ora di cambiare”.
L’attuale segretario generale Ban Ki-Moon, terminerà il suo secondo mandato quinquennale il prossimo 31 dicembre.
“Sarebbe incredibilmente simbolico e potente – scrive il giornale Usa – nominare una donna alla guida dell’organizzazione per far fronte alle pressanti sfide mondiale con diplomazia e consenso globale”.
I cinque membri del Consiglio di sicurezza, Gran Bretagna, Cina, Francia, Russia e Usa, hanno già iniziato a trattare mentre decine di membri non permanenti stanno spingendo per una donna al comando.
Una lista di ‘potenziali’ candidate è intanto già iniziata a circolare stilata dal gruppo indipendente ‘Campaign to elect a woman UN segretary general’, spiega il Nyt, tra le più gettonate il presidente della Liberia, Ellen Johnson Sirleaf, il direttore del Fmi Christine Lagarde, il segretario esecutivo della Economic Commissione for Latin America and the Caribbean Alicia Barcena Ibarra.
Tra i nomi snocciolati dal gruppo come donne di spicco anche l’Alto commissario Ue per gli Affari Esteri Federica Mogherini, la responsabile dell’Undp Helen Clarke, il direttore generale dell’Unesco Irina Bokova.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 24th, 2015 Riccardo Fucile
SEDOTTA E ABBANDONATA DA TSIPRAS, ORA SEGUE IL LEADER LABURISTA
La virata linguistica c’è già stata: “Hope from Uk”.
La sinistra italiana, sedotta e abbandonata da Alexis Tsipras, cerca in Europa un altro punto di riferimento.
E lo trova in Inghilterra: è il “rosso” James Corbyn, candidato (e probabile vincitore) delle primarie per la guida dei Labour.
Contro di lui si è schierato, con un appello agli elettori, Tony Blair convinto che una sua vittoria rappresenterebbe la “disfatta totale, forse l’annientamento” del partito. Come finirà Oltremanica lo si saprà il 12 settembre, quando sarà reso noto l’esito delle primarie e dunque il nome del successore di Ed Milliband.
Ma in Italia qualcuno ha già puntato gli occhi su quella consultazione: Stefano Fassina. Uno di quelli che a piazza Syntagma a celebrare il no al referendum c’era, ma che negli ultimi giorni non ha esitato a criticare Tsipras reo, a suo dire, di non aver saputo evitare la spaccatura dentro Syriza.
Ed è proprio lui, ora, a guardare con speranza alla Gran Bretagna.
Domenica, infatti, ha ritwittato una lettera di 40 economisti pubblicata sul Guardian a sostegno di Corbyn.
Sostengono i firmatari della missiva: “La sua opposizione all’austerità è la visione più condivisa fra gli economisti, persino appoggiata dai conservatori del Fondo monetario. E il suo obiettivo è di incoraggiare la crescita. Semmai, sono estremisti la politica e gli obiettivi del governo in carica”.
Parole che, appunto, Stefano Fassina corona con un “Hope from Uk”.
“Io – spiega l’ex esponente del Pd – ritengo che la frattura dentro Syriza a breve potrà aiutare Tsipras ma temo che alla fine lo indebolirà . Non considero comunque Corbyn alternativo a lui perchè hanno uno stesso impianto culturale anche se in contesti diversi, però lo seguo con attenzione. Abbiamo assistito proprio nel passaggio sulla Grecia alla subalternità della famiglia socialista. Quello di Corbyn è un progetto interessante anche perchè l’Inghilterra è stata l’epicentro di quel fallimento”.
Con Fassina ad Atene c’era anche Alfredo D’Attorre, che verso Tsipras è un po’ più clemente.
“Non si tratta di essere delusi o meno ma — spiega — di prendere atto di ciò che è successo e cioè che è stato lasciato solo dagli altri socialisti e ha dovuto capitolare”. Anche lui sta guardando a ciò che accade in Inghilterra.
“Non ho bisogno — sottolinea — di prendere un leader straniero e farne un’icona. Ogni Paese ha la sua storia. Ma una sua vittoria alle primarie sarebbe certo una cosa positiva: dimostra che la strada per la ripresa della sinistra europea non passa per uno spostamento al centro ma a sinistra”.
Insomma, qualcosa di più che un messaggio a Matteo Renzi.
Anche Corradino Mineo, esponente della minoranza dem che però in piazza Syntagma non c’era, si dice convinto che Corbyn dica “cose interessanti”.
“Io non mi aspetto — è la doverosa premessa — che dall’estero arrivi la risposta ai problemi italiani. Però sono molto interessato a quello che accade in Gran Bretagna anche perchè la crisi del blairismo ha anticipato la catastrofica crisi della socialdemocrazia in Europa”.
Chi non ha sconfessato il premier greco sono gli esponenti di Sel: avvistati l’ultima volta ad Atene mentre esultavano per la vittoria del no al referendum, certo avrebbero avuto maggiori difficoltà a fare una tale inversione a U.
Ma certo, gli ultimi avvenimenti incidono e infatti Nichi Vendola, di solito alquanto verboso, si è limitato a un hashtag #iostocontsipras su Twitter.
“No che non lo abbiamo scaricato. Senza dubbio — spiega la senatrice Loredana De Petris – resta il punto doloroso della scissione di Syriza ma lo sosteniamo nella scelta coraggiosa di andare a elezioni, scelta a cui in Italia siamo poco abituati”.
In Europa i vendoliani sono più vicini al Gue che ai socialdemocratici di Martin Schulz. Ma nella probabile vittoria di Corbyn, De Petris considera interessante un aspetto: “l’emergere sempre più consistente di forze anti austerity che però non siano anti europeiste”
(da “Huffngtonpost“)
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Agosto 24th, 2015 Riccardo Fucile
“SE SI VOTASSE DOMANI NCD SI CANDIDEREBBE NEL CENTROSINISTRA”
“Mi ero illusa che il mio partito potesse contribuire alla ricostruzione di un centrodestra moderno. E mi ero illusa che onorasse il nome che porta, Nuovo centrodestra. E invece stanno lavorando per aggregarsi al centrosinistra. Rispetto le sue opinioni e anche le sue scelte, ma temo che Angelino Alfano e il Nuovo centrodestra, se si votasse domattina, si candiderebbero con Matteo Renzi”.
Così l’ex ministro dell’Agricoltura Nunzia De Girolamo in un’ intervista al Corriere della Sera in cui annuncia l’addio al partito.
Sulla possibilità di un rientro in Forza Italia, “adesso per me è il momento di scegliere. Ma è una scelta che non si può fare con la leggerezza con cui si prende un aereo d’estate. Sono nata dentro Forza Italia attaccando i manifesti, e questo non può che avere un peso. Le decisioni più importanti della mia vita le ho sempre prese con il cuore e non facendo il calcolo dei vantaggi personali”, dice De Girolamo.
“Ho parlato in più occasioni, durante pranzi e cene, con Berlusconi. E ho parlato con Matteo Salvini. Il mio obiettivo, adesso, è dare il mio contributo alla ricomposizione del centrodestra”.
Per l’ex ministro, Alfano ha l’obiettivo di “andare nel centrosinistra mettendo insieme tutte quelle forze più disparate che, a vario titolo, si autodefiniscono moderate. Penso a Pier Ferdinando Casini, a Lorenzo Cesa, a Scelta civica Senza dimenticare i tanti che oggi sono pronti a saltare con Renzi e fino a ieri cantavano a squarciagola ‘Meno male che Silvio c’ è’. Non vorrei essere irriguardosa, sia chiaro. Ma a me questo esperimento mi sembra una cosa da ‘Piccolo chimico’”.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 24th, 2015 Riccardo Fucile
IL DOCENTE DELLA LUISS: “AVRA’ UN IMPATTO SULLE ESPORTAZIONI, NE RISENTIREMO”
Dalla Germania all’Italia, tutti i Paesi europei dovranno fare i conti con le ripercussioni della bolla finanziaria cinese. La Germania certamente di più, vista la sua esposizione sul fronte delle esportazioni verso i paesi dell’area extra-euro, ma anche l’Italia.
La pensa così Marcello Messori, economista, direttore della Luiss School of European Political Economy e presidente delle Ferrovie di Stato Italiane.
In un’intervista all’Huffington Post, Messori spiega quali sono le ragioni del Black Monday iniziato a Shanghai e Shenzhen, dove i due principali mercati cinesi hanno trascinato giù gli indici borsistici europei e americani.
Nel Vecchio Continente sono stati bruciati 411 miliardi di euro, Milano da sola ne ha persi 38.
“Il tasso di crescita europeo è stato trainato più dalle esportazioni che non dai consumi interni. Non è un caso che uno dei Paesi più colpiti dal punto di vista borsistico sia stata proprio la Germania, che ha un avanzo di partite correnti estremamente forte rispetto alle aree esterne all’area euro – dice Messori – E questo vale in parte anche per l’Italia. Non saremo lo Stato più colpito, però certamente quel poco di crescita che abbiamo conosciuto e la riduzione della recessione registrata sono entrambe dovute alle esportazioni”.
La crisi finanziaria cinese è la prova definitiva che la locomotiva si è rotta. Perchè?
La locomotiva cinese si è inceppata perchè ha cercato, prima tra le grandi aree economiche mondiali, di passare da una situazione di forte sostegno alla crescita da parte del pubblico – che in questo caso si configurava come un intervento molto accentrato da parte della Banca Centrale cinese controllata dallo Stato – a un rilancio dei consumi interni. Si è fatto, in sintesi, un tentativo di decentramento economico.
Questo passaggio era molto difficile.
Premessa: la caratteristica di essere una economia con forti elementi di dirigismo era un tratto tipico dell’economia cinese che si è accentuato come risposta alla crisi internazionale del 2007-2009. Quelle che erano caratteristiche proprie dell’economia cinese, e quindi una preponderanza degli investimenti con generosi finanziamenti da parte di un settore bancario controllato dallo Stato, si sono ulteriormente accentuate. Gli investimenti sono stati dirottati nel settore delle infrastrutture. L’economia cinese da qualche trimestre ha cercato di porre fine a questo modello molto squilibrato, perchè ci si è resi conto che l’ulteriore accelerazione negli investimenti in infrastrutture stava creando una bolla finanziaria. A questa situazione si è andato ad aggiungere l’allocazione dell’eccesso di risparmio su investimenti finanziari anche azionari.
Quindi la Cina ha provato a rimediare a una situazione di forte squilibrio.
Visto che un processo di crescita dove si producono investimenti per produrre altri investimenti non può durare all’infinito, l’ovvio passaggio era quello di utilizzare la bolla finanziaria per accelerare una forte crescita dei consumi interni. Però, come è abbastanza evidente, questo comportava un difficilissimo passaggio sociale dato che implica un allargamento drastico del ceto medio. Alcuni economisti si sono illusi che questo passaggio, problematico, di specializzazione strutturale fosse molto più agevole da fare. Se ci deve essere un rilancio dei consumi ci deve essere anche una riallocazione delle risorse produttive. Cambia quindi il ruolo della Cina rispetto ai mercati internazionali. E in effetti abbiamo visto un forte riequilibrio nelle partite correnti nella bilancia commerciale cinese.
La mossa Banca Centrale cinese è stata quella di svalutare lo yuan, ma le contromisure non sembrano funzionare. Perchè?
La svalutazione va letta come una presa d’atto che questa transizione da una crescita trainata soltanto dagli investimenti a una crescita sostenuta anche dai consumi interni era molto più problematica di quanto non si pensasse. Le autorità di politica economica cinesi hanno cercato da un lato di decelerare in questo processo di transizione e dall’altro sostenerlo secondo il vecchio modello. La mia tesi è questa: ci si è resi conto di quanto fosse difficile questa transizione anche perchè la crescita Usa non era così brillante come sembrava in un primo momento; e quella europea si è rivelata più debole del previsto. In un contesto internazionale così complicato, con lo spettro di un aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti, le autorità cinese hanno compreso che questa transizione non è così semplice da attuare.
Quindi come va interpretata la mossa del governo cinese?
La svalutazione è un passo indietro per ridare un po’ di fiato all’economia secondo il modello internazionale per poi ripartire su questa transizione che a me appare inevitabile. Se questa transizione riuscisse, segnerebbe il passaggio della Cina da Paese emergente, seppur a tassi di crescita estremamente elevati, a un economia forte tra le aree forti. Ma questo pone degli interrogativi. Di certo dovremmo attenderci un avanti e indietro, come di certo dobbiamo dimenticarci di una Cina che cresce con tassi estremamente elevati.
Quali sono le conseguenze per i Paesi dell’Eurozona?
Certamente l’area dell’euro è colpita dal rallentamento cinese e di quello dei paesi emergenti. Anche se può sembrare strano, il tasso di crescita europeo è stato trainato più dalle esportazioni che non dai consumi interni. E quindi non è un caso che uno dei Paesi più colpiti dal punto di vista borsistico sia stata proprio la Germania, che ha un avanzo di partite correnti estremamente forte nei confronti alle aree esterne all’eurozona. E questo vale in parte anche per l’Italia. Tutti i sistemi economici con una crescita modesta trainata dalle esportazioni rischiano di risentire di questa crisi. Di certo un rilancio dei consumi interni cinesi avrebbe giovato molto a Paesi come la Germania in primis e l’Italia subito dopo. Viceversa, una difficoltà di passare a questo “nuovo” modello è uno schema più problematico. Le do un dato per comprendere: il surplus delle partite correnti dell’area euro nel suo complesso ormai supera il 3 per cento.
In particolare, quindi, per l’Italia quale sarà il contraccolpo?
L’Italia non sarà lo stato membro più colpito perchè, checchè se ne dica, il peso delle esportazioni sull’economia italiana non è così rilevante. Abbiamo un sottoinsieme di imprese molto competitivo sui mercati internazionali ma è molto limitato. Però certamente quel poco di crescita che abbiamo conosciuto e la riduzione della recessione registrata sono entrambe dovute alle esportazioni. E quindi c’è un rischio di un impatto negativo. Ma questo dipenderà molto dalle reazioni di politica economica. Qui la grande incognita è rappresentata dalla Federal Reserve. Se la Fed riterrà che l’impatto di questa possibile decelarazione cinese sia rilevante per il tasso di crescita statunitense, forse potrà posporre ulteriormente l’aumento dei tassi di interesse.
Cosa si aspetta che faccia ora la Fed? Forse non è ancora il momento propizio per rialzare i tassi di interesse…
È molto difficile da valutare. Nel breve termine sarebbe positivo che non rialzi i tassi, sarebbe una spinta alla crescita internazionale e un argine a una possibile recessione. Sul medio e lungo periodo ci sarebbe il rischio di ricreare bolle finanziarie. Questo è il passaggio stretto in cui si trova la Fed: non rialzare troppo presto i tassi rispetto a una congiuntura che all’inizio del 2015 forse era inattesa, ma non ritardarli così tanto da creare una bolla irreversibile.
Invece, per quanto compete alla Banca Centrale Europea?
La Bce sta attuando il QE con molta determinazione. Gli effetti sul piano reale sono meno rilevanti di quanto ci si sarebbe potuto aspettare. Non sottovalutiamo il fatto che le svalutazioni cinesi e gli effetti che hanno avuto sulle prospettive economiche mondiali hanno avuto come conseguenza quello di arrestare il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro. Per i paesi periferici, un euro che si rafforza non è una buona notizia per le esportazioni.
Quali sono le ripercussioni della crisi cinese sul prezzo del petrolio?
In questo momento è difficile stabilire causa ed effetto. In questo contesto internazionale, il prezzo delle materie prime rischiano di subire ulteriori cadute. Anche qui molto dipenderà dall’impatto di medio periodo sull’economia reale. Tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 si era capito che il calo dei prezzi delle materie prime, i tassi di interesse bassi e un euro che si indeboliva fossero elementi che non avrebbero potuto durare per sempre. E all’inizio del 2015 la previsione era di un rafforzamento della crescita a livello internazionale. Adesso invece le aspettative stanno cambiando, e quindi resta la possibilità che si continui a vivere in un mondo con tassi di interesse bassi, con politiche monetarie fortemente espansive, con però difficoltà di crescita reali e quindi con un andamento dei prezzi delle materie prime molto negativo.
Un’ ultima domanda, tornando alla borsa cinese: dobbiamo abituarci a crolli periodici di Shanghai?
La volatilità di mercati come la Cina è abbastanza scontata, e in questo caso è aggravati, se ho ragione nella mia analisi, da questa difficoltà di transizione da un modello a un altro. Gli indizi che si stesse andando verso una bolla finanziaria c’erano ed erano molto forti: dall’ingresso massiccio di piccoli risparmiatori ai molti investimenti a basso rendimento e poco efficaci da un punto di vista economico e sociale, fatti solo per difendere il tasso di crescita dalla crisi internazionale. C’erano le premesse perchè ci fosse una bolla finanziaria che prima o poi scoppiasse. La volatilità mi sembra però un dato connaturato a una transizione così complicata.
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 24th, 2015 Riccardo Fucile
“LE FORZE DELL’ORDINE CONOSCEVANO BENE IL CLAN, IN PASSATO 117 ARRESTI”
Le informazioni sul “funerale show” di Vittorio Casamonica c’erano ma non sono arrivate ai vertici della gestione dell’ordine pubblico di Roma.
A dirlo è stato il prefetto della Capitale, Franco Gabrielli, dopo il comitato per l’ordine e la sicurezza.
“Le informazioni c’erano ma non sono state valorizzate — ha detto Gabrielli — Sia polizia che carabinieri avevano contezza che ci sarebbe stato un funerale del capostipite di una famiglia che nella città ha un rilievo assoluto nell’ambito della criminalità ”.
Al contrario, “se i vertici fossero stati messi nelle condizioni di conoscere le informazioni — ha spiegato — le modalità di svolgimento di questo funerale sarebbero state diverse”.
Gabrielli ha definito la vicenda “gravissima, ma lo sforzo delle forze polizia non è stato vano in questi anni”.
D’altra parte sono stati fatti — aggiunge Gabrielli — “oltre 117 arresti“, quindi “le forze dell’ordine non hanno conosciuto solo ora i Casamonica“.
Intanto è stato emesso il divieto da parte della questura per le celebrazioni in occasione della messa di suffragio richiesta dai Casamonica per il 26 agosto nella parrocchia di San Girolamo Emiliani a Casal Morena, dove Vittorio Casamonica abitava.
Non si può vietare un funerale in un luogo culto — dice il vicequestore Luigi De Angelis — Perciò la cerimonia si dovrà svolgere in forma strettamente privata”. San Girolamo Emiliani è la chiesa in cui furono celebrati i funerali di Enrico De Pedis, detto Renatino, boss della banda della Magliana.
Gabrielli precisa tra l’altro di non aver mai detto che “sarebbero rotolate teste, è stato un fatto grave. Se necessario le teste sarà il ministro a farle rotolare”.
Nel comitato sulla sicurezza e l’ordine pubblico in prefettura Gabrielli ha proposto un “gruppo di raccordo” che “avrà un nuovo modello di controllo del territorio per aree e non per obiettivi”.
Questo perchè “se la gente percepisce insicurezza, dobbiamo porci qualche problema. “Non ci sono rilievi che possa muovere ai vertici delle forze di polizia per quanto accaduto prima. Chiederò di verificare se ci saranno provvedimenti di carattere disciplinare se ci sono state delle mancanze”.
Di certo Gabrielli assicura di non poter dire che il questore ha sbagliato perchè “non è stato in grado di svolgere l’attività , non essendo stato informato”.
Ancora più delicata la questione dell’elicottero.
“Se fosse stato un terrorista sarebbe stato un problema per tutti. Il tema del sorvolo è molto importante ed attiene alla sicurezza nazionale. In una società libera e democratica come la nostra gli ultraleggeri possono muoversi liberamente. Una volta alzati in volo le possibilità di intercettarli sono pari a zero. Questi casi si risolvono solo con attività preventiva di intelligence“.
E nessuna ipotesi “operativa” era praticabile: “Se si fosse alzato in volo un elicottero della polizia o dei carabinieri avrebbe creato turbolenze, una condizione di pericolo per il velivolo e per le persone che stavano sotto. Questi casi — ha ribadito — si risolvono solo con attività preventiva di intelligence”.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 24th, 2015 Riccardo Fucile
“I PROBLEMI VANNO RISOLTI, ALTRO CHE SALVINI”
Un passato nel Movimento Sociale Italiano e in Alleanza Nazionale, oggi ospita 17 profughi.
Lui si chiama Roberto Gabellini, e ha deciso di aprire le porte della sua casa di Ceresolo, sulle colline di Rimini, a 17 richiedenti asilo provenienti da Bangladesh, Etiopia e Ghana.
In cambio riceve dallo Stato oltre duemila euro. Ma dietro la sua decisione, dice, c’è anche una visione politica e civica: “Accogliere chi è in fuga dalla povertà è di destra, dice alle telecamere di Repubblica Tv. Accettare i richiedenti asilo è di destra, anche perchè è un fenomeno che va affrontato”.
E al giornalista che gli fa notare che non è proprio così che la pensa Matteo Salvini, leader della Lega Nord, Gabellini risponde: “Salvini sbaglia, parla solo alla pancia della gente. Ma oggi come oggi non si può parlare solo alla pancia della gente, bisogna risolverli i problemi”.
All’amico personale Roberto non possono che giungere le congratulazioni nostre e dei tanti missini veri che hanno combattuto in nome della giustizia sociale in anni dove i “benpensanti” se ne stavano chiusi nelle loro case dei quartieri bene, mentre ragazzi come noi difendevano gli spazi di libertà del nostro popolo.
Un esempio che ci auguriamo possa far rinsavire quei tanti cazzari sedicenti di destra che vendono valori per una poltrona.
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Agosto 24th, 2015 Riccardo Fucile
IL GOVERNO HA BISOGNO DI SOLDI PER MANTENERE LE PROMESSE DI RENZI: PAGHEREMO NOI
Finite le vacanze? Preoccupati per il ritorno alla routine? State sereni.
Da settembre il nostro premier Matteo Renzi avrà solo un obiettivo: approvare una legge di stabilità per il 2016 che prosegua “nel taglio delle tasse”.
L’ha promesso: via la tassa sulla prima casa, via l’Imu su terreni agricoli e macchinari imbullonati a terra, giù Ires e Irpef, le tasse sui redditi delle società e delle persone fisiche. E chi più ne ha, più ne metta.
Serve solo reperire nei prossimi tre anni una cifra che oscilla tra i 35 e i 45 miliardi di euro; cifra a cui, secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, vanno aggiunti altri 75,4 miliardi entro il 2018 per evitare che scattino le cosiddette clausole di salvaguardia, trappole disseminate nelle norme italiane per tappare i buchi del bilancio dello Stato con aumenti automatici del prelievo fiscale. Bombe ad orologeria.
Per disinnescarle il governo dovrà reperire risorse.
Magari con il taglio della spesa pubblica, più probabilmente con altre tasse, più o meno occulte.
Ma non bisogna essere pessimisti. Basta avere fiducia e resistere alla raffica di aumenti in arrivo.
La prima brutta sorpresa potrebbe celarsi nella prossima bolletta elettrica.
Il caldo africano purtroppo si è tradotto in consumi di energia record tra luglio (+ 13,4% rispetto al 2014) e agosto, dovuti all’uso maggiore dei condizionatori d’aria. Per i soli contratti domestici l’estate torrida potrebbe tradursi in una spesa in più di 8,50 euro a utenza, 170 milioni di euro in tutto, 72 dei quali di sole imposte e oneri che finirebbero nelle casse pubbliche.
La seconda batosta arriverà dalla Tari, la tassa sui rifiuti.
La seconda rata nella maggior parte dei Comuni scadrà a metà settembre, il saldo a metà novembre.
Quest’anno la tariffa media per una casa da 100 metri quadri abitata da tre persone sarà di 299 euro, 15 euro in più rispetto all’anno scorso (+ 5%).
Secondo la Cgia di Mestre, la stessa famiglia per smaltire i propri rifiuti oggi sborsa addirittura il 23,5% in più rispetto a 5 anni fa.
E per le attività commerciali le cose vanno anche peggio: dal 2010 al 2015 + 47% per ristoranti e pizzerie di 200 metri quadri, + 35%per bardi 60 metri quadri, + 23% per negozi di parrucchieri di 70 metri quadri, nonostante la quantità di immondizia prodotta sia complessivamente diminuita e nella maggioranza dei casi il servizio non sia migliorato.
La terza nazzata è nascosta in un comma dell’ultima Finanziaria.
Visto che l’Unione europea ne ha bocciato una parte (la reverse charge per la grande distribuzione), per chiudere il bilancio 2015 mancano all’appello 728 milioni di euro, come per ognuno dei prossimi tre anni.
Dove ripescare questi denari? Nelle tasche degli automobilisti, ovviamente.
Così, se non si trovano soluzioni alternative, il prossimo 30 settembre le accise di benzina, gasolio e gpl potrebbero aumentare di diversi centesimi al litro in un colpo solo.
E considerate che all’erario già versiamo in media più di 1 euro ogni 10 chilometri percorsi in auto.Se oggi la verde costa alla pompa 1,589 euro, solo poco più di 50 centesimi corrispondono al prezzo del prodotto: quasi 73 centesimi sono accise, mentre circa 35 centesimi sono Iva.
Anche per questo il crollo del prezzo del petrolio non si traduce mai in un risparmio per il consumatore.
Ma i pericoli per il nostro portafoglio non sono finiti.
Il prossimo 30 settembre è anche l’ultimo giorno utile per presentare la richiesta dell’ennesimo condono fiscale,molto graziosamente chiamato voluntary disclosure. Da lì dovrebbero uscire 2 miliardi e 684 milioni di euro da spalmare in 4 anni.
Una somma difficile da raggiungere, tanto che già si parla di una probabile proroga della scadenza.
Che succede se si recupera meno del previsto?
Con un decreto d’urgenza bisognerà aumentare gli acconti Ires e Irpef 2015, le stesse voci che Renzi vorrebbe diminuire,e ritoccare ancora una volta le accise sui carburanti a partire dal primo gennaio 2016.
Barbara Cataldi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 24th, 2015 Riccardo Fucile
DA 25 ANNI OGNI MESE UN MUNICIPIO VIENE COMMISSARIATO PER INFILTRAZIONI MAFIOSE
Una legge tutta da rifare? A quasi un quarto di secolo dall’entrata in vigore della norma sullo scioglimento dei comuni infiltrati dalla mafia, politica, società civile, associazioni antimafia si interrogano oggi se lo strumento dello scioglimento sia ancora attuale ed efficace.
O se non sia meglio cambiarlo o modificarlo.
A proposito del caso Roma, su cui il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha promesso un pronunciamento del Viminale per il 27 agosto, è lo stesso presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, del resto, a invocare addirittura un decreto legge che introduca strumenti ad hoc per affrontare le difficoltà di Comuni molto grandi.
“Bisogna individuare una terza via – dice Bindi – fra scioglimento o non scioglimento, e potrebbe essere un tutoraggio dello Stato, un’assistenza verso l’ente “parzialmente infiltrato”, senza che questo debba essere commissariato o debba perdere la guida politica”.
“È importante dunque anzitutto intervenire sulle norme in materia di scioglimento – sottolinea il presidente dell’Antimafia – alla luce di un’esigenza che ha avvertito lo stesso governo presentando un disegno di legge che è attualmente pendente al Senato in attesa di approvazione”.
Per capire cosa stia accadendo, è necessario fare un po’ di storia.
La legge 221 nacque nel 1991 da una situazione di emergenza, come risposta alla decapitazione avvenuta a Taurianova di un affiliato alla ‘ndrangheta la cui testa fu lanciata in aria e fatta oggetto di un macabro tiro al bersaglio a pistolettate. La norma doveva avere valore preventivo, affidando al ministero dell’Interno il potere di sciogliere i Comuni in modo autonomo e svincolato dalle indagini della magistratura, lunghe e complesse.
Da allora i governi hanno utilizzato questo strumento antimafia in modo altalentante, con una forte discrezionalità politica.
Quasi mai sono intervenuti in via preventiva, quasi sempre hanno applicato la legge in seguito a indagini penali, snaturandone così il marchio di fabbrica.
Hanno sciolto 258 amministrazioni locali e cinque Aziende sanitarie.
Otto comuni hanno il record dei tre scioglimenti: Casal di Principe, Casapesenna, Grazzanise, Melito di Porto Salvo, Misilmeri, Roccaforte del Greco, San Cipriano d’Aversa e Taurianova.
Trentotto sono stati commissariati invece due volte.
Nel 2012 per la prima volta è stato sciolto invece un capoluogo di provincia importante come Reggio Calabria.
Al Centro Nord gli scioglimenti sono più rari: pochissimi in Piemonte, uno, a Sedriano, in Lombardia, anche se secondo alcuni esperti non era quello più “infiltrato” dalla ‘ndrangheta.
Quest’anno, poi, il prefetto di Reggio Emilia ha nominato la commissione per effettuare l’accesso nel comune di Brescello, il primo passo di una lunga procedura che deve valutare l’eventuale presenza di infiltrazioni mafiose nell’amministrazione comunale, un’anteprima assoluta in Emilia Romagna, quella che dal Dopoguerra in poi è sempre stata considerata la patria del buongoverno.
E sempre quest’anno, per la prima volta “un accesso”, come viene detto in gergo burocratico, ha riguardato Roma, la Capitale.
Sotto le scure della legge non è mai caduto invece un Consiglio provinciale e allo stesso modo sono passati indenni anche i cosiddetti “enti terzi”, come le società partecipate che, invece, sono sempre più strumenti di effettivo governo del territorio e, dunque, oggetto degli appetiti mafiosi.
Ma i criteri di scioglimento non sono sempre stati gli stessi.
I governi tecnici degli anni Novanta, così come quelli del Duemila, non avendo interessi e finalità elettorali da tutelare, hanno fatto il massimo ricorso alla legge senza guardare al colore politico delle amministrazioni infiltrate: nel triennio 1991-94 gli scioglimenti sono stati in media 30 l’anno, 36 in 17 mesi con il solo governo Monti. Ma quando al potere vanno i politici, le cose cambiano e lo scioglimento passa, se così si può dire, da strumento, a strumentale. Strumentale per “tutelare” i Comuni del proprio colore e per prendere di mira quelli di colore opposto.
È il sociologo Vittorio Mete (autore del volume “Fuori dal Comune. Lo scioglimento delle amministrazioni locali per infiltrazioni mafiose”, Bonanno, 2009), a scoprire nei suoi studi questo singolare aspetto.
“I governi di centrodestra e di centrosinistra – ricostruisce – sembrano comportarsi in maniera non troppo dissimile: essi tendono a sciogliere più frequentemente (quelli di centro-destra ancor più di quelli di centro-sinistra) le amministrazioni locali di opposto colore politico”.
Gli scioglimenti, dunque (quanti, quali, dove) ci parlano certamente della mafia, ma ci parlano, anche, di come funzionano lo Stato e l’apparato dell’antimafia.
E di come lo strumento sia al contempo strumento di contrasto alla mafia e strumento di lotta politica.
Gli scioglimenti, infatti, dovrebbero rispondere a una sola logica: “Se le mafie condizionano o minacciano di condizionare un comune – spiega Mete – l’amministrazione comunale va sciolta. In caso contrario, no”.
Purtroppo, questi 25 anni di applicazione della legge ci raccontano una storia diversa fatta, per dirla con le parole di Raffaele Cantone, il magistrato a capo dell’Autorità nazionale anticorruzione, “di estenuanti ‘mediazioni’ politiche sugli scioglimenti”.
Il riferimento, esplicito, è al caso del comune di Fondi, nel basso Lazio.
Il municipio, amministrato dal Pdl e infiltrato da camorra, ‘ndrangheta e mafia, il cui scioglimento fu chiesto per due volte nel 2009 dall’allora responsabile del Viminale Roberto Maroni (Lega) con la seguente motivazione: “Il Comune di Fondi presenta forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata tali da compromettere il buon andamento dell’amministrazione, con grave e perdurante pregiudizio per lo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica. Emergono significative circostanze di vicinanza e contiguità al sodalizio in relazione al sindaco, a diversi esponenti della giunta. La presenza e l’estensione dell’influenza criminale rende necessario il commissariamento per 18 mesi”. Nonostante ciò, Fondi fu salvato per due volte dal Consiglio dei ministri del governo Berlusconi. La maggioranza del consiglio comunale, approfittando del mancato intervento del governo, si dimise in massa, evitando i 18 mesi di commissariamento.
Il ministro dell’Interno leghista avallò l’escamotage senza batter ciglio.
Il comune andò subito al voto e il Pdl, con quasi tutti gli stessi amministratori oggetto dello scioglimento (alcuni dei quali riconfermati assessori), tornò al governo del comune con il 65 per cento dei voti. Il sindaco che guidava l’amministrazione collusa, Luigi Parisella, fu poi eletto in consiglio provinciale.
Bruno Frattasi, il prefetto di Latina che aveva chiesto lo scioglimento, fu oggetto di pesanti intimidazioni da parte dei vertici locali del Pdl: fu definito “pezzo deviato dello Stato” dall’ex presidente della Provincia di Latina, Armando Cusani.
E il senatore Claudio Fazzone (ex Pdl, ora Fi), plenipotenziario di Berlusconi nel Pontino, minacciò di querelarlo, difese a spada tratta l’amministrazione infiltrata e invocò contro il prefetto addirittura l’apertura di una commissione parlamentare d’inchiesta. Fazzone, più volte citato nella relazione di Frattasi (in quanto socio del sindaco Parisella e di tal Luigi Peppe, “il cui fratello risultava in rapporti certi con una famiglia”), è attualmente componente della Commissione Antimafia che si sta occupando proprio di scioglimenti di consigli comunali.
L’allora segretario Pd di Fondi, Bruno Fiore, infine, che si oppose con tutte le sue forze al mancato commissariamento, fu oggetto di un attentato intimidatorio fortunatamente fallito.
Insomma, il caso Fondi ha segnato uno spartiacque, un precedente assoluto e gravissimo, ha profondamente segnato, e minato la credibilità della legge, perchè in quel caso lo Stato s’è arreso di fronte alla criminalità .
“E ora è a rischio – commenta l’avvocato Francesco Fusco, del comitato antimafia di Fondi – l’intero funzionamento degli anticorpi normativi ed esecutivi contro la mafia. Qualunque comune colluso con la mafia ricorrerà alle dimissioni per potersi ripresentare, ripulito, e più in forze di prima”.
Il dibattito sulla bontà della legge resta dunque aperto, ma, secondo Mete, il quadro va allargato ulteriormente. “L’analisi di alcune vicende – spiega il sociologo – fa emergere un altro aspetto, solitamente poco discusso: in molti casi di scioglimento per mafia il principale problema che pregiudica il buon andamento dell’attività amministrativa dell’ente locale non è quello mafioso”.
“Lo dichiara apertamente – aggiunge Mete – l’attuale Capo della Polizia che, in qualità di prefetto di Napoli, e riferendosi alla situazione campana, scrisse: ‘Anche nei Comuni sciolti per infiltrazione camorrista, il tasso di condizionamento camorrista è sempre inferiore rispetto a quello dell’illegalità non connessa al crimine organizzato. Insomma, sembra prevalere un bieco clientelismo finalizzato in via esclusiva ad alimentare un sistema affaristico imprenditoriale di natura parassitaria, rispetto al condizionamento o alla collusione con le cosche che operano sul territorio'”.
Siamo sicuri, allora, che per risolvere i problemi delle collusioni mafiose nei Comuni basti una ennesima modifica della legge?
Inseguire una nuova riforma normativa non è forse un alibi della politica per non affrontare il vero problema, che è il funzionamento della democrazia a livello locale in ampi territori del Paese?
Alberto Custodero
(da “L’Espresso”)
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Agosto 24th, 2015 Riccardo Fucile
“LA COMPETENZA E’ DELL’AJA”… L’ITALIA SPERAVA DIVERSAMENTE
Il caso dei due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre non è di competenza nè dell’Italia, nè tanto meno dell’India, perchè giudicare nel merito “sarà compito dell’arbitrato internazionale all’Aja“.
Il Tribunale internazionale del Diritto del Mare di Amburgo (Itlos), chiamato a decidere sulla vicenda che coinvolge i due fucilieri di Marina, accusati di avere ucciso due pescatori indiani, ha stabilito — con 15 voti a favore e 6 contrari — che i due Paesi “devono sospendere ogni iniziativa giudiziaria in essere e non intraprenderne di nuove che possano aggravare la disputa“. Inoltre la corte ha deciso di non assumere nessuna misura temporanea in attesa della conclusione dell’iter giudiziario, perchè “questo toccherebbe questioni legate appunto al merito del caso”.
L’Italia aveva infatti chiesto di consentire il rientro di Girone dall’India — che invece vi rimarrà — e la permanenza di Latorre in Italia come misura temporanea.
Una decisione che non rispecchia quanto avrebbe voluto l’Italia per il ministro Graziano Delrio.
“L’Italia sperava diversamente — ha detto dal meeting di Rimini — Avevamo chiesto altre cose, la sentenza non va nella direzione che avevamo richiesto. Il governo — ha concluso — non può fare altro che prenderne atto, poi si decideranno ulteriori passi da parte del presidente del Consiglio e dei ministri competenti”.
Nel leggere la sentenza, il presidente dell’Itlos ha sottolineato che il Tribunale è consapevole sia del dolore delle famiglie dei pescatori indiani uccisi, sia delle conseguenze che le restrizioni comportano per i marò, aggiungendo dunque che le decisioni della Corte “non devono in nessun modo essere interpretate come un modo di appoggiare rivendicazioni di una delle due parti”.
In aula erano presenti per l’Italia, a nome del governo, l’ambasciatore all’Aja, Francesco Azzarello e il capo del team legale Sir Daniel Betlehem; per l’India, invece, il rappresentante del governo Neeru Chadha e l’avvocato francese Alain Pellet, a capo del team legale indiano.
Azzarello, a seguito del verdetto, si è detto deluso per la mancata adozione di misure per Girone e Latorre ma anche parzialmente soddisfatto perchè “la misura oggi prescritta tutela in parte i diritti italiani sul caso dell’Enrica Lexie“.
Ha comunque annunciato l’intenzione di “rinnovare le richieste relative alla condizione dei fucilieri davanti alla Corte arbitrale”.
“Il Tribunale di Amburgo — ha detto — ha oggi ordinato che l’India e l’Italia si astengano dall’esercizio di qualsiasi forma di giurisdizione sui due Fucilieri di Marina, nell’attesa di una determinazione definitiva del caso da parte della Corte arbitrale, che è in via di costituzione. Nel fare ciò — ha proseguito Azzarello — il Tribunale ha riconosciuto la piena legittimazione e competenza della Corte arbitrale sulla vicenda”.
“L’Italia sperava diversamente. Avevamo chiesto altre cose, la sentenza non va nella direzione che avevamo richiesto”, ha commentato il ministro Graziano Delrio al Meeting di Cl.
“Il governo non può fare altro che prenderne atto, poi si decideranno ulteriori passi da parte del presidente del Consiglio e dei ministri competenti”, ha aggiunto.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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