Ottobre 31st, 2015 Riccardo Fucile
ALTRO CHE 2 MILIARDI DI INTROITI ANNUNCIATI DAL PREMIER: LE BANCHE SVIZZERE NON POSSONO CHIEDERE AI CLIENTI SE SONO IN REGOLA CON IL FISCO ITALIANO PRIMA DI CONSENTIRE IL PRELIEVO
Il governo italiano, stando alla legge di Stabilità , punta a ricavare almeno 2 miliardi di euro dall’operazione di rientro dei capitali nascosti all’estero.
Il Tribunale federale ha però stabilito che i contribuenti italiani potranno prelevare liberamente soldi dai loro conti nella Repubblica elvetica, anche se non dichiarati al fisco della Penisola.
Una decisione giurisprudenziale che va in direzione opposta a quanto dichiarato dal governo italiano.
Ora la Corte suprema elvetica ha sancito che i clienti italiani hanno diritto a ritirare e trasferire altrove i propri soldi a piacimento.
Gli istituti, dunque, non possono che opporsi chiedendo che prima dimostrino di aver dichiarato il dovuto alle Entrate.
A marzo il Tribunale d’Appello aveva accolto il ricorso di un cittadino italiano che, dopo il via libera del Parlamento italiano alla legge sulla voluntary disclosure, si era visto bloccare i conti dalla filiale di Lugano di Bnp Paribas.
Il cliente ha impugnato la decisione, che l’istituto aveva motivato con il sospetto che non fosse in regola con le Entrate.
I giudici gli hanno dato ragione, sentenziando che per opporsi al prelievo l’istituto avrebbe dovuto dimostrare concretamente il rischio di vedersi accusare di concorso nel reato di autoriciclaggio.
A quel punto la banca si è rivolta al tribunale federale.
E ora il rischio evidente che in Italia rientrino solo gli spiccioli.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 31st, 2015 Riccardo Fucile
I TEMPI PER LA SCELTA DEL CANDIDATO, APERTA ALLA SOCIETA’ CIVILE, SARANNO DILATATI
Un candidato per vincere: il messaggio è chiaro, ma la strada è ancora lunga. E le suggestioni sono diverse.
La partita dei Cinque Stelle per il Campidoglio sta per aprirsi.
Il blitz romano di Gianroberto Casaleggio e il successivo summit dello stratega con Beppe Grillo sono serviti per mettere a punto la strategia. Anzitutto, nessuna ansia. I tempi di selezione saranno dilatati.
«Il confronto sarà allargato quanto più possibile: non solo gli attivisti duri e puri, ma anche altre facce», dicono nel Movimento.
Tradotto: gli incontri con gli attivisti per selezionare il candidato sindaco avranno più fasi e difficilmente si concluderanno, come previsto inizialmente, entro dicembre
L’altro punto fermo è che non ci sarà nessun homo novus in lizza: «Il candidato sarà scelto tra chi fa parte del Movimento», spiegano esponenti pentastellati.
Ma le maglie saranno molto più larghe.
Un modo per attrarre le attenzioni (e i voti) anche della cosiddetta società civile, verso cui ci sarebbero spiragli e aperture.
C’è chi si lascia sfuggire anche qualche indizio sull’identikit del possibile candidato: «Una figura di alto profilo, forse un avvocato o un giudice, che sia apprezzato dalla base, non abbia problemi a superare delle selezioni e offra una immagine di garanzia e solidità ».
L’identikit è quello di Ferdinando Imposimato, vincitore delle «Quirinarie», spesso in prima fila nelle battaglie dei Cinque Stelle.
La scelta, però, non è così scontata, le sensibilità all’interno della galassia M5S sono molteplici: non è ancora tramontata l’ipotesi di indicare la consigliera uscente Virginia Raggi e non è neppure esclusa una «sorpresa» da svelare al momento dei primi incontri tra meet up
Intanto, sui social network e sul blog, Grillo dà il via alla campagna elettorale.
Prima posta l’immagine di un sondaggio che dà i Cinque Stelle al 33% a Roma, poi – in un intervento successivo – punge: «Una domanda per il Pd: quando si vota a Roma?».
Il tema Comuni e comunali rimane preponderante: Roberto Fico annuncia via Facebook che il comune di Quarto, il primo amministrato dal M5S in Campania, uscirà dall’Anci, l’associazione nazionale comuni italiani.
Il deputato campano – spiegando le motivazioni della scelta – punta l’indice sulla «reale convenienza e opportunità di restare a far parte di un’associazione che dal 2011, cioè dopo l’accordo concluso dalla precedente giunta, a Quarto non ha prodotto alcun progetto utile, alcun servizio e alcun ritorno economico tangibile per la comunità ».
Altri enti guidati dai pentastellati sarebbero in procinto di seguire le orme di Quarto. Non tutti però. Alcuni, come Parma, sono propensi a rimanere all’interno dell’Anci. Intanto, sul fronte sindaci, si continua a lavorare per il summit degli amministratori locali saltato in estate e rimandato, e poi rinviato ancora, alla kermesse di Imola.
Al confronto prenderà parte Luigi Di Maio, che ha il ruolo di referente per gli enti locali ed è in realtà il «mediatore» tra le diverse anime.
L’appuntamento dovrebbe tenersi a Roma, la data ipotizzata al momento è quella del 12 dicembre.
Emanuele Buzzi
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 31st, 2015 Riccardo Fucile
IL PRIMO CITTADINO ACCUSATO DI AVER USATO IL VEICOLO DELLA P.A. PER I SUOI SPOSTAMENTI PRIVATI
Il sindaco Pd di Predappio (Forlì) è indagato per peculato.
Secondo quanto riportato dalla stampa locale, il primo cittadino Giorgio Frassineti è accusato di aver usato la macchina del Comune non solo per motivi di lavoro.
Il fascicolo è sul tavolo del procuratore capo di Forlì.
Il sindaco, cui è stata notificato l’avviso di chiusura delle indagini, avviate da un esposto anonimo, si è detto “sereno” parlando di un uso del mezzo solo per fini istituzionali.
Al primo cittadino viene contestato l’uso della Fiat Punto comunale per motivi personali e non solo lavorativi.
Il veicolo che dovrebbe servire per tutti gli spostamenti dell’amministrazione sarebbe stato usato esclusivamente per gli impegni (anche quelli privati) di Frassineti. L’indagine riguarda anche l’uso dei buoni benzina del Comune.
Il sindaco renziano è stato eletto a maggio 2014 e amministra la città da 6mila abitanti, patria natale di Benito Mussolini e che ancora oggi è meta di pellegrinaggio dei nostalgici del Ventennio fascista.
Poche settimane fa il primo cittadino è riuscito a ottenere la cessione della Casa del Fascio dallo Stato e ha presentato il piano di riqualificazione dell’edificio.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 31st, 2015 Riccardo Fucile
500 EURO A TESTA IN DUE GIORNI… E UNO DEI SOCI E’ IL SEN. ANDREA MARCUCCI… 178 MANAGER DELLA SANITA’ MANDATI “AD AMALGAMARSI” A SPESE DEI CONTRIBUENTI A “IL CIOCCO” DI LUCCA
“Sperpero di denaro pubblico”, “conflitti d’interesse”, “regalo ai renziani”: le opposizioni accusano Asl e Regione Toscana perchè il resort Il Ciocco, a Barga di Lucca, che ha ospitato il summit dei 178 dirigenti di diverse aziende sanitarie è legato al senatore Pd (e renzianissimo) Andrea Marcucci.
Costo complessivo 93mila euro per 36 ore in due giorni.
La lussuosa struttura è di proprietà della Shaner Ciocco Srl, società di cui il renziano è socio di minoranza: “Non ho alcun incarico gestionale o operativo legato al resort — controbatte il senatore democratico a ilFattoQuotidiano.it — e del corso delle Asl toscane non ne sapevo nulla”.
A rispedire al mittente le accuse è anche il commissario della nascitura Asl Toscana Centro Paolo Morello, organizzatore dell’evento: “Ma quale regalo, non sapevo affatto che la struttura fosse legata a Marcucci: oltretutto il senatore non lo conosco neanche. Abbiamo contattato varie strutture: solo il Ciocco aveva i requisiti giusti”.
Scatenate, però, le opposizioni: “Verificare a fondo ogni spesa, se emergeranno sprechi o distorsioni nell’uso delle risorse delle aziende sanitarie la Regione dovrà prenderà provvedimenti”.
Secondo quanto si apprende l’assessore regionale Stefania Saccardi ha avviato un’indagine: “Valuteremo tutte le spese sostenute e gli effetti formativi sui dirigenti, poi decideremo”.
Le polemiche sul progetto formativo “Realizziamo la nostra azienda” voluto da Morello per far “amalgamare” i dirigenti delle 4 Asl (Firenze, Pistoia, Prato e Empoli) in vista della nascita della Asl Toscana Centro non accennano perciò a placarsi.
“Il progetto complessivo in favore dei dirigenti delle 4 Asl — spiega Morello — è costato circa 93mila euro. L’Asl di Firenze da sola ne ha spesi 33mila”.
La spesa per ciascun dirigente si è perciò attestata intorno ai 500 euro. Secondo quanto risulta a ilfatto.it il resort è di proprietà della Shaner Ciocco Srl (60% l’americana Shaner Italia e 40% Sestant): il senatore risulta consigliere delegato della Sestant (ne detiene il 17%, come risulta dalla dichiarazione patrimoniale 2013 e siede insieme alla sorella Marialina nel cda della Shaner Ciocco in quanto socio di minoranza.
Marcucci precisa però che “il management dell’hotel afferisce al partner americano” e che egli stesso è membro del cda “in rappresentanza della minoranza, senza avere alcuna delega“.
Poi aggiunge: “Ovviamente non sapevo nulla del corso delle Asl toscane, come di altri clienti della struttura”.
C’è stato un bando per selezionare la struttura? “No, abbiamo però contattato diverse strutture. Cercavamo un posto in grado di garantire 200 camere e una sala da altrettanti posti a sedere, una decina di salette per lavori di gruppo differenziati e ambienti all’aperto per attività formativa”.
David Evangelisti
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 31st, 2015 Riccardo Fucile
IL BUIO OLTRE LE CODE: IL BOOM FINALE NON COPRE NE’ I DEBITI NE’ LE PREVISIONI SBALLATE
“Alla fin della fiera l’obiettivo è stato raggiunto, alla faccia di gufi e disfattisti: Expo chiude i battenti con oltre 20 milioni di ingressi. Un trionfo, almeno per il commissario Sala, che ha la strada spianata per Palazzo Marino, per il governo Renzi e la sua retorica dell’Italia che funziona, e per il gigantesco apparato mediatico mobilitato fin dall’inizio, a suon di milioni, in una delle più straordinarie operazioni di propaganda e manipolazione dell’opinione pubblica che si ricordino.
Restano però in sospeso due domande: i numeri testimoniano un successo? E, soprattutto, alla fine chi paga?
Il successo di un grande “camouflage”
Se al di là della fanfara celebrativa si guardano i fatti, l’Expo universale di Milano ha registrato ingressi contenuti, chiude con un disastroso buco di bilancio, non ha rilanciato l’economia e lascia dietro di sè uno strascico di problemi irrisolti.
Quello milanese è stato il peggior Expo degli ultimi 50 anni. Tolti i quasi 14 mila addetti che ogni giorno si sono avvicendati nel sito, su cui i comunicati di Expo sorvolano, e la ridicola mistificazione per cui si considerano le code da sfinimento un indice di successo e non di disorganizzazione, l’esposizione milanese chiude con 18 milioni di visitatori.
È la stessa cifra registrata dall’Expo di Hannover 2000, ricordato come “il flop del millennio”.
Per fare peggio di così bisogna andare all’Expo di Seattle del 1962, con 9 milioni di visite.
Ma il problema non è quello del flusso di visitatori. È che per evitare un flop colossale, il management dell’Expo ha spinto sui numeri dei tornelli a scapito del conto economico, che già partiva appesantito da malaffare, clientelismi, inefficienze. La festa coi soldi degli altri
Il risultato è che la manifestazione peserà sui contribuenti per più di un miliardo di euro. Expo è costata, finora , 2,4 miliardi di euro: 1,3 miliardi per la costruzione del sito; 960 milioni per la gestione dell’evento (840 milioni secondo Expo, ma è un conteggio basato su magheggi contabili già censurati dalla Corte dei conti) e 160 per l’acquisto dei terreni, pagati — giusto per ricordare come è partita l’operazione — dieci volte il prezzo di mercato.
I dati sulla spesa sono provvisori, visto che sono in corso i contenziosi per gli extracosti chiesti da tutte le principali imprese che hanno lavorato sul sito: solo per il Padiglione Italia, prima trattativa conclusa, ammontano a 29 milioni.
Ed è di questi giorni la notizia che per la bonifica dell’area, rivelatasi gravemente inquinata solo dopo che era stata comprata a peso d’oro, c’è un conto da 72 milioni. La faccenda ha dato l’avvio a un tragicomico balletto in cui Expo spa, Arexpo (proprietaria dei terreni) e gli ex proprietari (tra cui la Fondazione Fiera Milano, che però è anche socia di Arexpo) si rimpallano le responsabilità , in uno scaricabarile in cui non è difficile immaginare su chi ricadranno, ancora una volta, i costi.
Storia di una voragine finanziaria
I costi di gestione dell’Expo si sarebbero dovuti pareggiare, secondo le dichiarazioni di Sala, con i ricavi da biglietti più quelli da sponsorizzazioni, royalties e via dicendo. Il pareggio si sarebbe raggiunto vendendo 24 milioni di biglietti a un prezzo medio di 22 euro e ricavando circa 300 milioni dalle altre voci.
Visti gli scarsi afflussi iniziali, tali che la società si è rifiutata per i primi tre mesi di fornire dati, in estate è stato offerto al volo un nuovo conteggio: sarebbero bastati 20 milioni di biglietti a 19 euro di costo medio; il resto lo avrebbero fatto i ricavi diversi, aumentati chissà come.
Già così, si sarebbe chiuso con un deficit di gestione da 200 milioni di euro. Il problema è che per arrivare ai 20 milioni di ingressi promessi, con annessi titoloni di giornali, si è messa in campo una politica di omaggi e prezi stracciati . Sconti da saldo alle scolaresche, praticamente precettate dal ministero, ai dipendenti delle aziende sponsor, alle parrocchie, alle coop, agli ordini professonali e a qualsiasi organizzazione che potesse portare a Rho flussi consistenti.
Biglietti a 5 euro dopo le 18, ingressi regalati ai pensionati, ai titolari di bassi redditi, a chi parcheggiava per la visita serale nelle aree di sosta del sito.
Il rivenditore ufficiale della manifestazione nelle ultime settimane faceva il 70 per cento di sconto.
Expo, pur sollecitata da questo giornale, non fornisce alcun dato sul prezzo medio di vendita: ma non ci vuol molto a capire che sarà molto inferiore alla soglia di 19 euro. Vale a dire che il deficit di gestione sarà ben maggiore dei 200 milioni previsti. Volano e fantasia
La retorica con cui si cerca di mascherare la perditaa economica è soprattutto quella sull’“indotto” e sull’eredità à dell’Expo; ritorni economici che giustificherebbero gli 1,3 miliardi d’investimento a fondo perduto nel sito.
Qui si entra direttamente nel campo della fantasia. Gli studi con cui si cerca di far passare Expo per un volano economico sono quelli preparati da un gruppo di accademici della Bocconi finanziato da Expo.
Si parla di 3,5 miliardi di spesa complessiva dei visitatori, tali da generare, per l’effetto moltiplicatore (per cui ogni euro speso genera ulteriori spese a cascata), una produzione aggiuntiva per il Paese da 10 a 30 miliardi e 191 mila nuovi occupati l’anno dal 2012 al 2020, con un picco tra il 2013 e il 2015.
È l’apoteosi del moltiplicatore economico, un campo dei miracoli dove per ogni euro sotterrato se ne ritrovano 3, o anche 10.
Solo che la stima ignora il costo delle risorse usate, in termini di tasse o tagli ad altre voci del bilancio pubblico.
Qualsiasi investimento valutato in quel modo darebbe un risultato positivo.
Per Carlo Scarpa, ordinario di Economia all’Università di Brescia, esperto di infrastrutture, “qualche effetto moltiplicatore la spesa generata da Expo ce l’avrà , ma stimarlo è pura fantasia. Inoltre, un conto è costruire infrastrutture che restano, un altro è un investimento di pura edilizia, come l’Expo, che dopo sei mesi chiude”.
Sui mirabolanti effetti occupazionali, basti dire che nel 2013, nel 2014 e fino al primo semestre 2015 (ultimi dati Istat disponibili) gli occupati in Lombardia sono stati in calo.
Alla ricerca dei cinesi perduti
L’arrivo di turisti stranieri è stato al di sotto delle previsioni. Secondo uno studio dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, coordinato da Jèrà’me Massiani, i risultati preliminari indicano una quota del 16 per cento di stranieri (soprattutto francesi e svizzeri) contro il 25 per cento previsto.
All’Expo sono andati soprattutto i lombardi (quasi il 40 per cento dei visitatori), mentre i non europei, compreso l’atteso milione di cinesi, hanno raggiunto quote irrisorie.
Peccato, perchè la spesa degli stranieri è quella che determina il saldo positivo per il Paese creato da Expo.
A patto che, fa notare Massiani, “nei benefici per l’economia sia contabilizzata solo la componente addizionale della spesa dei turisti”. Vale a dire quella di coloro che non sarebbero venuti in Italia se non ci fosse stata l’esposizione.
Per gli esercenti milanesi e lombardi non sembra proprio che Expo sia stata una manna. Qualcuno certo ci ha guadagnato, ma per molti, come i locali del centro di Milano che hanno visto la movida serale trasferita a Rho, l’effetto è stato quello di un boomerang.
Gli ultimi a manifestare la propria delusione, questa settimana, sono stati i commercianti bresciani: “Qui si perdono quattro imprese al giorno”, ha scritto un report di Confesercenti, “Expo a Brescia non si è proprio fatto sentire”.
Carta di Milano, fiera di buoni propositi
Dovrebbe essere il grande lascito morale di Expo. Sembra invece più che altro un esercizio d’ipocrisia.
La Carta di Milano raccoglie indicazioni per risolvere i problemi mondiali dell’alimentazione, della produzione di cibo, della fame del mondo. Firmata da tutti i capi di Stato, ministri, politici, funzionari, delegati passati da Expo e da milioni di cittadini, è stata consegnata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella al segretario dell’Onu Ban Ki-moon.
Peccato che non sia altro che un elenco di buone intenzioni, senza vincoli nè verifiche, destinata a restare lettera morta una volta spenti i riflettori sull’Expo.
Nata negli uffici della multinazionale alimentare Barilla, è stata bocciata dalle più importanti organizzazioni non governative.
“Abbiamo partecipato ai lavori preparatori, ma abbiamo deciso di non firmarla perchè non tocca alcuni nodi: la proprietà dei semi, l’acqua come bene comune, i cambiamenti climatici”, ha dichiarato Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia, l’organizzazione fondata da Carlin Petrini, che aggiunge: “Non prevede impegni concreti per governi e multinazionali, è generica, tra i firmatari ci sono anche alcune multinazionali e capisco che il governo italiano non abbia potuto osare di più”. Oxfam, network internazionale di organizzazioni non governative attive in 17 Paesi, l’ha definita “lacunosa” su temi fondamentali come le politiche per l’agricoltura contadina, la speculazione finanziaria sulle materie prime alimentari, l’espropriazione delle terre e il consumo di suolo agricolo”.
Il giudizio più duro arriva però da Caritas Internationalis: “È una carta scritta dai ricchi per i ricchi”, dichiara il segretario generale Michel Roy, “un testo parziale, per i destinatari e i contenuti. Non si sente la voce dei poveri del mondo, nè di quelli del Nord, nè di quelli del Sud”.
Perchè “indica un problema — la fame nel mondo — tutto sommato noto, ma non mette a fuoco le cause e quindi le soluzioni”, ha continuato Roy.
“Contiene una nobile e giusta esortazione a evitare gli sprechi, ma non parla di speculazione finanziaria, accaparramento delle terre, diffusione degli ogm, perdita della biodiversità , clima, speculazioni finanziarie sul cibo, acqua, desertificazione e biocombustibili”.
Aggiunge Luciano Gualzetti, vicedirettore di Caritas Ambrosiana e vicecommissario del padiglione della Santa Sede: “Siamo stati chiamati a partecipare alla sua stesura, ma dobbiamo constatare che il risultato non ha tenuto conto dei nostri suggerimenti, probabilmente per salvaguardare certi equilibri”.
Gianno Barbacetto e Marco Maroni
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 31st, 2015 Riccardo Fucile
L’INTERVISTA A BERLUSCONI (CHE PENSA A SCARONI PER MILANO) E LE BIZZE DELLA “METODOLOGA”
“Il nostro candidato a Roma sarà Alfio Marchini. Lui comunque si candida, proporre un nostro nome alternativo porterebbe a una sconfitta certa. Anche a Milano abbiamo individuato una figura fuori dalla politica, di alto profilo, l’ho proposta a Salvini e mi sembra d’accordo. Lo presenteremo a giorni”.
E poi l’Italicum “che Renzi cambierà “, il tifo per la Clinton, il dispiacere procurato dalla biografia di Friedman, le unioni civili lasciate alla libertà di coscienza.
Silvio Berlusconi sembra tornato il fiume in piena di un tempo, in palla, siede nel salottino privee della terrazza di un grande albergo romano, Mariarosaria Rossi sempre presente, Licia Ronzulli a fargli da ombra.
È la festa dei 40 anni di Nunzia De Girolamo, rientrata dall’Ncd ma mai allontanatasi realmente dal Cavaliere, e lui mai se la sarebbe persa.
Anche a costo di presentarsi senza Francesca Pascale (le due non si prendono) e ripetere un paio di volte la battuta “sono tornato single, ora cerco un miliardario per un matrimonio o una unione civile”.
Nunzia è entusiasta per l’ospite d’onore, al polso il bracciale con cinque giri di perle tenuti da quattro strisce di diamanti, che le ha appena regalato.
Il marito Francesco Boccia, deputato Pd, lo saluta, poi resta di là , a parlare con Nico Stumpo, altro invitato, minoranza dem.
Carfagna, Biancofiore, Bernini, ma non c’è un solo alfaniano.
Andrà dunque alla manifestazione leghista dell’8?
“Vado, il centrodestra deve essere unito. Anche perchè Salvini fa queste fughe in avanti… È bene stargli accanto, non farlo fuggire”.
Si sono sentiti mercoledì per concordare i dettagli, il leghista Gianluca Pini e il forzista Gregorio Fontana organizzeranno insieme la manifestazione di Bologna”.
Che rapporto ha con Salvini?
“In privato è diverso da come lo vedete in pubblico. In tv appare aggressivo, parla alla pancia della gente. Invece è simpatico, per altro più milanista di me. E quando alza la voce gli dico: guarda che non ti faccio fare più il vicepresidente del Milan. Con Bossi è diverso, siamo quasi fratelli, lo sento tuttora “.
Alla festa arriva giusto la delegazione leghista: Barbara Saltamartini, Gianluca Pini e Giancarlo Giorgetti, foto ricordo col presidente anche per loro.
Su Milano brancolate ancora nel buio
“No, no. Abbiamo un nome, una figura esterna alla politica che io ho proposto e piace anche a Salvini, di caratura internazionale. Non posso dire altro altrimenti lo brucio “.
E a Roma? La Meloni sarebbe un buon sindaco?
“Non credo, perchè Giorgia punta alla Regione. Lei sarebbe un buon governatore. Al comune c’è già Marchini e se proponessimo un altro candidato vorrebbe dire andare divisi e perderemmo di sicuro. Marchini non l’ho visto, ma l’ho sentito di recente. Piace, piace soprattutto alle donne. È una figura sulla quale si può puntare”.
Trascorrono pochi minuti e al salottino si avvicina per un saluto rapido (e poco caloroso) proprio la Meloni.
Quando subito dopo le racconteranno delle parole del leader forzista strabuzzerà gli occhi: “Ma davvero ha detto così? Marchini non sarà mai il nostro candidato”.
Berlusconi nel frattempo continua.
Certo che Forza Italia ormai arranca dietro la Lega.
“Noi siamo in crescita, Salvini è bravo, ha un gradimento personale che supera il trenta per cento, è alle spalle di Renzi che però cala di dieci punti. Io terzo al 25 e la cosa ha del miracoloso, senza essere stato mai in tv a differenza loro. Ma ora torno, eccome “.
Vede Myrta Merlino de “L’aria che tira” su La7 e coglie la palla al balzo: “Se mi invita, presto sarò da lei”.
Saluta il direttore Bianca Berlinguer e Maurizio Mannoni del Tg3 e con lui si lancia: “Fate il miglior tg della tv italiana”. Sembra passato un secolo dalle guerre di un tempo.
Pensa sia stato un errore votare l’Italicum?
“Renzi lo cambierà perchè gli conviene così. Non potrebbe mai ripetere il 40 delle Europee e con Grillo rischia. Vedrete che lo cambierà “.
Non tornerebbe a discutere con lui di riforme?
“Ma come faccio a discutere con chi ha avallato la mia espulsione dal Parlamento? No, non ci sono più le condizioni”.
Ha più sentito Verdini?
“Non lo sento, no. E non è vero che quella sia stata una operazione concordata. Però la nostra è stata una rottura politica, non personale”.
Negli Usa per chi fa il tifo? E se vince la Clinton?
“Lo spero. Ho conosciuto i Clinton nel ’94 e siamo ancora in buoni rapporti . È la più preparata di tutti. Trump invece dice di ispirarsi a me e che vorrebbe chiedermi consigli. Se lo facesse, il primo che gli darei sarebbe di tagliarsi quei capelli”.
Unioni civili? Perchè non ne ha mai parlato?
“C’è stato un dibattito ai gruppi l’altro giorno. Tra i nostri ci sono Gasparri e altri che la pensano in un modo, altri in maniera opposta. È un tema etico, lascio libertà di coscienza. Sempre che ne abbiano una” (ride).
Berlusconi parla da quasi un’ora nel salottino. La De Girolamo decide che basta, lo porta per mano nel cuore della festa, lui si rifiuta di cantare (“Lo rifarò solo quando tornerò allo splendore dell’innocenza”) ma resta fino a notte fonda.
I selfie con Anna Falchi, giornaliste Mediaset e signore varie fioccano, distribuisce calici di champagne, va al microfono per lo sketch della telefonata col fedele di un tempo
Sandro Bondi, imitato dal vicepresidente della Camera Simone Baldelli (“Presidente chiuda lei, io non ce la faccio”).
Sulla barzelletta dedicata agli ormai ” ex” Cicchitto e Bondi, vittime della tribù africana del Bunga Bunga, è meglio lasciare scendere il sipario.
Nel frattempo la Meloni sforna il suo comunicato “metodologico” giornaliero: “Noi di Fdi, che ricordo essere accreditato come primo partito della coalizione nella capitale, non siamo in alcun modo disponibili a sostenere a Roma la candidatura di chi come Alfio Marchini, ha partecipato alle primarie del Pd, come abbiamo spiegato a Berlusconi più volte”.
“Speravamo — prosegue il presidente di Fratelli d’Italia — e abbiamo chiesto più volte un tavolo per discuterne — nella disponibilità a trovare un candidato che mettesse insieme tutto il centrodestra, ma se Forza Italia intende sostenere Marchini possiamo solo fare loro i nostri migliori auguri. Fratelli d’Italia sosterrà invece un candidato di centrodestra (quale centrodestra, a questo punto, verrebbe da chiedersi… n.d.r.).
Poi la rissa finale: “Leggo che secondo Silvio Berlusconi ambirei a candidarmi presidente della Regione Lazio. Non capisco da dove derivi questa convinzione visto che la notizia non corrisponde a verità e non ne abbiamo mai parlato. In ogni caso non ho fondato Fratelli d’Italia per far dire a Berlusconi cosa intendo fare”.
In effetti non c’è mai stato bisogno che Berlusconi le dicesse cosa doveva fare, è sempre bastato un cenno.
(da “La Repubblica” e “Affari Italiani”)
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Ottobre 31st, 2015 Riccardo Fucile
LA PASSEGGIATA DELL’EX SINDACO : “LE PERSONE PERBENE STANNO CON LEI”
Sorridente, completo blu, cravatta rossa e l’immancabile zainetto in spalla.
Ignazio Marino passeggia tra le vie della Capitale di cui non è più sindaco.
Saluta, fa il gesto della vittoria con le mani e si ferma a parlare con alcuni bambini.
“Le persone perbene stanno con lei”, gli dice un signore e lui risponde “Lo so, lo so”.
Una passeggiata a ritmo sostenuto, dal Pantheon a piazza Venezia.
Poi proprio sotto la scalinata che porta in piazza del Campidoglio si ferma per attraversare le strisce pedonali. In tanti lo salutano dalle macchine.
Dai finestrini abbassati escono mani che fanno il segno dell’ok.
C’è anche chi si affaccia per fare un video con il cellulare.
Una volta arrivato sotto il Marco Aurelio diversi cittadini gli gridano “Ignazio non mollare”, “Bravo Marino”.
Uno di loro gli augura in bocca al lupo, “Crepi” la replica dell’ex primo cittadino sempre sorridente.
Prima di salire in Campidoglio Marino si è rivolto a cronisti e fotografi: “Buon lavoro e grazie per la passeggiata insieme”.
Poi è entrato a Palazzo Senatorio.
Da cittadino.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 31st, 2015 Riccardo Fucile
MARINO VA, I 101 COLLUSI RESTANO
Se il compito dei giornalisti, come ritengono molti colleghi e qualche lettore-tifoso, fosse quello di trascrivere le verità ufficiali, oggi diremmo che il “caso Marino”è giunto finalmente al suo giusto epilogo: un sindaco tutto sommato onesto, ma incapace e pasticcione, travolto da uno scandalo non gravissimo ma comunque imbarazzante, va a casa per aver perduto la fiducia del partito, della giunta, della maggioranza e di parte degli elettori, rimpiazzato da un commissario prefettizio che governerà Roma con la massima correttezza ed efficienza in attesa delle elezioni.
Ma il nostro compito è guardare dietro le verità ufficiali,vedi mai che nascondano altro.
1) Al Pd, cioè a Renzi che ne è il padrone, degli scontrini e delle eventuali bugie di Marino non è mai fregato nulla, nè prima nè dopo la sua iscrizione sul registro degli indagati (un atto segreto, curiosamente filtrato proprio l’altroieri, mentre il Pd cercava un appiglio per convincere i propri consiglieri renitenti all’ordine di dimettersi). Altrimenti nel 2014 non si sarebbe portato al governo quattro indagati per le note spese regionali e non avrebbe ammesso la candidatura in Campania di De Luca, addirittura condannato in primo grado per abuso d’ufficio e incompatibile con qualunque incarico per la Severino. Inoltre il premier si affretterebbe a far pubblicare dal fedele Nardella i rendiconti delle sue note spese da presidente della Provincia e poi da sindaco di Firenze, come chiedono Sel e M5S con istanze d’accesso agli atti regolarmente respinte.
2) Il diktat di Orfini, cioè di Renzi, ai 19 consiglieri comunali del Pd perchè si dimettessero subito, impedendo il confronto nella sede naturale e democratica del Consiglio comunale e giungendo a ignobili trattative sottobanco con Alemanno e i suoi simili per raggiungere la fatidica quota 25, è un atto talmente violento e intimidatorio da non ammettere altre spiegazioni se non questa: l’imbarazzo di un partito che caccia a pedate il proprio sindaco eletto direttamente dal popolo e non ha neppure il coraggio di dirgli in faccia il motivo preciso: non per la sua incapacità (nulla è cambiato rispetto a due mesi fa, quando Orfini e tutto il Pd lo difendevano, dando dei mafiosi a chi lo criticava), ma perchè i poteri che da sempre governano Roma sottobanco vogliono rimetterci le grinfie, specie ora che arrivano i 500 milioni del Giubileo.
Già : avevano detto e ripetuto che non c’era una lira e questo Giubileo si sarebbe svolto senza oneri per lo Stato.
Poi, giusto 12 ore dopo le dimissioni di Marino, Renzi annunciò l’arrivo di mezzo miliardo di euro per Roma. Che strano, vero?
3) Il passaggio democratico in Consiglio comunale avrebbe consentito un’operazione verità su quello che non è il “caso Marino”, ma il “caso Pd & centrodestra”, dove nessuno è innocente tranne chi non ha mai governato.
Anche in questi ultimi due anni e mezzo, Marino non ha mica governato da solo. Se Roma è passata dal malgoverno del centrosinistra e poi di Alemanno (i protagonisti di Mafia Capitale) al non-governo di Marino, non è soltanto colpa sua.
Nella sua giunta sedevano uomini di tutte le correnti del Pd e Sel, compresi ultimamente gli orfiniani, cioè renziani, Causi ed Esposito.
Il Pd ha votato tutte le scelte di Marino fino all’altroieri. E se non è stato spazzato via da Mafia Capitale è proprio perchè Marino — stavolta da solo — non c’entrava.
Ora sarebbe interessante conoscere la relazione della Commissione d’accesso prefettizia su Mafia Capitale consegnata a Gabrielli e Alfano e subito segretata, con i motivi per cui il Comune andava sciolto per mafia e i nomi dei 101 dirigenti e funzionari coinvolti che nessuno ha allontanato: li avrà messi lì Marino o le giunte precedenti?
Sarebbe seccante se, via Marino, quei 101 restassero. Che aspetta il governo a divulgare il documento, e soprattutto a rimuovere le vere mele marce dal Campidoglio?
E, già che ci siamo, a cacciare i sottosegretari indagati De Filippo, Vicari e Castiglione? Come diceva Longanesi, “meglio assumere un sottosegretario che una responsabilità ”.
4) In questo giochino ipocrita dell’“io non c’ero e, se c’ero, dormivo” spicca la Curia romana, che ha ripreso a impicciarsi come ai bei tempi del Papa Re.
Non tanto per la smentita del Papa sull’invito a Marino a Philadelphia, che appartiene alla spontaneità del personaggio.
Ma per le continue intromissioni della Segreteria di Stato, del vertice della Cei e del Vicariato. Dov’erano questi sepolcri imbiancati quando Roma veniva depredata da Mafia Capitale e dai suoi sindaci di fiducia? Mai sentito un sacro moccolo.
Poi, casualmente da quando Marino registrò qualche unione gay, il vicario di Roma monsignor Vallini ci fa sapere un giorno sì e l’altro pure che a Roma si vive malissimo: le buche, lo smog, il traffico, signora mia.
5) Il Premio Tartufo 2015 va però all’orfiniano, cioè renziano Marco Causi, che ieri accusava sulla prima pagina dell’Unità il sindaco Marino di “una scelta contro la città ” (il ritiro delle dimissioni) e della “rimozione psicanalitica del problema” (l’inchiesta sugli scontrini).
Causi non è un passante: è il vicesindaco di Roma, al fianco di Marino per mesi, fino all’ultima giunta dell’altroieri.
Poi è arrivato l’ordine di Orfini, cioè di Renzi, e ora fa finta di non conoscerlo. Purtroppo un diavolo di refuso in coda all’intemerata di Causi gli fa dire quel che già pensano in molti, in vista dell’arrivo dei 500 dobloni: “E ora rimbocchiamoci tutti le mani ”.
Meglio di una confessione.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 31st, 2015 Riccardo Fucile
NAZARENO BIS CON ALFIO MARCHINI IN POLE POSITION
“Marino non è vittima di una congiura di Palazzo. Ha perso il contatto con lacittà ”.Matteo Renzi, il “mandante” indicato dal sindaco di Roma silurato non ci mette la faccia neanche questa volta.
Poche, gelide, dichiarazioni affidate al libro di Bruno Vespa in uscita il 5 novembre, Donne d’Italia e rilanciate da agenzie di stampa e tv.
“Al Pd interessa Roma, non le ambizioni di un singolo”. Dunque, “Pagina chiusa. Andiamo avanti”.
Avanti, ci stanno le prove generali del partito della Nazione, un Giubileo tutto da organizzare ed elezioni per le quali anche nella cerchia più stretta del premier si prefigura un bagno di sangue.
Erano giorni e giorni che il segretario-premier non faceva altro che monitorare la situazione Marino con messaggi continui ai parlamentari romani (“Come va?”), telefonate plurime sempre più nervose al commissario e presidente, Matteo Orfini (“Allora? Ce la facciamo?”), offerte, minacce e promesse ai consiglieri comunali “pregati” di dimissionarsi, attraverso il suo uomo di fiducia, il sottosegretario Luca Lotti.
Ma ieri si è ben guardato dall’esporsi più del minimo: anzi, non è andato a Torino all’assemblea dell’Anci, dove era atteso.
Roma è stata uno scivolone continuo per lui. A metterci la faccia anche ieri a Otto e mezzo è stato il commissario e presidente del Pd, Matteo Orfini: “Ho fatto di tutto per sostenere Marino. Ma da lui c’è stata un’infinita serie di bugie”, dice. Con Renzi? “I rapporti sono buoni”.
Ieri gli uomini del premier lo difendevano (“ha avuto una mission impossible”), ma più e più volte Renzi si è lamentato di come la situazione è stata gestita.
Adesso, lo copre: per ora gli fa comodo mandarlo avanti, si riserva di mollarlo all’occorrenza.
Orfini ha assicurato che a Roma le primarie si faranno e che ci sarà un candidato di centro sinistra. Ma i nomi che facevano circolare ieri i renziani come possibili candidati, erano quelli di Alfio Marchini e Beatrice Lorenzin.
Per spingere il primo stanno lavorando il consigliere comunale Pd Fabrizio Panecaldo e Fabrizio Cicchitto: si tratterebbe di costruire un’operazione inedita, farlo correre come una sorta di candidato civico, senza simboli di partito .
E allora, davvero potrebbe essere il nome sul quale confluiscono i voti di tutti (tranne quelli dei Cinque Stelle).
Da vedere se lo stesso Marchini accetta o preferisce il sostegno più tradizionale del centrodestra.
L’ipotesi Lorenzin ha un altro significato: sarebbe la candidata per perdere, quella da sacrificare, che però permetterebbe di rinsaldare i rapporti con i centristi.E ancora, a proposito di candidati non certo di sinistra, qualcuno fa il nome di Andrea Riccardi. La minoranza già è partita all’attacco: “Se dobbiamo cambiare natura al Pd io non ci sto: allora facciamo prima il congresso”, dice Nico Stumpo.
Il partito della Nazione è comunque un percorso a ostacoli.
La realtà (lo ammettono anche i fedelissimi del premier) è che il Pd è allo stato brado e non si è neanche all’inizio del lavoro per la tornata elettorale di primavera.
Buio su tutta la linea.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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