Novembre 13th, 2015 Riccardo Fucile
ATTACCO COORDINATO: DUE ATTENTATORI SI SONO FATTI SALTARE ALLO STADIO, 100 OSTAGGI UCCISI AL BATACLAN, POI IL BLITZ E DUE ATTENTATORI GIUSTIZIATI, UNO ARRESTATO
Diverse sparatorie a Parigi, almeno tre esplosioni vicino allo stadio: è l’ inferno in tutta la capitale francese, con almeno 60 vittime registrate sin qui, scatenato da una furia cieca nei luoghi del divertimento e del tempo libero, una partita di calcio, un concerto, una cena al ristorante, sicuramente il più grave nella storia del Dopoguerra in Francia.
Ed è un allarme continuo, con conflitti a fuoco che si aprono e si spengono in diversi punti della città . Difficilissimo da gestire, perchè inaspettato.
Numerose sparatorie
Il primo conflitto a fuoco, a colpi di kalashnikov, ha causato la morte di almeno undici persone in un ristorante del decimo arrondissement di Parigi, vicino a Rue Bichat.
Il secondo è avvenuto nel famoso locale notturno Le Bataclan, dove si stava svolgendo un concerto della band americana Eagles of Death Metal: la sparatoria sarebbe cominciata un’ora dopo l’inizio dell’esibizione della band.
Numerose le vittime alla fine, cento ostaggi sono rimasti nelle mani dei terroristi.
Ma ci sarebbero state altre sparatorie, partite a bordo di auto impazzite che hanno seminato il terrore nelle strade del centro e la cui portata ancora non è chiara.
Un primo assalitore sarebbe stato ucciso dalle forze dell’ordine nei pressi del Bataclan, mentre uno dei terroristi avrebbe urlato «Allah u Akbar», «Allah è grande», secondo quando riferiscono i primi testimoni all’uscita della famosa discoteca.
Esplosioni allo stadio
Infine almeno tre esplosioni sono state anche udite attorno allo Stade de France, alla periferia di Parigi, dove era in corso l’amichevole Francia-Germania che è stata brevemente interrotta e poi portata a termine: anche qui si sono registrate numerose vittime.
Il presidente Francois Hollande è stato evacuato dallo stadio per motivi di sicurezza. Al termine della partita, gli spettatori non sono stati fatti uscire: si sono viste scene di panico all’interno del campo da gioco, dove gli spettatori si sono riversati sul prato. Intanto Hollande si è recato al ministero dell’Interno per una riunione di emergenza: all’incontro ha partecipato anche il ministro degli Interni, Bernard Cazeneuve.
E dalle fonti di sicurezza Usa giunge una prima analisi «Appaiono chiaramente – dicono le fonti – come una seria di attacchi coordinati». Anche Obama è informato strettamente sull’evolversi della situazione.
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2015 Riccardo Fucile
IN CENTRO, IN UN RISTORANTE E IN UNA SALA CONCERTI…HOLLANDE PORTATO VIA DALLA SCORTA MENTRE ASSISTEVA A FRANCIA-GERMANIA
Parigi ripiomba nel terrore. Colpi di kalashnikov in un ristorante del X arrondissement (si parla di sette morti)
Poi spari al Bataclan, una nota sala di concerti nell’XI arrondissement, non lontano dalla sede di Charlie Hebdo.
Quindi una terza sparatoria, sempre nell’XI arrondissement: testimoni parlano di 12 persone a terra. Ci sono sicuramente vittime, ma ancora non si hanno informazioni precise sul numero.
Secondo testimonianze riportate da radio e tv almeno 50 colpi sono stati sparati nei pressi del Bataclan.
Esplosioni sono state udite attorno allo Stade de France, alla periferia di Parigi, dove era in corso l’amichevole Francia-Germania.
Secondo le prime notizie, il presidente Francois Hollande sarebbe stato evacuato dallo stadio per motivi di sicurezza.
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2015 Riccardo Fucile
A SEREGNO CHIESTA L’ARCHIVIAZIONE PER CHI DEFINI’ I CRONISTI “ANIMALI, LADRI E SCHIFOSI”
Un politico augura la morte a un gruppo di giornalisti definiti “animali, ladri e schifosi”.
Ma per il pm quelle frasi non sono nè minacciose nè diffamatorie perchè “comunemente utilizzate nel lessico quotidiano”.
Succede a Seregno, ricco comune brianzolo coinvolto in passato da inchieste contro la ‘ndrangheta.
E’ qui che il 14 giugno scorso il sindaco uscente Giacinto Mariani festeggia la sua elezione in consiglio comunale nelle fila della Lega Nord e la vittoria elettorale del suo successore Edoardo Mazza, candidato di Forza Italia e Carroccio, con queste parole: “Che le opposizioni la smettano di rifarsi a siti anonimi gestiti da animali, da ladri e da schifosi. Perchè queste persone devono morire”.
Mariani non nomina i destinatari di quel macabro augurio, che però viene lanciato mentre in platea è presente Michele Costa, collaboratore di Infonodo.org, sito di informazione locale attento a quello che avviene a Seregno, con particolare attenzione ai temi di mafia, politica e imprenditoria e che spesso si è occupato proprio di Mariani.
Il sindaco uscente viene denunciato da Michele Costa per quelle frasi, che per il magistrato però non costituiscono reato.
“Risultano più che altro — scrive il sostituto procuratore di Monza Stefania Di Tullio — nella richiesta di archiviazione al gip — frutto di un momentaneo sfogo sortito anche dall’esito (positivo) delle elezioni amministrative e per tanto non accompagnate da alcun intento criminale”.
Dell’episodio si è occupato anche il fattoquotidiano.it ed è stato riportato anche dall’Index on Censorship’s Mapping Media Freedom, report geolocalizzato sulla tutela della libertà di informazione ed espressione in Europa, secondo cui l’Italia è seconda in Europa per numero di minacce nei confronti dei giornalisti.
“Farò ricorso, non si può commentare la decisione di un magistrato che considera lessico quotidiano le minacce e gli insulti a un giornalista”, dice Costa al fatto.it.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 13th, 2015 Riccardo Fucile
SIAMO CERTI CHE SE I LADRI D’AUTO FOSSERO STATI PADANI E LO SPARATORE STRANIERO, MATTARELLA AVREBBE AVUTO LA STESSA SENSIBILITA’ GIURIDICA
I fatti: la notte tra il 5 e il 6 settembre 2006 Monella, impresario edile di 55 anni, moglie e due figli, villetta in via Verga e dietro l’angolo il capannone della ditta ad Arzago d’Adda, ha ucciso un ladro albanese di 19 anni che aveva tentato di rubargli la Mercedes parcheggiata in giardino, sparandogli una fucilata dal balcone mentre il malvivente scappava insieme a due complici.
Monella è in casa, svegliato nella notte da qualche rumore, insospettivo si alza, si affaccia al balcone e vede i furfanti armeggiare intorno alla vettura.
Afferra il fucile ed esplode un colpo. Il ladro muore, anche se non sul momento.
Condannato a 6 anni e 2 mesi, è entrato in carcere ben 8 anni dopo l’omicidio, dopo i tre gradi di giudizio e ha scontato finora solo un anno di pena.
Ora il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha concesso la grazia anche se parziale, nel senso che Monella andrà ai servizi sociali per i prossimi due anni, mentre avrebbe potuto usufruire di tale possibilità solo dopo aver scontato metà della pena (ovvero non prima di altri due anni).
Cosa che vale per tutti gli altri comuni mortali che non hanno sponsor politici in paradiso.
Monella da allora poteva diventare giusto il simbolo della campagna della Lega sulla giustizia fai da te:, avallata oggi dalla massima autorità dello Stato con un provvedimento che discrimina palesemente altri condannati.
Da quando era in carcere in parecchi comuni leghisti erano stati esposti striscioni con la scritta: “Monella libero”. E, proprio Salvini, aveva raccolto (appena) 10 mila firme a sostegno della grazia. Addirittura il caso piombò a palazzo Madama in pieno dibattito sulle riforme. Con Roberto Calderoli che disse: “Con grazia a Monella, ritiro tutti i miei emendamenti sulle riforme”.
E oggi le istituzioni saldano il debito come legittimamente è peraltro nella loro discrezione.
Siamo certi che se i ladri d’auto fossero stati padani e lo sparatore straniero, Mattarella avrebbe avuto la stessa sensibilità giuridica.
Oggi in Italia è stato fissato un principio: la legge non è uguale per tutti.
Puoi ammazzare un ladro d’auto che non mette neanche in pericolo la tua incolumità , ma solo “la tua roba”, e cavartela con un anno di carcere (e forse anche meno in futuro).
Da patria del diritto a nuovo Far West: con la differenza che nel secondo i colpevoli avevamo almeno la dignità di scontare la pena e non chiedere la grazia.
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Novembre 13th, 2015 Riccardo Fucile
IL FILO CAMPANO CHE LEGA DE LUCA E VERDINI, TRA POLTRONE, AFFARI, INCIUCI E CLIENTELE
Da Santa Lucia a Palazzo Madama.
Porta dritti al cuore del Senato il “De Luca gate”. Perchè, sussurra un pezzo grosso del Pd, “è chiaro che se salta De Luca, al Senato si balla”.
Il ballo è legato alle truppe di Denis Verdini, ex plenipotenziario di Berlusconi e ora grande sponsor del governo.
I principali arruolati, già generali e colonnelli del Pdl di Nicola Cosentino, furono i grandi artefici della vittoria di De Luca in Campania.
Il principale, Vincenzo D’Anna, la sera delle elezioni dichiarò: “I voti di Campania in rete sono stati determinanti per la sconfitta di Stefano Caldoro”. I voti erano 37 mila ed effettivamente la matematica è inconfutabile.
Campania in Rete è una lista a sostegno di De Luca, zeppa di ceto politico già vicino a Nicola Cosentino.
Oltre a Vincenzo D’Anna che di Cosentino si definisce “amico” e grande estimatore di De Luca, il governatore campano dentro Ala può contare sul sostegno di tutti i campani, da Milo a Langella, da Auricchio a Eva Longo.
E soprattutto su Denis Verdini, che condivide con Cosentino oltre che tante battaglie comuni sotto i vessilli del berlusconismo anche il processo sulla P3.
In maggioranza a palazzo Madama, in maggioranza a Santa Lucia.
Il presidente della commissione Affari istituzionali, la prestigiosa prima commissione del consiglio regionale, è Alfonso Piscitelli, già vicino a Cosentino ed eletto in Campania in rete.
A lui il governatore ha affidato il compito di riscrivere regole del gioco e procedure. Un ruolo “costituente”, come costituente è stato il ruolo di Verdini&Co al Senato. Perchè De Luca sa che quel mondo ex berlusconiano che si è schierato con lui va rappresentato.
Ecco che, per dirne una, dopo le elezioni ha affidato a Bruno Cesario l’incarico di direttore della Regione Campania a Roma.
Cesario, prima Udc, poi centrosinistra, nel 2011 faceva parte, assieme a Razzi e Scilipoti, dei Reponsabili, operazione anche allora gestita da Denis Verdini.
E diventò sottosegretario. Indimenticabili le foto in cui viene immortalato tra i banchi del governo adorante nei confronti di Berlusconi che parlava in Aula di assedio politico-mediatico giudiziario.
Sempre dopo le elezioni, per dirle un’altra, De Luca propose anzi confermò come sub commissario della Asl 1 Antonella Giuda, nominata dalla giunta precedente, e moglie di Piscitelli, presidente della Commissione Affari istituzionali.
Appena varata la delibera, il governatore disse: “Abbiamo ragionato sulle qualità professionali e non sull’essere clienti o raccoglitori di preferenze. Così ci siamo mossi finora e così continueremo”.
Pochi giorni dopo, fu la stessa guida a rinunciare di fronte all’insurrezione dei Cinque Stelle e al clamore mediatico che aveva sollevato la nomina.
Insomma, il legame tra Vicienzo e il gruppo di Verdini è stretto. Inscalfibile.
Alla festa di Scelta Civica a Salerno, quando De Luca ha finito il suo intervento, D’Anna gli si è avvicinato in mezzo a una selva di cronisti: “Vincè, sei l’idolo di Denis”.
Più tardi Denis avrebbe parlato di “camorrismo giornalistico” ripetendo l’espressione del suo idolo poche ore prima. Ed è stretto quello con Lotti.
A Salerno Renzi prende alle primarie 12.434 voti su 12.951, un unicum statistico.
A quelle che lo incoronano candidato governatore De Luca prende il 97 per cento.
Il grande organizzatore della macchina è Nello Mastursi. E quando Lorenzo Guerini provò a evitare la sua candidatura in Campania, fu Lotti a prendere in mano il dossier e a ricevere De Luca a palazzo Chigi.
Perchè la Campania in termini congressuali è pesante: “Quello — dicono nel Pd — non lo togli nemmeno con le cannonate”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 13th, 2015 Riccardo Fucile
ORLANDO E GUERINI CRITICANO LA SCELTA DI CANDIDARLO, MA IL POTENTE LOTTI LO PROTEGGE
“Come si è arrivati alla candidatura di Vincenzo De Luca alla presidenza della Campania? Lorenzo Guerini ha cercato per dieci volte di farlo ritirare dalle primarie, poi è arrivato Luca Lotti e ci ha fatto l’accordo”. La sintesi retrospettiva è di un deputato dei Giovani Turchi.
Adesso, il capitolo del film è un altro, ma i pesi sono gli stessi e anche i conflitti.
C’è chi racconta che prima di partire per Malta, davanti alla tegola campana, Renzi abbia avuto un vivace scambio di opinioni col suo sottosegretario, l’uomo da sempre a lui più vicino, per capire che margini di azione ci fossero nella gestione del caso.
Lotti, ancora una volta, come fa da mesi, si sarebbe posto come garante assoluto del governatore, ribadendo l’impossibilità di mollarlo.
D’altra parte è lui che aveva stretto gli accordi per portare i voti del potentissimo sindaco sceriffo a Renzi, durante le primarie del 2013.
È lui che si è fatto garante della sua candidatura in Campania. È lui che lo protegge.
I molti nemici che ha nel partito raccontano che adesso il biondo e potentissimo sottosegretario non lavori solo per conto di Renzi, ma si stia blindando un futuro politico in proprio, anche distinto da quello del capo.
E che De Luca gli serve.Con questa motivazione, spiegano il suo attivismo sui territori, un argine all’eventuale espansione di Graziano Delrio e di Lorenzo Guerini, che dal Giglio Magico sono esclusi ormai da mesi.
È stato proprio dopo un lungo colloquio con il vice segretario dem e responsabile Organizzazione Pd, Guerini, che Assunta Tartaglione (segretaria regionale campana) ha fatto un comunicato per dire che “la vicenda giudiziaria delle ultime ore richiede la massima trasparenza. Le ipotesi di reato di cui si parla sono gravi ed inquietanti”.
Guerini non ha mai fatto mistero di aver subìto, all’epoca, la scelta di De Luca. Meno che mai lo fa adesso: anzi, è furioso per l’accostamento costante con Mastursi.
Certo,in qualità di dirigente Pd, con l’ormai ex capo segreteria di De Luca ci parlava continuamente. Ma con gli amici si sfoga precisando che Mastursi era ben più vicino a Lotti, e che anzi lui è intervenuto per far escludere dalle liste personaggi come Franco Alfieri (Salerno) e Dionigi Magliulo (Caserta), all’epoca imputati rispettivamente di corruzione e voto di scambio.
Il vicesegretario evita uscite pubbliche, ma da parte dei Giovani Turchi è un fuoco di fila. Ieri il guardasigilli Andrea Orlando si è spinto a dire: “Io De Luca non l’avrei votato alle primarie”.
In serata ha voluto precisare che si tratta di un ‘dato storico’, ma detto in un momento come questo è una chiara presa di posizione.Poi, Orlando ha detto di più: “Il Pd ha bisogno di una profonda revisione. Non so se attraverso la strutturazione degli apparati, ma anche rivedendo alcune formule della vecchia organizzazione. Non mi convince neanche più la dicotomia tra primarie e circoli”.
Di rinforzo, Matteo Orfini, presidente del Pd: quella di De Luca è una vicenda “ancora oscura”.
Ma dopo l’uscita di Stefano Esposito il giorno prima la strategia di arrivare a un chiarimento nel partito e prendere spazio appare evidente.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 13th, 2015 Riccardo Fucile
IL DIPENDENTE AVEVA LASCIATO UN ALTRO LAVORO PER AVVICINARSI ALLA FAMIGLIA… L’AZIENDA PRENDE I SOLDI DELLA DECONTRIBUZIONE E POI SI LIBERA DEI DIPENDENTI: PEGGIO DEI CONTRATTI PRECARI
Il Jobs act ha mostrato ieri l’altra faccia della medaglia: da un lato la concretizzazione del sogno, il posto fisso, dall’altra l’estrema facilità con cui questo può svanire.
«Stiamo assistendo – dichiara Massimo Albanesi, segretario regionale della Fistel Cisl, il sindacato di riferimento per il settore dei cartai – al primo licenziamento targato Jobs act».
Con una lettera di poche righe, 11 per le precisione, il presidente e amministratore delegato della Pigna Envelopes srl di Tolmezzo, ha comunicato ad un proprio dipendente la risoluzione, praticamente immediata, del rapporto di lavoro.
Invocando la «riorganizzazione della turnistica dovuta ad un persistente calo di lavoro», l’ad informa il lavoratore che con decorrenza dal ricevimento della lettera (datata 11 novembre, e quindi a far data dal 13 novembre), il “posto fisso” agguantato grazie al contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs act, scompare.
Bontà della legge, il lavoratore è stato «dispensato dall’effettuazione del periodo di preavviso» di cui gli verrà corrisposta la relativa indennità sostitutiva.
«Le modalità con cui questo sta avvenendo – prosegue Massimo Albanesi – conferma i dubbi e le critiche che, come sindacato, avevamo avanzato al Jobs act e alle nuove norme intervenute sull’articolo 18. Ed è anche la dimostrazione – sottolinea il sindacalista – che i lavoratori “a tutele crescenti” vengono trattati allo stesso modo dei precari.
Anzi – rincara – direi che vengono trattati peggio dei lavoratori a termine perchè nei contratti a tempo determinato le regole sono chiare: il lavoro c’è ed è a tempo, condizionato all’attività dell’impresa. Non ci sono illusioni, nè si alimentano.
Qui invece assistiamo ad un licenziamento che lascia a casa un lavoratore che, per essere assunto alla Pigna ed avvicinarsi alla famiglia, una moglie e due figli piccoli, aveva lasciato un’altra occupazione, faticosa, certamente, che gli lasciava poco tempo per la famiglia, ma che gli consentiva di mantenere moglie e figli. Oggi quest’uomo è a casa, senza lavoro e in prospettiva, senza reddito.
Dall’altra parte – ricorda Albanesi – abbiamo un’azienda che ha beneficiato della decontribuzione prevista dalla legge per aver assunto un lavoratore a tempo indeterminato (e non sarà nemmeno costretta a restituire il vantaggio contributivo incamerato per i mesi di assunzione), e che oggi scarica sulla collettività lo stesso lavoratore che dovrà fare domanda per accedere agli ammortizzatori sociali. Per l’azienda nessun conto da pagare; per il sistema Paese un doppio costo sociale».
Il licenziamento su due piedi preoccupa il sindacato non solo per il caso in sè, ma anche per il timore «che altre persone assunte con le medesime modalità nella stessa azienda, possano subire la medesima delusione», conclude Albanesi.
Timore non peregrino perchè la Pigna Envelopes – una novantina di dipendenti – è controllata dalle Cartiere Paolo Pigna spa di Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo, 130 dipendenti, cartiera storica le cui origini risalgono agli inizi dell’800, che a settembre ha ottenuto di essere ammessa al concordato in continuità aziendale, dal quale dovrebbe uscire ristrutturata per approdare in nuove mani (forse tedesche).
«Doppia preoccupazione dunque – aggiunge Franco Colautti, segretario della Cisl Alto Friuli -, di cui una legata all’impresa e alle vicende che la coinvolgono con quel che ciò potrebbe significare per la tenuta dell’occupazione, e l’altra attiene agli effetti di questa norma di legge.
Non vorremmo che, esauriti i vantaggi economici, le imprese possano liberarsi dei lavoratori senza troppi patemi. E non dimenticherei – conclude Colautti – che questo territorio sta già patendo le conseguenze di crisi pesanti, basta pensare alla Coopca, e ha anche altri settori in sofferenza. All’alto Friuli non serve un altro fronte».
Ovviamente il licenziamento sarà impugnato perchè benchè la legge dia ampi margini di manovra alle imprese, impone anche di agire secondo criteri che, nel caso specifico, secondo i sindacati, non sarebbero stati rispettati.
(da “il Messaggero Veneto”)
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Novembre 13th, 2015 Riccardo Fucile
“RIGUARDAVA LA NON PUNIBILITA’ DELL’EVASIONE SOTTO IL 3%”
Nel patto del Nazareno c’era anche la cosiddetta norma Salva-Berlusconi, quella sulla non punibilità dell’evasione fiscale se le somme sottratte al fisco non superano il 3% dell’imponibile dichiarato.
Norma che all’inizio dell’anno causò una pioggia di polemiche sul governo.
Parola di Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera. “Non ho testimonianza diretta, ma di sicuro ho parlato con Berlusconi dei contorni del patto — ha detto Brunetta in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera — oltre alla riforma del bicameralismo e alla legge elettorale, c’erano la delega fiscale, con la soglia di non punibilità sotto il 3%, e la correzione della legge Severino”.
E’ il gennaio 2015, quando si scopre che l’articolo 19 bis infilato nel decreto di attuazione della delega fiscale varato il 24 dicembre avrebbe consentito all’ex Cavaliere, condannato a 4 anni e 2 mesi di interdizione dai pubblici uffici nel processo per i diritti tv Mediaset, di chiedere al giudice di far decadere la sentenza perchè il reato si sarebbe estinto.
“Perdonatemi, ma può succedere di non fare le cose fatte per bene”, faceva mea culpa Matteo Renzi il 7 gennaio, dopo tre giorni di polemiche e accuse durissime non solo da parte del Movimento 5 Stelle, di Scelta civica e della Lega ma anche dall’ala sinistra del Partito democratico.
Spiegando che a chiedere di inserire nel decreto attuativo il famigerato articolo 19 bis era stato proprio lui.
Salvo poi minimizzare il tutto solo un mese più tardi, il 3 febbraio, dai divanetti di Porta a Porta, quando il premier definiva la norma salva-B una di quelle leggende metropolitane che non recuperi più. Berlusconi non c’entra niente, lui è stato condannato“.
E bloccare la norma pochi giorni più tardi, l’11 febbraio.
Brunetta traccia la cronologia della trattativa riguardante la modifica della Severino: “La storia della correzione della legge inizia con il governo Letta quando la delega era ancora aperta. Era novembre del 2013. Ma poi Letta mi disse che non se ne faceva niente. Non c’era alcun segreto. Io parlavo come capogruppo e chiedevo al presidente del Consiglio in carica di correggere in corso d’opera il decreto legislativo della legge Severino. Tecnicamente era possibile perchè i termini della delega erano ancora aperti. Con un’interpretazione autentica si poteva chiarire il concetto di non retroattività della misura afflittiva”.
“Le insopportabili contraddizioni del decreto attuativo della Severino non riguardano solo Berlusconi, ma una moltitudine di soggetti colpiti dalla prima applicazione della norma”, aggiunge.
Brunetta spiega che all’inizio credeva al patto del Nazareno, che “era di andare avanti condividendo le scelte, fossero riforme o altre leggi, a condizione però che in mancanza di accordo ci si fermava”.
E invece “Renzi si è comportato in maniera leonina. Ha applicato quello che in economia si chiama ‘azzardo morale’, minacciando di allearsi con altri. Renzi ha imbrogliato le carte. E davanti all’impegno degli impegni, convergere su Giuliano Amato per il Quirinale, è andato per la sua strada”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 13th, 2015 Riccardo Fucile
ALTRO CHE TRASPARENZA, NON LI RENDE PUBBLICI E SI INVENTA UN DIVIETO CHE NON ESISTE
Dario Nardella continua a scappare.
Non risponde alle domande e si nasconde dietro la Corte dei conti per non divulgare i dettagli delle spese di rappresentanza sue e del suo predecessore, Matteo Renzi, come invece aveva fatto l’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino.
Insomma per negare, ancora una volta, la trasparenza.
Ieri il Comune ha diffuso un comunicato: “Alcuni atti non saranno resi disponibili per motivi di riservatezza fino al termine della indagine da parte della Corte dei conti, così come concordato con la procura”.
Peccato che non sia così, lo ha smentito proprio la Corte dei conti: “La riservatezza si può applicare ai cittadini ma non ai consiglieri comunali a cui deve essere garantito il libero accesso agli atti perchè è un loro diritto”.
Spiega Tommaso Grassi, capogruppo di Sel a Palazzo Vecchio: “Ho personalmente chiesto spiegazioni in merito e mi è stato appunto comunicato che a noi consiglieri comunali non è estesa quella riservatezza”.
Che l’amministrazione fiorentina menta è stato confermato anche ai consiglieri del Movimento 5 Stelle, Silvia Noferi e Arianna Xekalos, dai loro legali, interpellati per valutare quali vie intraprendere di fronte al muro di gomma alzato da Palazzo Vecchio. Un atteggiamento che da facilmente adito a dubbi: cosa nasconde Nardella?
Lui continua a trincerarsi dietro il silenzio.
Una possibile risposta la suggerisce il deputato del Movimento 5 Stelle, Alessandro Di Battista: “Il Pd è diventato il partito delle menzogne. Come De Luca ha mentito sul suo coinvolgimento nell’indagine ora Nardella mente sulle spese di Renzi. La verità è che se ci fornissero tutte le ricevute delle centinaia di migliaia di euro di denaro pubblico speso da Renzi, Marino sembrerebbe mister parsimonia al confronto”.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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