Novembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
INFORMATIVA RICEVUTA DALLA DEA: “NE’ ENFASI, NE’ SOTTOVALUTAZIONE DELLE SEGNALAZIONI RICEVUTE”
Cinque giorni dopo gli attacchi di Parigi, venti giorni prima dell’inizio del Giubileo, scatta l’allarme rosso in Italia: l’Fbi ha inviato alle autorità di sicurezza una segnalazione in cui vengono indicati la basilica di San Pietro a Roma, il Duomo e il teatro alla Scala di Milano come possibili obiettivi di un attentato.
Nell’informativa arrivata dagli Stati Uniti ai servizi segreti italiani vengono indicati anche i nomi di 5 soggetti, definiti “arabi“, che potrebbero essere presenti nel nostro Paese, personaggi sospetti da ricercare.
Per ora non ci sono riscontri, ma le indagini sono appena cominciate: gli agenti italiani incroceranno ora le informazioni americane con quelle raccolte finora.
Il rapporto del Federal Bureau of Investigation, che a sua volta ha raccolto dalla Dea, l’Agenzia federale antidroga, ha fatto scattare immediatamente la massima allerta, anche se sia dall’Fbi sia dagli altri servizi stranieri e anche dalle verifiche che da giorni stanno conducendo i nostri apparati di sicurezza (dicono fonti dell’intelligence e dell’antiterrorismo) non sarebbero stati raccolti segnali diretti di minacce concrete. Nel documento arrivato dagli Stati Uniti non ci sarebbero infatti indicazioni nè temporali nè di progettualità specifiche ma solo indicazioni generiche.
La prima conseguenza dell’allarme proveniente dagli Stati Uniti è stata la circolare che il dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell’Interno ha inviato ai questori di Milano e Roma.
Nel documento si chiede di rafforzare ulteriormente — per quanto possibile visto che l’allerta è già a livello 2, un gradino sotto rispetto a quello che scatta in caso di attacco terroristico — la vigilanza e il controllo nelle due città , con particolare attenzione ai luoghi di culto e di aggregazione.
Sono stati inoltre disposti una serie di posti di blocco per aumentare i controlli a persone o veicoli sospetti.
Uno di questi, di dimensioni superiori al consueto, è stato organizzato sull’Aurelia, in provincia di Grosseto, con auto del reparto prevenzione crimine di Firenze, Digos, squadra mobile: in tutto 14 mezzi.
L’attenzione resta alta. Basta citare l’ennesimo falso allarme alla fermata dell’autobus vicina all’ambasciata americana, a Roma, nel tratto di via Veneto tra piazza Barberini e via Bissolati.
L’intervento di forze dell’ordine e artificieri si è reso necessario per verificare il contenuto di una borsa sospetta: all’interno c’era un cuscino.
In un momento come questo, con allarmi — veri o falsi che siano — in mezza Europa, partite di calcio sospese, continui blitz delle forze speciali alla ricerca di presunti terroristi e cellule nascoste, nessuna segnalazione può essere tralasciata e, anzi, va vagliata con la massima attenzione.
Per evitare che la paura che già si sta diffondendo tra i cittadini, diventi panico. Non è un caso che tutte le autorità vadano ripetendo che non bisogna farsi sopraffare dal terrore: l’ha detto il presidente del Consiglio Matteo Renzi — “dobbiamo prima di tutto vivere, ci vuole il coraggio di non rinchiudersi e di non rinunciare alla nostra identità ” — e l’ha ribadito il prefetto Franco Gabrielli: “Siamo consapevoli di essere all’interno di una minaccia, ma questo non ci deve minimamente indurre ad atteggiamenti di paura”.
La linea è quella indicata da Renzi: nè enfasi nè sottovalutazione. Ribadita anche in serata da fonti di Palazzo Chigi, dopo l’allarme dell’Fbi: le segnalazioni sulla sicurezza in Italia da Paesi amici e alleati sono costanti, spiega la presidenza del Consiglio, e sono oggetto di attenta valutazione dalle forze di sicurezza italiane senza enfatizzazioni ma anche senza sottovalutazioni.
Dopo la strage di Parigi i livelli di sicurezza sono quasi massimi, come in molti altri Paesi d’Europa.
I presidi delle forze armate, a Roma, sono visibilmente aumentati, soprattutto attorno agli obiettivi sensibili: il Vaticano, le stazioni ferroviarie e della metropolitana, gli aeroporti e i luoghi di aggregazione.
Tra le misure da prendere, non bisogna trascurare la cybersecurity per tracciare cosa passa sul web, ha avvertito in un’intervista a SkyTg24 il presidente del Consiglio Matteo Renzi che ha aggiunto, tra l’altro, che la prossima settimana farà una proposta al Parlamento “per un investimento ulteriore in sicurezza e sul recupero di determinate realtà , come le periferie”.
Mentre mancano tre settimane al Giubileo, a Roma, per gestire le emergenze, è stato già attivato un numero unico, il 112, la cui centrale operativa è stata inaugurata sulla via Laurentina, nella periferia sud della Capitale.
Entro la fine del mese lavorerà a pieno regime, con 80 operatori che smisteranno le chiamate a polizia, carabinieri, vigili del fuoco, emergenza sanitaria.
Tra i potenziali mezzi d’attacco più problematici da contrastare ci sono i droni: è allo studio un sistema di intercettazione e abbattimento, fa sapere il prefetto Franco Gabrielli.
“Con il piano presentato dal questore e approvato dal comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, avremo un presidio, di fatto, in quasi tutte le stazioni delle tre linee della metropolitana, nei nodi di scambio e in tutti quei luoghi di aggregazione che possono rappresentare degli obiettivi”.
Il Vaticano è considerato tra i primi obiettivi sensibili, anche perchè il Califfato ha a più riprese usato l’immagine di San Pietro come obiettivo da conquistare, sul quale innalzare la bandiera.
Oltre che dagli uomini dei corpi pontifici (le 110 guardie svizzere e i 130 gendarmi), la Santa Sede è presidiata all’esterno dei suoi confini dalla polizia e dai carabinieri.
I mezzi blindati e le volanti nella zona sono sensibilmente aumentati negli ultimi giorni.
I fedeli in piazza, sia in occasione dell’Angelus di domenica che oggi per l’udienza generale, sono stati controllati con il metal detector: attenzione, in particolare, a zaini, borse e trolley.
In questo clima è nato (ma anche subito finito) il dibattito sull’eventuale annullamento dell’apertura del Giubileo, l’8 dicembre.
“Non ci penso proprio — ha chiarito lo stesso capo del governo Renzi in giornata — Massima attenzione, ma il papa è un obiettivo sempre, al di là del Giubileo”.
“Sarebbe una vittoria per il terrorismo” ha ribadito il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti.
“Per favore niente porte blindate nella Chiesa, niente, tutto aperto” ha chiesto Papa Francesco in udienza generale, a piazza San Pietro.
Ma la piazza sembrava contenere meno delle 15mila persone che avevano chiesto il biglietto.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
COSI’ LIBERA IL POSTO DI DIRETTORE DE “IL GIORNALE” PER MINZOLINI…A MARZO IL DIRETTORE AVEVA RIFIUTATO: “SE CAMBIASSI IDEA, FATEMI INTERNARE”
Alessandro Sallusti. E’ quello del direttore del Giornale il nuovo nome tirato fuori da Silvio
Berlusconi per uscire dall’impasse in cui è finito il centrodestra, che da mesi non riesce a trovare un candidato a sindaco di Milano.
Perchè il nominato di turno non ne vuole proprio sapere di assumersi onori e oneri del caso, come è successo per il giornalista di Mediaset Paolo Del Debbio, per l’ex numero uno dell’Eni Paolo Scaroni e per Claudio De Albertis, imprenditore e presidente della Triennale.
Oppure perchè il nome non va bene agli alleati della Lega, come nel caso di Maurizio Lupi, inviso a Matteo Salvini che non ha intenzione di appoggiare chi provenga dall’Ncd di Angelino Alfano e non faccia prima abiura.
Su Sallusti, invece, il leader del Carroccio ha detto sì: “Io non avrei nulla in contrario, se lui accetta”, la sua risposta secondo la ricostruzione fatta da Repubblica sull’ultimo incontro ad Arcore con l’ex Cavaliere.
A dire il vero non è nemmeno la prima volta che per la corsa alla conquista di Palazzo Marino viene fatto il nome di Sallusti.
Il compagno della forzista Daniela Santanchè era già stato lanciato da Ignazio La Russa (FdI) lo scorso marzo.
L’interessato aveva fatto passare qualche settimana, prima di derubricare la proposta a “roba da pazzi” e spiegare in un’intervista al Tempo: “E’ come se mi proponessero di giocare nella Juve. L’ipotesi non esiste, voglio finire la mia carriera nel giornalismo, se dovessi cambiare idea vi prego di farmi internare”.
Ma questa volta le cose potrebbero andare diversamente.
Tanto più che una candidatura di consentirebbe a Berlusconi di raggiungere un doppio obiettivo.
Da un lato al probabile candidato del centrosinistra, e cioè l’uomo Expo Giuseppe Sala, verrebbe opposta una figura più forte di quanto possano essere il senatore di Forza Italia Paolo Romani o la coordinatrice lombarda del partito Mariastella Gelmini, gli altri due nomi ancora in lizza.
Dall’altro lato Sallusti lascerebbe libera la poltrona di direttore del Giornale, con il quale ultimamente la sintonia di Arcore non è più quella di un tempo.
Tanto che Berlusconi — scrive Repubblica — ha già in mente due possibili sostituti, entrambi in vantaggio sull’attuale vice direttore Salvatore Tramontano.
Sono Augusto Minzolini, che dopo la condanna in Cassazione a due anni e mezzo per peculato rischia di decadere da senatore per la legge Severino, e Giorgio Mulè, oggi direttore del settimanale Panorama.
Nel pomeriggio è in agenda a Palazzo Grazioli un nuovo incontro tra Berlusconi e Salvini. Prevista anche la presenza della presidente di Fdi Giorgia Meloni. All’ordine del giorno ulteriori valutazioni sul nome di Sallusti per Milano.
Oltre che le alleanze per le amministrative di Roma, dove Forza Italia è sempre divisa sul sostegno ad Alfio Marchini, in attesa di una risposta definitiva della Meloni su una sua eventuale discesa in campo.
Luigi Franco
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
SULLA POLITICA ESTERA NON HANNO UNA LINEA
Secondo gli ultimi sondaggi, il Pd vincerebbe le elezioni solo se andasse al ballottaggio col centrodestra, perchè i 5 Stelle rimasti esclusi si dividerebbero tra chi non va a votare e chi vota Renzi come male minore.
Se invece la finalissima se la giocassero Pd e 5 Stelle, vincerebbero questi ultimi, perchè la maggioranza degli elettori di centrodestra che andrebbero alle urne preferirebbero il movimento di Grillo: sia per levarsi la soddisfazione di far perdere il tradizionale avversario,sia perchè il M5S è“nè di destra nè di sinistra”, mentre il Pd incarna pur sempre (se non nei fatti, nell’immaginario forzaleghista) il centro sinistra.
Come reagisce Renzi ai sondaggi?
Sulle prime ha puntato spregiudicatamente su Salvini, eleggendolo a unico avversario col giochino dei “due Matteo”, dal quale uscirà sempre e comunque vincitore, gonfiando il capo della Lega in funzione anti-Grillo con la collaborazione delle tv amiche, anzi serve.
Poi però ha scoperto che l’Operazione Felpa Nord è miseramente fallita: oltre un certo zoccolo duro Salvini non può salire e, anzichè prosciugare l’elettorato grillino,vampirizza quello forzista; e i 5 Stelle, dati prematuramente per morti, godono ottima salute, anzi sono in costante ascesa.
Così ora il premier accentua la sua somiglianza con B., copiandogli il programma e le parole d’ordine: nuova Costituzione dell’uomo solo al comando, più contanti (cioè più nero) per tutti,via le tasse sulla prima casa anche ai ricchi, meno diritti ai lavoratori e più favori alle imprese, mano libera a chi licenzia, polemica con i magistrati più attivi, mordacchie a quel poco che resta di libera stampa, grandi opere a gogò ( Tav Torino-Lione e perfino Ponte sullo Stretto) e via berlusconeggiando.
Ma, così facendo, si scopre a sinistra regalando spazio e voti alla galassia delle sigle progressiste e dei fuorusciti pidini, che all’eventuale ballottaggio Pd-5Stelle voterebbero Grillo pur di fargliela pagare.
E, al contempo, non sfonda nell’elettorato di destra, pietrificato nello schema novecentesco destra-sinistra e ormai più affascinato dal salvinismo (impossibile da inseguire anche per Renzi) che dal berlusconismo.
Inoltre l’emorragia di parlamentari verso sinistra lo costringe a rapporti sempre più stretti e ancillari con l’Ncd-Udc e con i transfughi di FI tenuti insieme dall’impresentabile Denis Verdini, sempre più decisivo per la sopravvivenza del governo, e non certo gratis.
Il che aumenta i mal di pancia degli elettori del Pd, regalandone un bel po’ ai 5Stelle.
E gli impone di garantire a Verdini & C. la rielezione.Come? Non potendo candidarli nelle liste del Pd, dovrà modificare l’Italicum per tornare alla sua versione originaria: quella che assegnava il premio di maggioranza non al primo partito, ma alla prima coalizione.
Così anche una lista Verdini, magari accorpata e camuffata in quel che resta del Centro casinian-alfaniano, potrebbe giocarsi le sue chance alleandosi col Pd.
Così B. potrebbe tenere insieme la sua Armata Brancaleone, presentando FI in alleanza con la Lega (ma non in un listone ben poco digeribile dai rispettivi elettorati).
E così gli unici senza coalizione, per mancanza di alleati, sarebbero i 5 Stelle.
Oggi la somma dei voti forza-leghisti non basterebbe a superare quelli del M5S per accedere al ballottaggio.
Ma sappiamo bene in quali mani sono le televisioni e quanti consensi B. sia in grado di recuperare occupandole militarmente in campagna elettorale.
A quel punto la seconda forza del Paese sarebbe fuori gioco. Bene fanno i 5 Stelle ad aderire ai comitati del No alla riforma elettorale e costituzionale, senza farsi schiacciare sulla difesa dell’Italicum così com’è: chiunque favorisca, la legge elettorale è incostituzionale per l’abnorme premio di maggioranza senza tetto minimo di voti e per i capilista bloccati; si spera che la Consulta, quando sarà chiamata a pronunciarsi, si comporti come nel 2012 con il Porcellum: cioè faccia prevalere le ragioni del diritto su quelle della politica.
In ogni caso, per candidarsi a governare l’Italia, i 5Stelle devono dimostrarsi credibili fin da subito. Anche sul loro punto più debole: la politica estera.
Ripetere, come fanno, che le guerre non si risolvono con le guerre e che l’Isis l’ha creata l’Occidente significa dire due verità , ma insufficienti.
Se c’è uno Stato illegale fra Siria e Iraq, che per giunta arruola kamikaze per fare mattanze in tutto il mondo, bisogna anche rispondere alla domanda sul che fare oggi, a prescindere dalle colpe del passato: che farebbe oggi, di serio e di concreto, un eventuale governo a 5Stelle?
Renzi, pessimo in politica interna, nella gestione del partito e della questione morale (anzi immorale, perchè usata per liquidare i non allineati come Marino e per salvare i potenti e i fedelissimi come De Luca), sul caso guerra-Isis appare più credibile del M5S.
Perchè ha tenuto finora una linea saggia e prudente (rapporti con emiri a parte), e a quella domanda cruciale ha dato risposte ponderate e sensate.
Invece l’altroieri sul blog di Grillo, mentre tutto il mondo parlava degli attentati di Parigi e dell’Isis, c’era un medico che suggeriva “più attività fisica e meno medicine”.
Se i 5Stelle sono a 3-4 punti dal Pd è perchè fanno opposizione, non rubano, non prendono soldi pubblici, anzi li restituiscono, non inciuciano con nessuno e si stanno affrancando dalla grillodipendenza.
Ma, se non riempiono quel buco nel loro programma, al dunque la gente continuerà a scambiare il peggio per il meglio con la scusa del meno peggio.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
M5S E IL TIMORE DI FAR SCOPPIARE LE CONTRADDIZIONI INTERNE: CONTANO PIU’ I VOTI CHE AVERE UN’IDEA
L’apertura del blog di Beppe Grillo dice tutto. Il comunicato numero 56, pezzo più importante
della giornata, propone una consultazione. Che non riguarda il conflitto mondiale in atto. Ma se togliere o meno il nome “Grillo” simbolo dei 5 Stelle. Argomento certamente significativo per quella comunità , ma che indica una certa fuga dal tema del giorno.
Accade questo: continua la caccia ai terroristi sulle strade di Parigi, Putin schiera le navi russe contro l’Isis, l’Europa si interroga sul “come” dare assistenza militare alla Francia e, in questo quadro, l’ultimo post su Parigi, sul blog di Beppe Grillo è datato 14 novembre, alle ore 10,16.
Scarno, asciutto, praticamente un telegramma di cordoglio: “Quanto accaduto a Parigi è scioccante. Siamo vicino alle famiglie delle vittime, alla Francia, a tutto il popolo francese, colpito oggi da un attacco terribile, che deploriamo con fermezza”.
E se, a questo, aggiungiamo il profilo basso di tutti i principali esponenti dei Cinque Stelle sul tema del terrorismo e se aggiungiamo pure la frase di Casaleggio buona per tutte le stagioni (“Non si risponde alla guerra con la guerra, sì al dialogo ma non con l’Isis”) si capisce che la questione è enorme.
E riguarda quello che a microfoni spenti più di un M5S definisce “disagio” e “difficoltà politica” sul tema.
Il Professor Aldo Giannuli non ama essere definito l’ideologo dei Cinque Stelle, anche se da tempo viene identificato in questo ruolo dopo il tramonto del Professor Becchi.
Comunque è un punto di riferimento politico e intellettuale per quel mondo, basta leggere il suo blog, a volte anche severo con quelle che considera posizioni sbagliate di Grillo&Co.
Spiega all’HuffPost: “C’è un imbarazzo di fondo dei Cinque Stelle sull’attuale crisi internazionale. La partecipazione alla guerra sarebbe una sciocchezza e non possono proporla perchè in contrasto con il loro zoccolo duro pacifista. Nè possono essere quelli che vogliono la guerra. Se sono morbidi o troppo anti-guerra passano per amici dell’Isis. E questo li rende prudenti, anche perchè temono i titoli sparati dei giornali. Prima o poi, per runa forza che si candida a governare il paese sarà necessaria una posizione accompagnata da una riflessione forte”.
Ecco, la sfida del governo è una lente che ingigantisce le contraddizioni dei 5Stelle.
È come quando, di fronte allo scandalo di Mafia Capitale e alle dimissioni di Marino, invece di schierare la propria migliore classe dirigente e dirsi pronti a governare, con la scusa delle regole statutarie i 5Stelle spiegarono che è giusto candidare un Carneade perchè, era il leitmotive di quei giorni, “se vinci le amministrative rischi di bruciarti in vista delle politiche”.
Con la guerra rischi di ardere. Stefano Esposito, senatore del Pd ed esponente di punta dell’Antimafia, ad Omnibus, ha sciorinato dati molto interessanti, carte alla mano: “Volete sapere con cosa i 5 Stelle volevano finanziare il reddito di cittadinanza? Con il taglio di 3,5 miliardi alla Difesa”.
Effettivamente è così. L’articolo 20 del disegno di legge S. 1148 “Istituzione del reddito di cittadinanza nonchè delega al Governo per l’introduzione del salario minimo orario” individua la copertura finanziaria di 17 miliardi per il primo anno e 16 a regime.
Alla lettera f si legge il taglio di 3,5 miliardi alla Difesa, mentre alla p la cessazione del personale militare in servizio in ausiliaria.
Difficile, sussurrano i maligni, diventare alfieri della sicurezza su queste premesse. Impossibile non farsi male su una materia dove è stato detto di tutto.
Più di un parlamentare del Pd, in questi giorni, andava nelle trasmissioni televisive con estratti delle posizioni di Di Battista sull’Isis, che scatenarono parecchie polemiche: “Dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione. Non lo sconfiggi mandando più droni, ma elevandolo a rango di interlocutore”.
Frasi di qualche tempo fa che, in questi giorni, si presterebbero a far male davvero. Chi conosce bene la comunicazione pentastellata dice: “Stanno tenendo il tema basso, per questo non parlano Grillo e Casaleggio perchè rischiano di perdere voti. Un partito che ormai è attorno al 30 per cento posizionandosi sulla guerra scontenta qualcuno. Il grosso della base è pacifista senza se e senza ma, ma un pezzo di elettorato è leghista e vorrebbe la chiusura delle frontiere. Come fai a conciliare Salvini e Gino Strada senza perdere voti?”.
È un problema che alla Casaleggio Associati si sono posti. E l’esito della riflessione è stato, appunto, la prudenza.
Perchè è vero che il grosso della base è pacifista ed è pacifista (e terzomondista) il grosso del gruppo dirigente, a partire da Di Battista fino a Stefano e Sibilia, già fautori in tempi non sospetti della revoca delle sanzioni alla Russia, ma è anche vero che “l’opinione pubblica è appiattita sulle posizioni mainstream, sull’onda dell’effetto emotivo”.
Posizioni in relazione alle quali il pacifismo senza se e senza ma entra in rotta di collisione. Insomma, rischia di cambiare l’aria positiva che accompagna l’irresistibile ascesa verso il governo.
Nei talk televisivi i big dei Cinque Stelle vengono trattati bene, negoziano quasi sempre one to one col conduttore.
I giornali sono poco ostili e non vanno a scavare più di tanto tra i fallimenti delle giunte amministrate.
E loro crescono, senza uno straccio di posizione sul tema su cui discute il mondo intero.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
DA BEIRUT A PARIGI: IN UN MONDO CHE NON SI PREOCCUPA DELLE VITE DEGLI ARABI
Quando, dopo mezzanotte, un amico mi ha detto di controllare le notizie su Parigi, non immaginavo che mi sarei ritrovato di fronte alla cartina di una città che amo dove erano evidenziate le zone che stavano subendo attacchi terroristici contemporaneamente.
Ho zoomato sulla mappa, per guardare più nel dettaglio. Uno dei luoghi colpiti era vicino al posto in cui avevo soggiornato nel 2013, sullo stesso boulevard.
Più leggevo, più aumentava il numero dei morti. Era orribile. Era disumanizzante, una situazione completamente e irrevocabilmente disperata.
Il 2015 finisce nel modo in cui è iniziato, con attentati in Libano e Francia accaduti quasi nello stesso momento e causati da creature folli che diffondono odio, paura e morte ovunque si rechino.
Mi sono reso conto che ci sono due città piegate. I miei amici a Parigi, che solo ieri mi chiedevano cosa stesse accadendo a Beirut, adesso si trovano dall’altra parte. Entrambe le capitali sono state piegate e danneggiate, per noi forse non è una novità … ma per loro si tratta di un territorio mai esplorato prima.
Oggi a Parigi 128 civili innocenti non sono più con noi.
La scorsa settimana, a Beirut, 45 civili innocenti ci hanno lasciato. Il numero dei morti continua a salire, ma sembra che non impariamo mai.
In mezzo al caos, nella tragedia, c’è un pensiero che non mi lascia in pace. È lo stesso pensiero che riecheggia nella mia testa ogni volta che accadono eventi simili, cosa che sta diventando sempre più frequente: non contiamo davvero
Quando la mia gente è stata ridotta a brandelli nelle strade di Beirut, il 12 Novembre, i giornali titolavano: “Esplosione nella roccaforte di Hezbollah”, come se definire il background politico di una zona urbana potesse in qualche modo inserire il terrorismo in un dato contesto.
Quando il 12 novembre la mia gente è morta sulle strade di Beirut, i leader mondiali non hanno parlato di condanna.
Non ci sono state dichiarazioni di solidarietà verso la popolazione libanese. Non c’è stato lo sdegno mondiale per quelle vittime innocenti la cui sola colpa è stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Nessun accenno al fatto che le loro famiglie non dovevano essere lacerate in quel modo, che la setta d’appartenenza o le convinzioni politiche di qualcuno non dovrebbero essere collegate all’orrore per quei corpi bruciati sul cemento.
Obama non ha rilasciato alcuna dichiarazione, non ha detto che quelle morti rappresentano un crimine contro l’umanità .
D’altra parte, cos’è l’umanità se un un termine soggettivo che delinea il valore dell’essere umano indicato con questa parola?
Ci sono state, invece, le dichiarazioni di un aspirante senatore Americano che si è detto felice per la morte della mia gente, per la distruzione della capitale del mio paese, che degli innocenti avessero perso la vita e che tra le vittime ci fossero persone di ogni tipo.
Quando la mia gente è morta, nessun paese si è disturbato ad illuminare i suoi monumenti con i colori della bandiera libanese.
Facebook non ha mosso un dito per assicurarsi che la mia gente potesse “dichiarare di stare bene”, anche in modo così superficiale.
Quando la mia gente è morta, non c’è stato il cordoglio mondiale. La loro morte era solo un puntino irrilevante nel continuo flusso di notizie internazionali, qualcosa che accade… in quelle zone del mondo.
E sapete una cosa, mi va bene così.
Negli ultimi anni, mi sono abituato all’idea di essere tra queste vite che non contano, di cui non importa a nessuno. Sono riuscito ad accettarlo, a conviverci.
Nei prossimi giorni ci sarà un’altra ondata mondiale di Islamofobia.
Aspettatevi articoli su come l’estremismo non abbia a che fare con la religione, su come i membri dell’ISIS non siano dei veri musulmani.
E di certo non lo sono, perchè nessun essere umano con un briciolo di umanità farebbe una cosa simile.
L’ISIS pianifica queste reazioni di odio islamofobo, perchè in questo modo può servirsene per puntare il suo dito infernale e dire ad ogni orecchio suscettibile in ascolto: “Guarda, ti odiano”.
Sono pochi quelli capaci di ignorarli.
Nei prossimi giorni l’Europa dovrà fare i conti con una crescente ondata di odio contro i rifugiati. In molti punteranno il dito contro di loro, li accuseranno di essere responsabili di quanto accaduto a Parigi il 13 novembre.
Se solo l’Europa sapesse che, negli ultimi due anni, tutte le notti della vita di questi rifugiati sono stati come il 13 novembre parigino.
Ma le notti insonni contano solo quando il tuo paese è in grado di far illuminare il mondo intero con i colori della sua bandiera.
L’aspetto più spaventoso delle reazioni agli attentati di Parigi consta del fatto che alcuni arabi e libanesi si sono mostrati molto più preoccupati per quello che stava accadendo in Francia che per quello che è accaduto ieri, o il giorno prima, nella loro patria.
Perfino tra la mia gente serpeggia l’idea che non siamo così importanti, che le nostre vite non hanno valore e che i nostri morti non meritano di essere pianti, che non meritano preghiere.
Una spiegazione è rintracciabile, forse, nell’idea generale di una popolazione libanese che è più propensa a visitare Parigi piuttosto che Dahyeh, che si preoccupa più della prima città che non della seconda.
Quindi a molta gente che conosco, devastata dal caos parigino, non importa nulla di quello che è accaduto in una zona a 15 minuti di distanza dal posto in cui vive, a persone che probabilmente ha incrociato mentre percorreva quelle strade familiari.
Possiamo chiedere al mondo di considerare Beirut importante quanto Parigi, o chiedere a Facebook di aggiungere l’opzione “safety check” quotidianamente. Possiamo chiedere alle persone di preoccuparsi anche per noi.
Ma la verità è che non ci importa di noi stessi, in primis. Diciamo che è una questione di adattamento, ma non è così. Accettiamo che questa sia la “nuova normalità “, ma se questa è la normalità lasciamo pure che vada al diavolo.
In un mondo che non si preoccupa delle vite degli arabi, sono proprio gli arabi a guidare questa tendenza.
Elie Fares
(da “StateOfMind13″)
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Novembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
IL LEADER DELLA COMUNITA’ DI MONFALCONE, IN CONTATTO CON LA POLIZIA, NON USA MEZZI TERMINI
Dalla comunità islamica di Monfalcone – in cui i musulmani sono almeno 2.500, circa la metà degli
stranieri residenti, ormai il 20% della popolazione – arriva una condanna piena, senza sfumature, dell’orrore di Parigi.
«E una condanna soltanto non basta», dice Abdelmajid Kinani, originario del Marocco, guida spirituale dei musulmani che si ritrovano nel Centro culturale Darus salaam di via Duca d’Aosta, in pieno centro della città dei cantieri.
«È venuto il momento – spiega – che la comunità dia il suo contributo per far sentire che siamo contro atti del genere, per dire con forza che questo non è Islam. Che questi sono assassini, che hanno ucciso persone innocenti a sangue freddo, mentre la religione dell’Islam dice di non uccidere. Sono stati strumentalizzati da persone che vogliono accendere una guerra tra religioni».
Alle spalle di Abdelmajid Kinani, che durante la settimana lavora nell’azienda agricola Bennati di San Canzian d’Isonzo e i cui figli frequentano le scuole di Pieris, sfilano i molti stranieri che nel centro si ritrovano ogni domenica mattina.
La maggior parte è originaria del Bangladesh, una comunità che conta attorno ai 2mila componenti, tenendo conto dei tanti bambini nati all’ospedale di San Polo.
Ci sono però anche turchi curdi, africani e nordafricani, macedoni. Solo alcune delle 82 nazionalità presenti in città .
«Mi metto nei panni delle persone, delle famiglie che hanno subito questa crudeltà – dice Kinani – anche se so che non bastano le parole per consolare».
L’imam si dice comunque convinto che i problemi della Francia non siano quelli dell’Italia e sicuro che «qui non si arriverà alla situazione della Francia».
«Gli stranieri qui vivono bene per il trattamento che ricevono dagli italiani – ribadisce Kinani -. La gente che è venuta qui poi lo ha fatto per dare un futuro migliore ai propri figli e i problemi sono quelli del lavoro, di mandare avanti la famiglia, pagare l’affitto. Non hanno la forza di pensare ad altro e vogliono mantenere questo rapporto di rispetto reciproco anche se non parliamo tanto tra noi e voi».
Le stragi di Parigi qualche tensione, però, a Monfalcone l’hanno creata tra i più giovani, a scuola.
Qualche parola grossa sarebbe volata all’indirizzo di bambini stranieri di religione musulmana.
«Un adulto può pensare che è un momento di rabbia, può spiegare, può andare oltre – spiega Kinani -. Per un bambino queste invece non sono bambinate, sono cose, interrogativi che porta a casa. La famiglia è importante per spiegare e insegnare come comportarsi, ma alla fine è come nuotare controcorrente se le parole a scuola continuano».
Il centro culturale Darus Salaam vorrebbe quindi entrare in contatto con le istituzioni scolastiche per poter effettuare degli incontri e «spiegare cos’è davvero l’Islam». «Magari con il supporto di un’associazione come Etra con cui stiamo collaborando», aggiunge l’imam. Il centro culturale, infatti, è stato coinvolto nell’iniziativa di studio “Per la seconda generazione”, sostenuta dalla Fondazione Carigo. «Le persone devono giudicarci per ciò che facciamo qua – aggiunge – e non per ciò che fanno gli altri».
«La nostra preoccupazione va ai bambini – confessa -, che vogliamo abbiano un’educazione, possano sognare un futuro “normale”. È quello che vogliono tutti, anche gli italiani».
Il ruolo del Centro culturale è comunque anche quello di “sentinella”, secondo Kinani. «Siamo in costante contatto con le autorità di polizia, che abbiamo incontrato anche venerdì», racconta.
Una forte condanna arriva anche dall’altro centro culturale islamico di Monfalcone, il Baitus Salat, secondo il cui portavoce, Alì Poesal, «certi fenomeni non ci sono e non ci saranno qui».
«Stiamo lavorando nel nostro Centro proprio su questi temi, perchè non nasca l’estremismo e si possa vivere tutti assieme», afferma Poesal, che ai monfalconesi lancia una preghiera: quella di «non fare di tutta un’erba un fascio».
Laura Blasich
(da “il Piccolo” di Trieste)
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Novembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
IL BILANCIO DI UNA GIORNATA DRAMMATICA… IL MONITO DI HOLLANDE: “SAREMO IMPLACABILI CONTRO OGNI ATTO XENOFOBO, SERVE COESIONE SOCIALE”
Cinque giorni dopo gli attentati di Parigi, la Francia lancia il suo assalto ai terroristi interni: le teste di cuoio hanno avviato all’alba un’operazione anti-terrorismo in grande scala a Saint-Denis, sobborgo alla periferia settentrionale di Parigi.
Il blitz, avvenuto in due appartamenti in rue du Cornillon, si è concluso dopo circa sette ore.
Questo il bilancio dell’operazione: due terroristi morti, tra cui una giovane donna kamikaze che si è fatta saltare in aria durante il blitz.
Sette gli arresti, le cui identità non sono ancora state svelate. Il covo sarebbe stato identificato grazie a un cellulare dei kamikaze trovato in un cestino davanti al Bataclan.
Obiettivo dell’operazione, a quanto si apprende, era la mente degli attentati di venerdì e di altri piani terroristici: il belga di origine marocchine Abdelhamid Abaaoud.
La presenza del 28enne all’interno del covo, tuttavia, non è stata confermata.
Come riporta il quotidiano francese Liberation, sulla sorte di Abaaoud non c’è al momento nessuna certezza.
Il procuratore di Parigi Francois Molins ha riferito che alcuni elementi dell’inchiesta “potevano far pensare” che l’uomo si trovasse all’interno dell’immobile, ma al momento non è stata effettuata alcuna identificazione precisa.
“Non possiamo rivelare ancora l’identità delle persone presenti nell’appartamento, solo dopo gli esami saremo in grado di farlo”, ha dichiarato il procuratore di Parigi al termine del blitz di Saint Denis.
Non è ancora chiaro se Abdelhamid Abaaoud fosse nel covo e se sia tra le vittime o gli arrestati.
Secondo il giornale belga Derniere Heure, Abaaoud sarebbe morto durante il blitz.
Il quotidiano cita ‘informazioni esclusive’ in suo possesso. Oltre alla giovane donna kamikaze, dell’altra vittima si sa solo che è stata colpita da una granata.
Tre o quattro i poliziotti feriti. La polizia ha isolato un’ampia zona del sobborgo parigino ed evacuato molte famiglie. A un certo punto gli agenti hanno fatto irruzione anche in una chiesa vicina, ma si è trattato di un falso allarme.
Alle 4:20, quando c’è stata l’irruzione della polizia – intervenuta con uno schieramento impressionante a 800 metri dallo Stade de France – una donna kamikaze ha azionato la propria cintura esplosiva e si è fatta saltare, secondo la ricostruzione della procura.
Almeno un altro terrorista è stato ucciso. Poi la reazione degli occupanti degli appartamenti, che per il loro numero (almeno 8 ) ha sorpreso le teste di cuoio. I fermati sono sette. Non se ne conoscono i nomi, quello che è certo è che Abaaoud non è fra loro.
Su Twitter le forze dell’ordine hanno chiesto a passanti e cittadini di Saint-Denis di continuare a rispettare le norme di sicurezza.
Molte linee di tram, autobus e metro dirette a Saint Denis sono state bloccate.
Lo scrive il sito di Ratp (Règie autonome des transports parisiens) che aggiorna continuamente il numero delle linee ferme. Anche il traffico su strada è rallentato con posti di blocco e controlli della polizia.
“La Francia sarà implacabile contro l’odio, nessun atto xenofobo, antisemita e anti-islamico sarà tollerato”: lo ha assicurato il presidente francese, Francois Hollande, parlando a 2mila sindaci.
“Combattiamo tutti i giorni perchè le differenze non diventino divisioni – ha aggiunto Hollande – i terroristi vogliono instillare il sospetto ma noi non cediamo alla paura, la nostra coesione sociale è la risposta migliore”.”
(da agenzie)
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Novembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
“GLI HANNO SPARATO, MA E’ TORNATO INDIETRO PER MORIRE VICINO AL PADRONE”
«Era ferito a morte, ma è tornato indietro per morire vicino al suo collega». Sembra la scena di
un film, ma è la storia di Diesel, pastore belga di 7 anni.
È l’unica vittima tra le forze di polizia nella retata di questa mattina a Saint Denis.
Gli uomini del Raid (Recherche Assistance Intervention Dissuasion, le “teste di cuoio” francesi) stavano dando la caccia a Abdelhamid Abbaoud, mente degli attentati di Parigi.
Il cane-eroe è stato il primo a entrare nel covo dei jihadisti, tra rue de la Rèpublique e rue de Corbillon, mandato in avanscoperta a caccia di bombe.
Ma gli hanno subito sparato, ferendolo mortalmente. Altre fonti sostengono che sia stato investito dall’esplosione della donna kamikaze che si è fatta saltare in aria.
La notizia è stata diffusa su Twitter dall’account ufficiale della polizia transalpina ed è scattato immediatamente l’omaggio degli utenti.
Gli hashtag #Jesuisunchien, #RIPDiesel e #prayfordog sono balzati in testa alla classifica dei più utilizzati.
E molti hanno chiesto che il cane-poliziotto venga insignito della stessa onorificenza che verrebbe consegnata a un “agente umano”.
In questi giorni di emergenza a Parigi, dopo gli attentati di venerdì scorso, sono numerose le squadre cinofile utilizzate da polizia e forze speciali.
Il loro impiego è cruciale – spiegano gli agenti – in situazioni di pericolo.
Nel marzo scorso una storia simile a quella di Diesel aveva commosso Tunisi. Durante l’attentato al museo del Bardo un cane poliziotto era rimasto ucciso nella sparatoria tra terroristi e forze di polizia.
Il corpo senza vita di Akil, pastore tedesco di un anno e mezzo, era poi stato portato via in barella al termine dell’operazione tra gli applausi delle forze speciali.
(da “La Stampa”)
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Novembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
I FONDAMENTALISTI LEGATI ALL’ISIS IN DUE ANNI HANNO UCCISO 2.000 CIVILI MUSULMANI, NELL’INDIFFERENZA DELL’OCCIDENTE
Un altro attentato di Boko Haram in Nigeria, nello stesso posto dove, meno di un mese fa, aveva dato l’assalto a una moschea.
Il 17 novembre il gruppo fondamentalista islamico legato all’Isis ha colpito una stazione per camion nella città di Yola, nel nordest del Paese, causando la morte di almeno 32 persone e il ferimento di altre 80.
Secondo quanto riferito dalla polizia, le vittime sono per la maggior parte venditori o passanti.
Neanche un mese fa i Boko Haram avevano attaccato alcune moschee, tra cui una a Yola, uccidendo 42 persone e ferendone un centinaio.
In sei anni di guerra, i fondamentalisti hanno ucciso almeno duemila persone, in gran parte civili.
Il terrorismo aumenta, ma non in Occidente
Nel 2014 sono aumentati gli atti di terrorismo, ma nella maggior parte si tratta di terre di frontiera: il Medio Oriente, il subcontinente indiano e sopratutto l’Africa.
Lo testimonia il Global Terrorism Index, rapporto annuale curato dall’Università del Maryland sulla base di dati raccolti da varie organizzazioni in giro per il mondo e ripreso oggi dai media britannici.
Rapporto secondo il quale nel 2014 si è contato un numero record di 32.658 morti nel pianeta, addirittura l’80% in più del 2013.
Chi ha commesso più atti terroristici sono i jihadisti nigeriani di Boko Haram e i boia del cosiddetto Califfato.
Mentre le vittime si sono concentrate al 78% fra Afghanistan e Iraq — simboli di fallimenti sempre più difficili da smentire della strategia militare americana dell’ultimo quindicennio — oltre che Nigeria, Pakistan e Siria.
Altri Paesi indicati come emergenti (o riemergenti) in questa triste classifica sono Somalia, Ucraina, Yemen, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan e Camerun: ciascuno accreditato di un numero di vittime di attentati e attacchi — qualificati come terroristici da alcuni dei gruppi coinvolti nell’indagine talora anche sullo sfondo di guerre civili — pari ad almeno 500 morti all’anno.
Quasi altrettanto scioccanti le cifre sulle devastanti conseguenze economiche provocate dal terrore, con costi stimati nel 2014 a livello planetario a quasi 53 miliardi di dollari, il 61% in più dell’anno precedente.
Confermato in ultimo il legame spesso diretto del fenomeno (che il Global Terrorism Index inquadra fin dal 1989) con l’eredità di conflitti militari e con le violenze attribuite alle forze governative di alcuni dei Paesi più coinvolti.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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