Dicembre 31st, 2015 Riccardo Fucile
UN MESSAGGIO POCO POLITICO MA CHE RIPORTA ALLA REALTA’ DEL PAESE
Le ricadute della crisi, la disoccupazione, il terrorismo, l’immigrazione, l’inquinamento… Ci sono quasi tutte le emergenze di questo passaggio verso il 2016, cruciale per una ripartenza del Paese, nel messaggio di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Un messaggio poco politico (anche se, si sa, tutto è politica) e molto attento invece alla vita concreta delle persone, nel tentativo di infondere comunque fiducia.
Questioni affrontate – in un monologo colloquiale durato meno di venti minuti – con quella sensibilità sociale che fa parte della formazione umana e intellettuale di Sergio Mattarella.
Diversi gli spunti che lo dimostrano.
Un esempio. Quando parla del lavoro che manca, problema acutissimo per i giovani di ambienti svantaggiati e specialmente al Sud, il capo dello Stato ricorda, sia pur senza evocarla, la paralisi di quella «mobilità sociale» che negli anni Sessanta/Settanta aveva consentito l’accesso all’università , all’epoca non costosa quanto oggi, a milioni d’italiani fino ad allora esclusi.
Effetto di una crisi ancora non risolta, anche se “le prospettive appaiono favorevoli».
Nella stessa prospettiva di tenere insieme la trama sociale di un Paese che resta comunque in difficoltà va letta la sua dura denuncia dei guasti provocati dall’evasione fiscale e contributiva. Un danno che da solo vale 7 punti e mezzo di Pil, cioè, secondo l’inedita citazione di uno studio di Confindustria, «più di trecentomila posti di lavoro».
Ecco: la ripresa dovrebbe offrire per lui strumenti nuovi per affrontare dossier dolenti come questo o come la tutela dell’ambiente o, perfino, la minaccia portata dal terrorismo fondamentalista.
Un approccio diverso serve poi a proposito delle continue ondate di flussi migratori, che per il presidente vanno «governati» con un sano equilibrio.
Vale a dire: con spirito di «accoglienza», ma anche «con rigore». Distinzione non da poco, dati gli estremismi che ormai quotidianamente si accavallano, nell’approccio con questo dramma epocale.
Aspri i riferimenti alla «questione morale», riaperta dai recenti scandali, con inquinamenti mafiosi pure nella sfera politica.
La legalità , del resto, si delinea ormai come l’autentica mission di questo settennato, se non altro perchè il capo dello Stato sente di poter esprimersi a nome della «quasi totalità dei nostri concittadini… che credono nell’onestà e pretendono correttezza».
Anche, è la sua puntualizzazione, severa e fortemente politica, «da chi governa, a ogni livello».
Marzio Breda
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 31st, 2015 Riccardo Fucile
UN MESSAGGIO POCO POLITICO MA CHE RIPORTA ALLA REALTA’ DEL PAESE
Le ricadute della crisi, la disoccupazione, il terrorismo, l’immigrazione, l’inquinamento… Ci sono quasi tutte le emergenze di questo passaggio verso il 2016, cruciale per una ripartenza del Paese, nel messaggio di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Un messaggio poco politico (anche se, si sa, tutto è politica) e molto attento invece alla vita concreta delle persone, nel tentativo di infondere comunque fiducia.
Questioni affrontate – in un monologo colloquiale durato meno di venti minuti – con quella sensibilità sociale che fa parte della formazione umana e intellettuale di Sergio Mattarella.
Diversi gli spunti che lo dimostrano.
Un esempio. Quando parla del lavoro che manca, problema acutissimo per i giovani di ambienti svantaggiati e specialmente al Sud, il capo dello Stato ricorda, sia pur senza evocarla, la paralisi di quella «mobilità sociale» che negli anni Sessanta/Settanta aveva consentito l’accesso all’università , all’epoca non costosa quanto oggi, a milioni d’italiani fino ad allora esclusi.
Effetto di una crisi ancora non risolta, anche se “le prospettive appaiono favorevoli».
Nella stessa prospettiva di tenere insieme la trama sociale di un Paese che resta comunque in difficoltà va letta la sua dura denuncia dei guasti provocati dall’evasione fiscale e contributiva. Un danno che da solo vale 7 punti e mezzo di Pil, cioè, secondo l’inedita citazione di uno studio di Confindustria, «più di trecentomila posti di lavoro».
Ecco: la ripresa dovrebbe offrire per lui strumenti nuovi per affrontare dossier dolenti come questo o come la tutela dell’ambiente o, perfino, la minaccia portata dal terrorismo fondamentalista.
Un approccio diverso serve poi a proposito delle continue ondate di flussi migratori, che per il presidente vanno «governati» con un sano equilibrio.
Vale a dire: con spirito di «accoglienza», ma anche «con rigore». Distinzione non da poco, dati gli estremismi che ormai quotidianamente si accavallano, nell’approccio con questo dramma epocale.
Aspri i riferimenti alla «questione morale», riaperta dai recenti scandali, con inquinamenti mafiosi pure nella sfera politica.
La legalità , del resto, si delinea ormai come l’autentica mission di questo settennato, se non altro perchè il capo dello Stato sente di poter esprimersi a nome della «quasi totalità dei nostri concittadini… che credono nell’onestà e pretendono correttezza».
Anche, è la sua puntualizzazione, severa e fortemente politica, «da chi governa, a ogni livello».
Marzio Breda
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 31st, 2015 Riccardo Fucile
LINGUAGGIO NON POLITICHESE: “BISOGNA FARE DI PIU’ PER GIOVANI, DONNE E SUD”
Un discorso lontano dal politichese e dai temi che riempiono quotidianamente le cronache del Palazzo.
Nel suo primo discorso di fine anno da presidente della Repubblica, Sergio Mattarella sceglie di parlare di tematiche che riguardano da vicino la vita degli italiani: lavoro in primis, ma anche l’inquinamento delle città e il trasporto pubblico, la cura del territorio, l’evasione fiscale, la corruzione, l’immigrazione.
“Questa sera non ripeterò le considerazioni che ho fatto, giorni fa, incontrando gli ambasciatori degli altri Paesi in Italia sulla politica internazionale, e neppure quelle svolte con i rappresentanti delle nostre istituzioni. Stasera vorrei dedicare questi minuti con voi alle principali difficoltà e alle principali speranze della vita di ogni giorno. Il lavoro anzitutto”, ha detto il capo dello Stato parlando dal salotto del suo appartamento al Quirinale.
“L’anno che sta per concludersi ha recato molte novità intorno a noi: alcune positive, altre di segno negativo — ha detto Mattarella — l’occupazione è tornata a crescere. Ma questo dato positivo, che pure dà fiducia, l’uscita dalla recessione economica e la ripresa non pongono ancora termine alle difficoltà quotidiane di tante persone e di tante famiglie. Il lavoro manca ancora a troppi dei nostri giovani. Sono giovani che si sono preparati, hanno studiato, posseggono talenti e capacità e vorrebbero contribuire alla crescita del nostro Paese. Ma non possono programmare il proprio futuro con la serenità necessaria”, sottolinea il presidente.
“Accanto a loro penso a tante persone, quarantenni e cinquantenni, che il lavoro lo hanno perduto, che faticano a trovarne un altro e che vivono con la preoccupazione dell’avvenire della propria famiglia. Penso all’insufficiente occupazione femminile. Il lavoro manca soprattutto nel Mezzogiorno. Si tratta di una questione nazionale. Senza una crescita del Meridione, l’intero Paese resterà indietro”.
Un duro monito il presidente della Repubblica lo dedica all’evasione fiscale : “Gli evasori danneggiano la comunità nazionale e danneggiano i cittadini onesti. Le tasse e le imposte sarebbero decisamente più basse se tutti le pagassero”, afferma il capo dello Stato ricordando nel suo messaggio di fine anno che “un elemento che ostacola le prospettive di crescita è rappresentato dall’evasione fiscale”.
Il presidente cita, quindi, uno studio di pochi giorni fa di Confindustria secondo il quale nel 2015 l’evasione fiscale e contributiva in Italia ammonta a “122 miliardi. Vuol dire 7 punti e mezzo di PIL”. “Soltanto dimezzando l’evasione si potrebbero creare oltre 300.000 posti di lavoro”, aggiunge.
Seduto in poltrona con in bella vista le tradizionali bandiere e sullo sfondo un presepe napoletano, Mattarella ha scelto questa volta di far entrare, almeno un pochino, gli italiani in casa del presidente.
“Le diseguaglianze rendono più fragile l’economia e le discriminazioni aumentano le sofferenze di chi è in difficoltà — continua il capo dello Stato — come altrove, anche nel nostro Paese i giovani che provengono da alcuni ambienti sociali o da alcune regioni hanno più opportunità : dobbiamo diventare un Paese meno ingessato e con maggiore mobilità sociale“.
Mattarella tocca, quindi, uno dei temi che hanno riempito le cronache dei giorni natalizi: lo smog che avvolge e avvelena l’aria delle grandi città italiane.
“In questi giorni avvertiamo allarme per l’inquinamento. Il problema dell’ambiente, che a molti e a lungo è apparso soltanto teorico, oggi si rivela concreto e centrale. “L’impegno delle istituzioni, nazionali e locali, deve essere sempre maggiore. Un esempio: si può chiedere ai cittadini di limitare l’uso delle auto private, ma, naturalmente, il trasporto pubblico deve essere efficiente. E purtroppo non dovunque è così”.
Su questo tema “sono utili le diverse opinioni — e non si può certo comprimere il confronto politico — ma siamo di fronte anche alla natura, e ai suoi mutamenti, che contribuiscono a provocare siccità e alluvioni. In presenza di una sfida così grande, che coinvolge la salute, è necessario che prevalga lo spirito di collaborazione”. “L’Italia — ha detto ancora il capo dello Stato — è vista all’estero come il luogo privilegiato della cultura e dell’arte, e lo è davvero. Questo patrimonio costituisce una nostra ricchezza, anche economica. Abbiamo il dovere di farlo apprezzare in un ambiente adeguato per bellezza“.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 31st, 2015 Riccardo Fucile
VITTIME TRA I MILITARI DI RITORNO DA MISSIONI ALL’ESTERO E I LORO FIGLI… BIMBI CON MALFORMAZIONI E ABORTI TERAPEUTICI
L’ultima a nascere in ordine di tempo è stata una bambina che oggi ha due anni e mezzo, affetta da labiopalatoschisi, quella malformazione della bocca che viene comunemente definita “labbro leporino”.
Proprio come è successo con suo fratello – che oggi ha 7 anni – i medici si sono accorti dell’anomalia quando era ancora nella pancia della mamma.
Poi ci sono quelli che, invece, non sono mai nati.
Le loro madri hanno scelto di abortire. Una decisione straziante, per evitare che i neonati venissero al mondo in condizioni fisiche già pesantemente compromesse. Infine ci sono gravidanze che si sono interrotte da sole, dopo pochi mesi di gestazione. Lasciando nei genitori un grande vuoto e mille domande.
L’uranio impoverito continua la sua strage silenziosa.
E’ di pochi giorni fa la notizia della morte del maresciallo incursore dell’Aeronautica Gianluca Danise, che nel 2003 a Nassiriya ricompose i corpi dei suoi colleghi uccisi da un attentato terroristico, stroncato da un tumore alla rinofaringe e abbandonato dalle istituzioni – come lui stesso ha denunciato – nei lunghi anni di malattia.
Ma le vittime non si contano soltanto fra i nostri militari di ritorno dalle missioni all’estero — che ancora oggi a distanza di vent’anni continuano ad ammalarsi di tumori e leucemie — ma anche fra i loro figli.
La lista dei bambini venuti al mondo con malformazioni e quella degli aborti terapeutici o spontanei continua a salire.
Quantificarli con precisione è quasi impossibile, ma secondo le associazioni che da anni si battono per denunciare le conseguenze dei metalli pesanti sui soldati italiani si parla ormai di diverse decine di casi dichiarati.
Le chiamano “vittime terze”, perchè le loro vite sono state pregiudicate e danneggiate indirettamente dalle esposizioni dei loro genitori.
Fra questi ci sono anche figli di civili, che si sono ritrovati a vivere in prossimità di luoghi contaminati da uranio, torio, gas radon in aree dove si sperimentano gli armamenti, come Salto di Quirra, sede di un poligono interforze a disposizione della Nato.
A tutti gli effetti, si tratta di vittime invisibili. Per la prima volta, però, a occuparsi dei civili sarà la commissione d’inchiesta della Camera (promossa da Sel e Movimento 5 Stelle) incaricata di far luce sui mancati risarcimenti alle vittime dell’uranio, che sta cercando di partire fra mille intoppi e che in questi giorni sta tentando di mettere insieme i nomi delle persone coinvolte.
Con un occhio di riguardo ai paesi sardi di Escalaplano, Capo Teulada e Perdarsefogu, che si trovano a pochi passi dai poligoni.
Ma la strada è tutta in salita. Fra i soldati c’è infatti chi è ancora in servizio e, temendo ritorsioni, preferisce non denunciare.
E poi c’è chi semplicemente prova vergogna, e non vuole che la sua storia venga alla luce. Più spesso il problema è burocratico. Le anomalie genetiche non sono state denunciate alla nascita e quindi nelle statistiche sanitarie e nei registri della Asl praticamente non esistono. Tantomeno esistono per i tribunali, che non hanno fatto partire alcuna inchiesta.
Però le storie sono moltissime. E alcune delle vittime solo adesso trovano il coraggio di parlare in forma rigorosamente anonima.
E’ in questi mesi, infatti, che si deciderà tutto. E solo se quest’ultima commissione d’inchiesta riuscirà a provare un nesso di causalità fra le anomalie genetiche dei bambini e le esposizioni da uranio dei loro genitori ci sarà possibilità di avere giustizia e un legittimo risarcimento economico.
Negli ultimi dieci anni sarebbero 3.700 i reduci da missioni all’estero che hanno avuto un tumore. In 532 hanno richiesto un risarcimento al ministero della Difesa. Nessuno di loro ha ancora visto un euro.
“La paura di parlare è tanta — confermano a l’Espresso dalla neonata Commissione d’inchiesta incaricata di redigere i nomi delle vittime — però noi facciamo un appello anche attraverso la stampa: trovate il coraggio di abbattere questo muro di gomma”.
IMPASSE BUROCRATICA
Ci ha provato, per esempio, S.I., figlia di un militare in forza al poligono di Teulada.
“Per ben nove anni — è il resoconto della donna contenuto in una missiva destinata al ministero della Difesa — sono stata una residente del dovere, perchè nel poligono ha prestato servizio per molto tempo mio padre, maresciallo dell’Esercito”.
“Mi sono ammalata di due gravi malattie, il morbo di Basedow e una forma di sclerosi — spiega — e ho avuto un bambino nato con grossi problemi genetici, che purtroppo di recente è deceduto”.
Secondo la donna — assistita dall’associazione Anavafaf — a provocare le sue malattie e la disabilità del figlio sarebbe stata la prolungata esposizione a nanoparticelle di metalli pesanti. Non solo uranio impoverito ma anche radiazioni di torio, “perchè nel poligono sono stati ampiamente utilizzati e sperimentati i missili Milan che contengono, appunto, torio”.
La sua casa sorgeva vicino a un territorio che oggi viene considerato “non più bonificabile e permanentemente interdetto alle abitazioni”.
Nonostante questo, però, le sue richieste di risarcimento finora sono state sempre ignorate. E non perchè non ci fosse un nesso fra la sua malattia e quella del figlio, ma per semplici intoppi burocratici.
“Nonostante fosse chiaro a tutti che io ero una comune cittadina, il mio caso è stato preso in mano dal Comitato Cause di Servizio della Difesa, ovvero l’ufficio che si occupa dei militari, che poi mi ha risposto dicendo che non poteva occuparsi di me, in quanto non militare”.
Una situazione kafkiana, che finora non ha trovato soluzione. E che lascia nella donna un forte amaro in bocca: “Oltre ad aver perso mio figlio e ad aver pagato le spese delle cure di tasca nostra, mi sono trovata a dover subire un atteggiamento di diffidenza e sospetto: hanno persino affidato ai carabinieri locali un’indagine per accertare a quale distanza si trovasse il poligono rispetto all’alloggio nel quale risiedevo, nonostante fosse noto a tutti dove si trovassero le abitazioni per il personale di gestione del poligono”.
“Credo che un minimo di rispetto fosse dovuto verso chi, con grandi rischi, è stato al servizio del Paese e verso chi, non facendo parte del corpo militare, non poteva nemmeno chiedere l’adozione di misure protettive, come semplici mascherine, per evitare di respirare quel veleno”, è l’amara conclusione della donna nella sua lettera al Ministero.
Interpellato da l’Espresso (in data primo dicembre 2015, ndr) , fino a oggi il ministero della Difesa non ha risposto alle nostre domande che erano state poste per fornire una corretta ed equilibrata esposizione dei fatti.
TUMORI INFANTILI
E nessun interesse da parte delle istituzioni – denunciano le associazioni – sembrerebbe esserci stato verso quei genitori che hanno visto, misteriosamente, i figli morire a causa di tumori infantili a poche settimane o addirittura a poche ore dal parto, alcuni di loro nati senza parte del cervello.
Casi clinici inspiegabili, capitati fra persone senza precedenti simili nella loro storia familiare. A rompere un dolorosissimo silenzio lungo vent’anni c’è, per esempio, un capitano dell’Aeronautica che oggi chiede di sapere perchè suo figlio, concepito dopo sei anni di servizio al poligono interforze di Salto di Quirra, sia nato con un tumore al rene. Per quel bambino non c’è stato scampo: è morto 30 giorni dopo essere venuto al mondo.
Gravi malformazioni sono state registrate alla nascita anche nel figlio di Vincenzo Z., maresciallo dell’Esercito che ha prestato servizio in Bosnia nei primi anni Duemila e che ha effettuato numerose esercitazioni a Capo Teulada.
Affetto da una grave forma di idrocefalia anche il bambino di E.D., un ex soldato reduce da missioni nei Balcani, che oggi chiede di conoscere la verità .
Mentre una lunga lista di aborti (terapeutici e non) è stata registrata fra le mogli dei soldati che, nei Balcani e in Kosovo, erano addetti alle bonifiche del terreno dove erano stati esplosi proiettili all’uranio impoverito.
Raccontano oggi alcuni di loro: “I nostri superiori erano stati molto chiari: ci avevano consigliato di non fare figli per almeno tre anni dalla fine della missione all’estero”. “Una testimonianza inquietante — conferma l’ammiraglio Falco Accame a capo dell’associazione Anavafaf — che emerse, riferita dagli onorevoli Pisa e Angioni, anche nel corso dell’audizione del generale Michele Donvito alla commissione Difesa della Camera il 29 giugno del 2004”.
“L’emergenza uranio non è finita e le conseguenze continuiamo a pagarle, visto che ancora oggi riceviamo lettere disperate di genitori con figli portatori di anomalie genetiche — spiega Accame — Queste persone meritano, una volta per tutte, che sia data loro una risposta”.
“NASCONDETELI IN CASA”
Chi è in grado di spiegare questa situazione in tutta la sua cruda semplicità è Mariella Cao, battagliera fondatrice del comitato sardo Gettiamo le Basi, che da anni lotta perchè l’opinione pubblica sia informata su quello che succede attorno ai poligoni di tiro della Sardegna.
“I casi sono molto più numerosi di quelli che sono stati raccontati finora — è la premessa della donna — solo che da parte dei genitori di questi bambini c’è sempre stata una forte reticenza a parlare, dettata soprattutto dalla paura di subire ritorsioni o addirittura di perdere il proprio impiego nell’Esercito”.
E non solo da parte dei militari, visto che l’eventuale chiusura di una base interforze porterebbe alla perdita di lavoro anche per centinaia di civili.
Nel paese di Escalaplano, per esempio, a una manciata di chilometri dal poligono di Quirra, dove in 2.600 abitanti nei primi anni Duemila si è raggiunto un picco di 14 bambini con gravissime malformazioni genetiche, la regola ufficiale era quella di tacere.
Qualsiasi cosa accadesse. E dunque, se i casi non venivano denunciati negli ospedali, era come se non fossero mai esistiti. Un copione che si è ripetuto anche nei comuni di Jerzu, Ballao e Tertenia.
“Alle mamme di questi bambini veniva detto senza tanti giri di parole: nascondeteli in casa”, racconta oggi Mariella Cao. E così loro, un po’ per paura un po’ per vergona, eseguivano.
“Chi non ha trovato il coraggio di parlare, o si è ostinato a sostenere che le anomalie genetiche fossero soltanto un caso, non è però da biasimare — riflette la fondatrice di Gettiamo le Basi — immaginate cosa significa, per la madre di un bambino che sta morendo, prendere coscienza che la malattia di suo figlio non è dovuta a una coincidenza o a una tremenda sfortuna, ma a dei responsabili in carne e ossa, che guadagnano su questa situazione. Rendersene conto può portare alla disperazione. O alla follia”.
Non hanno taciuto, ma hanno gridato tutta la loro rabbia e il loro dolore, invece, la mamma di Maria Grazia (nata con malformazioni evidenti alla testa e morta due anni fa, a 25 anni) e il fotografo Stefano Artitzu, la cui figlia è nata senza le dita della mano destra.
Ad un certo punto Artitzu ha anche fondato un comitato composto da padri e madri di bambini nati con anomalie genetiche, con l’obiettivo di trovare informazioni e chiedere giustizia.
“Poi però ci siamo sciolti, perchè era come combattere contro i mulini a vento una battaglia troppo dolorosa, dove oltre alle difficoltà di dover lottare ogni giorno dovevamo subire maldicenze ed esclusione sociale”, racconta.
Una situazione che conosce bene anche Mauro Pili, ex Presidente della Regione Sardegna, oggi deputato alla Camera e componente della nuova commissione d’inchiesta che ha appena aperto i lavori: “Già nel 2002 fu chiesto alla popolazione civile che abitava nei pressi di Salto di Quirra di sottoporsi a uno screening genetico, ma solamente una piccolissima parte accettò”.
“Gli interessi in gioco solo altissimi — prosegue il politico sardo – chi indaga trova sempre il freno a mano tirato. E la commissione ancora oggi, dopo sei mesi, sta carcando di partire avvolta da un silenzio imbarazzante”.
Arianna Giunti
(da “L’Espresso”)
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Dicembre 31st, 2015 Riccardo Fucile
NUOVI GUAI PER LA GIUNTA CINQUESTELLE CHE DA APPENA SEI MESI GUIDA IL COMUNE DEL NAPOLETANO
Nuovi problemi per la giunta del Movimento 5 Stelle che da sei mesi guida il comune di Quarto (Napoli). Si sono dimessi stamattina l’assessore al Bilancio, Umberto Masullo ed il consigliere comunale Fabrizio Manzo.
I due hanno addotto motivi diversi per le dimissioni e apparentemente non in relazione con l’inchiesta della Dda di Napoli sul caso del consigliere grillino Giovanni De Robbio, indagato per tentata estorsione aggravata nei confronti del sindaco del suo stesso partito, Rosa Capuozzo, e di voto di scambio.
L’assessore Masullo già in rotta di collisione con il sindaco si è appellato a “motivi professionali”, mentre il consigliere Manzo a non precisati “motivi personali”.
La giunta grillina, a inizio dicembre, aveva subito un’altra defezione, quella dell’assessore alla Cultura, Raffaella Iovine, che era andata via sbattendo la porta per divergenze con il sindaco.
Il sindaco Capuozzo replicò di aver dimissionato l’assessore per il suo immobilismo.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 31st, 2015 Riccardo Fucile
LO STATO SPENDE, LA RICOSTRUZIONE ARRANCA…PERIFERIA OK MA CENTRO STORICO INDIETRO NEI LAVORI… TRA SPERPERI E SCANDALI
Sono passati quasi sette anni senza che sia riuscito a riavere la sua casa. Eppure, alle pendici del Gran Sasso spazzato dal vento, il vecchio si dice fortunato: “E già , perchè quest’anno l’inverno fino ad ora è stato mite, possiamo almeno passeggiare”. Fortunato, proprio così dice. Dopo sette anni e dodici miliardi spesi.
Una pioggia di finanziamenti abbattutasi su L’Aquila e dintorni dalla notte maledetta del sisma ma che non pare essere servita a molto, visto che lui è ancora qui, sfollato tra gli sfollati, a quasi duemila metri di altitudine, chissà per quanto altro tempo ancora.
Senza complessi Giuliano Bruno vive in uno dei 19 nuovi insediamenti del cosiddetto progetto Case, i famosi Complessi antisismici ed ecocompatibili, realizzato con quasi un miliardo di euro dal governo di Silvio Berlusconi e dalla Protezione civile di Guido Bertolaso per dare un tetto a circa 20 mila degli oltre settantamila cittadini rimasti senza casa dopo il terremoto del 6 aprile 2009.
Vive in un appartamento della new town più alta della città , Giuliano, ad Assergi, realizzata sfregiando un pezzo di montagna con un complesso immobiliare che ora cade a pezzi come molti degli altri sparsi nel cratere, dove gli alberi natalizi e le luci si mescolano alla tristezza dell’abbandono, dell’isolamento e della rassegnazione.
BUCO NERO
Il grande buco nero dell’Aquila, il mezzo disastro di una ricostruzione trionfalmente annunciata con tanto cinismo e faciloneria e ancora lontanissima dall’essere terminata, comincia anche da qui.
Da questo immenso patrimonio edilizio di 4.600 alloggi divisi in 185 edifici voluto con troppa fretta e in totale assenza di pianificazione urbanistica, da un governo berlusconiano tanto decisionista quanto velleitario.
Un buco nero sul quale tanti altri miliardi sono destinati a piovere in futuro dai Palazzi del potere romano. E sul quale, con l’anno nuovo, ilfattoquotidiano.it ha provato ad accendere un faro per cercare di fare il punto su una ricostruzione tanto affannata quanto costosa.
Un viaggio che comincia proprio dalla “fortuna” di Giuliano e dallo stato disastroso delle avveniristiche new town volute dall’ex Cavaliere e dalla sua corte.
Un patrimonio (se così si può ancora definire) abitativo privo di servizi efficienti e infrastrutture adeguate, che si è via via rivelato come un vero e proprio ghetto per anziani ed immigrati. E questo per il momento.
Perchè in futuro le town, ora di proprietà comunale, potrebbero trasformarsi in qualcosa di peggiore andando ad alimentare l’incubo che insieme a tutti gli altri ritardi, gli sprechi e i troppi scandali, il passaparola cittadino e le inchieste giudiziarie aggiornano con dati sconfortanti.
AQUILA IN FUGA
Una condanna per la città , questi insediamenti dai colori fantasiosi, che rimarrà scritta per chissà quante generazioni. Innanzitutto per gli alti costi di gestione e di manutenzione. Ma non solo.
L’esistenza stessa di tanta disponibilità di appartamenti, oltre alle duemila casette di legno dei villaggi Map (moduli abitativi provvisori) sparsi anch’essi all’interno del perimetro del sisma, sta infatti stravolgendo il mercato immobiliare già compromesso dalla fuga di tante famiglie dalla città .
Gli iscritti al Liceo classico, per dire, sono diminuiti di 800 unità negli ultimi due anni. Mentre sono centinaia i cartelli di messa in vendita che spiccano dai balconi dei primi palazzi ristrutturati.
Segnali di una pericolosa “bolla immobiliare” di cui ancora non si comprende la portata. E che aumenterà certamente gli effetti quando alcuni quartieri del progetto Case, secondo le intenzioni del Comune, diventeranno Campus universitari, togliendo la possibilità a molti aquilani di affittare agli studenti fuori sede.
Un mercato remuneratissimo fino al 2009, quello delle locazioni, che costituiva una risorsa primaria per tantissimi aquilani e che ora pare inevitabilmente destinato ad andare in fumo.
SILENZIO, SI SPENDE
L’età dell’oro sembra infatti ormai un ricordo. L’Aquila si spopola, grazie anche alle cervellotiche sovvenzioni ideate a Roma e avallate in un complice silenzio dalla politica locale.
La sostituzione edilizia, per esempio: tenete a mente queste due parole. Rischiano di passare alla storia come una delle più singolari elargizioni governative ideate per i terremotati aquilani.
Grazie ad essa, qualora l’edificio di proprietà risulti distrutto, al singolo proprietario è riconosciuta la possibilità di acquistare un’abitazione equivalente a quella principale anche fuori dall’area del Comune, della provincia e della regione.
Un meccanismo che obbliga lo Stato a ristrutturare l’appartamento ceduto dai proprietari e pagare quello nuovo, mentre i fortunati sovvenzionati -sembra siano più di 580 i casi sinora registrati- incassano il contributo andando felicemente a sistemarsi altrove.
Con tanti saluti alla sospirata rinascita dell’Aquila, una città che comincia ad essere il fantasma di se stessa, per di più minata da un mercato del lavoro asfittico per non dire comatoso.
SOLITUDINE E SPRECHI
Quanto costa al Comune dell’Aquila mantenere e gestire il patrimonio immobiliare post-sisma?
Secondo l’assessorato al Bilancio almeno 3,5 milioni di euro l’anno, forse anche di più considerando che molti di questi immobili cadono a pezzi, compromessi da infiltrazioni di acqua e di umidità e da difetti di costruzione su cui non si può intervenire. E molti restano vuoti perchè non abitabili, o perchè sono scomodi e nessuno vuole più andarci.
Nella new town di Assergi, che dista 18 chilometri dalla città e una decina dal primo grande supermercato, sono vuoti 35 appartamenti su 96.
Anche Giuliano Bruno vorrebbe lasciare l’insediamento Case di Assergi. Prima del sisma viveva a Paganica, altra frazione tra le 47 dell’Aquila in cui la ricostruzione è in alto mare. Giuliano, che è cieco e vive da solo con il cane che lo aiuta negli spostamenti, è il presidente del Comitato Ade (sta per Abbandonati, dimenticati, emarginati). La sua priorità è la battaglia per il rispetto dei diritti dei cittadini delle new town. “E’ una questione di giustizia”, dice.
TERREMOTO IN BOLLETTA
Come per la storia delle bollette che il Comune ha fatto pagare per anni al metro quadrato, mentre in tutt’Italia l’energia elettrica e il riscaldamento si pagano in base al consumo.
Il risultato è che nei quartieri post-sisma arrivano adesso richieste di pagamento salatissime che per molti cittadini (organizzati anche in comitati) “non sono conformi ai reali consumi”.
Circostanza che ha fatto registrare un’alta morosità , generando 10 milioni di debito del Comune verso Enel. Intanto, quello del 2015 è il settimo capodanno che 12 mila sfollati -tanti sono ancora i cittadini in attesa di tornare nella propria abitazione- trascorrono nelle piccole città fantasma. Con gli anziani sempre più soli.
“Siamo imprigionati”, racconta una donna di 88 anni che vive nel villaggio map di Civita di Bagno: “Per fortuna che due volte a settimana i venditori ambulanti di saponi, formaggi e frutta passano anche da queste parti, altrimenti non saprei come vivere”.
Per l’anziana signora raggiungere il negozio di alimentari all’ingresso del paese è impossibile. Ma lei, a differenza di Giuliano Bruno, non riesce a definirsi fortunata.
SCANDALI SOLARI
C’è poi la questione “all’Italiana” dei pannelli solari, fatti realizzare sui tetti di alcuni degli insediamenti del progetto Case (ad Assergi ma anche altrove) e mai entrati in funzione: soldi pubblici buttati al vento, secondo i cuttadini.
Una vicenda finita in tribunale. Giuliano racconta che quei pannelli sono stati realizzati per produrre acqua calda e quindi per permettere ai residenti di risparmiare sulla bolletta.
“Ma la cosa curiosa è che il giudice ha detto che non è scritto in nessun documento o norma che l’amministrazione debba farli funzionare”, aggiunge: “Peccato, perchè in questo anno straordinariamente caldo e con tanti giorni di sole, avremmo potuto risparmiare molti soldi”.
SPESE RECORD
Intanto, per chi arriva dall’autostrada di Roma lo skyline dell’Aquila è oggi una selva di gru che si alza dai tetti della città . Di notte una decina di esse restano illuminate per segnare le feste per l’anno nuovo con fasci di luce rossi, blu e gialli.
Ed è come se all’improvviso avessero un’anima, lanciando uno speranzoso messaggio di rinascita per un territorio terribilmente depresso.
L’Aquila è il cantiere più grande d’Italia. Almeno così continuano a ripetere politici ed imprenditori locali.
Oltre 810 sono quelli attivi tra periferie e centro storico (dove se ne contano 350) con settemila operai al lavoro nei 56 Comuni del cratere sismico, secondo i dati della Cassa edile.
Ciononostante, la ricostruzione resta un inquietante buco nero che ha bruciato finora, stando alle stime di alcuni esperti, più soldi di quella dell’Irpinia, dove il terremoto del 1980 fece 2.914 morti e distrusse cento Comuni.
SENZA FONDO
Un buco nero, ma anche un pozzo senza fondo. Questo cominciano a sospettare molti osservatori di fronte alla città in totale rifacimento e il cui centro storico è ancora praticamente rimasto com’era all’indomani della grande scossa di sette anni fa. Certo, buona parte della periferia è stata ricostruita.
Tante cose sono state fatte. Eppure, sembra incredibile, il cuore della città , tranne pochi palazzi, è ancora da rifare, con buona parte della ricostruzione da avviare.
Zona rossa era, zona rossa è rimasta, imbragata nelle impalcature, con troppi edifici tenuti su inutilmente in questi anni e che in futuro potrebbero essere comunque abbattuti (vedere foto sotto). Un’altra pagina oscura quella dei puntellamenti.
Oscura e costosa. E sulla quale i riflettori della giustizia sono già puntati. Fare luce sulle opere realizzate e tenere sotto controllo il malaffare, è la parola d’ordine. E la procura diretta da Fausto Cardella ci prova. Anche se non è cosa facile, visto il dilagare delle inchieste.
ROSARIO DOLOROSO
Dopo il crollo di un balcone nel quartiere del progetto Case di Cese di Preturo, nel settembre del 2014, è stata aperta una indagine affidata alla Guardia Forestale. Una inchiesta conclusa con 37 avvisi di garanzia.
Pesanti i reati contestati: truffa da 18 milioni, crollo colposo, falso. Un rosario di reati che la dice lunga sulla qualità e la trasparenza delle opere realizzate dal governo berlusconiano con i soldi pubblici.
Dopo questo crollo sono stati sequestrati anche altri 800 balconi in legno in altri 494 appartamenti. Portando allo scoperto un fiume carsico di inadempienze. E non solo sulla realizzazione del Progetto Case.
Oltre ai balconi a rischio crollo e gli altri lavori realizzati nella prima fase dell’emergenza con modalità discutibili, sono tanti gli scandali che stanno marchiando il post-sisma aquilano e che insieme a politici e nomi conosciuti spesso vedono coinvolti anche troppi comuni cittadini.
TUTTI IN RIGA
Continuano a fare clamore i casi di personaggi inseriti in gangli vitali dell’amministrazione comunale e finiti nella rete della giustizia. Come è capitato con l’arresto dell’ex vicesindaco Roberto Riga per corruzione negli appalti per la ricostruzione.
Il referente per l’Abruzzo di Libera (l’associazione contro le mafie fondata da don Luigi Ciotti) Angelo Venti, accusa con durezza: “La ricostruzione privata è fuori controllo”, regolamentata da “un quadro normativo carente” che favorisce il “dilagare della corruzione e delle infiltrazioni criminali”, ma anche di “piccoli fatti corruttivi che coinvolgono i singoli proprietari e cittadini, con pratiche gonfiate per avere questa o quella miglioria nel bagno o nel garage da trasformare in una nuova stanza”.
Una fotografia contestata dall’amministrazione comunale e dall’assessore alla Ricostruzione, Pietro Di Stefano: “I progetti hanno il limite di spesa non superabile e vengono controllati a monte dagli uffici speciali per la ricostruzione, che sono autonomi”, spiega: “Spesso il contributo per ricostruire viene ridotto, altro che gonfiato”.
MALEDETTA PARTITOCRAZIA
L’architetto ed ex dirigente del settore Urbanistica della Regione Abruzzo Antonio Perrotti conferma invece l’esistenza di una “questione morale” all’Aquila. Una piaga a suo avviso confermata dalle inchieste giudiziarie che hanno fatto emergere casi di corruzione sia nella parte privata della ricostruzione che in quella pubblica (con il coinvolgimento di personaggi legati allo Stato, come l’ex commissario ai Beni culturali Luciano Marchetti).
Inchieste che si aggiungono a quelle targate ‘Ndrangheta, come l’indagine “Lypas” del dicembre 2011, e Camorra (“Dyrti job” del giugno 2014).
“L’Aquila”, sostiene Perrotti, “è stretta nella morsa della partitocrazia e delle mafie che tengono sotto scacco la politica, soffocando qualsiasi buona volontà di trasparenza e di partecipazione dei cittadini sulle scelte che segneranno la rinascita della loro città ”.
BUON ANNO
Un duro atto di accusa lanciato su una città provata dalle difficoltà e dai sospetti, quello di Perrotti e Venti. Mentre il denaro pubblico continua a piovere sulla città . L’ultima tranche di finanziamenti elargita dai Palazzi romani è della scorsa settimana. Denaro che continua ad arrivare, anche se il centro storico dell’Aquila e tutte le frazioni sono ancora lontane dal potersi definire ricostruite.
Come Onna, simbolo di questo terremoto che ha spazzato vite umane, sogni e speranze, allettando invece chi a pochi istanti dalla scossa rideva già per i succulenti guadagni che la ricostruzione avrebbe procurato.
Intanto si festeggia il nuovo anno. Anche tra ritardi e sprechi. Con Giuliano Bruno che continua a considerarsi fortunato per quest’inverno mite e assolato.
Nonostante gli scandali. Nonostante tutto.
Marianna Gianforte
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 31st, 2015 Riccardo Fucile
GIRO DI VITE SULLE CALDAIE: OBBLIGHI IMPOSSIBILI DA CONTROLLARE E DALL’EFFICACIA LIMITATA
Nel gennaio del 2011, all’indomani dell’ennesimo allarme smog sulla Pianura Padana, l’allora sindaco di Milano Letizia Moratti reagì in maniera non molto diversa da come sta facendo oggi il suo successore Giuliano Pisapia.
L’arsenale di armi spuntate in dotazione ai nostri amministratori per sperare di uscire rapidamente dall’emergenza inquinamento non lascia infatti grandi spazi di manovra. Così anche in quell’occasione arrivò l’immancabile ordinanza municipale per ridurre il ricorso al riscaldamento degli edifici, limitando la temperatura massima consentita a 18 gradi.
Pochi giorni dopo una delegazione di Legambiente guidata da Andrea Poggio, termometri alla mano e telecamere del Tg regionale al seguito, si presentò nella sala consiliare di Palazzo Marino per misurare i gradi nell’aula.
La colonnina di mercurio fu spietata nello smascherare l’ipocrisia della politica e si arrampicò rapidamente fino a quota 24, ben 6 gradi in più dei 18 consentiti.
Sdegnarsi per gli amministratori che lasciano al freddo i poveri cittadini mentre loro se ne stanno al calduccio è però fuori luogo.
In quell’occasione controlli furono eseguiti anche in altri edifici pubblici e i risultati non cambiarono di molto: 22, 23 e pesino 26 gradi.
Se c’è qualcosa che deve scandalizzare è semmai la demagogia che si nasconde nel riflesso condizionato che accompagna ogni allarme smog, a cominciare dalle sostanzialmente inapplicabili e inutili ordinanze per limitare la temperatura del riscaldamento.
Eppure, anche stavolta, persino il vertice tra il ministro dell’Ambiente Galletti, sindaci e governatori delle Regioni non ha potuto fare a meno di mettere sul piatto, tra le varie misure, anche una riduzione del riscaldamento di 2 gradi, confermando quanto già deciso ieri (dopo Pisapia) dal commissario straordinario di Roma Francesco Paolo Tronca che in una nota ha informato di aver incaricato “il comandante della polizia locale di effettuare un’attività di controllo sul rispetto delle disposizioni in materia di abbassamento delle temperature di esercizio, a partire dai grandi impianti di riscaldamento”.
Il quadro di riferimento generale per il funzionamento delle caldaie è regolato dal decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 74.
Per quanto riguarda il livello di riscaldamento invernale la normativa prevede che “la media ponderata delle temperature dell’aria misurate nei singoli ambienti riscaldati di ciascuna unità immobiliare non deve superare i 18°C (+ 2 di tolleranza) per gli edifici adibiti ad attività industriali, artigianali e assimilabili e i 20°C + 2 per tutti gli altri edifici”.
Un regolamento che può valere come indicazione di massima, ma che chiunque abbia esperienza di faticose assemblee di condominio sa bene, è molto difficile da prendere alla lettera visto che la temperatura di un primo piano non sarà mai uguale a quella di un attico e che quella della parte di edificio esposta a sud non sarà mai uguale a quella esposta a nord.
Ancora più velleitario è pensare, come sembra voler fare il commissario Tronca, che queste norme possano essere fatte rispettare a forza di controlli.
“L’esercizio, la conduzione, il controllo, la manutenzione dell’impianto termico e il rispetto delle disposizioni di legge in materia di efficienza energetica – recita sempre il decreto del 2013 – sono affidati al responsabile dell’impianto, che può delegarle ad un terzo”.
Per quanto riguarda le sanzioni a carico dei trasgressori, i proprietari e gli amministratori di condominio che non rispettano le nuove norme in materia di climatizzazione e riscaldamento sono passibili di una multa compresa tra i 500 e i 3.000 euro.
Multe tra i 1.000 e i 6.000 euro sono invece previste per gli operatori incaricati del controllo degli impianti che non ottemperano al regolamento.
“Ogni comune in realtà ha adottato modalità di verifica diverse – ricorda Andrea Poggio – a Milano negli uffici pubblici spetta al Servizio di igiene del lavoro delle Asl mentre nei condomini intervengono dei tecnici, ma possono entrare solo se attivati dalla segnalazione di un inquilino. Nessuno però è così sciocco da chiamare i vigili con la possibilità di prendersi una multa. Succede solo in seguito a liti tra condòmini e per dissuadere questa litigiosità il Comune ha istituito una tariffa di 60 euro a carico di chi fa la segnalazione per ogni chiamata”.
Da Milano a Roma, altra città nella stretta delle polveri sottili, risulta dunque ben complicato immaginare in questi giorni squadre di vigili urbani, già alle prese con il difficile compito di verificare la regolarità della circolazione a targhe alterne, fare ispezioni di controllo nei condomini o negli uffici delle capitale dove nessuno li ha chiamati.
Senza contare che ormai circa un terzo degli impianti di riscaldamento degli edifici residenziali è autonomo e quindi le verifiche sulle temperature e l’efficienza delle caldaie andrebbe fatta appartamento per appartamento.
Inoltre se si parla di inquinamento dannoso per il clima del Pianeta è un conto, ma ai fini dello smog urbano le nostre caldaie, ormai per la maggior parte a metano, hanno un incidenza molto modesta mentre il vero pericolo, come ricordava oggi su Repubblica Stefano Caserini del Politecnico di Milano, sono semmai i camini a legna, ancor più difficili da controllare malgrado il divieto imposto.
“Ogni iniziativa che promuove l’efficienza energetica e la riduzione delle emissioni di CO2 è benvenuta”, dice il presidente della Federazione italiana per l’uso razionale dell’energia Dario Di Santo. “Ma sgombriamo il campo dagli equivoci: contro lo smog ordinanze come quella sul riscaldamento non servono assolutamente a nulla”.
Valerio Gualerzi
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 31st, 2015 Riccardo Fucile
DONATO MESSINESE CONTRATTACCA E RISPONDE PUNTO PER PUNTO ALLE ACCUSE
Espulso da M5S sei mesi dopo l’elezione a sindaco di Gela, per essere entrato in rotta di collisione con gran parte degli attivisti e dei consiglieri comunali pentastellati, per essersi dimostrato “totalmente fuori asse rispetto ai principi di comportamento degli eletti”.
A Donato Messinese vengono contestati, in sintesi, il mancato taglio dello stipendio e un atteggiamento favorevole ai petrolieri: il primo cittadino, si legge nel documento, “ha avallato il protocollo fra Stato, Regione ed Eni consentendo sul territorio la perforazione di nuovi pozzi e la riapertura di vecchi”.
“Prendo atto di una decisione espressa da una corte marziale di bit, ma non condivido” replica il sindaco.
“Non mi appellerò a nessun organo di secondo grado interno – aggiunge in una nota – solo perchè a noi pentastellati o ex pentastellati non è permesso, ma le motivazioni di quella che è solo l’ennesima esecuzione di piazza sono degne di un’altra storia della colonna infame ispirata ai giorni nostri”. […]
“Alla gara rancorosa degli attacchi mediatici di alcuni portavoce estremisti in cerca di popolarità infatti oppongo il silenzio a favore di tutti gli altri amici, la gran parte, del movimento: dalle figure istituzionali che in queste ore mi sono state vicino, esprimendo un malessere che, mi hanno promesso, verrà presto affrontato e risolto definitivamente, agli attivisti di frontiera dei quali continuerò ad onorare la fiducia che mi hanno tributato, con la presenza anche in giunta. Con l’auspicio che anche loro non vengano raggiunti da un’espulsione che prenda spunto dal loro indice Isee o dall’alimentazione delle loro caldaie”
Il sindaco di Gela si difende anche in un’intervista alla Repubblica.
“Ma prima non si facevano i referendum on-line? Ora devo apprendere la notizia dalla stampa? Eh no, questa si chiama epurazione. Con tutto il rispetto per Cancelleri (leader di 5stelle in Assemblea regionale, ndr) aspetto che me lo dica Grillo. Mi mandino magari un telegramma. Ma mi spieghino perchè”.
Punto numero uno delle accuse, non si è tagliato lo stipendio.
“E dove è scritto che dovevo farlo? Non nel mio programma. Il movimento fissa questo principio per i parlamentari che guadagnano 20 mila euro lordi al mese. Io ne percepisco appena tremila al mese: è lo stesso reddito che avevo prima, da ingegnere informatico alla Telecom. Solo che ora lavoro 7 giorni su 7. E devo mandare due figli all’università “.
Punto numero due delle accuse, è filo-Eni.
“Sono un sindaco, ho l’obbligo di parlare con tutti. Se non mi siedo a trattare con l’Eni non ottengo le bonifiche. E io, prima di quelle, ho conquistato la perimetrazione delle aree inquinate. Lorsignori non lo sanno”.
Punto numero tre delle accuse, spende troppo e fa troppe missioni.
“E che dovevo fare? Stare dietro una scrivania? No, vado a Palermo, a Roma, a chiedere attenzione per la mia cittadina dimenticata da tutti. Dal governo nazionale come dai vertici di 5 Stelle”.
Messinese si dice abbandonato da M5S.
“Il Movimento è stato latitante. Grillo e Casaleggio li ho sentiti l’ultima volta dopo l’elezione, poi basta. Io dico che un soggetto politico come 5 Stelle dovrebbe porre attenzione a Gela per i tremila posti di lavoro persi in un anno piuttosto che per i tre assessori che ho licenziato perchè remavano contro l’amministrazione”.
(da “Huffingtonpost“)
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Dicembre 31st, 2015 Riccardo Fucile
DOPO L’INTERCETTAZIONE DI UNO DEI CARABINIERI COINVOLTI I LEGALI DI CUCCHI CHEDONO UN INTERVENTO DEL GENERALE TOMASONE
Nel suo appartamento tra il Pigneto e Tor Pignattara, a poca distanza da dove abitava con la sua famiglia e insieme a Stefano, Ilaria Cucchi siede intorno a un tavolo con i suoi avvocati. Dietro di loro giocano quattro bambini, i suoi due figli e quelli di un amico.
Accanto ha l’avvocato Fabio Anselmo, che l’ha accompagnata nei lunghi 7 anni dalla morte del fratello, tra un’indagine e i tre processi.
Con attenzione ascolta l’audio delle intercettazioni in cui uno dei carabinieri coinvolti nell’inchiesta bis sulla morte del fratello viene accusato dall’ex moglie “di essersi divertito a picchiare Stefano”.
“Fa male sentire queste cose. Quasi non ci credo. Ma finalmente la verità sta venendo fuori” dice con un filo di voce.
Alcuni carabinieri avrebbero picchiato suo fratello e altri avrebbero anche mentito per coprirli. Questo dice al momento l’inchiesta della procura di Roma. Si sta facendo giustizia?
“Sono soddisfatta di quello che stanno facendo il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il pm Giovanni Musarò. Ma a questo punto vorrei chiedere al generale dei carabinieri Vittorio Tomasone, che ci telefonò subito dopo la morte di Stefano, mettendosi a nostra disposizione, cosa aveva saputo dell’inchiesta interna. Visto che dagli atti leggo che Roberto Mandolini (indagato per falsa testimonianza, ndr) dopo aver parlato con Mastronardi, parlò anche con lui”.
Crede che altri siano coinvolti?
“Non lo so, da quello che leggo sui giornali lo credo. Però intanto vorrei sapere anche del bianchetto sul nome di Stefano sul registro del fotosegnalamento e soprattutto della sparizione dei nomi dei due carabinieri che oggi vengono accusati di aver pestato mio fratello. Ma sono stati presi dei provvedimenti nei confronti di queste persone che sono indagate?”.
Alla luce di quello che sta scoperchiando l’inchiesta bis della procura di Roma si sente soddisfatta?
“Certamente sì, a parte la nomina del perito Francesco Introna, che ritengo sia legato all’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa, che ha sempre difeso i carabinieri a prescindere da tutto. A parte questo credo che ci sia un conflitto, visto che Introna è legato alla professoressa Cristina Cattaneo (uno dei consulenti che ha redatto la perizia disposta dalla III Corte d’Assise). Lei ha lavorato talmente bene che il giudice di secondo grado ha dovuto assolvere tutti perchè non si poteva individuare la causa della morte di mio fratello”.
Francesco Salvatore
(da “La Repubblica”)
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