Dicembre 14th, 2015 Riccardo Fucile
MA AD AREZZO LA PROCURA APRE UN NUOVO FILONE DI INCHIESTA SU CONFLITTI DI INTERESSE A CARICO DEI VERTICI DI BANCA ETRURIA
“La Leopolda 6 si è chiusa con il maggior numero di partecipanti di sempre. Sono davvero felice di
questa esplosione di buona politica. Gli italiani hanno voglia di luoghi in cui è possibile discutere, confrontarsi, ascoltare proposte. Sui giornali, come sempre, si è parlato di altro: soprattutto di banche”.
All’indomani di una Leopolda funestata dal caso delle banche salvate dal governo, Matteo Renzi si sfoga su Facebook.
Con la sua versione dei fatti, contro il racconto dei media sulla tre-giorni fiorentina.
Il premier cerca il contatto diretto con il suo popolo (domani sera andrà a Porta a porta da Vespa), senza l’intermediazione dei giornali.
Ma sa che il caso Boschi non è chiuso. E allora ecco il primo ordine di scuderia impartito ai suoi a Montecitorio: la mozione di sfiducia presentata dal M5s contro il ministro per le Riforme deve essere messa al voto al più presto.
Tanto non passerà , dati i numeri della maggioranza alla Camera. E il ministro ne uscirà blindata, insieme al governo. Prima di eventuali bufere giudiziarie.
Le avvisaglie ci sono ad Arezzo. Dove la procura ha aperto un nuovo filone d’inchiesta su Banca Etruria, uno dei quattro istituti salvati dal decreto del 22 novembre, banca di cui Pierluigi Boschi, padre del ministro per le Riforme, è stato vicepresidente fino al commissariamento e membro del cda.
Il terzo filone aperto per ora non ha indagati. E Pierluigi Boschi non è indagato nemmeno negli altri due filoni.
I pm comunque indagano su un presunto conflitto di interesse a carico di alcuni ex membri del cda di Banca Etruria che avrebbero ricevuto fondi per 185 milioni di euro, formalmente deliberati, di cui ne sarebbero stati erogati realmente 140 a vantaggio di 18 ex amministratori, 15 consiglieri e 5 sindaci revisori.
L’anno scorso Pierluigi Boschi fu multato da Bankitalia insieme ad altri 18 tra componenti ed ex componenti di cda e collegio sindacale di Banca Etruria per una somma complessiva di 2,54 milioni di euro.
Le accuse di Palazzo Koch: “Violazioni di disposizioni sulla governance, carenze nell’organizzazione, nei controlli interni e nella gestione nel controllo del credito e omesse e inesatte segnalazioni alla vigilanza di Bankitalia”.
Poi c’è il fatto che alla procura aretina e in altri uffici giudiziari stanno arrivando gli esposti dei consumatori che hanno perso i risparmi depositati in obbligazioni subordinate che il dl ‘Salva banche’ ha trasformato in carta straccia.
Insomma di carne al fuoco ce n’è. La bufera sul ministro Boschi non è finita con la Leopolda.
Quanto meno ci sono ancora dei punti interrogativi sul caso, che verranno chiariti solo man mano che l’inchiesta andrà avanti.
Pur tenendosi a distanza di sicurezza dal ministro Boschi per tutt’e tre i giorni alla Leopolda, Renzi vuole che la mozione di sfiducia del M5s venga votata e dunque respinta “al più presto”, dice all’Huffington Post il capogruppo del Pd alla Camera Ettore Rosato. Per rafforzare ministro e governo.
Un’argomentazione che Altero Matteoli usa per convincere il suo partito, Forza Italia, diviso come sempre tra falchi e colombe: “Di solito le mozioni di sfiducia individuali contro i ministri hanno finito per rafforzarli. Anche nel caso della Boschi sarà così. Quindi auspico da parte di Forza Italia un attimo di riflessione prima di condividere questa mozione”.
A conti fatti però il voto non potrà svolgersi prima della prossima settimana.
Il regolamento della Camera prevede che le mozioni vengano messe al voto dopo almeno tre giorni dalla presentazione. E tra giovedì e sabato Montecitorio sarà impegnata nel voto di fiducia sulla legge di stabilità .
Impossibile dunque fare prima di sette giorni. Cosa succederà nel mezzo lo sanno solo in procura ad Arezzo.
Ma certo all’indomani della sfortunata Leopolda 2015, c’è anche una sorta di ‘processo del lunedì’ tra i parlamentari renziani.
C’è chi, a taccuini chiusi, se la prende contro un “format insoddisfacente”. O contro i giornali che hanno parlato solo delle banche. Oppure con la scelta di lanciare dal palco il giochino per mettere alla berlina i titoli dei giornali ‘nemici’: “Sbagliato prendersela con i giornali”, dice su Repubblica il deputato renziano Michele Anzaldi.
Sono tutti sintomi di nervosismo, la sensazione innegabile che non è stata la Leopolda di una volta.
Renzi ingoia e respinge. Il premier resta in trincea all’attacco, come al comizio di chiusura di ieri.
Con i suoi cerca anche di mettere a punto il timing per la nascita della commissione d’inchiesta parlamentare sul pasticcio banche.
Sarà monocamerale per fare prima nella costituzione della commissione e dovrebbe nascere alla ripresa dell’attività parlamentare dopo la pausa natalizia. Anche se il premier vorrebbe fare prima. “C’è chi urla e sbraita. E chi porta a casa i risultati”, scrive al termine di un lungo post .
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 14th, 2015 Riccardo Fucile
TRA IL 2013 E IL 2014, CON I CONTI GIA’ IN ROSSO, SPESI 15 MILIONI DI EURO IN CONSULENZE
Sarà la Procura di Arezzo a verificare l’operato degli amministratori di Banca Etruria nella gestione delle obbligazioni subordinate.
L’inchiesta sarà formalmente avviata lunedì mattina dal procuratore Roberto Rossi, già titolare del vecchio fascicolo per ostacolo agli organi di Vigilanza. Non solo.
Da qualche settimana il magistrato ha delegato la Guardia di Finanza a svolgere accertamenti per individuare le responsabilità del «buco» da oltre tre miliardi di euro che ha portato l’istituto di credito al collasso.
Gli ispettori di Bankitalia hanno infatti scoperto come tra il 2013 e il 2014 – quando i conti erano già in rosso – siano stati spesi 15 milioni di euro per i consulenti esterni e 14 milioni per i compensi di consiglieri e sindaci, oltre a una serie di operazioni sulle quali bisognerà fare chiarezza.
Un’indagine complessa e delicata, se si tiene conto che nel consiglio di amministrazione di Etruria faceva parte sin dal 2011 Pierluigi Boschi, padre del ministro per le Riforme Maria Elena, diventato poi vicepresidente quasi contemporaneamente all’arrivo della figlia al governo.
Il magistrato ha sul suo tavolo gli esposti delle associazioni dei consumatori presentati una decina di giorni fa (anche alla Corte dei conti), ma le verifiche saranno effettuate su casi specifici di clienti che hanno perso il proprio patrimonio.
Proprio come accaduto a Civitavecchia a Luigi D’Angelo il pensionato che si è suicidato dopo aver scoperto che i suoi 110 mila euro erano andati in fumo dopo l’approvazione del decreto del governo che salvando le quattro banche – oltre ad Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara – ha trasformato le obbligazioni e gli investimenti azionari in carta straccia.
Sono numerosi gli interrogativi ai quali l’inchiesta dovrà fornire risposta. Partendo proprio da quanto è stato già scoperto con il lavoro fatto in questi mesi.
La decisione di commissariare Banca Etruria viene presa per evitare perdite ulteriori e mette in luce una gestione disastrosa tanto che Banca d’Italia infligge multe da 2 milioni e mezzo di euro ai componenti del Cda – Boschi risponde per 144mila euro – evidenziando «carenza di organizzazione e controlli interni, carenza di gestione e controllo del credito, violazioni in materia di trasparenza, omesse e inesatte segnalazioni».
L’istituto era in agonia, ma questo non ha impedito a chi lo governava di contattare i clienti proponendo loro investimenti.
Ed è proprio questo il primo punto da chiarire: quali comunicazioni furono fornite dai vertici di Etruria ai direttori delle filiali?
Ci fu una sollecitazione a rastrellare denaro?
Domanda legittima visto che l’ultima ispezione disposta da Palazzo Koch aveva scoperto come le «sofferenze» ammontassero a ben 2 miliardi e rappresentassero un valore triplo rispetto al capitale.
Se c’era la consapevolezza che la proposta prevedeva rischi più alti di quelli prospettati, si procederà per il reato di truffa nei confronti dei risparmiatori
E poi c’è il secondo e più inquietante dubbio: se è vero che Bankitalia aveva raccomandato di rivolgersi soltanto agli investitori istituzionali, perchè in queste operazioni spericolate furono coinvolti anche i piccoli risparmiatori?
Il sospetto è che in realtà si sia riusciti a ottenere denaro soltanto da loro, visto che gli esperti erano perfettamente al corrente che Etruria era destinata al fallimento.
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 14th, 2015 Riccardo Fucile
“RENZI CAMBIA LE REGOLE PER FARE UN FAVORE A UN AMICO”
“Un emendamento alla legge di Stabilità cancella l’obbligo di Valutazione di impatto ambientale per
la costruzione del nuovo aeroporto di Firenze“.
L’accusa contro l’esecutivo è dei deputati del gruppo Alternativa Libera-Possibile. “Matteo Renzi sa”, dichiarano Samuele Segoni, Massimo Artini e Marco Baldassarre in una nota, “che non si riuscirebbe, seguendo la legge ordinaria, a stare nei tempi per costruire il nuovo aeroporto. Così cambia le norme per fare un favore a Marco Carrai, che deve ormai giustificare l’impossibilità di creare questa costosa e inutile opera”.
Secondo l’opposizione la richiesta di modifica alla manovra vorrebbe favorire l’amico e fedelissimo di Renzi, ora presidente di Toscana Aeroporti, dopo che a novembre scorso la Regione avrebbe dato parere negativo a procedere con la Valutazione di impatto ambientale per la costruzione della pista di 2400 metri.
La richiesta di modifica è stata illustrata dai relatori nella serata del 13 dicembre in commissione Bilancio.
“Presentata all’ultimo momento”, continuano Segoni, Artini e Baldassarre, “e approfittando della stanchezza e della distrazione dei deputati, l’esecutivo punta a cancellare qualsiasi forma di coinvolgimento delle amministrazioni dei territori su cui dovrebbe ricadere il nuovo scalo“. Secondo la denuncia, il testo dell’emendamento presentato dai relatori prevederebbe che “il parere favorevole espresso dalle regioni interessate sui piani regolatori e di sviluppo degli aeroporti, comprende e assorbe a tutti gli effetti la verifica di conformità urbanistica e paesaggistica. E come se non bastasse, nel caso in cui le Regioni non dovessero esprimere tale parere, deciderà il consiglio dei ministri d’intesa con la Regione”.
I deputati di Alternativa Libera-Possibile in risposta hanno annunciato che presenteranno un emendamento per introdurre il coinvolgimento obbligatorio dei cittadini dei Comuni interessati alla costruzione di nuovi aeroporti.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 14th, 2015 Riccardo Fucile
CEDUTO UN PEZZO DI STORIA DEL DESIGN ITALIANO CAPACE DI CONQUISTARE IL MONDO
Mancava solo la firma, che è arrivata nel primo pomeriggio, a suggellare l’accordo tra il gruppo indiano Mahindra & Mahindra e Pincar, azionista di controllo di Pininfarina, la società italiana attiva nell’automotive design.
Le azioni della società erano state sospese dalle contrattazioni in attesa della nota e dell’incontro stampa del pomeriggio.
Le negoziazioni con il più grande produttore indiano di veicoli sportivi erano in corso da mesi (le prime indiscrezioni risalgono a marzo di quest’anno) e l’accordo ha portato al passaggio di mano al colosso asiatico dello storico gruppo del Made in Italy fondato a Torino nel 1930.
Mahindra acquisterà da Pincar il 76% del capitale di Pininfarina, al prezzo di 1,10 euro per azione.
Successivamente lancerà un’Opa sul titolo in Borsa allo stesso prezzo. Il controvalore complessivo dell’operazione ammonta a circa 25 milioni di euro.
A cui si sommeranno altri 20 milioni di euro mediante un aumento di capitale in Pininfarina entro il 2016.
L’accordo prevede le dimissioni dell’attuale Cda al momento del closing. Contestualmente alla firma dell’intesa sono stati conclusi l’accordo di ristrutturazione dei debiti di Pininfarina, che prevede che l’indebitamento finanziario delle banche sarà ripagato dal 2017 con un tasso di interesse che resterà invariato allo 0,25% su base annua.
Tutti i soci della famiglia Pininfarina, della catena di controllo di Pincar, il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale dell’azienda hanno approvato l’operazione «prendendo atto con soddisfazione del raggiungimento di questi importanti accordi per la continuità aziendale e lo sviluppo di Pininfarina nella continuità della tradizione e dei valori che hanno fatto della società un leader nel mondo del design e creatività industriale italiana».
Nella seduta di venerdì il titolo aveva fatto uno scivolone (-9% a 4 euro) per i timori legati alla liquidazione della holding Pincar.
La società aveva poi precisato che le trattative con Mahindra andavano avanti. Pininfarina collabora già con Mahindra allo sviluppo dei suoi SUV e ha lavorato, in particolare, sul nuovo modello compatto denominato TUV300.
(da agenzie)
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Dicembre 14th, 2015 Riccardo Fucile
“MI RIVOLGEVO AI COLLABORATORI DI MIO PADRE PERCHE’ LUI ERA SEMPRE IMPEGNATO, NON SAPEVO CHE ERANO FONDI DEL PARTITO”
Riccardo Bossi «non si è mai rivolto alla Lega per avere quei soldi, ma li ha chiesti al padre, tramite
la segretaria Loredana, solo per il 2011 e pensava fossero soldi di famiglia».
È la linea difensiva del primogenito del fondatore del Carroccio, anticipata dal suo legale, Agostino Maiello, fuori dall’aula del processo con rito abbreviato (a porte chiuse) nel quale il figlio del Senatur, imputato per appropriazione indebita perchè avrebbe fatto spese personali con i fondi del partito, è stato interrogato.
Rapporti difficili
Il difensore di Riccardo Bossi, che ha depositato al Tribunale una memoria, ha spiegato che il suo cliente, «non ha mai chiesto i soldi all’ex tesoriere» del Carroccio, Francesco Belsito, ma ad altri collaboratori del padre al quale, invece, «non si rivolgeva direttamente perchè con lui aveva rapporti difficili o era sempre impegnato».
Soldi, ha ripetuto l’avvocato, «di cui non sapeva la provenienza».
«Lui non c’entra con il partito» dal quale però, ha proseguito l’avvocato, «riceveva un emolumento di 3.200 euro al mese per sponsorizzare la Lega all’estero durante le gare automobilistiche».
«Solo nel 2011»
Rispondendo alle domande del pm Paolo Filippini, l’avvocato di Bossi ha spiegato che il suo cliente «non può rispondere di queste somme» e poi che «ci sono addebiti per 20/25 mila euro relativi alle macchine che proprio non lo riguardano».
E per dimostrare la sua tesi Riccardo Bossi, con il suo legale, ha depositato anche una serie di documenti «che avrebbe dovuto produrre il pm», sottolinea l’avvocato, e che «riguardano le sue fonti di reddito. Vorrei sottolineare che il mio assistito è indipendente da quando ha 22 anni: per una sola vola nella sua vita, nel 2011, ha avuto bisogno del padre, per il resto se l’è sempre cavata da solo».
«Per quell’anno non aveva disponibilità finanziarie – ha proseguito l’avv. Maiello – in quanto è venuta meno una sponsorizzazione consistente. Così ha pensato di rivolgersi alla segretaria del padre, Loredana Pizzi», la cui richiesta di citazione come teste della difesa «non è stata accolta dal giudice».
Spese per 158 mila euro
Quanto a Belsito, Riccardo Bossi «l’avrà visto sì e no una decina di volte – ha aggiunto il difensore – e non conosceva gli addetti ai lavori della Lega. Lui era un semplice militante e nulla di più».
Ora Riccardo Bossi – è l’unica cosa che ha detto prima dell’interrogatorio – lavora per un’azienda estera che tratta petrolio.
Al primogenito dell’ex leader della Lega sono stati contestate spese personali attorno ai 158.000 euro, denaro usato per pagare anche «il mantenimento dell’ex moglie», l’abbonamento della pay-tv, luce e gas e anche il veterinario per il cane.
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 14th, 2015 Riccardo Fucile
LA BANCAROTTA DELLA SOCIETA’ EDITORIALE… “HA INGANNATO I SOCI PER CONSEGUIRE UN INGIUSTO PROFITTO”
Cinque anni di carcere per bancarotta fraudolenta.
E’ la pena inflitta a Giuseppe Ciarrapico dal Tribunale di Roma per il crac della società Editoriale Ciociaria Oggi e la distrazione dei fondi pubblici.
L’ottava Sezione penale del Tribunale di Roma presieduta da Marcello Liotta ha accolto la tesi del pubblico ministero, Francesco D’Olio, secondo cui l’ex senatore avrebbe utilizzato le casse dell’azienda con “l’intenzione di ingannare i soci e il pubblico” e per “conseguire un ingiusto profitto”.
Insieme all’ex braccio destro di Giulio Andreotti, i giudici hanno condannato anche un gruppo di suoi collaboratori nella amministrazione della Eco.
In passato la Guardia di Finanza sequestrò beni e proprietà per un valore di 2,5 milioni di euro.
Si tratta di denaro che stava per essere erogato alle attività del gruppo Ciarrapico.
Lo scorso aprile, l’ex presidente dell’A.S. Roma era stato condannato a tre anni di reclusione per avere truffato il Consiglio dei ministri.
Secondo i giudici l’editore della Nuova Editoriale Oggi e della Editoriale Ciociaria Oggi aveva indebitamente conseguito fino al 2010 circa 20 milioni di euro in sovvenzioni pubbliche dal Dipartimento per l’editoria.
(da agenzie)
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Dicembre 14th, 2015 Riccardo Fucile
“UN’OMBRA SUL GOVERNO, RAGIONI DI OPPORTUNITA’ DOVREBBERO PORTARLA A QUESTA DECISIONE”
“Ci sono regole di comportamento che sono tanto più rigorose quando investono la sfera dell’etica
pubblica”. Regole che avrebbero dovuto suggerire al ministro delle Riforme Maria Elena Boschi di dimettersi per ragioni “di opportunità politica”.
Perchè la vicenda della Banca Popolare dell’Etruria ha gettato “un’ombra sull’operato del governo”.
Non ha dubbi Massimo Villone, professore emerito di diritto costituzionale alla Federico II di Napoli con una lunga carriera di parlamentare alle spalle.
Proveniente dall’esperienza del Partito comunista è stato senatore per quattro legislature, fino al 2008, con il Pds prima e i Ds poi, ricoprendo nel corso del suo secondo mandato anche la presidenza della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. Rifiutando l’adesione al Partito democratico.
Il decreto salva-banche varato dal governo, che interviene sulla gestione della crisi, tra le altre, della Popolare dell’Etruria della quale il padre della Boschi è stato vice presidente e il fratello dirigente, pone il ministro in una situazione di conflitto di interessi?
“Il ministro Boschi ha avuto il buon senso di non partecipare alle decisioni del Consiglio dei ministri che avevano ad oggetto l’intervento su queste banche. Direi quindi che, più che un problema di natura formale, si pone un problema di correttezza politica. In altri Paesi ci si sarebbe dimessi per molto meno. In Italia, invece, non c’è lo stesso senso del rispetto verso regole di comportamento che, prima che giuridiche, investono la sfera della correttezza politica”.
Quindi la Boschi si dovrebbe dimettere per una questione di correttezza politica?
“Certo. Pur non avendo ragione di dubitare della sua astensione dal Consiglio dei ministri che ha adottato il provvedimento, ciò non esclude che ci siano delle regole di comportamento che sono tanto più rigorose quando investono la sfera dell’etica pubblica”.
Invece l’esecutivo fa quadrato e difende il suo ministro…
“E’ la dimostrazione che questo governo da un lato rivendica l’adozione di criteri ultra rigorosi quando, a parole, invoca la rottamazione, ma dall’altro non si dimostra diverso dagli altri esecutivi che lo hanno preceduto per quanto riguarda le prassi concrete di comportamento”.
Per esempio?
“Rispetto alle vicende giudiziarie di alcuni componenti del governo e parlamentari si sono dimostrati più o meno garantisti a seconda della tipologia della situazione processuale”.
Basta non partecipare al Consiglio dei ministri per evitare il conflitto di interessi?
“Il confine resta quello della correttezza formale, se si va oltre si rischia di entrare in un terreno molto scivoloso. Mi spiego: per sostenere la sussistenza del conflitto d’interessi occorre fornire la prova che c’è stata un’incidenza sulla decisione del Consiglio dei ministri di quel tale e specifico interesse. Il che diventa una sorta di prova diabolica. Come si può sostenere che nell’intervento del governo sulla banca in questione (la Popolare dell’Etruria, ndr), il padre o il fratello del ministro (Boschi, ndr) hanno determinato l’orientamento del Consiglio dei ministri stesso? Provare una cosa del genere è impossibile. Per questo occorre che la politica si impegni a superare questo tipo di problematica”.
In che modo?
“Seguendo l’esempio di altri Paesi, dove la politica garantisce un livello di autocontrollo interno che va al di sopra della regola giuridica che, a volte, può non essere nelle condizioni di essere applicata”.
E se in Italia valesse lo stesso principio anche per il caso Boschi?
“Non c’è dubbio che da questa vicenda cada un’ombra sull’operato del governo. La circostanza suggerirebbe scelte che in altri Paesi non avrebbero generato nè dubbi nè perplessità sull’opportunità che un ministro si dimettesse. Abbiamo avuto, del resto, casi eloquenti: il ministro tedesco che si è dimesso per aver copiato la tesi di dottorato, il parlamentare britannico costretto a fare altrettanto perchè il coniuge aveva comprato una videocassetta con soldi pubblici e quello americano costretto a farsi da parte per una vicenda di contributi non pagati alla colf”.
Considera fondata la richiesta di chiarimenti e, in mancanza, di dimissioni avanzata da Roberto Saviano nei confronti del ministro Boschi?
“Non da un punto di vista formale, non essendoci ragioni di ritenere che esistano, in tal senso, elementi giuridicamente rilevanti. Ma dal punto di vista dell’opportunità politica mi pare che sia più che fondata una richiesta di chiarimenti utili ad evitare che ricada sul governo un’ombra che certamente non fa bene all’esecutivo. In assenza di tali chiarimenti, legittime mi sembrano, per le stesse ragioni, anche le richieste di dimissioni”.
L’ha stupita la difesa della Boschi da parte del Pd, minoranza compresa, contro l’affondo di Saviano?
“Non mi ha stupito più di tanto. Ricordo una vecchia massima coniata da Ciriaco De Mita: le sfiducie e gli attacchi ai ministri servono solo a compattare il sostegno della maggioranza al ministro medesimo. Mi pare che la regola valga ancora oggi. Allo stesso tempo, come già detto, ritengo giustificata la richiesta di Saviano o di chiunque altro avverta l’esigenza di chiarezza. Anche se, come cittadino della Repubblica, mi piacerebbe che accadesse una cosa diversa”.
Quale?
“Che i chiarimenti fossero dati senza che nessuno li abbia chiesti o pretesi”.
Antonio Pitoni
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 14th, 2015 Riccardo Fucile
“QUALCUNO VUOLE L’ASSALTO GIUDIZIARIO”
Non sono le mozioni di sfiducia al ministro Boschi a turbare il governo. Anzi, «c’era da meravigliarsi che i 5stelle non l’avessero presentata prima», dicono a Palazzo Chigi sicuri dei voti che la maggioranza ha alla Camera.
Non è la commissione d’inchiesta che può indebolire la posizione della titolare delle Riforme perchè Matteo Renzi ha fatto capire ieri alla Leopolda come dovrebbero procedere i lavori di quell’organismo: una ricognizione a tutto campo sugli interventi nel campo creditizio fatti e soprattutto quelli mancati anche dei governi precedenti, come il Monti e il Letta, ovvero due esecutivi sostenuti dalla “Ditta” bersaniana e da Forza Italia. Quindi con una responsabilità più generalizzata dell’attuale coalizione.
E la Lega ha sul groppone il crac del suo istituto di credito.
No, il vero pericolo viene dai riflettori che la magistratura potrebbe tenere accesi sulla vicenda banche anche dopo le misure per salvare i risparmiatori
Sui social e fra le righe di alcuni articoli, si è letto che il padre di Maria Elena Boschi, Pier Luigi Boschi, ex vicepresidente della Banca Etruria, sarebbe indagato dalla magistratura.
Non è così, non ci sono avvisi di garanzia. Si fa confusione con la multa comminatagli da Bankitalia per il periodo in cui era nel consiglio di amministrazione.
Ma il racconto dettagliato e non a caso letto su un foglio fatto da Renzi durante il discorso di chiusura a Firenze, ha lasciato intendere che il timore è che un’inchiesta dei giudici possa colpire anche i vertici delle quattro banche che hanno emesso le obbligazioni azzerate. E quindi anche il signor Boschi.
Per questo il premier ha fatto l’esempio di suo padre Tiziano, da 15 mesi sotto inchiesta a Genova, per due volte vicino all’archiviazione, per due volte ributtato dal Gip nella mischia dell’indagine.
La sottolineatura di un periodo così lungo («il secondo Natale da indagato») è sembrato un messaggio rivolto al ministro dei Rapporti con il Parlamento: ci vuole pazienza, la verità e il tempo vincono sempre, «bisogna avere fiducia nella magistratura», certo magari senza rimanere appesi per più di un anno.
Il riferimento così esplicito a inevitabili conseguenze giudiziarie («come potrebbero non esserci? ») scritto nel post di Roberto Saviano è davvero l’unica preoccupazione del capo del governo.
Boschi padre può finire in un’inchiesta complessiva su tutti gli amministratori degli istituti coinvolti nel salva-banche?
E’ la domanda che si fanno a Palazzo Chigi.
Quali effetti avrebbe sul governo e sul Pd in vista delle amministrative, il lavoro della magistratura? Alla Leopolda, quando la sala si è svuotata e i giornalisti hanno lasciato la zona stampa, Renzi pranza con una ventina di fedelissimi alle spalle del palco.
C’è la Boschi, ci sono Luca Lotti, Francesco Bonifazi, Ernesto Carbone, c’è il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan.
Clima disteso, soddisfazione per l’esito della tre giorni malgrado l’appannamento legato alla vicenda banche. Eppure la tensione non si scioglie così facilmente.
Per paradosso proprio alcuni del cerchio magico vengono da zone della Toscana in cui sono moltissimi i risparmiatori rimasti con un pugno di mosche.
Come dire che il problema ce l’hanno in casa e hanno potuto misurare quale impatto sociale e quale impatto elettorale, di consenso, ha il sostanziale fallimento degli istituti di credito coinvolti.
Un impatto moltiplicato dall’offensiva delle opposizioni e che è destinato a creare problemi. Ecco perchè un avviso di garanzia avrebbe il potere di prolungare l’attenzione su una vicenda che il governo vuole chiudere il prima possibile.
In fondo anche la mozione di sfiducia viene usata da 5stelle e Forza Italia per trascinare il dibattito.
Prima di Natale, il provvedimento verrebbe discusso alla Camera e la Boschi sarebbe costretta a intervenire per spiegare la sua posizione, senza le domande facili, come ha ammesso lei stessa, ricevute alla Leopolda.
La commissione d’inchiesta invece servirà a prendere di petto il problema. Renzi la vuole “monocamerale” in modo da evitare lungaggini. E va istituita in tempi brevi.
Provando anche con quello strumento a lanciare un contrattacco.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 14th, 2015 Riccardo Fucile
RENZI NON NE INDOVINA UNA
Povero Renzi. Era difficile immaginare un disastro più fragoroso di quello che ha caratterizzato la
sesta Leopolda. Al Pacioccone Mannaro non ne è andata bene una.
Il caso “salvabanche”, drammaticamente sottovalutato e sempre più inquietante, ora dopo ora, anche per gli enormi conflitti di interesse che lo caratterizzano.
La decisione di scappare da un incontro all’Università , terrorizzato dalle contestazioni. L’imposizione di una Leopolda blindatissima, con i risparmiatori truffati tenuti a debita distanza come lebbrosi per non sporcare la festa (?), e tutto questo dopo il flop dell’operazione gazebo “Pd coraggio” di una settimana prima.
La Leopolda doveva essere il rilancio della propaganda renziana, tra supercazzole jovanottiane e “visioni” ottimistiche da Smemoranda, ma tutti sono scappati dall’adunanza.
Anzitutto i campioni, quelli che dovevano raccontare le “imprese”: una defezione dopo l’altra, dalla Pellegrini alla Cristoforetti.
Renzi voleva collezionare selfie con i suoi idoli, ma non ha potuto fare altro che scattarsi qualche foto con i Faraone e Carbone.
La madrina della Leopolda è sempre stata la Boschi, che è però arrivata all’appuntamento crivellata dalle critiche e depotenziata dall’enorme scandalo Etruria.
Più di 5mila risparmiatori aretini — la sua città — sono stati rovinati dalla banca di cui il papà (multato 144mila euro per mancati controlli e svariate omissioni) era vicepresidente, il ministro piccola azionista e il fratello Emanuele curava il settore delle posizioni a sofferenza e a incaglio: “un settore”, racconta Davide Vecchi sul Fatto, “che ha bruciato 185 milioni solo di fondi concessi a ex amministratori e sindaci della banca e mai restituiti”.
Ad Arezzo, fino a pochi mesi fa la città più renziana d’Italia, i Boschi non si fanno più vedere. La Boschi, del resto, è anche responsabile dell’harakiri-Bracciali di giugno, un ameno ragazzotto imposto al partito come candidato sindaco che — in un delirio di onnipotenza renziana — doveva vincere facile e “governare 10 anni”. Come no.
Infatti ha perso al secondo turno e ancora ad Arezzo tutti ridono.
Anche Bracciali è scomparso, ma a dire il vero era scomparso anche quando c’era.
E’ di Arezzo pure Marco Donati, uno che su Twitter si firma “marcodonats” (sì, con la “s”), deputato Pd più renziano di Renzi che il 22 novembre — il giorno del decreto salvabanche — scriveva entusiasta su Facebook: “Il provvedimento (..) rappresenta un segnale positivo per il territorio e in particolare per il personale, i correntisti e la clientela degli istituti di credito tra i quali quello aretino”.
Un genio vero, che esemplifica una volta di più quel mix di incompetenza, pressappochismo e arroganza che caratterizza quasi sempre questa “nuova classe dirigente”renziana, composta perlopiù dal peggio della generazione nata nei Settanta e inizio Ottanta.
In questo disastro totale, Renzi è riuscito a peggiorare tutto con la trovata del “vota il titolo peggiore”.
Un’idea così scema, sgradevole e controproducente che persino Claudio Velardi, notoriamente renzianissimo, ha riassunto così: “Matteuccio quel gioco è fesso e un po’ di regime”.
Una frase che, peraltro, reggerebbe forse anche se si togliesse la parte “quel gioco”.
Lo stesso Ferruccio De Bortoli ha scritto: “Già che c’è, la prossima volta ce lo dica lui che titoli dobbiamo fare”.
Ma la risposta si sa già : Renzi ama l’ottimismo, quindi adora titoli come “Voglio tutto” (Panorama), “Renzi ha le palle” (Il Giornale), “Quello strano fluido della Leopolda così il sindaco diventa fidanzato d’Italia” (Repubblica).
A Renzi piace il giornalismo stile Pravda, e in questo può stare tranquillo: per un Saviano che ogni tanto si arrabbia, l’intellighenzia de sinistra resta bella zitta e prona. Moretti, ci sei? Benigni, ci sei?
Quello di Renzi alla Leopolda è un vero e proprio Editto Leopoldino, con il Fatto Quotidiano — chiamato “fango quotidiano” da quei quattro o cinque leoni da tastiera col poster in camera della Picierno — al primo posto.
E qui, va detto, i renziani dimostrano se non altro una dote vera: hanno un pessimo gusto per gli idoli, ma sui nemici hanno gusti sopraffini.
Al di là della conferma che Renzi è un personaggio oltremodo caricaturale, con un’idea di libertà di stampa paragonabile a quella che ha Hannibal Lecter dei vegani, la trovata — patetica e puerile — del “dagli all’untore Fatto Quotidiano” è l’ennesimo autogol.
Per questa serie di motivi.
1) Permette a Grillo, e ai M5S, di rivalutare quasi la rubrica “Giornalista del giorno”, che in confronto pare una carezza affettuosa alla stampa italiana.
2) Regala una pubblicità smisurata a quelle stesse testate, e a quegli stessi giornalisti, che Renzi vorrebbe silenziare e che — tramite Sensi — evita come la peste in tivù.
3) Dona a quegli stessi giornalisti odiati un discreto godimento, perchè quando si sta sulle palle a certa gente vuol dire che si è sulla strada giusta. Anzi giustissima.
4) Rafforza il paragone “renzismo = berlusconismo”, alimentando con ciò anche il fronte antirenziano, proprio come Berlusconi rinsaldava le fila dei suoi nemici quando insultava i Luttazzi, i Santoro e i Biagi. Fa cioè un ulteriore favore al “nemico”.
5) Mostra il vero volto di Renzi e renzismo: all’apparenza garbato, di fatto allegramente illiberale.
In ultima istanza, l’attacco di Renzi alla stampa sgradita non è solo irricevibile, ma è pure un suicidio politico. E anche questo non stupisce: Renzi è tanto arrogante quanto politicamente fragilissimo. E questo lo rende persino più pericoloso.
Non è neanche un uomo solo al comando, ma un bimbominkia lanciato a bomba contro il disastro. Suo e del paese che — senza che nessuno gliel’abbia chiesto — governa, facendo disinvoltamente quel che gli gira e piace.
Nella compiacenza pressochè generale dei media.
Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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