Dicembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
ERA PARTITO DA IDLIB QUATTRO MESI FA, ORA PARLA TEDESCO E SOGNA DI RESTARE
Che fine ha fatto Refat Dakka? Sta ascoltando un rapper americano in cuffia, mentre attraversa il
celebre mercato di Natale in Karoline Strasse.
In quattro mesi ha già imparato un discreto tedesco. «La prima frase è stata “hast du ein feuer“», dice con un sorriso timido e sfrontato al tempo stesso. «Hai da accendere?».
Refat Dakka ha appena compiuto 17 anni. È bello ritrovarlo qui. Perchè l’ultima volta l’avevamo incontrato sull’isola di Lesbo con addosso una maglietta bucata e nessun soldo in tasca.
«La mia roba è finita in fondo al mare», diceva sorridendo per scusarsi del suo look non proprio alla moda. Era partito da solo da Idlib, Siria. Aveva tentato sette volte di arrivare in Grecia dalle coste della Turchia, scampando a un naufragio. Era stato picchiato, tenuto in carcere, costretto a bere l’acqua del water.
Ma nel disastro dell’accoglienza europea – l’8 settembre a Lesbo c’erano 22 mila profughi accampati, 5 membri dell’Unhcr e 2 macchine fotocopiatrici per sbrigare le pratiche di tutti – Rafat Dakka sorrideva. Sorride ancora.
A maggior ragione adesso che vive in Germania, proprio il posto che sognava di raggiungere.
«Il mio viaggio dalla Grecia è andato benissimo. È durato dieci giorni. Mi sono fermato soltanto a Vienna. Poi sono salito su un treno e sono sceso alla stazione centrale di Norimberga. Cercavo un poliziotto ma non lo trovavo. Fino a quando ne ho visto uno di guardia vicino al McDonald’s. Quasi si è spaventato, vedendo che gli andavo incontro. Allora gli ho detto: «Mi scusi, mi chiamo Refat Dakka, sono scappato dalla guerra per venire a rifugiarmi qui. Mi ha portato in caserma, ha misurato altezza e peso, ed è lì che ho lasciato per la prima volta le impronte digitali».
Fa freddo, ma non troppo. Le strade sono piene di gente. Ai chioschi vendono wà¼rstel e vino bollente speziato. Un giamaicano suona «No woman no cry» davanti alle vetrine del centro commerciale Kaufhof.
La casa comunale di Refat Dakka è nel centro storico, fra un cinema e un pub irlandese. Al primo piano abitano settanta profughi minorenni. «Questo è il mio secondo indirizzo tedesco», dice Refat accendendosi una sigaretta di tabacco rollato.
«Prima sono stato per un mese nel campo di Gostenhof. Eravamo tantissimi, sessanta nella stessa camerata. Ci trattavano in maniera dura. Mi hanno fatto diversi test psicologici. Ti accorgevi della loro preoccupazione. Perchè noi siamo un prodotto della guerra. Controllavano le nostre reazioni per vedere se possiamo fare parte di questa società .
Ed è lì, dopo pochi giorni, che ho capito come funziona la Germania». Bravo Refat, come funziona? «Se non sai il tedesco, non vai da nessuna parte. La lingua è la barriera più grande. Non è che i tedeschi non sappiamo parlare inglese, molti lo conoscono bene. Ma ci tengono proprio alla loro lingua. Se non parli come loro, significa che non li rispetti». Ed è con questa convinzione e un vocabolario nuovo di zecca che Refat Dakka è arrivato al suo secondo indirizzo di Norimberga.
La Società per la Lingua Tedesca ha appena definito «flà¼chtlinge», il termine che definisce tutti i migranti, la parola dell’anno.
Più di un milione di persone hanno già fatto domanda di asilo politico in Germania nel 2015. La maggior parte, sono siriani arrivati risalendo la rotta balcanica: Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria. Uno di loro è il profugo Refat Dakka.
«In questa casa siamo in 80 – dice – tutti minorenni. Io divido la camera con tre ragazzi di Damasco. Abbiamo una Playstation 3, il calciobalilla, una biblioteca e una grande cucina per fare colazione. Ognuno può servirsi dal frigo quanto vuole. Le regole sono: vietato saltare le lezioni di tedesco e rientrare dopo le 10 di sera».
Ogni ragazzino fa riferimento a un tutor. Gli incontri sono giornalieri.
L’educatore di Refat Dakka sta cercando di trovargli la prossima sistemazione: «Andrò in un appartamento con altri tre profughi, forse vicino a Monaco di Baviera. Sarà bello. Avrò più indipendenza. Qui è come essere a scuola dal mattino alla sera».
Studiano per diventare cittadini tedeschi. Ogni settimana, Refat riceve 9 euro e 30 centesimi per le spese personali.
Gira con in tasca un documento da «richiedente asilo politico», ma è in attesa della residenza. «Può passare un mese, come un anno», dice.
Questo tempo cambierà la sua vita. «Se mi daranno la residenza in Germania prima del mio diciottesimo compleanno, potrò chiedere il ricongiungimento famigliare.
Mio padre si chiama Mahmoud, è un maestro di arti marziali. Quello che mi ha insegnato è: la forza non c’entra niente con l’arroganza. Mia madre invece si chiama Manal, adesso è felice, ma ha avuto tanta paura per me. Mamma e papà vivono a venti chilometri da Damasco, in una casa senza finestre. I vetri sono tutti esplosi per i bombardamenti. Quando riescono a trovare il collegamento, ci sentiamo su Skype. Me lo ripetono sempre: “Refat, tu sei la nostra speranza“».
Refat Dakka deve aver un talento naturale per le lingue. Parla un inglese perfetto.
Lo ha imparato guardando film americani, storie di karate e breakdance. «La mia fortuna è che le parole straniere mi restano in testa. Ero piccolo quando è scoppiata la guerra, avevo 13 anni. Ho capito che dovevo imparare l’inglese per scappare».
Ora che è un po’ meno piccolo, l’hanno chiamato come interprete per tutti gli altri siriani che stanno arrivando al campo di Gostenhof.
«La Germania mi piace – dice – all’inizio sono un po’ diffidenti, ti studiano. Ma poi, quando conoscono la tua storia, si commuovono. Sono ammirati. Non ho incontrato razzismo».
Alle quattro di pomeriggio davanti alla casa di Refat Dakka succede un fatto strano. Arriva un’auto della polizia municipale e porta via un ragazzino di 14 anni.
«È mio amico – dice Refat – ma non vuole andare a scuola. Ha saltato tre lezioni. Ora lo stanno portando a incontrare gli psicologi». L’auto riparte a sirene spente nella zona pedonale, con un ragazzino seduto dietro.
Cosa pensi di Isis? «Tutto il peggio possibile. I terroristi si mettono la maschera dell’Islam. Vogliono spaccare il mondo arabo. Vogliono farci diventare il nemico dell’Occidente. Io sono musulmano. E tutti i musulmani sanno benissimo che uccidere un altro uomo è proibito».
Cosa pensi dei bombardamenti? «L’unica cosa che non manca in Siria sono le armi. Le bombe uccidono anche gli innocenti».
Refat Dakka ha due sogni: iscriversi a un corso da elettricista e continuare ad aiutare gli altri profughi.
È impaziente per il Natale, è stato lui a decorare tutta la casa dei ragazzini siriani: «Sarà il primo Natale in pace dopo quattro anni. Il mio amico Erik mi ha promesso in regalo una chitarra acustica. Ci siamo conosciuti qui. Abbiamo parlato di tutto. Lui mi chiama “Bro”, fratello. Anche per me lo è. E quando ci penso, a tutta questa fortuna che ho avuto, mi viene voglia di ridere. Anzi, sai cosa ti dico?».
Cosa, Refat?
«Sono proprio felice».
Niccolò Zancan
(da “La Stampa”)
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Dicembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
A BOLOGNA ANDRAGHETTI HA SFIDATO IL FEDELISSIMO DI GRILLO PER LA CORSA A SINDACO: “CHI CRITICA VIENE ELIMINATO”
Si candida alle primarie e viene espulso. Lorenzo Andraghetti è stato sospeso dal Movimento 5 Stelle: l’espulsione diventerà definitiva entro dieci giorni, a meno che non faccia ricorso.
Lo sfidante di Max Bugani a Bologna (fedelissimo di Beppe Grillo), quello che aveva contestato la sua investitura dall’alto, invocando le primarie, si è preso un cartellino rosso, che non gli permetterà quindi di presentare la propria lista alternativa per sfidare il capogruppo 5 Stelle in consiglio comunale a Bologna, investito da Grillo e benedetto da Luigi Di Maio.
Le accuse.
“Se vogliono sfidarmi si facciano avanti”, aveva detto Bugani la scorsa settimana, annunciando la riapertura delle primarie (di lista, cosa che ha suscitato non poche polemiche nel Movimento, con alcuni ribelli che hanno annunciato una marcia su Roma per chiedere aiuto ad Alessandro Di Battista): la scadenza per presentare le candidature è stata fissata da Luigi Di Maio a Porta a Porta: il 21 dicembre.
Ma a quanto pare i giochi si chiuderanno molto prima, visto che lo sfidante principale di Bugani è stato sospeso a primarie ancora in corso.
Glielo ha comunicato lo Staff di Beppe Grillo per email. L’accusa è quella di aver partecipato ad Alternativa Libera, il gruppo degli ex 5 Stelle in Parlamento, “in aperta contrapposizione con l’azione politica del MoVimento e della lista civica che aveva già ottenuto la certificazione per la partecipazione alle prossime elezioni comunali di Bologna, e tentando addirittura di boicottarne l’azione in contrasto con le regole del MoVimento 5 Stelle”.
“Chi critica viene eliminato”.
Ad aggravare le imputazioni, “il notevole clamore suscitato dai predetti comportamenti, ed ai danni all’immagine del MoVimento 5 Stelle che ne sono derivati o che ne potrebbero derivare. Per questi motivi viene sospeso con effetto immediato dal MoVimento 5 Stelle2.
Dura le replica dell’interessato: “Ho partecipato a una riunione di Movimenti civici toscani, non si trattava di nessuna fondazione, e tantomeno di quella di Alternativa Libera. Ho fatto solo un libero intervento, non ero uno dei relatori. Quando all’accusa di boicottare la lista già certificata, mi sono limitato a sottolineare la presenza in lista di due candidati consiglieri, che per regolamento dei 5 Stelle non potevano essere candidati. Uno è Dario Pattacini, già sospeso dall’ordine dei giornalisti per le interviste a pagamento e candidato con l’Idv nel 2009, la cui presenza in lista era stata tenuta segreta, millantando di difendere la privacy di alcuni dipendenti pubblici. E l’altro Antonio Landi, che si era candidato con Bologna Capitale nel 2011”.
Amara la conclusione: “Bugani elimina e continuerà a eliminare quelli che lo criticano. Sono bastati 22 giorni a farlo capitolare, e dimostrare che l’unica arma che ha è l’espulsione”.
Caterina Giusberti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
PAGATO 23 MILIONI E RIVENDUTO A 25 ALLA SOCIETA’ PROTAGONISTA DEL SISTEMA OUTLET DI REGGELLO INSIEME ALLA CASTELNUOVESE DI ROSI, EX PRESIDENTE DI BANCA ETRURIA
Lì dove si esibiva Zubin Metha ci saranno appartamenti di grande prestigio. Dalla cultura al lusso. 
E a costruire sono sempre gli stessi imprenditori del sistema outlet di Reggello.
Il Teatro comunale di Corso Italia, infatti, la scorsa estate è stato acquistato — al momento siamo a un preliminare d’acquisto, in attesa dell’approvazione del piano di recupero per cui dovranno dare parere favorevole 12 enti tra cui il Comune — dalla Nikila Invest di Ilaria Niccolai. La Niccolai è il nome di punta del sistema The Mall che va da Leccio Reggello a Fasano, in provincia di Brindisi, passando per Sanremo.
Ma soprattutto nome salito nei giorni scorsi all’onore delle cronache per Party, la società immobiliare costituita nel 2014 con Tiziano Renzi, il padre del premier.
Dieci mesi dopo Nikila Invest ha messo sul piatto 25 milioni di euro per assicurarsi il palazzo ottocentesco nel centro del capoluogo toscano che è stata la sede storica del Maggio Fiorentino.
Obiettivo: demolire la vecchia struttura (tranne la facciata principale) e costruire 120 appartamenti di lusso da rivendere con ampi margini: si parla di 8mila euro a metro quadrato, per una superficie di 14mila metri quadrati.
Da chi compra la Nikila Invest? Direttamente dalla Cassa depositi e prestiti, società pubblica fresca di ricambio al vertice che aveva acquistato il teatro nel dicembre 2013 dal Comune di Firenze, allora retto dal sindaco Matteo Renzi.
Prezzo? 23 milioni di euro: troppo pochi per l’opposizione, visto che nel 2009 la struttura era stata valutata 44 milioni di euro, ma dopo 3 aste andate deserte il prezzo era comunque sceso fino a 26 milioni, manna dal cielo per Palazzo Vecchio, che con quei soldi è riuscito a non sforare il patto di stabilità .
Riassumendo: il Comune di Renzi ha bisogno di liquidi e vende il teatro alla Cdp, che a sua volta rientra nella spesa cedendo tutto a una società vicina alla famiglia del premier.
Al momento dell’acquisto, alla direzione generale di Cassa Depositi e Prestiti siede Matteo Del Fante, da più parti indicato come manager molto vicino a Renzi e che, una volta terminato il suo compito a Cdp, nella girandola di nomine fatta dal governo ad aprile 2014 viene promosso ad amministratore delegato di Terna, il gestore della rete elettrica che fa capo alla stessa Cassa.
È lui a curare l’operazione immobiliare, che non ha bisogno neppure di passare il vaglio del consiglio di amministrazione: il veicolo che ha tecnicamente perfezionato l’acquisto è la Cdp Investimenti sgr, guidata all’epoca proprio da Del Fante.
Quanto al futuro del teatro, va notato che il tecnico progettista della ristrutturazione è Marco Casamonti, architetto molto conosciuto nel capoluogo fiorentino e nelle cronache giudiziarie italiane: a ottobre 2015 è stato condannato in secondo grado a due anni di reclusione per corruzione.
Il processo era quello sull’urbanizzazione di zona Castello, a Firenze: per lo stesso reato sono stati dati due anni di carcere anche all’ex patron di Fondiaria Sai, Salvatore Ligresti.
Ma questa è un’altra storia. Come quella degli interessi di Nikila Invest a Milano, dove la società sta facendo un’altra operazione immobiliare, questa volta da 150 milioni di euro: la costruzione del nuovo quartier generale di Gucci nell’ex area Caproni.
Le opere edili sono state affidate alla Castelnuovese, società di cui Lorenzo Rosi — l’ex presidente di Banca Etruria, di cui era il vice il padre del ministro Maria Elena Boschi — è stato presidente fino a luglio 2014.
Ruolo che è costato all’ex banchiere una menzione speciale da parte di Bankitalia nell’ambito di una sanzione ai vertici di Banca Etruria, visto che l’istituto di credito ha concesso finanziamenti milionari — oggi all’attenzione della Procura di Arezzo — proprio alla Castelnuovese del suo presidente.
Il nome della cooperativa di costruzioni compare anche in un’altra società che unisce molti protagonisti del sistema outlet: è la Egnazia Shopping Mall, costituita a febbraio 2015 con lo scopo di replicare a Fasano, in provincia di Brindisi, il successo degli outlet di Reggello.
Le quote fanno capo alla Nikila Invest, ad Andrea Bacci, a due società panamensi e alla Castelnuovese. Amministratore unico: Rosi. Il quale, da aprile è alla guida anche della Corso Italia Firenze, società candidata alla realizzazione del progetto del teatro Comunale di Firenze e partecipata dalla Castelnuovese e dai soci di Tiziano Renzi nell’immobiliare Party: Focardi e Niccolai.
P.G. Cardone e G. Scacciavillani
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
“BASTEREBBE DIMEZZARLA E IL PIL AUMENTEREBBE DEL 3,1%”
I conti del governo in materia di evasione fiscale non tornano.
A sostenerlo è la Confindustria che ha presentato a Roma il rapporto “L’evasione fiscale blocca lo sviluppo“.
La relazione considera “insufficiente” la stima contenuta nella nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Def), “pari a 91,4 miliardi di euro, in media, nel periodo 2007-13″.
Le previsioni nella nota al Def “mostrano carenze che le rendono ancora inadeguate a rappresentare correttamente la realtà e a essere utilizzate come strumenti di policy”, sostiene il Centro studi di Confindustria (Csc).
Quest’ultimo ha calcolato in un 3,1% di maggiore Pil e in oltre 335mila occupati aggiuntivi il beneficio che deriverebbe da un dimezzamento dell’evasione accompagnato dalla restituzione ai contribuenti, attraverso l’abbassamento delle aliquote, delle risorse riguadagnate all’erario.
Si tratta di cifre ben superiori rispetto a quanto sostenuto dalla nota di aggiornamento governativa. Il Centro studi scrive che in Italia l’evasione fiscale e contributiva ammonta nel 2015 a 122,2 miliardi di euro, pari al 7,5% del Pil.
In particolare al fisco vengono sottratti quasi 40 miliardi di euro di Iva, 23,4 di Irpef, 5,2 di Ires, 3 miliardi di Irap, 16,3 di altre imposte indirette e 34,4 di contributi previdenziali. Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha commentato dicendo che in Italia l’evasione ha una dimensione “assolutamente patologica, che porta ad una distorsione della concorrenza e alla violazione di un patto sociale”.
“Il mio concorrente peggiore è sempre stato chi non paga le tasse”, ha sostenuto il patron di Mapei.
Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che ha partecipato alla presentazione, ha fatto buon viso a cattivo gioco ricordando che il Tesoro ha chiesto all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e al Fondo monetario internazionale “di produrre due rapporti indipendenti ma simultanei per capire in che modo applicare le pratiche migliori alla nostra Agenzia delle Entrate”.
(da agenzie)
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Dicembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
TRA RICATTI, EVERSIONE E IMBROGLI FINANZIARI
Rileggere la biografia di Licio Gelli come utile antidoto alla nostalgia della Prima Repubblica, che era
quella dei Cossutta e degli Ingrao e degli Almirante, ma anche quella delle bombe sui treni e dei dossier di Villa Wanda.
La morte del Gran Maestro offre all’Italia l’opportunità di colmare – almeno per un giorno – le lacune della memoria selettiva ed agiografica che colpiscono il Paese in questi anni di crisi e di paura.
Sì, è vero, fu la Repubblica dei giganti. Ma fu anche la Repubblica in cui i giganti dovevano ogni giorno passare sotto le forche caudine della Guerra fredda, delle sue necessità , delle sue azioni spesso miserabili e omicide, dei suoi ricatti.
Gelli è stato l’icona di quella stagione. Prima della P2 e anche dopo.
Il fascista repubblichino che a cose perse cominciò a fornire ai partigiani lasciapassare della kommandatura, e guidò le truppe americane quando entrarono a Pistoia, e si piazzò al sole nella nuova stagione denunciando una cinquantina di collaborazionisti. Gelli al centro dei misteri e dei grandi affari degli anni ’70, da Calvi a Sindona, referente golpista, e però sempre rispettato e blandito grazie – si dice – alle cartelline arancioni che conservava nelle sue tre stanze fisse all’Excelsior di Roma, dove riceveva come un sultano tutti quelli che contavano qualcosa.
Gelli sponsor della riconfigurazione dei poteri alla fine degli anni ’90, col suo Piano di Rinascita Nazionale evocato ancora oggi come chiave di lettura della prima stagione berlusconiana.
Spesso, e soprattutto dopo l’imitazione geniale che ne fece Corrado Guzzanti, abbiamo avuto la sensazione che lo avessero sovradimensionato ad arte e che il re di Castiglion Fibocchi fosse solo il volto, il prestanome, di cose assai più grandi di lui.
Quella faccia è comunque un’utile richiamo per l’Italia di oggi, che idealizza il suo passato, ricostruendolo con il filtro sentimentale dei ricordi come un’isola felice di benessere e di tranquillità .
In quella pretesa isola felice, tra il ’68 e la fine del Novecento, furono registrati 12mila attentati in trent’anni. Nel solo 1980 – l’anno della strage di Bologna, per la quale Gelli fu condannato a 10 anni con l’accusa di depistaggio – si contarono 120 morti nelle strade e nelle piazze italiane, un numero che oggi andrebbe ricordato a chi parla degli attentati di Parigi e dei “terroristi della porta accanto” come di una cosa senza precedenti.
In quella Bengodi della politica seria, il club di Gelli, figlio di agricoltori, che a scuola non andò mai oltre la licenza elementare, ebbe il pieno controllo non solo di larga parte dei Servizi segreti e dei grandi affari, ma anche dell’informazione “di serie a” del Corriere della Sera, dove “il signor P2” veniva intervistato in esclusiva e con deferenza da Maurizio Costanzo.
In quell’Italia lì, i capi del controspionaggio militare iscritti alla P2, vedi Vito Miceli, potevano finire indagati per cospirazione e golpe, e poi transitare sui banchi di partiti di opposizione anche seri come il Msi, che avevano nello statuto il divieto di iscrizione alla massoneria ma qualche volta dovevano scordarsene.
E sempre in quel tipo di Paese, dietro le quinte del dibattito tra i grandi leader che oggi rimpiangiamo, chi contrastava l’area di relazioni della P2 doveva stare attento. L’inchiesta su Sindona spostata da Milano al porto delle nebbie romano. Le minacce alla Anselmi e la bomba sotto casa della sorella. I libri sequestrati, come il saggio di Sergio Turone su Corrotti e corruttori. Per dire il meno, perchè poi ci sono anche i morti ammazzati, a cominciare da Giorgio Ambrosoli.
Ecco, la scomparsa di Licio Gelli è un utile memorandum per chi si è dimenticato tutto ciò, e sono molti, perchè è fastidioso evocare la stagione della nostra sovranità limitata, e risulta ansiogeno affrontarne gli interrogativi.
Compresi quelli che avanzò a suo tempo Massimo Teodori, il combattivo relatore di minoranza radicale nella Commissione d’inchiesta P2, riguardo alla natura “di sistema” della loggia segreta.
“Contrariamente a quanto afferma la relazione Anselmi – sosteneva – la Loggia non è stata un’organizzazione per delinquere esterna ai partiti ma interna alla classe dirigente. La posta in gioco per la P2 è stata il potere e il suo esercizio illegittimo e occulto con l’uso di ricatti, di rapine su larga scala, di attività eversive e di giganteschi imbrogli finanziari fino al ricorso alla eliminazione fisica”.
Un dubbio che resta. E sparge luci oblique anche sul nostro presente.
Flavia Perina
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
E IL PROCURATORE DI AREZZO E’ CONSULENTE DEL GOVERNO… AUMENTANO GLI INTRECCI FAMILIARI E AMICALI INTORNO AL CASO SALVABANCHE
Arezzo come metafora del potere e dei suoi intrecci.
Accusa e difesa accomunati dal legame col potere politico del governo Renzi.
Uno dei più grandi “difensori” della Banca Etruria è Giuseppe Fanfani, che al Csm è stato eletto su indicazione di Renzi e della Boschi.
Da sindaco di Arezzo, prima lasciare l’incarico per trasferirsi al Csm, Fanfani diceva: “La Banca Etruria non si tocca”.
Un sindaco aretino si sentiva in dovere di difendere “per contratto” l’icona bancaria cittadina, 186 sportelli e 1800 dipendenti con un modello fondato su un groviglio di interessi intrecciati tra loro.
Giuseppe Fanfani, grande avvocato, nipote di Amintore, anzi Nipotissimo — così lo chiamano ad Arezzo — non solo è stato il difensore “politico” della banca. Ma anche il difensore legale.
Ora allo studio Fanfani, il più importante e prestigioso di Arezzo, c’è il figlio che, nell’affaire banca Etruria ha un cliente prestigioso: Davide Canestri, direttore centrale, responsabile del Risk Management. Il reato contestato è ostacolo all’organo di vigilanza.
Fin qui la difesa. Il procuratore capo di Arezzo, della procura che indaga sul presunto conflitto di interessi degli ex vertici di Banca Etruria, è invece un consulente del governo Renzi.
Ne dà notizia il Fatto, in un articolo di Fabrizio D’Esposito: “Per la precisione — scrive il Fatto – la struttura di riferimento di Rossi, da consulente, è Dipartimento degli affari giuridici e legislativi, che ha come capo Antonella Manzione, l’ex comandante dei vigili urbani di Firenze chiamata dal premier a palazzo Chigi”.
Accusa e difesa, accomunati dal legame col governo.
Da sempre lo studio Fanfani è stato lo studio di riferimento di Banca Etruria, con vari presidenti. Davide Canestri è l’ultimo di una serie di clienti illustri, legati al mondo della banca Etruria.
Qualche anno fa, proprio grazie alla difesa di padre e figlio, furono assolti due direttori di una filiale della Banca perchè “il fatto non sussiste”. L’accusa era di aver applicato tassi di interesse sopra la soglia di usura.
Grazie alla difesa è stata riconosciuta la buona fede dei direttori di banca e della banca che si sarebbero sono attenuti scrupolosamente al metodo di calcolo del tasso soglia contenuto, prima del 2008, nelle circolari della Banca d’Italia e dei decreti ministeriali dell’epoca.
Lo scorso 31 ottobre, a un convegno su legalità e sviluppo c’erano sia il procuratore Rossi sia Giuseppe Fanfani.
L’incarico di Rossi a palazzo Chigi scade a fine anno, il 31 dicembre e prevede una retribuzione di 5000 euro lordi.
Tra i documenti rivelati dal Fatto ci sono due attestazioni sull’assenza di conflitto di interessi, firmate dallo stesso Rossi.
Oggi la procura di cui Rossi è a capo sta indagando su uno scandalo che può lambire Pier Luigi Boschi, già vicepresidente della Banca Etruria e padre del ministro Maria Elena. Proprio Maria Elena il 31 ottobre era l’ospite d’onore del convegno, con Rossi e Fanfani.
Il Nipotissimo, da sindaco di Arezzo è stato uno strenuo difensore della banca Etruria. Nel maggio del 2014 si schierò appassionatamente contro l’Opa della Popolare di Vicenza: “La decisione della Banca Popolare di Vicenza, è inaccettabile”.
Sulla stessa posizione, al suo fianco, c’erano papà Boschi e Lorenzo Rosi, l’ex presidente indagato per conflitto di interesse.
Era il maggio del 2014.
A settembre sarebbe approdato al Csm. L’operazione è stata gestita personalmente da Maria Elena Boschi, e dai suoi colonnelli toscani, il segretario regionale Dario Parrini e il giovane deputato Marco Donati, che ha sempre avuto un ottimo rapporto col Nipotissimo.
È il momento da tempo atteso, l’approdo a Roma in grande stile, desiderato sin da quando Francesco Rutelli lo indicò come responsabile nazionale Giustizia della Margherita facendogli coltivare il sogno del dicastero nel secondo governo Prodi. Arriva l’incarico al Csm. In quota Renzi. O meglio: in quota Arezzo.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
SELEZIONE ALLA PARTENZA DEGLI AVENTI DIRITTO E VIAGGIO IN SICUREZZA: QUELLO CHE DOVREBBE FARE L’EUROPA
Mille. Ovvero la cifra da cui partire per ridare un’anima all’Europa. 
Mille che saranno salvati, mille che non dovranno giocare al gioco della morte, tra le onde del Mediterraneo, per approdare alla salvezza per la loro vita e per quella delle loro famiglie.
Sembra poco, ma è tantissimo: da oggi partono in Italia i corridoi umanitari che permetteranno, ai profughi che ne hanno diritto, di compiere il loro viaggio dal Sud al Nord del mondo in sicurezza anzichè sulle carrette del mare.
Lo hanno voluto, con grande tenacia, la Comunità di Sant’Egidio e la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia.
Dopo mesi di preparazione e di dialogo costruttivo con il ministero degli Esteri e quello dell’Interno, finalmente è stato firmato un accordo per l’ingresso nel nostro territorio di mille persone (da Libano, Marocco ed Etiopia) in condizioni di “estrema vulnerabilità ” grazie a visti per “protezione umanitaria”.
Con l’accoglienza garantita dalle associazioni e da alcuni sponsor e con le spese coperte – attenzione – non dallo Stato italiano ma in larga parte dall’8 per mille della Tavola Valdese e da fondi privati di Sant’Egidio.
Finora l’Italia ha potuto solo tentare di salvare quanti arrivavano con mezzi di fortuna alle nostre frontiere.
Senza sapere quando e dove sarebbero giunti, se non qualche ora prima, magari captando, di notte, un sos che veniva dal cuore di una tempesta marina.
Da oggi invece si può salvare e non solo cercare di farlo.
È vero: mille è ancora una cifra piccola, troppo di fronte alle migliaia e migliaia di persone che bussano alle nostre porte fuggendo da guerre, fame e da dittature. Ma il fatto importante è che si è aperta una strada. Se funziona si potrà replicare.
Non si può negare che per affrontare alle radici il fenomeno epocale delle migrazioni dal Sud del mondo occorrerebbe prima di tutto fermare i conflitti, le violenze e gli abusi che costringono intere popolazioni a partire. In altre parole fare la pace.
Ma in attesa che ciò avvenga è assurdo continuare a pensare che la soluzione sia solo quella di contenere l’afflusso verso il nostro continente, anzichè gestirlo con umanità e anche con un rilevante interesse economico, dato l’invecchiamento demografico in corso in quasi tutta l’Europa.
Senza calcolare il vantaggio che costituiranno i corridoi umanitari per la sicurezza di tutti. Perchè i mille che entreranno in Italia subiranno, in partenza, quei controlli che certamente non hanno tutti quelli che arrivano con i barconi.
Del resto, come ha risposto poche ore fa Angela Merkel a chi tentava di convincerla a limitare drasticamente l’ingresso dei profughi in Germania, “il diritto di asilo, proprio perchè è un diritto, non ha limiti”.
È una lezione di civiltà per la nostra Europa. E sono una lezione cristiana, proprio all’inizio del Giubileo della misericordia, i corridoi umanitari.
Non solo: possono essere un modello per l’Italia ma anche per altri Paesi europei.
Marco Impagliazzo
Presidente della Comunità di Sant’Egidio
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Dicembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
LO SCRITTORE TORNA ALL’ATTACCO
Torna all’attacco Roberto Saviano in un editoriale su Repubblica.
Stavolta nel mirino c’è direttamente Matteo Renzi e una sua frase “detta con leggerezza, quasi con disattenzione” alla Leopolda.
Una frase che, secondo Saviano, è inquietante perchè suscita molte domande. Su tutte, una: “la linea del governo in materia di giustizia la detta papà Renzi?”.
Il passaggio del discorso del premier alla Leopolda citato da Saviano è il seguente:
“Quindici mesi fa il mio babbo – ha detto Renzi – è stato indagato e gli è crollato il mondo addosso. La procura ha chiesto l’archiviazione del suo caso, ma lui passerà il suo secondo Natale da indagato. Io gli ho detto “zitto e aspetta”. Ma lui mi dice che dovremmo passare al contrattacco, io, però, non dirò mezza parola, perchè ho fiducia nella giustizia”.
Parole che hanno fatto sussultare Saviano:
“Il premier riferisce che suo padre, per una vicenda giudiziaria personale, avrebbe detto “dovremmo passare al contrattacco”. “Dovremmo” chi? Viene da chiedersi. Perchè il premier si sente coinvolto nella strategia difensiva di suo padre? A che titolo dovrebbe eventualmente dire quella “mezza parola”? E a chi? Nel ruolo di figlio o di presidente del Consiglio? (Ma è poi possibile smettere di essere il presidente del Consiglio per occuparsi, in forma privata, di questioni giudiziarie che riguardano familiari?). E ancora, “passare al contrattacco”: contro chi? Non gli viene in mente che nel suo ruolo non può neanche permettersi di scegliere o meno se passare al contrattacco, in risposta a una vicenda privata?”
Secondo lo scrittore, il premier dovrebbe immediatamente chiarire la sua posizione:
“Che cosa può significare questa frase? Che la linea del governo in materia di giustizia la detterebbe Renzi padre? Cos’è questo: un avvertimento o semplici parole in libertà ? Sembra che il presidente del Consiglio, desideroso di rispondere con il sorriso, non sia stato in grado di misurare le proprie parole. Oggi, a bocce ferme, ha il dovere di chiarire cosa intendesse e quanto le vicende familiari influiscono sull’azione del suo governo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
LICENZIATI 81 DIPENDENTI, ORA TOCCA ALLA SEDE
Tutti i dipendenti lasciati a casa. E dal primo febbraio il partito non avrà nemmeno più una sede,
visto che dovrà abbandonare gli uffici del palazzo in piazza San Lorenzo in Lucina, nel pieno centro di Roma.
Parliamo di Forza Italia che tra un mese e mezzo diventerà una forza politica virtuale, senza un luogo fisico, un po’ come il Movimento Cinque Stelle.
L’aria era cattiva da tempo.
Nel passaggio dal Pdl a Forza Italia, infatti, già 43 lavoratori erano stati messi in cassa integrazione e mai più ripresi.
L’anno scorso, invece, di 81 dipendenti rimasti, 44 erano stati messi in cig al 50 per cento e altri 37 in cig a zero ore.
La cassa integrazione scadrà il 28 febbraio e martedì a tutti i lavoratori è arrivata una email di due righe per annunciare l’avvio della procedura di licenziamento collettivo. La questione è stata poi spiegata mercoledì con una lettera della tesoriera Maria Rosaria Rossi sul sito di Forza Italia.
“E’ grande l’afflizione di dover licenziare i nostri leali e qualificati collaboratori. Abbiamo provato di tutto in questi dodici mesi per evitarlo. Inutilmente, perchè l’apertura della procedura di licenziamento si è posta come atto dovuto”, ha scritto la tesoriera azzurra. I
l default di Forza Italia, secondo la Rossi, è dovuto alla la legge che ha abolito il finanziamento pubblico dei partiti e ha posto il tetto di 100mila euro a persona all’elargizione da parte di privati.
Il problema è che prima, oltre ai finanziamenti a pioggia garantiti dai rimborsi elettorali, in ogni momento era sempre Berlusconi ad aprire i cordoni della borsa.
Ora invece, con la nuova legge, non è più così, perchè il tetto riguarda addirittura i nuclei familiari: l’intera famiglia Berlusconi, per esempio, per legge può donare a Fi solo 100mila euro l’anno.
Ma c’è anche che Berlusconi non ne vuole più sapere di continuare a gettare denaro in quello che con gli anni è diventato sempre più un pozzo senza fondo.
Così, dopo aver ripianato negli anni scorsi 90 milioni di euro di debiti con le banche, l’ex Cavaliere ha detto stop.
A far precipitare le cose, inoltre, ci sono anche i mancati introiti da parte dei parlamentari: solo un 40 per cento tra deputati e senatori, infatti, versa la quota mensile al partito, nonostante le minacce della tesoriera.
“Il problema è che in Forza Italia si è scialacquato per anni, organizzando iniziative faraoniche e campagne elettorali gigantesche, tanto poi c’era sempre Berlusconi che pagava. Da quando non è più così le casse del partito sono andate in tilt”, racconta un ex dipendente.
Insomma, se tutti i partiti sono in crisi finanziaria, le altre forze, specie il Pd, nel corso del tempo hanno saputo gestire meglio i loro bilanci così da non trovarsi ora con l’acqua alla gola come invece è accaduto ai forzisti.
Ora i dipendenti, che devono prendere ancora metà stipendio di novembre, sono stati messi in ferie fino all’11 gennaio: quando torneranno, dovranno fare gli scatoloni perchè la sede inaugurata in pompa magna nella primavera del 2013 (3mila metri quadri del costo di 960mila euro l’anno) dovrà essere lasciata entro fine febbraio.
Se qualcuno di loro si salverà (forse una decina ma si tratta di voci non confermate), verrà trasferito a Palazzo Grazioli.
Un po’ meglio stanno i loro colleghi che lavorano in Parlamento, una trentina alla Camera e altrettanti in Senato.
Qui i denari destinati alla loro sopravvivenza vengono stanziati annualmente dalle presidenze di Montecitorio e Palazzo Madama, anche se alcuni, alla Camera, sono stati tagliati da Renato Brunetta.
Gianluca Roselli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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