Dicembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
“SIGNIFICATIVE RICADUTE SU PORTAFOGLIO CREDITI, REDDITIVITA’ E PATRIMONIO DI VIGILANZA”
Gli amministratori e i manager hanno gestito Banca Etruria provocando «carenze nella funzionalità degli organi e nel sistema dei controlli con significative ricadute sulla qualità del portafoglio crediti, sulla redditività e sul patrimonio di vigilanza».
Per questo sono finiti sotto inchiesta l’ex presidente Lorenzo Rosi e l’ex consigliere d’amministrazione Luciano Nataloni.
E per questo la lista degli indagati potrebbe presto allungarsi.
Non è l’unica tegola che rischia di cadere sulla testa del vecchio cda e dei vertici.
Roberto Bertola, amministratore delegato di Nuova Banca Etruria, annuncia infatti «un’azione di responsabilità nei confronti dei vecchi amministratori proprio per i danni patrimoniali ed economici provocati all’Istituto di credito».
False fatture
Potrebbe avere sviluppi clamorosi il fascicolo giudiziario aperto dal procuratore di Arezzo Roberto Rossi.
Anche perchè proprio in queste ore è stato notificato il provvedimento di fine indagine del secondo filone, relativo all’emissione di fatture false per 130 mila euro nel 2013, una delle operazioni compiute per cercare di mascherare le perdite nel bilancio.
Rischiano la richiesta di rinvio a giudizio il presidente del cda fino a maggio 2014 Giuseppe Fornasari e il suo successore Rosi, oltre all’ex direttore Luca Bronchi e agli imprenditori titolari della «Methorios Capital spa» che avrebbero emesso i titoli falsi.
Già nelle prossime ore la Guardia di finanza potrebbe acquisire nella sede centrale la documentazione legata all’emissione delle obbligazioni – diventate ormai carta straccia dopo il decreto del governo sul salvataggio di Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti – che stanno provocando le proteste dei risparmiatori.
Gli esposti delle Associazioni sono stati depositati ieri, i controlli appaiono imminenti. Del resto un quadro è già stato delineato dagli inquirenti, quanto è stato acquisito sinora basta comunque a dimostrare quante e quali operazioni spericolate siano state portate a termine fino a provocare un «buco» che agli inizi del febbraio scorso ammontava a tre miliardi di euro, con ben due miliardi di «sofferenze».
Bankitalia e Conso
Gli ispettori di Bankitalia decidono proprio in quel momento di commissariare Etruria, evidenziando la «mala gestione» degli amministratori, tanto che già al termine della seconda ispezione – avvenuta tra marzo e settembre 2013 – erano stati sanzionati per un totale di due milioni e mezzo di euro.
Tra loro, anche il vicepresidente Pierluigi Boschi, padre della ministra Maria Elena, che sin dal 2012 era nel consiglio di amministrazione, e fu chiamato a rispondere per 144 mila euro.
Nel corso della terza ispezione – tra novembre 2014 e febbraio 2015 – viene sottolineato il «reperimento di nuovo capitale per circa 160 milioni di euro oltre alla conversione del prestito subordinato di 100 milioni e all’esternalizzazione del ramo aziendale di gestione degli immobili».
Per quanto riguarda l’aumento di capitale, nella relazione si fa riferimento ad una emissione di prestito con riscatto anticipato a dicembre 2012, così come era previsto in sede di emissione.
Gli ispettori ritengono che proprio questo prestito, così come l’aumento di capitale del giugno 2013, «è stato tra le cause che hanno dato luogo ad una performance particolarmente negativa della quotazione del titolo che ha avuto una flessione del 54,40 per cento a fronte di una generale flessione del settore bancario che nello stesso periodo è stato del 9,40 per cento».
E anche di questo si chiederà conto ai consiglieri di amministrazione e ai vertici manageriali.
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
L’ESPOSTO DI FEDERCONSUMATORI DOPO LE TESTIMONIANZE DI 972 CLIENTI
Due indagini su Banca Etruria sono chiuse, una terza si è appena aperta, una quarta è in arrivo. 
La già complicata storia giudiziaria della Banca Etruria potrebbe a breve arricchirsi di un altro capitolo, e di nuovi indagati oltre ai sette già iscritti dalla procura di Arezzo.
Sulla scrivania del procuratore capo Roberto Rossi adesso c’è anche l’esposto della Federconsumatori locale.
Quindici pagine che riassumono le testimonianze di 972 clienti della Banca Etruria possessori delle obbligazioni subordinate e i rilievi sulla condotta dei vertici dell’istituto bancario prima del commissariamento.
I reati che ipotizzano sono gravi: truffa, ostacolo alla vigilanza, rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato, aggiotaggio, false comunicazioni sociali, manipolazioni del mercato e abuso di informazioni privilegiate.
A carico di chi? Nell’esposto si parla genericamente di «vertici di Banca Etruria», ma si fa riferimento anche al presunto mancato controllo sia di Bankitalia, sia della Consob.
Gli unici nomi messi nero su bianco sono relativi al periodo 2012-2013.
«Il consiglio di amministrazione guidato da Giuseppe Fornasari, con vice Lorenzo Rosi e tra i consiglieri Pier Luigi Boschi, porta a bilancio 1,5 miliardi di sofferenze. Il 25 febbraio 2013 il titolo che un anno prima valeva 3,92 euro, crolla a 1 euro e 20 centesimi».
Per rimanere in Borsa quel consiglio dette il via a un’operazione «di raggruppamento», per cui ogni 5 azioni vennero compresse in una sola.
«Il passaggio avviene il 29 aprile 2013 il titolo chiude a 0,93 centesimi. In pratica — si osserva – il valore reale delle singole azioni era inferiore a 20 centesimi».
Ma c’è un altro passaggio interessante dal un punto di vista investigativo, e riguarda l’idea che Banca Etruria sia stata condotta «al fallimento a tavolino».
Nell’esercizio 2014, durante il quale Pierluigi Boschi, il padre del ministro delle Riforme, era vicepresidente, la Banca perdeva 526 milioni di euro.
«L’11 febbraio 2015, pochi minuti prima dell’entrata in sala del Consiglio dei commissari — scrive Federconsumatori – il Cda delibera 400 milioni di accantonamenti volontari, su consiglio degli ispettori di Bankitalia. Ciò ha portato all’azzeramento del patrimonio e al fallimento a tavolino della banca».
In attesa di capire se sarà aperto il quarto fascicolo su Banca Etruria, l’attenzione si concentra ora sulla terza inchiesta.
Origina da un verbale di Bankitalia che ha individuato 185 milioni di euro di finanziamenti concessi negli ultimi anni da 18 amministratori «in conflitto di interessi» e che hanno portato a 18 milioni di perdite.
Due sono gli indagati certi, al momento: l’ex presidente di Banca Etruria Lorenzo Rosi e l’ex membro del cda Lorenzo Nataloni. Il procuratore capo ha smentito che anche il padre del ministro Boschi sia indagato.
Ci sono poi le prime due inchieste, per cui si attende il rinvio a giudizio. Per due false fatture da 192.938 euro e 40.000 euro emesse il 2 gennaio 2013 col fine di evadere l’Iva e le imposte sui redditi, sono sotto indagine Fabio Palumbo ed Ernesto Mocci, presidente e amministratore delegato della spa romana Methorios Capital, e, per la banca, Lorenzo Rosi, Giuseppe Fornasari (presidente prima di Rosi) l’allora direttore generale Luca Bronchi.
Fornasari e Bronchi, oltre a Davide Canestri (responsabile del Risk Management) figurano anche nel registro degli indagati per ostacolo alla vigilanza di Bankitalia. L’accusa è di aver nascosto a ben quattro ispezioni i dettagli dell’operazione di dismissione degli immobili dell’istituto aretino. Non solo.
«Hanno consegnato alla Banca d’Italia documentazione lacunosa, non indicando i costi dei servizi di manutenzione pari a 2,5 milioni di euro per 24 anni”, e non hanno mostrato il contratto di finanziamento ipotecario tra il Consorzio e la Popolare dell’Emilia da 49,3 milioni di euro.
Fabio Tonacci
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
INSEGNAMENTI DEL KGB: CAMMINA COME UN JOHN WAYNE CON LA SCIATICA
Non avendo di meglio da fare, una èquipe di neurologi europei ha studiato per anni la postura del capobranco russo Vladimir Putin e ora ha pubblicato gli esiti della ricerca su una rivista scientifica inglese.
A catturare l’attenzione dei medici è stata la camminata sbilenca dell’idolo di Salvini, con il braccio destro incollato sul fianco e il sinistro oscillante come un pendolo o un passo di danza di Jovanotti.
Si pensava, e in qualche cancelleria si sperava, che fossero le avvisaglie del Parkinson.
Invece la spiegazione è meno drammatica, ma altrettanto seria.
Putin cammina come un John Wayne con la sciatica a causa degli addestramenti giovanili presso la premiata università del Kgb.
Il braccio bloccato serviva all’agente dei servizi segreti per tenere sempre a portata di mano la pistola.
La morale di questa notizia futile solo in apparenza è che gli anni e i ruoli ci cambiano, ma quasi mai modificano certi comportamenti scritti con inchiostro indelebile nel nostro cervello dalle abitudini assunte, o inflitte, in tenera età .
La conferma più ovvia viene da quei ministri di Putin, usciti anch’essi dal Kgb, che camminano come lui.
La più inquietante dal premier matrioska Medvedev, che cammina come Putin senza mai neanche esserci stato, al Kgb.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Dicembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
L’EX VENERABILE E’ SCOMPARSO A 96 ANNI… TUTTO INIZIO’ CON IL CRAC DEL BANCO AMBROSIANO
E’ morto l’ex gran maestro della P2, Licio Gelli. 
Se n’è andato poco prima della mezzanotte, a 96 anni, nella sua dimora storica a Castiglion Fibocchi. Dopo il ricovero nella clinica pisana di San Rossore, e la diagnosi senza speranza dei medici, la moglie, Gabriela Vasile, lo ha riportato a Villa Wanda.
In questi casi, che più estremi non potrebbero essere, la questione vera è come sarà ricordato Licio Gelli.
Molto della sua lunga vita lascia pensare che lui si sarebbe accontentato di due qualità : quella di patriota e quella di poeta.
Era parecchio italiano, in effetti, toscano di Pistoia, anche se nell’immediato e sanguinoso dopoguerra costretto, pure per il timore di vendette, a traslocare ad Arezzo — e ancora ieri, guarda la sopravvivenza degli scandali, il suo nome ricorreva ai margini di qualche cronaca sulla locale banca.
Da Arezzo sviluppò la sua ascesa, e all’apice prese la residenza tra i cipressi di Villa Wanda, ricca magione invero fiabesca, con accessi e pertugi misteriosi e lingotti d’oro ritrovati nascosti dentro le fioriere.
Sempre in zona, nel suo ufficio di Castiglion Fibocchi, la Guardia di Finanza trovò una sfilza di documenti che documentavano il potere, e tra questi quegli elenchi di nomi — 961 in tutto, numero d’ordine della tessera e situazione di pagamento o meno delle quote – su cui si accese, prese il via e andò in scena il celebre affare della loggia segreta P2, di cui Licio Gelli fu l’indimenticabile “Maestro Venerabile”.
Era il marzo del 1981, i magistrati erano lì per ricostruire il finto rapimento di Sindona, da quelle carte si scoprì che nella lista c’era il Gotha della Repubblica (ministri, banchieri, generali, magistrati, imprenditori, editori, direttori di giornali e pure qualche cantante), quindi cadde il governo Forlani, il nuovo presidente Spadolini sciolse la loggia, e insomma di Gelli e della P2 si parlò davvero, animatamente e a lungo, con indagini, processi e commissioni parlamentari che partorirono un’intera biblioteca di incredibili, ora noiosissimi, ora spassosissimi volumoni.
Senza però che mai, come accade spesso in Italia, si riuscisse a capire per bene chi diavolo fosse lui, Gelli — non a caso da Craxi soprannominato “Belfagor” – nè quale infernale entità l’avesse spinto a radunare tutta quella gente, e per quali scopi.
Furono tante, forse troppe le ipotesi. Una “cintura di sicurezza” della Nato contro il pericolo comunista.
O magari una squadra di pronto intervento andreottiano specialista dilavoretti sporchi e ricattucci.
Oppure un gruppo di imbroglioni e millantatori guidato dal più furbo di loro. O anche una camera di compensazione dei potenti della tarda Prima Repubblica, compresi i cugini del Pci, cui delegare la risoluzione di impicci poco commendevoli, ma indispensabili alla ragione di Stato (petrolio, servizi segreti, traffico di armi, rapporti con leader internazionali impresentabili o quasi).
La massoneria o meglio le massonerie ufficiali, come quasi sempre succede, c’entravano e non c’entravano.
In qualche modo avevano dapprima tollerato lo smanioso attivismo, le fervide ambizioni e i sinuosi movimenti di Gelli, poi gli avevano lasciato campo libero.
Nel frattempo lui si era legato con un altro bel tipo, a nome Umberto Ortolani, che come lui aveva interessi in Argentina, ma anche buoni rapporti con Santa Romana Chiesa.
Insieme divennero — o almeno così li chiamava la povera moglie di Roberto Calvi – “il Gatto e la Volpe”.
Insieme arruolarono personaggi decisivi dell’economia e della politica; insieme misero le mani anche sul Corriere della Sera; insieme si giocarono prima il bancarottiere Sindona e poi il presidente dell’Ambrosiano, in tal modo innescando vicende anche tragiche: agguati, rapimenti, fughe, assassini, suicidi, furti di miliardi.
Qualche indagine sostiene che dal potere occulto della P2 promanava una certa puzza di dinamite, quasi certamente alcuni depistaggi dopo le stragi non smentiscono quel fetorino.
Anche Gelli comunque fu catturato, poi riuscì avventurosamente ad evadere da un carcere svizzero, tornò in Sudamerica, dove aveva messo in salvo altre carte.
Quindi ritornò in Europa, aveva il gusto del travestimento e si mascherò addirittura da suonatore di organetto, finì di nuovo dentro.
Alla fine parlava un po’ come un capo indiano. Consapevole del suo potere di discredito, abbracciava ora l’uno ora l’altro politico come una specie di rischioso trastullo e non molti anni orsono ha regalato le sue carte — alcune sue carte, verosimilmente — all’archivio di Stato. Nella catalogazione ebbe un ruolo Linda Giuva in D’Alema.
Si è fatto intervistare per due o tre libri-interviste, purtroppo abbastanza deludenti.
Di suo nel 1990 ha scritto e pubblicato un incredibile manuale: “Come arrivare al successo” (Aps, 1990), con norme sul cibo, il riposo, i rapporti con i collaboratori. Ma la sua vera e divorante passione furono le poesie, per lo più del genere meditabondo e intimista, di scarso apprezzamento critico, ma di cui esiste produzione tanto vasta quanto densa di premi letterari di serie B e C.
Volontario in Spagna poco più che adolescente. Uomo di di fiducia dei fascisti anche fuori Italia, dovette recuperare nell’odierno Montenegro un certo tesoro soffiato alla corona yugoslava.
Secondo un libro di Piazzesi, “La caverna dei sette ladri” (Bal- dini&Castoldi, 1996) lo rese al Cln e si trattò del primo indebito finanziamento ai partiti.
Ma anche sul fascismo le cose sono più complicate perchè durante la Resistenza Gelli aveva fatto dei favori ai partigiani salvando diverse vite, e quasi certamente anche la sua.
Si era poi messo al servizio di alcuni deputati democristiani, ma il gusto astuto delle trame, degli ammiccamenti, del doppio gioco, dei documenti che fanno bene a quello e male a quell’altro ce l’aveva nel sangue.
“Cartofilo” si definiva, e “burattinaio” in una celebre intervista a Maurizio Costanzo sul Corriere della Sera. In realtà la sua scalata sociale cominciò come dirigente della fabbrica di materassi Permaflex, mentre seguitava a coltivare relazioni con il mondo delle spie.
Ecco come pure si fa carriera in Italia.
Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
ASSOLTI GLI AGENTI PENITENZIARI, ILARIA: “MA ORA PARLINO, L’ARIA E’ CAMBIATA”…A PROCESSO I CARABINIERI ACCUSATI DEL PESTAGGIO
Cinque medici saranno nuovamente processati per omicidio colposo per la morte di Stefano Cucchi, arrestato il 15 ottobre 2009 e deceduto dopo una settimana dopo all’ospedale Pertini di Roma.
La Cassazione ha infatti annullato la loro assoluzione, disponendo un appello-bis. Definitivamente assolti invece tre agenti della polizia penitenziaria, tre infermieri del Pertini e un sesto medico.
In pratica i giudici della V Sezione penale della suprema corte, chiamati a decidere se convalidare la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Roma del 31 ottobre 2014, hanno accolto le richieste fatte dal procuratore generale Nello Rossi in sede di requisitoria. Secondo Rossi, Cucchi fu picchiato, senza “alcun dubbio di natura oggettiva”.
Nella requisitoria, nella quale si è ricordata l’apertura dell’inchiesta bis che coinvolge cinque militari dell’Arma carabinieri, la pubblica accusa ha parlato di “molti elementi che ci fanno capire che c’è stata una azione violenta prima dell’ingresso nei sotterranei di piazzale Clodio” e che occorre “andare a ricercare altrove la verità ”. Rossi aveva auspicato che “i nuovi accertamenti” disposti dalla Procura di Roma — che venerdì scorso, a distanza di sei anni dai fatti, ha fatto richiesta di incidente probatorio nei confronti di alcuni carabinieri — possano “fare luce sui tanti punti oscuri della vicenda”.
La sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, ha commentato il verdetto parlando di “un nuovo inizio”: “I medici sono responsabili della morte di mio fratello, se lo avessero curato non ci sarebbe alcun motivo di parlare di lui e della sua vicenda”.
E ha aggiunto: “Mi auguro che adesso, dopo il verdetto della Cassazione, gli agenti della polizia penitenziaria parlino di quello che è avvenuto a mio fratello e dicano tutto quello che sanno”.
Anche perchè ora, ha detto, “si respira un’aria completamente diversa rispetto a quando sei anni fa mi mandarono il certificato dell’autopsia di mio fratello: adesso vedo che la Procura ha voglia di fare chiarezza e mi sento finalmente in sintonia con i magistrati”.
L’avvocato Fabio Anselmo, difensore dei familiari di Cucchi, ha affermato: “Se i medici avessero fatto anche solo una briciola del loro dovere, Stefano sarebbe vivo. Per questo accogliamo con grande soddisfazione la decisione della Cassazione. Per una scelta di coscienza, seppure con rammarico, abbiamo abbandonato il ricorso contro le assoluzioni dei tre agenti della polizia penitenziaria. Adesso però aspettiamo al processo i carabinieri che hanno compiuto il pestaggio di Stefano e per loro l’accusa sarà di omicidio e non di lesioni”.
(da agenzie)
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