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E I MUSULMANI SU TWITTER SBEFFEGGIANO AL-BAGHDADI

Dicembre 28th, 2015 Riccardo Fucile

“‘ISIS CHIAMA ALLE ARMI ? DEVO VEDERE STAR   WARS”

Un appello per ribadire che i raid russi e della coalizione anti Is non hanno indebolito lo Stato Islamico, continuare la guerra contro le nazioni occidentali, colpire Israele: è il messaggio audio di 24 minuti, pubblicato su un account Twitter legato allo Stato Islamico e attribuito al califfo Abu Bakr al-Baghdad.
Un invito indirizzato anche a tutti i fedeli musulmani, chiamati a unirsi alla lotta del Califfato in Iraq, in Siria e in ogni parte del mondo.
Questa volta però, a disinnescare la propaganda dei terroristi, non sono servite nè azioni di intelligence, nè l’adozione di particolari misure di sicurezza, ma è bastata l’ironia.
Le risposte alla “chiamata alle armi” dell’Is non si sono fatte attendere da ogni angolo del globo, ma non sono certo quelle che i militanti del Califfato si aspettavano.
“Domenica c’è Star Wars, magari dopo”, twitta un ragazzo.
Altri improvvisano un vero e proprio controappello per ridicolizzare i terroristi. C’è chi proprio non può arrivare perchè impegnato a guardare Netflix, qualcuno sottolinea le difficoltà  per raggiungere la Siria e l’Iraq “con questi trasporti ferroviari”, qualcun altro ammette ironicamente: “Scusa Is, questo musulmano si è appena svegliato e ha bisogno di un caffè e di un weekend di Natale a fianco alla sua famiglia”.
E se c’è chi si spinge a considerare gli aspetti dottrinali della chiamata alle armi del Califfo, trovandoli alquanto discutibili, qualcun altro ammette sarcasticamente che proprio non può lasciare la sua sessione di Football Manager per andare a combattere in Siria o in Iraq. L’ennesima conferma forse, di come il mondo musulmano sia molto più composito di quanto alcune visioni semplicistiche e demagogiche tendano a rappresentarlo e di come una risata si possa trasformare in uno dei migliori antidoti contro il fanatismo terrorista.

(da agenzie)

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“LADRI, LADRI”: AD AREZZO ESPLODE DAVANTI A BANCA ETRURIA LA RABBIA DEI RISPARMIATORI

Dicembre 28th, 2015 Riccardo Fucile

PUGNI E TENTATIVO DI FORZARE L’INGRESSO: “GIUSTIZIA POPOLARE”

“Ladri, ladri”! Con questo grido un gruppo di risparmiatori truffati da Banca Etruria in protesta ad Arezzo ha cercato di entrare dentro la sede centrale dell’istituto dopo aver colpito con i pugni più volte la porta a vetri d’ingresso.
Alcuni hanno quindi provato a forzare anche il secondo accesso dopo aver guadagnato l’atrio, ma non è riuscito ad entrare fino nella sede della banca.
I contestatori sono circondati dalle forze dell’ordine. La strada dove si trova la banca è stata bloccata dai vigili urbani.
Gli ex obbligazionisti subordinati di Banca Etruria, che hanno perso tutti i loro soldi in seguito al decreto varato dal governo il 22 novembre, sono arrivati in treno e auto, sfidando il freddo e la nebbia, per protestare contro quella che definiscono “una truffa” ai loro danni.
Hanno issato striscioni e cartelli con scritto “Qui giace la fiducia nel sistema bancario” e “Rivogliamo tutti i soldi che ci avete rubato”.
La manifestazione era stata annunciata dal comitato Vittime del Salva banche, che domenica sera ha pubblicato sul proprio sito una lettera di risposta al comunicato della vigilia di Natale in cui Roberto Nicastro, presidente delle “nuove” Banca Marche, Etruria, Carife e Carichieti, ha sostenuto che i quattro istituti “non possono essere oggetto di azioni risarcitorie da parte dei precedenti azionisti ed obbligazionisti subordinati
I risparmiatori “trovano assolutamente appropriato il comunicato del Sig. Nicastro. Quale miglior occasione, per regalare ulteriore serenità  e gioia ai risparmiatori traditi ed azzerati, come quella della vigilia di Natale?”, si legge nella missiva.
Che continua: “Sta partendo forse la più grande forma di giustizia popolare del nostro Paese, una giustizia fatta dal basso, da chi è stato tradito. Sig. Nicastro, contribuiremo con tutte le nostre forze a minare la già  precaria stabilità  delle 4 nuove banche e del sistema bancario italiano”, si legge nella missiva.
“E a differenza vostra, lo faremo nel pieno rispetto della legalità , semplicemente informando in maniera adeguata tutti i cittadini riguardo i rischi che stanno correndo lasciando il loro risparmi nelle banche italiane. Non ci spaventano le sue dichiarazioni, sulla presunta inattaccabilità  delle good banks; saranno i giudici a stabilirlo, vi inonderemo di cause, a tutti i membri dei nuovi e vecchi Cda, ai commissari di Bankitalia e a tutti gli organi apicali coinvolti”.
“Noi stiamo trasferendo quello che rimane dei nostri risparmi nelle filiali italiane di banche estere o alle Poste”, rincara il comunicato diffuso questa mattina.
La lettera a Nicastro prosegue chiedendo “lo stop alle risposte e alle proposte di soluzione di sistema” e “l’adozione di misure straordinarie alla stregua di quelle che sono state adottate per azzerare i risparmi”.
La conclusione è che “da domani i presidi si spostano nelle vostre sedi, pacificamente le visiteremo una ad una, per poi tornare a palazzo Koch. Fino al raggiungimento del nostro obiettivo, senza sosta. Dal 1 gennaio sarete azzerati. Non ci interessa lo scaricabarile, non ci interessa chi sia titolato a darci titoli in cambio, non ci interessa l’arbitrato ed il fondo di solidarietà  del governo. Vogliamo quello che ci spetta, i risparmi che ci avete rubato. Come siete riusciti ad azzerarci tutti con operazioni straordinarie, altrettanto dovreste fare per consentirci un adeguato ristoro”.
A queste prese di posizione minacciose il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, risponde indirettamente con un’intervista alla Stampa in cui afferma: “Il diritto non è finito nè immutabile. Di norme intangibili vedo solo le tavole di Mosè e la Costituzione”.
Insomma, anche se le nuove banche hanno ribadito che le azioni legali per i risarcimenti potranno essere rivolte solo ai vecchi istituti di cui hanno preso il posto, il numero uno della lobby degli istituti di credito sostiene che “ci sono anche altre strade a disposizione del cittadino: può fare una richiesta di rimborso alla propria banca, che non è preclusa, un esposto all’arbitro bancario e finanziario, un esposto all’autorità  giudiziaria. Senza contare che si possono fare esposti anche alle autorità  di vigilanza”.

(da agenzie)

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INTERVISTA A BONDI: “IO, CORTIGIANO PENTITO. BERLUSCONI E’ UGUALE AL CONTE UGOLINO”

Dicembre 28th, 2015 Riccardo Fucile

“SONO STATO UN SERVO MA HO CAPITO TUTTI I MIEI ERRORI, ORA VOGLIO ESSERE DIMENTICATO”

Parlo ora per la prima volta dopo nove mesi”, dice mansueto il freschissimo senatore verdiniano Sandro Bondi già  ministro della Cultura precipitato dalla poltrona con un pezzo di Pompei nel 2011 e ex cortigiano naturale e convinto di Berlusconi: “A Silvio, vita splendente…”, ricordate i suoi sonetti pro familia?
E dopo questa chiacchierata, onorevole?
“Tornerò nel silenzio”.
Improvviso impulso di vendetta e pentimento, il suo?
“Vorrei tentare una riflessione di carattere storico sul berlusconismo che ho attraversato. E un viaggio tra i miei molti, troppi errori”.
Cominciamo da Berlusconi.
“Berlusconi è stato brillante all’opposizione ma deludente se non fallimentare nell’arte di governare e nel portare a compimento quegli accordi politici che avrebbero cambiato in meglio il nostro paese. Non ha saputo esercitare, quando sarebbe stata opportuna, la sua tendenza al compromesso”.
Mi aspettavo un giudizio un po’ più letterario.
“Uno ce l’ho. Berlusconi potrebbe essere paragonato al Conte Ugolino che nella Divina Commedia divora il cranio dei suoi figli. E questo riferimento culturale è in fondo lusinghiero, perchè lo sguardo di Ugolino verso i figli è di disperazione, mentre quello di Berlusconi è quasi intinto di sadismo. In realtà  sono giunto alla conclusione che non vi è alcuna grandezza tragica in lui. Ma vorrei fare una premessa, se me lo permette”.
Faccia pure.
“La premessa è che ho chiuso definitivamente con l’impegno politico”.
Uscirà  di scena a fine legislatura?
“Sì, sono un reduce di tante battaglie e di tante passioni. Mi sento vecchio e superato, oggi che in Italia e in Europa è in atto un grande rinnovamento generazionale di cui Renzi è una delle espressioni”.
Faccia un bilancio anticipato in poche righe. Credo possano bastare.
“Sono diventato più maturo, anche se può sembrare paradossale dirlo all’età  di 56 anni. E grazie soprattutto al fatto di aver conosciuto una donna intelligente”.
Dal Pci a Forza Italia, da bardo del Cavaliere a ribelle fino a verdiniano con tendenza dem. Non mi sembra un percorso di specchiato equilibrio.
“Vero, ma una cosa me la faccia dire: non sono mai stato di destra. Fabrizio Cicchitto ed io, insieme con tanti altri, in particolare Gianni Baget Bozzo, abbiamo sempre parlato di Forza Italia come di una sintesi fra le migliori tradizioni democratiche non comuniste della storia d’Italia”.
Vuole farmi credere che ne era davvero convinto?
“Nel 2009 scrissi perfino un libro per tracciare un legame ideale fra Berlusconi e Adriano Olivetti”.
Edito da Mondadori, immagino.
“Esattamente. Ricordo che la figlia Laura, da poco scomparsa, m’incontrò e mi parlò con simpatia, ma mi fece capire con grazia che il mio saggio era quantomeno ardito nei confronti di suo padre. Aveva pienamente ragione”.
Lei ha sperato consapevolmente in una utopia politica berlusconiana?
“Sì, e non ero il solo. Ma di tutte queste cose Berlusconi non si curò mai. Ci lasciava giocare con la politica e con le idee, fino a che non toccavamo la sostanza dei suoi interessi e del suo potere. Ricordo che, quando ero ministro, osai parlare di un canale televisivo pubblico dedicato alla cultura senza pubblicità . Subito, il pur mite Fedele Confalonieri mi redarguì bruscamente”.
Le aziende venivano prima di tutto?
“Sempre. Al culmine della crisi del suo ultimo governo, Berlusconi, nonostante ciò che disse in seguito, diede il via libera a Monti durante una riunione a Palazzo Grazioli nel corso della quale ci fece preliminarmente ascoltare in viva voce ciò che ne pensavano Ennio Doris di Mediolanum e l’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel. In questo modo eravamo messi sull’avviso della sua decisione”.
Ricorda quelle telefonate?
“Molto bene. Entrambi sostennero che la situazione economica e finanziaria del paese era disperata e non vi era altra possibilità  che quella di dare vita a un governo tecnico sostenuto anche da Forza Italia”.
Sta dicendo che i dirigenti e i ministri del partito non contavano nulla o perlomeno molto meno dei banchieri?
“La nostra autonomia politica era pari a zero. L’unico ad aver avuto la forza e il coraggio di un gesto di indipendenza è stato Angelino Alfano. All’epoca mi opposi a lui, nonostante l’amicizia che ci legava, per l’ennesimo atto di sottomissione a Berlusconi. Pure Fitto e Verdini furono in prima linea contro la scelta di Alfano, ma poco dopo Berlusconi li trattò alla stessa stregua. Mi creda, anche chi è rimasto prima o poi sopporterà  questa sorte”.
In una pletora di ominicchi lei dipinge Alfano come una sorta di eroe. E’ il cantore che dorme in fondo al suo animo a guidarla in maniera quasi pavloviana?
“La mia convinzione è che anche Alfano, se non fosse stato maltrattato pubblicamente, avrebbe chinato il capo un’altra volta, ma Berlusconi in realtà  non gli diede appello. L’intimazione di uscire dal governo Letta, come risposta alla sua condanna giudiziaria, avrebbe gettato l’Italia nel caos politico, favorendo probabilmente ancor più l’ascesa di Grillo e del suo movimento. Nell’occasione il ruolo di Napolitano è stato fondamentale. E’ stato lui a guidare l’Italia verso l’uscita dalla crisi. Berlusconi lo ha pregato di restare al Quirinale salvo poi accusarlo di ogni misfatto. Ha richiesto a Napolitano quello che non poteva ottenere e ha rifiutato ciò che invece il Presidente era disposto a riconoscergli”.
Ma poi c’è stato il patto del Nazareno.
“Merito di Verdini, che ha aiutato Berlusconi a rientrare in gioco, ottenendo da Renzi un riconoscimento politico non scontato e dovuto. Silvio avrebbe potuto utilizzare quest’ultimo attestato come un’opportunità  per lasciare una memoria positiva del suo ruolo nella storia d’Italia, ma l’ha rifiutata e sprecata. Ad un certo punto ho anche pensato che il ritorno del partito-azienda fosse il male minore, perchè almeno le sue imprese inseguono una certa razionalità  anche nella sfera politica. Oggi Forza Italia è incomprensibile per chi non conosca la vita privata di Berlusconi. Più che la politica, la letteratura e forse la psicologia possono dare un’interpretazione alla sua parabola esistenziale”.
Se Dante dovesse mettere Berlusconi nell’infernale lago ghiacciato di Cocito con Bruto, Cassio e Giuda, non dovrebbe riservare un posto anche per lei nella Giudecca, tra chi ha tradito i benefattori? Lei è stato servo, aedo e mammelucco, pronto a dormire sullo zerbino del padrone.
“Sono stato anche questo. Quando forse un giorno verranno pubblicate le mie lettere indirizzate nel corso di vent’anni a Berlusconi, frutto del mio lavoro di consigliere politico, si comprenderà  qual è stata davvero la mia figura. Sì, potrei essere accostato a Giuda. Ma chi ha letto il recente e bellissimo libro di Amos Oz, sa che Giuda è stato forse quello che ha preso più sul serio Gesù di Nazaret”.
La vedremo prossimamente con Renzi, un’altra croce da portare?
“Io con Renzi e nel Pd? No, grazie. Voglio essere dimenticato”.

Dario Cresto Dina
(da “La Repubblica“)

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TRASPORTI SU GOMMA E ASSENZA DI VENTO, ECCO PERCHE’ LE CITTA’ STANNO SOFFOCANDO

Dicembre 28th, 2015 Riccardo Fucile

LE OPINIONI DEGLI ESPERTI

I grandi responsabili della trappola smog sono due assenti: il vento e il trasporto pubblico.
Il primo è stato inghiottito dal cambiamento climatico che ce lo restituisce raramente, spesso in forma violenta, qualche volta come tromba d’aria.
Il secondo è stato snobbato come arcaico e poco seducente privando gli italiani di un’alternativa di trasporto dignitosa e rinchiudendoli in una nuvola di polveri sottili che corrodono i polmoni. Dietro il dramma di questi giorni ci sono questi due fattori che si combinano formando una micidiale tenaglia.
Ma come è stato possibile ignorare per tanti anni la legge a tutela della salute pubblica?
E come mai i venti sono mutati in modo così radicale?
Il direttore di Legambiente Stefano Ciafani e Riccardo Valentini, membro dell’Ipcc, la task force degli scienziati Onu che studiano il clima, ci aiutano a ricostruire la ragnatela delle dimenticanze colpose.
Perchè è sparito il vento?
È cambiata la circolazione dei venti di alta quota che danno un contributo determinante al clima. L’allargamento dell’area tropicale li ha spostati verso Nord, creando in Italia una situazione di alta pressione che ormai è stabile da un tempo anomalo, eccezionalmente lungo. Le alluvioni in Gran Bretagna, nell’area ancora esclusa dalla tropicalizzazione che ha investito il Mediterraneo influenzando gli anticicloni, costituiscono l’altra faccia dello stesso fenomeno.
Una novità  imprevista?
Al contrario. Rientra nel quadro di evoluzione climatica disegnato da più di 20 anni dall’Ipcc. Ma per fermare il caos climatico servono misure drastiche di diminuzione dell’uso dei combustibili fossili. Solo con l’approvazione dell’accordo di Parigi sul clima, si sono create le premesse politiche che potrebbero portare al cambiamento delle politiche energetiche in direzione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza.
Quanto tempo abbiamo avuto per metterci in regola con i limiti violati da molte città ?
Un tempo molto lungo. La direttiva europea che vieta di superare per più di 35 giorni all’anno il tetto di 50 microgrammi di polveri sottili per metro cubo è del 2002. In Italia è stata recepita con un decreto entrato in vigore il primo gennaio 2005. Ma è stato un atto formale: si è fissato un obiettivo e si è continuato a spendere in direzione opposta.
Gli esempi di trasporto innovativo messi in campo da alcune città  non sono serviti?
Hanno ottenuto buoni risultati a livello locale, ma non sono riusciti a cambiare verso alla spesa pubblica. A Milano la decisione di introdurre l’ingresso a pagamento in centro ha ridotto le emissioni nocive: meno 38% di polveri sottili nel 2014 rispetto al 2010, meno 59% di black carbon. Non è bastato. Come non sono bastate le zone con il limite a 30 km all’ora a Torino e i rigorosi standard energetici imposti a Bolzano sulle nuove costruzioni per abbattere il consumo energetico.
Quanto abbiamo investito in questi anni per pulire l’aria delle città ?
Molto poco. Nel periodo 2012-2014 la legge obiettivo ha destinato il 66% dei finanziamenti a strade e autostrade, il 15% alle metropolitane, il 12% alle ferrovie, il 7% all’alta velocità . Del programma “mille treni per i pendolari”, lanciato dal governo Prodi nel 2006, si sono perse le tracce: una buona quota dei 3 milioni di pendolari continua a essere costretta a usare la macchina.
Si potrebbe invertire la rotta?
Certo. Basterebbe invertire gli investimenti. In Italia tre quarti del trasporto merci avviene sulla gomma, imputato numero uno per lo smog: bisognerebbe riallinearsi con l’Europa scendendo al 50%. Ma da un decennio i governi hanno distribuito circa 400 milioni di euro l’anno (250 nell’ultima legge di stabilità ) in sgravi fiscali, riduzione del costo del carburante e minori pedaggi a vantaggio dei camion. Con i 4 miliardi di euro di fondi pubblici girati al trasporto su gomma si sarebbe potuto costruire una rete di tram in tutte le principali città : 200 chilometri.
Cosa rischia l’Italia?
L’Italia è stata messa in mora dall’Ue nel 2014 per aver disatteso le direttive sulla qualità  dell’aria. Se non correggiamo le politiche di trasporto e di edilizia spenderemo sempre di più in costi sanitari aggiuntivi e in multe. Pagheremo di più per respirare peggio.

(da “La Repubblica“)

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PISAPIA ATTACCA I PAROLAI: “ANNI DI LAVORO PER L’AMBIENTE, A MILANO I PROBLEMI NON SI AFFRONTANO CON LE CHIACCHIERE”

Dicembre 28th, 2015 Riccardo Fucile

“SALVINI IGNORANTE: SI LEGGA L’ORDINANZA CHE RIDUCE IL RISCALDAMENTO, E’ LA REGIONE CHE NON FA NULLA”…”GRILLO VENGA A VEDERE I 50.000 ALBERI NUOVI CHE CI SONO A MILANO”

“Forse chi parla è troppo impegnato a fare propaganda e ha un unico interesse: non quello di risolvere i problemi ma quello di guadagnare qualche voto”.
Giuliano Pisapia non ci sta e risponde a chi critica il blocco di tre giorni della circolazione delle auto deciso per fronteggiare l’emergenza smog rivendicando quanto fatto dalla sua amministrazione.
In una intervista a Repubblica elenca i provvedimenti degli ultimi quattro anni e i successi delle politiche di sostenibilità , “tanto che – dice – dal 2002, da quando si rilevano i dati dell’aria, gli ultimi quattro sono stati comunque gli anni migliori in termini di superamento dei limiti europei di Pm10”.
Dall’Area C, alla diffusione del car sharing e del bike sharing, con bici e auto elettriche; dal potenziamento dei mezzi pubblici con la disponibilità  anche dei bus notturni, alla nuova linea metropolitana; dalle zone 30 e le aree pedonali al teleriscaldamento ai 3 milioni di mq di verde in più.
Per il sindaco, “il blocco del traffico è solo una misura emergenziale che risponde a un’emergenza eccezionale; dura dalle 10 del mattino alle quattro del pomeriggio, dunque non ferma la città . Ma è un forte deterrente. E sono certo che i milanesi capiranno”.
Ma agli attacchi Pisapia replica deciso. “Salvini (che dice che il blocco è una cazzata, ndr) dimostra la sua ignoranza e non sa neppure che a Milano abbiamo un’ordinanza che abbassa il riscaldamento e che la maggior parte dei mezzi pubblici non sono inquinanti. Così come, forse perchè passa troppo tempo a sbraitare in televisione, non sa che già  stiamo acquistando bus elettrici”.
A Grillo, che lo accusa di “tagliare alberi secolari mentre la gente muore”, risponde con i 50 mila nuovi alberi e i 10 mila in arrivo a fronte di quelli (qualche albero, dice) tagliati per realizzare una nuova linea metropolitana. Ma Milano da sola non può fare di più.
Pisapia chiama in causa Regione e Governo. “Non esiste un coordinamento nazionale, e nemmeno regionale. La città  metropolitana, che copre un’aria vasta attorno alla città , potrebbe avere un ruolo importante. Ma non ha alcun potere e la Regione, che li ha, non fa nulla”.

Alessia Gallione
(da “La Repubblica”)

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DIRITTI E SALARI, SIAMO TORNATI INDIETRO DI UN SECOLO

Dicembre 28th, 2015 Riccardo Fucile

PARLA LA SOCIOLOGA AMERICANA RUTH MILKMAN: COLPA DELLE TRE D, DEREGULATION, DEINDUSTRIALIZATION, DEUNIONIZATION

Il lavoro che non c’è. E quando lo trovi non ti senti al sicuro lo stesso.
Il futuro dell’occupazione visto dall’altra parte dell’Atlantico con la sociologa Ruth Milkman, protagonista nei giorni scorsi all’Università  Bicocca di Milano di un convegno sul precariato che per qualcuno è, spesso, sinonimo di flessibilità .
Ma è proprio così?
«La flessibilità  è un termine ampiamente utilizzato negli Stati Uniti; ma il problema è: flessibilità  per chi? Il più delle volte è una flessibilità  a vantaggio solo di una parte: i datori di lavoro che decidono le regole. Mentre i lavoratori devono adattare la propria vita a soddisfare queste nuove esigenze. Diventare disponibili a offrire la loro prestazione ogni volta che il datore di lavoro lo richiede. Tutto ciò ha incrementato l’insicurezza per il posto. Un numero elevato di lavoratori statunitensi possono essere licenziati in qualsiasi momento e senza giusta causa. È illegale solo licenziare le persone sulla base di sesso, razza, e per alcune altre categorie protette, ma per il resto, se il datore di lavoro decide di licenziare, il dipendente non ha nemmeno la possibilità  di fare ricorso. Questa non è una situazione nuova, ma negli ultimi anni, anche prima della crisi economica, è in crescita. Penalizzati soprattutto i lavoratori più anziani che vengono licenziati più facilmente per abbattere i costi».
È finita l’era del welfare?
«Negli Stati Uniti non l’abbiamo mai conosciuto, almeno non nell’accezione europea. Ci ha provato l’amministrazione Clinton, nel ’96, a riconoscere alcuni diritti alle fasce deboli. Ci ha riprovato l’attuale presidente con la riforma sanitaria, Obamacare. Negli Usa si pensa sempre che sia il libero mercato a determinare il destino degli individui, e in questa prospettiva i “diritti garantiti” sono problematici».
I sindacati hanno un futuro? O, forse, non hanno più neanche un presente?
«Negli Usa i sindacati sono sotto attacco da decenni. Nel privato gli iscritti sono scesi dal 35 per cento della metà  degli anni Cinquanta al 6,6 per cento nel 2014. Hanno una maggiore presenza nel settore pubblico con il 35,7. Ciò ha avuto conseguenze enormi, ed è una delle cause della massiccia crescita della disuguaglianza del reddito a partire dal 1970».
Karl Marx ha perso. Ma siamo sicuri che Adam Smith stia vincendo?
«Negli Stati Uniti vige quello si chiama fondamentalismo del mercato, quasi un’ideologia che si è acuita dagli anni Settanta in poi: la certezza che il libero mercato è la risposta a tutti i problemi. Questa idea è stata utilizzata, e anche strumentalizzata, allo stesso modo dalle amministrazioni repubblicane e democratiche per giustificare la deregulation , i tagli al welfare e una flessibilità  sempre più larga. In questa prospettiva Adam Smith ha vinto. Ma dopo la crisi del 2008 le cose sono cambiate. Grazie anche al movimento Occupy Wall Street , la preoccupazione per la crescente disuguaglianza economico-sociale è aumentata notevolmente. E per la stessa ragione c’è molto più scetticismo riguardo alle acrobazie finanziarie di Wall Street e all’aumento della forbice nei redditi: i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. I giovani sono stati colpiti più duramente dai cambiamenti del mercato del lavoro, anche se non ai livelli elevati e preoccupanti dell’Europa, e hanno accumulato debiti senza precedenti per potersi permettere gli studi universitari. Sono loro i più critici verso il sistema e in prima linea nella creazione di movimenti di protesta».
La linea che divide il precariato dal lavoro nero o non riconosciuto, spesso, è molto labile.
«C’è un numero crescente di posti di lavoro irregolari (per esempio, i conducenti Uber), ma fino ad ora le cifre sono modeste, meno dell’1 per cento del totale. In più ci sono molti liberi professionisti e imprenditori indipendenti che, però, lavorano in settori a basso salario. Infine ci sono i lavoratori che sono pagati a giornata e, spesso, che non sono contemplati dalle statistiche dell’economia ufficiale. E non abbiamo stime affidabili su quanti lavoratori ci siano in queste categorie, anche se i dati sulla loro crescita sembrano essere sovrastimati».
Il boom del precariato è una conseguenza della crisi economica del 2008?
«Tutto questo è cominciato ben prima della crisi, ma la recessione ha portato a un modo diverso di porsi davanti al mondo del lavoro. Quindi il problema non è direttamente legato alla crisi ma è di portata molto più grande. Un’altra osservazione: ci sono alcuni lavoratori, specialmente tra i giovani, che preferiscono un lavoro di tipo non subordinato, a loro piace l’idea di essere il capo di loro stessi, e non sembrano troppo preoccupati di avere la garanzia di un posto sicuro. Pensano che la sicurezza del posto è spesso illusoria e così scelgono il lavoro autonomo o di diventare freelance».
Però, per altri versi, sembra si stia tornando indietro a un modello antico di capitalismo.
«Sappiamo che il periodo d’oro per il lavoro negli Usa coincide con gli anni Trenta: il New Deal che tirò fuori il Paese dal fango della Grande Depressione. Le riforme sulla sicurezza sociale (1935), i salari minimi e il pagamento degli straordinari (1938), così come i diritti dei sindacati (1935). Uniche escluse le donne, che continuavano a non godere delle conquiste ottenute dagli altri lavoratori. Ma a partire dagli anni Settanta abbiamo assistito a un’erosione di questi diritti con il crescere delle politiche neoliberiste. Con l’arrivo delle tre D: deregulation , deindustrialization , deunionization (indebolimento del sindacato) . Questo ha trasformato il mercato del lavoro. E se leggiamo la storia in quest’ottica, si può dire che la precarietà  assomiglia alla situazione di un secolo fa».
Come si immagina il mondo del lavoro domani?
«Alcuni cambiamenti importanti si stanno già  verificando. E sono legati alla crescita dell’immigrazione. Stiamo parlando di tipologie molto varie di nuovi lavoratori. Dai tecnici iper specializzati ricercati e dagli stipendi molto elevati ai lavoratori sottopagati, come ancora oggi le colf, ai dipendenti a giornata, che si arrabattano per sbarcare il lunario. Tutti hanno contribuito e stanno contribuendo alla vitalità  economica degli Stati Uniti. Eppure, per qualcuno, rappresentano la causa della crisi. E sono ritenuti i responsabili del calo dei salari. Gli immigrati, in particolare gli undici milioni privi di documenti, sono diventati un comodo capro espiatorio».

(da “il Corriere della Sera”)

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