Gennaio 31st, 2016 Riccardo Fucile
“INTERROGHIAMOCI SU COSA SIA UNA FAMIGLIA, CONFRONTIAMOCI CON LE ASSOCIAZIONI DEI CATTOLICI OMOSESSUALI”
Una lettera di sostegno al ddl Cirinnà sulle unioni civili per le coppie dello stesso sesso e la richiesta all’Agesci, l’Associazione guide e scout cattolici italiani, di «prendere una decisione di coraggio» sul tema: l’hanno firmata 193 capi scout di tutta Italia. E le adesioni continuano a crescere.
«Siamo convinti che i diritti fondamentali riconosciuti a livello costituzionale e sovranazionale non possono essere ancora privilegio di alcuni» scrivono i 193 firmatari dell’appello che, promosso da Martina Colomasi, «Capo fuoco del Clan Universitario di Roma», e da Alfredo Salsano «Capo clan Cava de Tirreni 3» (in Campania), arriva nei giorni del Family Day e testimonia la pluralità di posizioni che sulle unioni civili dividono l’associazionismo cattolico.
La richiesta ai vertici dell’associazione
La lettera esprime «profonda gioia» per la scelta dell’Agesci di non aderire al Family Day contro il riconoscimento delle unioni gay, ma spiega che «purtroppo questo non basta».
« Il testo del ddl Cirinnà nella sua attuale formulazione ci ha interrogati profondamente e abbiamo deciso di scrivervi – si legge nel documento, indirizzato a tutti i vertici dell’Agesci –. In qualità di educatori, non possiamo diversificare il nostro messaggio educativo a seconda dell’orientamento sessuale del ragazzo o della ragazza che intraprende il cammino scout. Quando chiederemo ai nostri ragazzi di essere capaci di fare scelte profonde, decise, mosse dall’amore, lo faremo senza alcuna distinzione tra i ragazzi eterosessuali e i ragazzi omosessuali».
I 193 capi scout chiedono così «di iniziare un cammino ed un confronto attraverso le strutture adeguate e con il contributo di tutti i gruppi associativi»: «Interroghiamoci su cosa sia una famiglia – propongono –, incontriamo le famiglie arcobaleno, confrontiamoci con associazioni quali Nuova Proposta che raggruppano i cattolici omosessuali. Evitiamo di pontificare su queste tematiche senza un valido confronto perchè dietro ogni vostro comunicato ci sono ragazzi che si sentono esclusi e discriminati e che ci accusano di ipocrisia».
Il richiamo alla «Carta del Coraggio»
L’appello richiama esplicitamente la «Carta del Coraggio» redatta e votata nell’estate del 2014 dai 456 Alfieri (i rappresentanti dei 30 mila scout Agesci d’Italia) durante il grande raduno nazionale di San Rossore, a Pisa, che già due anni fa nel capitolo sull’«amore» sollecitava l’associazione giovanile cattolica ad «allargare i propri orizzonti affinchè tutte le persone — indipendentemente dall’orientamento sessuale — possano vivere l’esperienza scout e il ruolo educativo con serenità senza sentirsi emarginati»e di mostrare «maggiore apertura riguardo a temi quali omosessualità , divorzio, convivenza, attraverso occasioni di confronto e di dialogo, diventando così portavoce presso le Istituzioni civili ed ecclesiastiche di una generazione che vuole essere protagonista di un cambiamento nella società ».
Già allora la «Carta del Coraggio» (che fu anche consegnata al premier Matteo Renzi) chiedeva da una parte «alla Chiesa di accogliere e non solo tollerare qualsiasi scelta di vita guidata dall’amore» e dall’altra allo Stato di portare «avanti politiche di non discriminazione e accoglienza nei confronti di persone di qualunque orientamento sessuale, perchè tutti abbiamo lo stesso diritto ad amare ed essere amati e che questo amore sia riconosciuto giuridicamente affinchè possa diventare un valore condiviso».
La frattura generazionale
Oggi la distanza tra i cattolici più giovani e le generazioni adulte torna a farsi sentire con questo nuovo appello: «Allora l’Agesci sottolineò che la Carta del Coraggio rappresentava la posizione dei ragazzi, non quella ufficiale dell’associazione – spiega la promotrice della lettera sulla Cirinnà Martina Colomasi –. Quella presa di posizione fu però il primo segnale che le generazioni più giovani, anche tra gli scout, sono pronte al cambiamento su questi temi. Adesso speriamo che ci possa essere davvero un confronto, sia all’interno dell’Agesci che con la realtà esterna».
Elena Tebano
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 31st, 2016 Riccardo Fucile
NEL 2015 LE NASCITE, PER LA PRIMA VOLTA DOPO IL 1918, SOTTO LE 500.000 UNITA’
Culle vuote e cimiteri pieni. La curva demografica del 2015 ci lascia una bruttissima eredità .
Le nascite, per la prima volta dopo il 1918, (annus horribilis per un’intera generazione rimasta sui campi di battaglia della prima guerra mondiale; chi sopravvisse dovette poi fare i conti con la micidiale epidemia d’influenza, la spagnola, che fece più morti della peste del XV secolo) sono scese sotto la soglia psicologica delle 500mila unità . Un fatto ancor più grave se si considera che rispetto al 2014 «le morti registrano un aumento di oltre 60 mila unità », osserva il decano dei demografi dell’università Bicocca, Giancarlo Blangiardo, mentre gli immigrati, che da almeno un ventennio colmavano il nostro gap demografico, si sono anch’essi arresi all’evidenza che il nostro non è un Paese per famiglie.
Così come non è un paese per giovani (130 mila il saldo netto degli italiani in uscita del 2014, quasi tutti con laurea o master), che ormai migrano ovunque nel mondo, nè per i vecchi, che vanno godersi la loro pensione esentasse alle Canarie o in Portogallo. Un suicidio demografico in piena regola, che non genera nessuna mobilitazione nell’opinione pubblica nè tantomeno riunioni allarmate del Consiglio dei ministri.
«Ci vorrebbero statisti come Alcide De Gasperi» sorride Blangiardo, un demografo che aveva previsto questo inverno (o inferno) demografico.
Da qui ai prossimi quaranta o cinquant’anni si assisterà alla supremazia schiacciante dei settantenni sui ventenni.
Con conseguenze catastrofiche per il welfare, soprattutto la sanità e le pensioni, il cemento che ha tenuto insieme la società del benessere così come l’abbiamo conosciuta
Oltre cinque anni fa, un gruppo di studiosi aveva redatto il Rapporto nazionale sulla famiglia, poi archiviato in un cassetto. Obiettivo: indagare il crollo della natalità .
Nel 2012, il governo guidato da Mario Monti legge e approva il documento. Finisce lì. E lo studio ritorna nel cassetto.
Qualche anno dopo pure gli immigrati si stufano di compensare la bassa natalità degli italiani, «forse perchè si resero conto — osserva Blangiardo — che pure loro scontavano la mancanza di servizi e asili nido».
Un’anomalia, la natalità zero, che l’Italia condivide con la Germania, anch’essa con una forte anoressia riproduttiva.
La Francia («voleva più baionette delle nazioni nemiche» chiosa il demografo della Bicocca), ma anche la Gran Bretagna, sono invece in sostanziale equilibrio tra nati e morti.
Le colpe arrivano da lontano. Dall’ordine mussoliniano di donare oro (e i figli) alla patria, alla retorica cattolica sulla famiglia nucleare, la comunità riproduttiva fondata su madre, padre e figli.
Non perchè fosse sbagliato difenderla, ma per il motivo opposto, cioè perchè si è tutelata solo a parole, senza fornirgli gli strumenti essenziali per la sua sopravvivenza. Con una responsabilità storica di una o più generazioni di politici cattolici, presenti trasversalmente in ogni schieramento.
Ricorda Blangiardo: «Una volta esistevano gli assegni familiari. Funzionavano. Ma qualcuno decise di cancellarli, malgrado la cassa fosse in attivo e le famiglie ricevessero un aiuto in denari sonanti». Troppo semplice
Oggi gli italiani sono 55 milioni (più cinque milioni di immigrati).
E nel giro di mezzo secolo potrebbero precipitare a 40, praticamente il punto di non ritorno.
Una società di ottuagenari genera ripercussioni pesanti sulla struttura dei consumi. Riflette Blangiardo: «Un settantenne o un ottantenne, tranne le lodevoli eccezioni, al massimo fa manutenzione. E invece di comprarsi un paio di scarpe va a risuolarsi quelle vecchie».
Popolazione in calo, più vecchia e meno ricca. Questo è lo scenario.
Anticipato da quel picco di 60mila morti in più nel 2015.
Il demografo milanese ha lavorato come un detective per risalire alle cause di un innalzamento così brusco e inaspettato della mortalità .
Che attribuisce a un effetto cumulativo di più cause: «L’epidemia di influenza nei primi tre mesi del 2015, quando si è registrato il picco della mortalità , è stata affrontata da molti anziani senza la protezione del vaccino per la sua presunta nocività ; poi lo slittamento delle cure sanitarie, pratica che accomuna molti anziani in una situazione di parziale indigenza: una ricerca del Banco farmaceutico ha rilevato che 2,5 milioni di anziani hanno rinviato le cure mediche a data da destinarsi».
Le proiezioni sono da brividi: nell’Europa a 28 ci sono 500 milioni di abitanti che mettono al mondo 5,2 milioni di figli con una aspettativa media di vita di 80 anni.
A condizioni invariate, l’Unione europea perderà 100 milioni di abitanti. Un crollo verticale.
Conclude il demografo della Bicocca: «Inutile lamentarsi poi per l’arrivo dei migranti senza titolo di studio: i laureati dei Paesi più poveri scansano scientificamente l’Italia e puntano diritti sul Nord Europa».
Il vuoto, in natura, si riempie sempre. Valeria Solesin, la dottoranda di Demografia alla Sorbona, uccisa al teatro Bataclan il 13 novembre, lo sussurrava a tutte le donne italiane che incontrava: «Non prendete cani o gatti: mettete al mondo figli come le francesi».
Mariano Maugeri
(da “il Sole24Ore”)
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Gennaio 31st, 2016 Riccardo Fucile
STANCHI DELLA SOLITA MUSICA, IN ATTESA DI NOTE CHE SAPPIANO COLLEGARE IL CUORE AL CERVELLO
Gli ultimi giorni hanno dimostrato che il razzismo e’ un fenomeno “quasi costitutivo” del nostro essere, sia popolo che “parte del mondo”.
Bianchi contro neri. Sudisti contro nordisti. Alti contro bassi. Cattolici contro laici. Etero contro gay. Proletari contro “borghesi”. Europeisti contro nazionalisti. Moralisti contro amanti “dell’etica libertà “. Belli contro brutti. Fighi contro “bombolottoni”. “Figli ‘e ntrocchie” contro “addormentati”. Davvero: non manca niente.
Eppure la cosa che più “segna”, almeno per quanto mi riguarda, resta (e resterà ) sempre il “modus” perchè, qualunque sia il relativo gruppo di “apparente appartenenza”, il processo comunicativo s’appalesa sempre lo stesso: demagogico; “freddo” e “sputa-veleno”.
E la cosa è molto triste perchè, per riuscire a scaldare il cuore, almeno un po’ di calore ci vorrebbe.
Comunque sia, nel nostro Paese, metà dell’elettorato non va più a votare. Se succede penso che sia dovuto proprio a causa della profonda “stanchezza” per la solita musica. Immaginate una tastiera. Ha tasti bianchi e neri. Sembra una “cosa” “limitata” e “finita”; con un inizio ed una fine.
Eppure, in quella “marea di chiaro-scuro” possono crearsi le magie più ardite; riprodursi passioni, amori e le “emozioni più emozionanti”; si possono addirittura creare.
La comunicazione e’ un’arte. Un’arte che funziona soltanto quando è sincera, quando non è stucchevole, quando racconta qualcosa di appassionante. Quando tocca le “tue corde più profonde” facendoti vibrare.
Forse un giorno, per quell’altro 50% del popolo che non si appassiona più, ci sarà un meraviglioso “Masaniello” che riuscirà a raccontare, non soltanto delle cose nuove (sempre difficili a “farsi”) ma che avrà il grande dono di saperle dire in modo diverso. Ognuno di noi potrebbe essere quel “Masaniello”. Bastera’ “spratichirsi” contenendo la permalosità .
Gia’, perchè ci sarà sempre qualcuno che dirà che siamo dei coglioni: fa parte del “gioco”. Qualcuno arriverà finanche a sentirsi offeso (sciocco presuntuoso!). Noi guardiamo “altrove”, però. Alziamo gli occhi al cielo. “Ci accorgeremo di quanto è giallo e caldo il sole”…
Mi spiace per gli amici ai quali ho partecipato sincera solidarietà . Pensavo che l’Italia fosse un po diversa e finanche migliore. Non avevo considerato “l’oste”. Avevo dimenticato che gli italiani non sanno parlarsi più. Tutti, troppo “tuttologi” e sofisticati pensatori, anche quando non sanno nemmeno chi siano stati Marx o Hegel: roba da “coppa” di gelato al caffè!
Quell’Italia bisognera’ farla e la faranno gli “scugnizzi”. Quelli che, ad essere “minoranza della minoranza” (formale), non danno peso, perchè il “mondo” e’ grande e c’è una “fetta” che non aspetta altro che di appassionarsi…
“Masaniello”, ovunque tu sia, esci pure allo scoperto e non ti preoccupare se dovessi “chiamarti” diversamente. Scugnizzo, ribelle, rivoluzionario. Incazzato ed incazzoso. “Lazzaro allazzariato”. Proprio non importerà …
Una parte del popolo ti accoglierà con qualche piccolo pernacchio. Succederà . Ci sta! Tu sii paziente, però… Quando avranno ricollegato il cuore al cervello, ti sorrideranno. Vorranno capirti meglio. Forse, arriveranno a darti finanche ragione…
A volte, l’essere umano ti stupisce…
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Gennaio 31st, 2016 Riccardo Fucile
IL GIUDICE: “NON HA MAI SVOLTO ALCUNA ATTIVITA’ CIVILE”… QUANTO ALL’ACCUSA DI AVER MANDATO A FONDO LA PADANIA “E’ SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI”
Insomma, non è reato dire a Salvini che è un politico di professione, proprio di quelli che i leghisti prima maniera vedevano come fumo negli occhi.
Non bastava assistere tutti i giorni al saltabeccare del segretario del Carroccio da uno studio televisivo all’altro. Dall’alba a notte fonda, non puoi più accendere la tv per guardarti in pace una telenovela o un pornazzo che ti ritrovi davanti la sua faccia, la sua voce indignata con gli immigrati che rubano il lavoro (non a lui, evidentemente).
Il gip non si scaglia contro la politica. Prende solo atto di un sentire diffuso: “Quanto alla storia del non aver mai lavorato, basta osservare che — nel linguaggio comune — costituisce una frase che si predica del (deprecatissimo!) ‘professionista della politica’ che — magari ‘politicamente’ occupato per 15 ore al giorno — tuttavia non svolge o non ha mai svolto nessuna ‘attività civile’”.
Salvini, quindi, politico di professione, che nemmeno brillerebbe per le sue presenze in aula: “Si tratta — aggiunge il gip — innanzitutto di valutare quali siano gli aspetti platealmente menzogneri dell’articolo di Vecchi: e francamente non se ne ritrovano, nella misura in cui l’accusa di “assenteismo” viene collegata alle specifiche affermazioni di un eurodeputato socialista francese (e comunque non trovano una particolare smentita nei report del parlamento europeo)”.
Povero Salvini, bocciato su tutta la linea, anche quando si indigna per le accuse sulla gestione della Padania: “L’accusa di aver mandato (economicamente) a catafascio il giornale di partito, tenuto in vita soltanto dai contributi pubblici, riporta a circostanze sotto gli occhi di tutti (e poco importa che si tratti di un destino rivelatosi comune a tutte le altre testate di partito)”. Lo dice il giudice.
Tre a zero. Per i cronisti, il decreto di Bergamo segna un punto contro lo spauracchio di querele e cause civili.
È un mondo duro, quello del potere, se ti becchi gli onori (e gli emolumenti), devi accettare le critiche. Anche “graffianti e fastidiose”.
“Certo, se giudizi come quelli espressi da Vecchi su Salvini fossero apparsi sul mensile delle Suore Domenicane, parlando della (reverenda) Madre superiora del (concorrente) Ordine delle Suore Orsoline, ci sarebbe stata ampia materia per il reato di diffamazione: ma nel nostro caso, se non siamo nella vasca degli squali, certo non siamo in quella dei pesci rossi”.
Squali, pesci rossi, triglie o scorfani, se fai politica devi accettare le critiche. Soprattutto, verrebbe da dire, se sei uno come Salvini che non ha tra i suoi modelli oratori Alcide De Gasperi o Winston Churchill.
La Kyenge? “Inutile e chiacchierona vada a difendere gli africani in Africa, se vuoi difendere i profughi torna al tuo paese”, sentenziò mentre cantava il coro “Kyenge fuori dalle palle”.
Ma Salvini questi toni può usarli, perchè è un politico (di professione).
Adesso, però, i cronisti possono criticarlo. Non è reato dire al leader della Lega che non ha mai lavorato.
Non è reato dire a Salvini che è Salvini.
Ferruccio Sansa
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 31st, 2016 Riccardo Fucile
AGRUMETI ABBANDONATI E BRACCIANTI IMMIGRATI SFRUTTATI: “SE ALZI LA TESTA NON MANGI”
Dalla rivolta dei braccianti immigrati del gennaio 2010, che ha acceso la luce sulle terribili condizioni di vita e lavoro degli stagionali africani, a Rosarno niente è cambiato.
Le campagne della piana di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria, ogni inverno si riempiono di almeno duemila invisibili che all’alba di ogni mattina aspettano i caporali per guadagnarsi una giornata di lavoro a raccogliere gli agrumi. “Ci pagano 25 euro, ma tre li dobbiamo versare per il passaggio fino agli agrumeti”, racconta Ibrahim, senegalese sulla quarantina, mentre attende il suo furgone a uno svincolo alle porte della cittadina.
Se le condizioni di lavoro sono pessime, quelle abitative sono addirittura terribili: i migranti vivono principalmente nella baraccopoli di San Ferdinando e in una vicina fabbrica occupata senza luce, acqua calda e riscaldamento.
Due gironi infernali dove le più basilari condizioni per un’esistenza dignitosa sono vietate e dove ai migranti non resta altro da fare che provare a organizzarsi da soli alla male e peggio.
“Non possiamo separare la situazione abitativa da quella lavorativa”, spiega Celeste Logiacco, giovane segretaria generale della Flai-Cgil nella Piana: “Se avessero dei compensi dignitosi potrebbero vivere in case vere e proprie e non in queste baracche”. Ma la filiera è basata sul ricatto e, come sempre accade, sono gli ultimi a pagare il prezzo più alto.
Ne è consapevole la Coldiretti che dà la colpa alle multinazionali delle aranciate: quelle aziende che comprano a prezzi stracciati il succo prodotto dalle “bionde” di Rosarno. “Impongono il prezzo di sette, massimo otto, centesimi per chilo — spiega Pietro Molinaro, presidente dell’associazione agricola calabrese — La metà di quanto costerebbe raccoglierle. E’ chiaro che un agricoltore o abbandona la raccolta oppure si deve rendere complice di questa catena di sfruttamento”.
La terza strada individuata da Coldiretti è la riconversione delle coltivazione in prodotti freschi da portare sulle tavole degli italiani chiudendo per sempre il distretto della produzione di succo di agrumi.
Ma nel frattempo le campagne si spopolano: se solo nel 2009 c’erano 9mila ettari coltivati, oggi si è già scesi a tre.
E gli agricoltori che rifiutano di sfruttare i migranti sono costretti a lasciare le arance sugli alberi.
Come Alberto Varrà : “Questi due ettari e mezzo li ha comprati mio nonno dopo anni passati in America a fare l’immigrato, come faccio ad approfittarmi degli africani? Preferisco non raccogliere”
Lorenzo Galeazzi e Lucio Musolino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 31st, 2016 Riccardo Fucile
IL REFERENDUM A GIUGNO SU PROPOSTA DI UN GRUPPO DI INTELLETTUALI
I residenti della Svizzera voteranno per un referendum che prevede l’approvazione di uno stipendio minimo garantito ad ogni cittadino pari a circa 2.230 euro mensili.
Il piano, proposto da un gruppo di intellettuali, potrebbe rendere il Paese il primo al mondo a pagare un mensile a tutti i suoi abitanti indipendentemente se essi lavorino o no.
Ma l’iniziativa non è stata accolta con molto entusiasmo tra i politici di destra e sinistra, nonostante il fatto che il referendum sia stato approvato dal governo federale e si andrà alle urne il 5 giugno.
Secondo la proposta, ogni bambino dovrebbe ricevere 130 euro a settimana.
Il governo federale stima il costo della proposta a circa 187 miliardi di euro annui. Circa 137 miliardi di euro dovrebbero essere riscossi dalle tasse, mentre 49 miliardi di euro sarebbero stati trasferiti dalla previdenza sociale.
Il gruppo proponente l’iniziativa, che comprende artisti, scrittori e intellettuali, ha citato un sondaggio che dimostra che la maggior parte dei residenti in Svizzera si dice pronto a continuare a lavorare se fosse approvato il reddito minimo garantito, come riporta il Daily Mail.
“Gli argomenti degli avversari secondo i quali il reddito garantito ridurrebbe l’incentivo di persone a lavorare è quindi in gran parte contraddetta” legge in un comunicato citato da The Local.
Tuttavia, un terzo delle 1.076 persone intervistate per l’indagine dall’Istituto Demoscope ritiene che “gli altri smetterebbero di lavorare”.
E più della metà degli intervistati (56 per cento) ritiene la proposta del reddito garantito non vedrà mai la luce del giorno.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 31st, 2016 Riccardo Fucile
CANCELLATI A ROMA IL 30% DEI PROCESSI, A VENEZIA IL 49%: “SI VANIFICA LA SANZIONE PENALE”… LA INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO NELLE VARIE SEDI
Le cause contro le banche Milano, l’infiltrazione di Mafia Capitale e il caso Cucchi a Roma, i reati legati all’immigrazione clandestina a Palermo.
Ma in tutti i distretti delle corti d’Appello il tema principale di questo anno giudiziario — come del resto aveva sottolineato il primo presidente della Cassazione Giovanni Canzio — è la prescrizione.
Istituto giuridico che manda al macero migliaia di processi ma la cui legge di riforma giace in Parlamento anche a causa delle divisioni politiche specie tra Pd e Ncd.
L’estinzione del reato perchè troppo tempo è trascorso ha cancellato il 49% dei processi a Venezia e il 30 a Roma.
Tanto da far dire al procuratore generale della capitali che “interi settori della legalità quotidiana sono sommersi dalla prescrizione”. A Napoli si parla di “amnistia strisciante”.
Milano, 57 procedimenti contro banche
A Milano “sempre in numero rilevante lecause bancarie” che hanno “ad oggetto il tema di grande attualità della responsabilità fatta valere da singoli risparmiatori-investitori nei confronti di banche-promotori finanziari” per “difetto di informazione” o per “larischiosità dei prodotti“.
Nella relazione del presidente facente funzione della Corte d’appello, Maria Chiara Malacarne viene indicato che a Milano sono pendenti “57 procedimenti” tra cause bancarie e intermediazione finanziaria, “oltre le metà dei quali prossimi alla definizione”.
Le cause vertono sui difetti di informazione “sull’adeguatezza degli investimenti rispetto alla qualifica dell’investitore” e sulla “rischiosità dei prodotti proposti”, ma anche sul “difetto di causa in ipotesi di contratti derivati, per i quali il rischio non è bilanciato su entrambi i contraenti, ma grava esclusivamente e prevalentemente sull’investitore”. Su quest’ultimo aspetto nella relazione viene segnalata “la storica sentenza emessa nel 2013 dalla I Sezione civile della Corte”.
Altro tema quello della criminalità organizzata
Le indagini della Dda di Milano hanno “consentito di accertare il definitivo radicamento della ‘ndrangheta in Lombardia”, ma anche di “contrastarla efficacemente perseguendo centinaia di persone affiliate” dice il procuratore generale di Milano Roberto Alfonso nel suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario. “Le indagini svolte — si legge nell’intervento — hanno quasi sempre riscontrato la presenza di figure riconducibili alla cosiddettaborghesia mafiosa, costituita, come è noto, anche da imprenditori, professionisti, pubblici funzionari e politici
Roma, Mafia capitale e caso Cucchi
Lo scorso ottobre avevano suscitato polemica le parole del presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, sul fatto che Roma (vedi inchiesta Mafia capitale) non avesse mostrato sufficienti anticorpi contro il malaffare.
Ma questo argomento ritorna con forza anche nella relazione del procuratore generale della corte d’appello di Roma, Giovanni Salvi: “Gli anticorpi non hanno funzionato se è stato possibile una così pervasiva influenza sull’amministrazione locale”.
Per Salvi si tratta di una azione “continuata anche dopo il mutamento di compagini politiche” citando le infiltrazioni del clan sia nell’amministrazione comunale guidata da Gianni Alemanno che quella di Ignazio Marino.
“Come è stato possibile questo radicamento di una nuova, ma non ignota, tipologia criminale?”, si chiede l’alto magistrato.
“Il profilo dell’organizzazione — spiega ancora Salvi — è solo in parte assimilabile a quelle delle mafie tradizionali. Inoltre — sottolinea Salvi riprendendo la sintesi fatta dal procuratore Giuseppe Pignatone — Mafia Capitale mantiene le “condizioni di assoggettamento e di omertà ” di altre organizzazioni, e che sono generate dal “combinarsi di fattori criminali, istituzionali, politici, storici e culturali” ma “presenta caratteri suoi propri, in nulla assimilabili a quelli di altre consorterie”. Si tratta di una “genesi propriamente romana” rappresentando un “punto d’arrivo” di gruppi “che hanno preso le mosse dall’eversione di estrema destra”.
Salvi parla anche del caso Cucchi: “La giustizia si afferma anche quando la polizia giudiziaria, guidata dalla Procura della Repubblica, persegue con fermezza ma senza pregiudizi verità anche scomode come per la morte di Stefano Cucchi“.
Il magistrato fa riferimento all’inchiesta bis sulla morte del giovane geometra che vede indagati cinque carabinieri accusati, a seconda delle posizioni, di falsa testimonianza e lesioni.
Palermo e Venezia, questione prescrizione
Anche Palermo l’argomento più scottante è la prescrizione. Sempre più processi si concludono con l’estinzione del reato perchè troppo tempo è trascorso.
Il dato emerge dalla relazione di Gioacchino Natoli, presidente della corte d’appello di Palermo, per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2016.
Sono stati 1.692 i procedimenti eliminati dai Gip o Gup con pronunzie di prescrizione (5% del totale dei processi definiti); e 1.569 i processi eliminati dai Tribunali e 280 in Corte di Appello.
Per la maggior parte si è trattato di fatti che hanno richiesto lunghe attività d’indagine o una lunga istruttoria dibattimentale in primo grado.
Per l’appello, il fattore determinante è stato il ritardo nel deposito della sentenza o nella trasmissione del fascicolo del primo giudice. “È stato più volte sottolineato — dice Natoli — che i termini di prescrizione dovrebbero decorrere ex novo a ogni passaggio processuale, senza limiti temporali massimi, se non quelli correlati alla fase o al grado di processo in corso”.
Sempre da Palermo arriva l’allarme sull’aumento del numero dei reati legati al fenomeno dell’immigrazione clandestina, tanto da richiedere l’istituzione presso la Procura della Repubblica di Palermo di un apposito gruppo di lavoro coordinato da un procuratore aggiunto e composto da quattro sostituti della Dda e tre sostituti della Procura ordinaria.
Nel distretto di Palermo, c’è stato un aumento del 160% dei procedimenti per riduzione in schiavitù e tratta di esseri umani. Prescrizione e reato di clandestinità sono stati due dei punti più importanti della relazione del primo presidente della Cassazione Giovanni Canzio.
Anche dalla Corte d’Appello di Venezia si sottolinea come a causa della lunghezza dei procedimenti tra primo e secondo grado, si arrivi alla prescrizione del 49% dei reati. Un dato, secondo Rinaldi, “che aumenta, se si tiene conto di quanto viene prescritto già in primo grado, se non già da quando c’è il rinvio a giudizio, in tutte le sedi”.
A Roma invece nel periodo tra il 2014 e il 2015 sono stati dichiarati estinti per prescrizione il 30% dei procedimenti definiti: “Interi settori della legalità quotidiana sono sommersi dalla prescrizione — afferma Savi — così giungendosi alla vanificazione della sanzione penale e della sua stessa minaccia, proprio nelle aree di maggior interesse per il cittadino”.
Per Salvi “è indispensabile un mutamento di rotta” perchè “il dato diviene drammatico se si fa riferimento ai reati a più breve termine di prescrizione”. Secondo il pg di Roma “i nodi da aggredire subito sono le notificazioni, causa di continui e inutili rinvii e le modalità di trattazione dei procedimenti prescritti o prossimi alla prescrizione che vengono gestiti senza uniformità e che ingolfano udienze destinate ai processi viventi”.
Nonostante alcuni dati positivi “i tempi di definizione dei procedimenti civili e penali, ancorchè diminuiti, continuano ad essere eccessivi e questo continua ad essere il principale problema della giustizia — dice il presidente della Corte di Appello di Napoli, Giuseppe De Carolis -.
I ritardi nei processi penali, la scarcerazione anche di imputati per reati gravi per decorrenza dei termini di custodia cautelare e l’estinzione di un gran numero di reati per prescrizione, vanifica il lavoro dei magistrati e finisce per diventare una sorta di amnistia strisciante e perenne che opera peraltro in modo casuale”.
Bologna, “controlli banche non funzionano”
“Gli amministratori degli istituti bancari, anche non pubblici, dovrebbero essere ben consapevoli della funzione sociale che svolgono, avendo tra le mani i patrimoni e, in qualche caso, le vite delle persone. Ebbene, deve far riflettere che, nonostante gli episodi di infedeltà nei confronti dei clienti, i controlli funzionino così male” dice a Bologna Alberto Candi, procuratore generale reggente, che ha preso spunto per la riflessione “amara, anche se di grande attualità ” dal processo Parmalat-Capitalia, che nel 2015 ha visto la conclusione dell’appello bis con le condanne, tra gli altri, di Cesare Geronzi e Matteo Arpe.
Un processo che ha dimostrato che “la magistratura è in grado di accertare le responsabilità anche se si tratta di procedere contro persone apparentemente intoccabili, apparentemente irraggiungibili da quella giustizia che riguarda, ogni giorno, i cittadini ‘comunì”.
Parmalat, ha detto ancora Candi, “si trascinò per anni sull’orlo dell’abisso, prima che qualcuno se ne accorgesse, facendola cadere con lo schianto di un colosso di argilla cresciuto sotto gli occhi di chi avrebbe dovuto vigilare e non vigilò”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 31st, 2016 Riccardo Fucile
CHIUDE LA PUBBLICAZIONE SUL CALCIO GIOVANILE, NONOSTANTE MILIONI DI CONTRIBUTI GOVERNATIVI
Da una prospettiva che mescola stampa, sport e tifo, siamo davanti a un giornale precursore. In tante cose. Tipo l’intuizione che il calcio giovanile (Esordienti, Pulcini e campionati Primavera) rappresentasse un bacino di lettori affatto disprezzabile. Famiglie intere – papà e mamme ultrà , se non gli stessi giocatorini – pronte al lunedì a fiondarsi in edicola pur di leggere il nome del pargolo aspirante campioncino nel resoconto, bastavano anche poche righe, di epiche sfide disputate nei più improbabili campetti della periferia romana.
Ma il Corriere Laziale, pubblicazione dalla storia circa trentennale, vanta anche altri record. Di sicuro quello di avere incamerato in 6 anni la bellezza di dieci milioni 254.825 euro. Soldi pubblici.
Quelli in arrivo dalle provvidenze previste dalle leggi per l’editoria che hanno finanziato tante testate: dai grandi organi di partito a sconosciuti fogli di provincia. Una cascata di danaro che pure non è servita a evitare il fallimento della pubblicazione edita da una cooperativa, la Edilazio ’92.
Le cronache delle partitelle
Il tribunale fallimentare di Roma ne ha decretato la chiusura con una sentenza depositata in cancelleria il 15 gennaio.
Una crisi inevitabile a partire dal 2012, dopo lo stop all’annuale mancia di Stato che irrorava l’attività del giornalino. Tanti saluti così alle cronache delle partitelle da Casalotti, Sezze, Cave, Montalto, Vitorchiano e da ogni borgo del Lazio sparso tra Agro e Appennini.
A scrivere quegli articoli – poco più delle formazioni, i gol, la descrizione di qualche azione e talvolta le pagelle dei calciatorini – inviati a tamburo battente dopo il fischio finale, c’erano reggimenti di autori.
Giovanissimi aspiranti giornalisti pronti a narrare il derby tra i Pulcini della Pescatori Ostia e quelli dell’Ostiamare con lo stesso pathos di una finale di Champions League. Ma anche allenatori, dirigenti, accompagnatori, qualche tifoso di buona volontà . Animati tutti da null’altro che la passione.
560 iscritti all’Ordine del giornalisti pubblicisti
Il Corriere Laziale ha stabilito però anche un altro primato. La rivista diretta dal burbero Eraclito Corbi, oggi vigoroso ottantenne, vanta anche il record- lo aveva segnalato Sergio Rizzo sulle pagine del Corriere della Sera – delle tessere professionali sfornate: oltre 560 iscritti all’Ordine del giornalisti pubblicisti del Lazio. Come sia stato possibile, lo spiegava un esposto che la presidente dell’Ordine, Paola Spadari, presentò nel 2014 alla Procura della Repubblica.
Con tanto di testimonianze e verbali. Il Corriere Laziale aveva messo in piedi una specie di fabbrica di pubblicisti, una catena di montaggio funzionante a pieno ritmo.
Il giornale reclutava giovani aspiranti giornalisti da impiegare per le cronache. Ma a «zero compensi». Anzi: talvolta dichiarando di aver ricevuto inesistenti pagamenti, quelli necessari a dimostrare l’attività per l’iscrizione all’Ordine.
Quattro redattori licenziati
Non basta. I soldi incassati dal dipartimento per l’Editoria della presidenza del Consiglio non hanno evitato licenziamenti in redazione. Ne ha dato notizia dopo il fallimento l’Associazione Stampa Romana che, per bocca dell’avvocato Raffaele Nardoianni, ha raccontato dei quattro cronisti che nel 2013 persero l’impiego «senza che venisse loro corrisposta nè l’indennità di mancato preavviso, nè il trattamento di fine rapporto».
Niente tfr ai dipendenti, dunque, nonostante la generosità delle provvidenze al giornale che in certi periodi usciva con cadenza bisettimanale.
Cifre cospicue: un milione 873.417,31 euro nel 2006, un milione 872.667,94 l’anno dopo, un milione 904.503,29 nel 2008 e così via sino ad arrivare al milione 047.868,56 euro del 2011, ultimo anno di elargizioni.
Cessate nel 2012 , dopo un controllo dell’Inpgi (l’istitituto previdenziale dei giornalisti) che ha stabilito che la cooperativa non aveva più diritto agli aiuti. Da qui la crisi e la picchiata dei conti verso il fallimento.
Come sono stati spesi quei soldi?
A questo punto la domanda tra l’ovvio e l’inevitabile: come sono stati spesi quei soldi? Una risposta, naturalmente di parte, arriva dallo stesso direttore con una specie di recente lettera aperta pubblicata online.
Corbi esordisce in questo modo: «Lo confesso: sono colpevole. È così. E ho sperperato generosità . Due parole, impresa e generosità , che non possono stare insieme». Poi precisa: «Non sono nè un “furfante”, nè un “ladrone”». Ammonisce: «Chi lo afferma ne risponderà davanti al giudice». «Non mi sono imbertato nulla» assicura parlando di 4 milioni finiti nella voce stipendi tra cui il suo, di 3.500 euro al mese, «che negli ultimi tempi neanche percepivo per dare la precedenza ai dipendenti».
Poi la tipografia (qui però non vengono chiarite cifre), «una redazione confortevole, aria condizionata d’estate e riscaldamento d’inverno», «sito internet e web-tv», «un giornale che ritenevo bello e interessante».
«Avessi messo quei 10 milioni di euro in qualche conto in un paradiso fiscale caraibico col cavolo che ancora starei qui, a quasi 80 anni, a sputare il sangue».
Infine la franca ammissione: semmai «sono stato un pessimo imprenditore».
Alessandro Fulloni
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 31st, 2016 Riccardo Fucile
“IL 20% DEGLI ALUNNI E’ ORMAI DI ORIGINE STRANIERA, CIASCUNO HA DIRITTO DI RACCONTARSI”
Una festa musulmana da celebrare nelle scuole milanesi. La proposta non viene dall’imam di una moschea, ma dall’arcivescovo Angelo Scola.
E non era una battuta, ma la conclusione di un ragionamento che partiva dal “meticciato” – tanto caro al cardinale – e arrivava alla presenza di “almeno un 20 per cento di alunni stranieri nelle nostre classi”.
Un dato che Scola ha tirato fuori nel dialogo con il giornalista Ganni Riotta, all’Istituto dei ciechi, in occasione della festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti.
L’Islam e il presepe.
Quindi non si rinunci al presepe perchè ci sono gli islamici a scuola, ma si accolgano anche le loro specificità .
“Una società plurale deve essere il più possibile inclusiva, ma non può rinunciare al simbolo se no perde forza comunicativa – ha spiegato Scola – Critico la laicità alla francese: non è pensabile creare uno spazio di neutralità , in cui tutti facciano un passo indietro sul tema delle religioni. Piuttosto, ciascuno si narri e si lasci narrare. Se aumentano i bambini musulmani, bisogna prendere qualcuna delle loro feste ed inserirle nella dimensione pubblica: spiegare, non vietare”.
La moschea.
Il cardinale ha ribadito il suo sì alla costruzione di una moschea cittadina, purchè “sia rispettosa delle forme e presenze architettoniche già presenti in città ” e trasparente nelle modalità comunicative, nella gestione, nelle gerarchie interne e nei collegamenti esterni. Sui profughi, poi, una proposta forte: “In Europa serve un Piano Mashall per fronteggiare l’accoglienza, come ho letto nelle affermazioni del ministro delle finanze tedesco Schà¤uble”.
Family day
Inevitabile anche il riferimento al Family day di Roma, che il cardinale negli scorsi giorni aveva definito “positivo”. Ha invitato il governo a “tenere conto di quello che la società civile chiede con una presenza in piazza legittima e doverosa”. Plauso dunque ai cattolici che manifestano per “proporre la propria visione delle cose su questioni tanto delicate che possono comportare conseguenze antropologiche e sociali molto gravi”, ha detto riferendosi al ddl Cirinnà .
Zita Dazzi
(da “la Repubblica”)
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